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Anno XVI - n. 04 - Aprile 2024

  Giurisprudenza Amministrativa



L'annullamento con effetti ex tunc dell'atto impugnato quale principio derogabile. Il piano antincendio della Regione Toscana.

Di Valeria Ciociola
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NOTA CONSIGLIO DI STATO – SEZIONE PRIMA

ADUNANZA DI SEZIONE 26 giugno 2020, 

PARERE n. 1233

 

di Valeria Ciociola

 

L’ANNULLAMENTO CON EFFETTI EX TUNC DELL’ATTO IMPUGNATO QUALE PRINCIPIO DEROGABILE. IL PIANO ANTINCENDIO DELLA REGIONE TOSCANA.

 

La regola dell’annullamento con effetti ex tunc dell’atto impugnato può essere derogata allorché, nel caso di atti normativi o generali, l’annullamento dell’atto possa generare una condizione amministrativa di vuoto regolatorio, tale da determinare effetti peggiorativi della posizione giuridica tutelata con il ricorso, nel senso di pregiudicare, anziché proteggere, il bene della vita che l’interessato aspira a conseguire o mantenere.

 

Sommario: 1. Premessa – 2. La vicenda – 3. Il parere del Consiglio di Stato – 4. Il principio della retroattività è un principio derogabile – 5. Osservazioni critiche e loro confutazione – 6. Conclusioni

 

  1. Premessa – Il codice del processo amministrativo apre le azioni di cognizione con l’azione di annullamento per violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere da proporre nel termine decadenziale di 60 giorni (art. 29 c.p.a.). In caso di accoglimento, il giudice deve annullare in tutto o in parte il provvedimento amministrativo (art. 34 c.p.a.).

Uno dei caratteri peculiari dell’annullamento per illegittimità del provvedimento amministrativo risiede nella caducazione del provvedimento stesso con efficacia ex tunc e nel conseguente travolgimento di tutti gli effetti medio tempore prodotti dall’atto.

Tale impostazione, data ormai per acquisita dalla giurisprudenza assolutamente pacifica e consolidata, è stata revocata in dubbio dalla pronuncia del Consiglio di Stato, VI^, del 10.5.2011, n. 2755; quest’ultima, in applicazione dei principi di giustizia sostanziale di effettività e proporzionalità della tutela giudiziaria, ha sfatato il “dogma” della necessaria retroattività dell’annullamento dell’atto illegittimo.

 

Sulla scia di tale pronuncia, il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso nella parte in cui si considerano paesaggisticamente irrilevanti – e quindi sottratti alla preventiva autorizzazione – tutti gli interventi previsti senza una adeguata analisi e valutazione dell’impatto paesaggistico, e nella parte in cui la valutazione di incidenza sui siti della rete “Natura 2000” è carente nell’istruttoria e nella motivazione, oltre che corredata da mere raccomandazioni di buona esecuzione degli interventi prive di prescrizioni integrative.

Tuttavia, il Consiglio, consapevole dell’importanza del piano antincendi predisposto dalla Regione Toscana e dell’inizio della stagione estiva, innovando la giurisprudenza sul punto, ha deciso di differire l’annullamento di 180 giorni affinché l’Amministrazione possa adottare un nuovo Piano, senza dover rinunciare alla lotta agli incendi nel periodo estivo. In particolare dovranno essere adottate tutte le misure atte a mettere in sicurezza il sito e dovranno essere posti in essere quegli interventi ritenuti improcrastinabili ed indifferibili, relativi ad aree che presentano rischi elevati.

  1. La vicenda – Con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, l’Associazione Italia Nostra, l’Associazione WWF Provincia di Grosseto e la Lega Abolizione Caccia (LAC), Sezione Toscana, hanno impugnato la delibera n. 355 del 18.3.2019 e n. 456 del 1.4.2019 con la quale la Regione Toscana ha approvato il “Piano Specifico di Prevenzione AIB” (Anti Incendio Boschivo) per il comprensorio territoriale delle pinete litoranee di Grosseto e Castiglione della Pescaia (la pineta c.d. del “Tombolo”), area di grande pregio naturalistico e paesaggistico, presidiata da numerosi vincoli paesaggistici e ambientali, nonché la delibera di giunta n. 564 del 23.4.2019 di approvazione del “Piano AIB 2019-2021.

Le associazioni ricorrenti contestano gli atti impugnati nella parte in cui prevedono tagli che interesserebbero il 70% dei pini e l’80% del sottobosco; ciò, sostengono le ricorrenti, ridurrebbe la pineta del Tombolo ad una “pineta minimale con pochi pini residui e con qualche cespuglio di sottobosco non più ricco di biodiversità e di specie protette” ed annienterebbe sostanzialmente l’habitat, compromettendone la presenza della fauna presente, incluse le specie protette.

 

Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, rigettando il ricorso, con la relazione prot. n. 15089 del 2.3.2020, ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull’affare consultivo in esame.

 

I Giudici di Palazzo Spada, a tal fine, si sono posti la questione di come poter bilanciare le contrapposte esigenze di tutela giurisdizionale degli interessi dei ricorrenti – e di ripristino della legittimità dell’azione amministrativa – con quelle di tutela della pubblica incolumità, della sicurezza delle persone e dei beni patrimoniali delle concentrazioni antropiche che si trovano nella pineta oggetto del piano AIB impugnato. In particolare, il Collegio ha ritenuto necessario approfondire la possibilità di graduare l’effetto caducatorio degli atti impugnati derivante dal disposto annullamento, in modo da scongiurare effetti paralizzanti che potrebbero rivelarsi dannosi per quegli interessi ambientali fatti valere dalle stesse Associazioni ricorrenti.

 

  1. Il parere del Consiglio di Stato – Nel caso di specie, il Consiglio di Stato ha ritenuto che la possibilità di “modulare” gli effetti dell’annullamento potesse rispondere meglio al principio dell’effettività della tutela giurisdizionale.

Tuttavia, prosegue il Consiglio, tale potere deve essere utilizzato in modo accorto, limitandolo alle sole ipotesi in cui un temperamento alla regola della caducazione retroattiva degli atti illegittimi si renda strettamente necessario per la tutela degli interessi rilevanti nel caso concreto. Ciò anche al fine di evitare che le esigenze di effettività della tutela possano trasmodare in situazioni di incertezza giuridica o amministrativa.

Una simile possibilità è necessaria ogni qualvolta occorra evitare che l’annullamento di un atto amministrativo possa generare una condizione di “vuoto regolatorio” – in caso di annullamento di atti normativi o generali – tale da determinare effetti peggiorativi della posizione giuridica tutelata con il ricorso, nel senso di pregiudicare il bene della vita che l’interessato desidera conseguire o mantenere, anziché proteggerlo.

 

Ed invero, i Giudizi di Palazzo Spada reputano che, nel caso qui in esame, l’annullamento del Piano AIB predisposto dalla Regione Toscana, potrebbe, non solo, comportare un effetto paralizzante dell’azione amministrativa di prevenzione degli incendi, ma anche impedire quegli interventi urgenti, atti a mitigare il rischio di incendi boschivi; inoltre, con l’arrivo della stagione estiva, potrebbe aumentare ancor di più il rischio di devastanti incendi, difficilmente controllabili. Ciò porterebbe al risultato paradossale che l’accoglimento del ricorso proposto dalle associazioni ambientaliste per garantire un maggior livello di tutela del paesaggio e delle aree naturali protette, finirebbe per causare indirettamente la distruzione definitiva di quei paesaggi e di quegli habitat naturali.

 

Pertanto, il Consiglio ha espresso parere nel senso che il ricorso debba essere accolto ed ha disposto l’annullamento degli atti impugnati, nei limiti delle censure accolte e solo a decorrere dall’approvazione di un nuovo Piano AIB da parte della Regione Toscana; approvazione che dovrà avvenire nel rispetto dei principi affermati nel termine di 180 giorni.

 

  1. Il principio della retroattività è un principio derogabile – Come evidenziato in premessa, la facoltà di modulare gli effetti demolitori delle sentenze di annullamento è stata riconosciuta dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 2755/2011. In questa sede, il Consiglio ha accolto il ricorso ed ha dichiarato la perdurante efficacia dell’atto impugnato nelle more dell’adozione di un nuovo provvedimento sostitutivo.

A tale conclusione il Collegio è pervenuto non soltanto sul rilievo della potenziale compromissione degli equilibri ambientali derivante dall’eliminazione degli effetti del piano originariamente approvato, ma anche in ragione del contenuto delle pretese fatte valere dalla ricorrente.

Infatti, il Collegio sostiene che il principio di effettività della tutela giurisdizionale – desumibile tanto dalle fonti sovranazionali agli articoli 6 e 13 della CEDU, quanto da quelle nazionali agli artt. 24 e 113 Cost. – imponga una modulazione temporale dell’efficacia tipica del dictum giudiziale, in vista della necessità di assicurare una soddisfazione non meramente formale dell’interesse fatto valere con la domanda.

 

In particolare, il Consiglio, inaugurando un indirizzo poi seguito anche dall’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 4/2015[1], ha evidenziato che l’annullamento ex tunc del provvedimento amministrativo impugnato non rinviene le sue radici in una disposizione di legge, bensì in una prassi suscettibile di essere derogata tutte le volte in cui l’annullamento retroattivo dell’atto costituisce una misura eccessiva – e non satisfattiva – delle istanze di tutela del ricorrente.

È stato osservato, infatti, che quando l’applicazione della regola dell’annullamento con effetti ex tunc risulti incongrua e manifestamente ingiusta, ovvero in contrasto con il principio di effettività della tutela giurisdizionale, tale regola deve trovare una deroga, o con la limitazione parziale della retroattività degli effetti, o con la loro decorrenza ex nunc ovvero escludendo del tutto gli effetti dell’annullamento e disponendo esclusivamente gli effetti conformativi[2].

Il Collegio, inoltre, ritiene che la legislazione ordinaria non preclude al giudice amministrativo l’esercizio del potere di determinare gli effetti delle proprie sentenze di accoglimento. Anzi, un implicito riferimento alla possibilità di caducare gli atti amministrativi è rinvenibile nell’art. 21nonies della L. n. 241/1990, il quale, nel richiamare il legittimo affidamento del destinatario del provvedimento quale limite al suo annullamento d’ufficio, consente di lasciare intatti gli effetti già prodotti da un provvedimento illegittimo.

 

Tali conclusioni sono indotte anche dall’applicazione dei principi nazionali, comunitari e CEDU sulla effettività della tutela giurisdizionale.

Quanto al principio di effettività della tutela giurisdizionale si deve ritenere che la funzione primaria ed essenziale del giudizio è quella di attribuire alla parte che risulti vittoriosa l’utilità che le compete in base all’ordinamento sostanziale, con la conseguenza che il giudice può emettere le statuizioni che risultino in concreto satisfattive dell’interesse fatto valere e deve interpretare coerentemente ogni disposizione processuale.

Anche la giurisprudenza comunitaria[3] ha da tempo affermato che il principio dell’efficacia ex tunc dell’annullamento, seppur costituente la regola, non ha una portata assoluta e la Corte può dichiarare che l’annullamento di un atto – sia esso totale o parziale – abbia effetto ex nunc o che l’atto medesimo conservi i propri effetti sino a che l’istituzione comunitaria modifichi o sostituisca l’atto impugnato[4].

Tale potere valutativo prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona era previsto nel caso in cui venisse riscontrata l’invalidità di un regolamento comunitario (art. 231 TCE), ma era esercitabile anche nei casi di impugnazione delle decisioni, delle direttive e di ogni altro atto generale[5].

La Corte di Giustizia, dunque, è titolare anche del potere di statuire la perduranza degli effetti dell’atto risultato illegittimo; ciò avviene per un periodo di tempo che può tener conto non solo del principio di certezza del diritto e della posizione di chi ha agito in giudizio, ma anche di ogni altra circostanza da considerarsi rilevante.

Siffatta giurisprudenza ha trovato ormai un fondamento testuale nell’art. 264, co. 2 TFUE (ex art. 231 TCE), il quale non contiene più quel riferimento delimitativo alla categoria dei regolamenti: “se il ricorso è fondato, la Corte di Giustizia dell’Unione europea dichiara nullo e non avvenuto l’atto impugnato. Tuttavia la Corte, ove lo reputi necessario, precisa gli effetti dell’atto annullato che devono essere considerati definitivi”.

 

Pertanto, si può ritenere che in virtù dell’ascrivibilità della disciplina ambientale al novero delle competenze concorrenti fra gli Stati membri e le istituzioni dell’Unione europea, gli interessi fatti valere in tale ambito devono essere tutelati dai giudici nazionali secondo livelli di garanzia non inferiori rispetto a quelli assicurati dal diritto europeo.

In tal senso, allora, le disposizioni di cui all’art. 264 TFUE, specie nella parte in cui affidano alla Corte di giustizia la facoltà di precisare “gli effetti dell’atto annullato che devono essere considerati definitivi”, trovano ingresso nell’ordinamento interno in qualità di principi idonei a garantire la tutela piena ed effettiva delle situazioni giuridiche soggettive dedotte in giudizio (art. 1 c.p.a.).

È evidente, quindi, che anche il giudice amministrativo nazionale possa differire gli effetti dell’annullamento dell’atto impugnato risultato illegittimo, ovvero non disporli affatto, stabilendo solo quegli effetti conformativi atti a far sostituire il provvedimento[6].

 

  1. Osservazioni critiche e loro confutazione – L’orientamento richiamato è stato oggetto di aspre critiche da parte di severa dottrina[7], secondo cui l’effetto necessario dell’azione di annullamento è il venir meno dell’atto impugnato ritenuto illegittimo. Si tratta di un effetto non disponibile da parte del giudice, potendosi solo discutere degli altri due effetti: decorrenza temporale degli effetti di annullamento ed effetto conformativo.

Tale dottrina, infatti, ritiene che:

  1. la mancata produzione dell’effetto caducatorio si porrebbe in contrasto con la tipicità del contenuto dell’azione e della sentenza di annullamento, oltre che con la riserva di legge prevista dall’art. 113, co. 3, Cost., che attribuisce solo alla legge il compito di stabilire gli effetti dell’annullamento dell’atto, con conseguente impossibilità che il giudice possa derogare alla regola dell’efficacia retroattiva della pronuncia costitutiva;
  2. il principio della domanda osta ad una decisione con la quale, a fronte di una domanda tesa alla demolizione retroattiva dell’atto, il giudice si limiti all’accertamento non demolitorio o alla caducazione non retroattiva del provvedimento impugnato. Il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.) non consentirebbe al giudice di modulare il contenuto del decisum in senso difforme rispetto alla pretesa “annullatoria” fatta valere con la domanda di parte.

 

Tuttavia, tali rilievi critici non colgono nel segno.

Quanto alla prima obiezione, si deve rilevare che nessuna legge, sostanziale o processuale, sancisce la regola della retroattività degli effetti della pronuncia di annullamento, con la conseguenza che non può che spettare al giudice il compito di regolare gli effetti della propria decisione, al fine di offrire la tutela migliore all’interesse del ricorrente, tale essendo quella necessaria e sufficiente a soddisfare in modo pieno l’interesse azionato senza frustare in modo inutile l’interesse pubblico e la sfera giuridica dei controinteressati.

La soluzione della graduabilità degli effetti della pronuncia adottabile dal giudice a fronte di un ricorso di annullamento sarebbe supportata, pertanto, dal più volte richiamato principio di effettività della tutela, trovando una giustificazione nella nozione di interesse legittimo[8].

In ordine alla seconda censura, si deve sottolineare che la domanda di annullamento contiene sempre il quid minus della domanda di mero accertamento dell’illegittimità con effetti non eliminatori. È quindi coerente con il principio della domanda di cui all’art. 112 c.p.c. una decisione che effettui

questo accertamento adottando una misura che eviti di concedere un quid pluris rispetto a quanto sia necessario per gratificare in modo pieno il bisogno di tutela del privato[9].

 

Ed invero, stante il fatto che l’oggetto dell’azione di annullamento comprende la domanda di accertamento circa l’illegittimità dell’atto impugnato, si deve ritenere che la pronuncia con cui il giudice, pur dichiarando la sussistenza di profili di contrasto rispetto al parametro legale, sospende provvisoriamente la produzione dell’effetto eliminatorio della sentenza, o stabilisce che l’atto illegittimo sia annullato senza far retroagire gli effetti della caducazione, non può ritenersi difforme rispetto ai contenuti del petitum.

Si aggiunga, inoltre, che la soluzione della portata “mobile” della pronuncia adottabile dal giudice a fronte di un ricorso di annullamento è confortata:

  1. dal principio di effettività della tutela che impone di evitare all’amministrazione o ai controinteressati sacrifici inutili e non necessari atti a garantire una piena tutela all’interesse del ricorrente;
  2. dall’argomento di teoria generale secondo cui – anche nel diritto privato – la regola della retroattività della sentenza di annullamento del contratto è passibile di deroghe finalizzate alla tutela dell’incapace (art. 1443 c.c.) e del terzo subacquirente (artt. 1445 e 2038 c.c.);
  3. dalla considerazione secondo cui l’attribuzione al giudice del potere di decidere quando annullare l’atto illegittimo (art. 34, co. 3, c.p.a.) implica anche il potere di stabilire da quando far decorrere la portata della sentenza che annulla l’atto;
  4. dal rilievo secondo cui la centralità del bene della vita desiderato o difeso, debba limitarsi a concedere solamente quello che è necessario a soddisfare la pretesa sostanziale;
  5. dall’analisi comparatistica e comunitaria che evidenzia i temperamenti apportati alla regola della retroattività dell’annullamento dell’atto quando questa risulti eccessiva ai fini della tutela dell’interesse del privato[10].

In un sistema di tutela di tipo soggettivo, l’interesse a ricorrere deve condizionare non solo l’an, ma anche il contenuto concreto della decisione, che non può che essere quello necessario e sufficiente per soddisfare il bisogno di tutela.

Si afferma, quindi, che il giudice amministrativo sia “signore degli effetti delle proprie pronunce”, chiamato a calibrare la misura della tutela e, al contempo, ad evitare lesioni gratuite all’interesse pubblico ed ai controinteressati.

 

  1. Conclusioni - Alla luce di quanto sin qui esposto sembra possibile evincere come, sin dalla sentenza n. 2755/2011, il Consiglio di Stato abbia inteso attribuire in via interpretativa al giudice amministrativo il potere di modulare in relazione al caso concreto gli effetti tipici della sentenza che accoglie l’istanza di annullamento di un provvedimento illegittimo.

È evidente, allora, che il giudice amministrativo, nel determinare gli effetti delle proprie statuizioni, deve ispirarsi al criterio per cui esse, anche le più innovative, devono produrre conseguenze coerenti con il sistema – e cioè armoniche con i principi generali dell’ordinamento, e in particolare con quello di effettività della tutela – e congruenti, in quanto basate sui medesimi principi generali, da cui possa desumersi in via interpretativa la regula iuris in concreto enunciata.

In particolare, proprio la circostanza, che nel caso de quo la vicenda posta a base della pronuncia coinvolga il tema della tutela dell’ambiente sembra costituire per i giudici di Palazzo Spada argomento scriminante al fine di suffragare la soluzione prospettata.

 

Infatti, a condurre il Supremo Consesso verso tale soluzione sono state due esigenze concomitanti e apparentemente dirimenti: da un lato, il rispetto del principio di effettività della tutela giurisdizionale e, dall’altro, le istanze di protezione dell’ambiente.

Mentre la prima impone di emettere pronunce che siano coerenti con i principi generali dell’ordinamento e congruenti rispetto alla realtà contingente, la seconda postula un bilanciamento di interessi tale per cui, tra l’interesse generale alla legittimità amministrativa e l’interesse alla conservazione delle risorse ambientali, sia quest’ultimo a prevalere (soprattutto in ragione del fatto che per tale materia sussiste una competenza concorrente dello Stato e dell’Unione europea).
Dunque, benché a ben vedere tanto il principio di effettività quanto il bene ambiente appaiono fungere da grimaldelli per legittimare un’azione di politica legislativa, sembrerebbe essere il bisogno di rispondere ad entrambe queste due esigenze che ha indotto i giudici di Palazzo Spada a concludere nel senso che, ove rischi di rivelarsi incongrua e manifestamente ingiusta, la regola dell’annullamento con effetti ex tunc dell’atto impugnato deve trovare una deroga.

 

 

NOTE:

[1] Cons. St., A.P., 13.4.2015, n. 4

[2] Cons. St., VI^, 9.3.2011, n. 88

[3] CGUE, 25.2.1999, C-164/97 e 165/97

[4] G. PARODI, Gli effetti temporali delle sentenze di annullamento e di invalidità della Corte di Giustizia delle comunità europee, in Quaderni regionali, 2007, 319; M.A. SANDULLI, Il nuovo processo amministrativo, Giuffrè editore, 2013, 162

[5] CGUE, 12.5.1998, C-106/96; CGUE, 5.7.1995, C-21/94

[6] Sul punto, cfr., ex multiis, TAR Lazio - Roma, III-bis^, 9.4.2014, n. 3838, Cons. St., A.P., 22.12.2017, n. 13, Cons. St., VI^, 6.4.2018, n. 2133

[7] In primis, A. TRAVI, Lezioni, op. cit., 927; F.G. SCOCA, Attualità dell’interesse legittimo?, in Dir. proc. amm. 2011, 2, 379

[8] R. CAPONIGRO, Una nuova stagione per la tutela giurisdizionale degli interessi legittimi, in www.giustizia-amministrativa.it, 5.1 

[9] M. FRATINI, Manuale sistematico di diritto amministrativo, Accademia del diritto, 2019-2020, 1352

[10] F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, Dike, 2018, 173