Studi

Trasparenza nella Pubblica Amministrazione e accesso civico: analisi degli elementi di innovazione e di criticità della disciplina del FOIA italiano, di cui al D.Lgs. 25 maggio 2016, n. 97.
A cura di Salvatore Milazzo.
SOMMARIO:
1. La trasparenza e il diritto di accesso agli atti della PA: introduzione, con riferimento alla legge 241/1990.
2. Il cammino della trasparenza nella regolamentazione dell’attività amministrativa.
2.1. Una prima evoluzione generale del rapporto tra accesso e trasparenza: brevi riferimenti al Decreto Legislativo 150/2009.
2.2. La trasparenza e le politiche pubbliche di controllo e di prevenzione della corruzione: il Decreto Legislativo n. 33/2013.
3. Il nuovo “Decreto Trasparenza”(D.lgs. 25 maggio 2016, n. 97): la trasparenza come libertà di accesso a documenti e dati.
4. (Segue) Il nuovo “Decreto Trasparenza”(D.lgs. 25 maggio 2016, n. 97): ambito soggettivo di applicazione e la ipotesi peculiare di responsabilità dirigenziale.
5. (Segue) Il nuovo “Decreto Trasparenza”(D.lgs. 25 maggio 2016, n. 97): il diritto di accesso civico e gli oneri finanziari a carico delle amministrazioni e dei privati, anche con riferimento ai contro interessati.
6. Considerazioni finali.
1. La trasparenza e il diritto di accesso agli atti della PA: introduzione, con riferimento alla legge 241/1990
Ancora adesso, la ben nota metafora di Filippo Turati, che indicò la necessità di una Pubblica Amministrazione come “casa di vetro”¹ , può essere considerata l’archetipo ideale per provare a dare una definizione di trasparenza amministrativa. Essa, quindi, pur essendo, come si è fatto notare in dottrina, una astrazione i cui contorni sono difficilmente individuabili², è un elemento determinante affinché all’interno di quella “casa”, che è la PA, tutto sia “sempre e costantemente visibile”³. In tal senso, quindi, la trasparenza amministrativa può esser considerata come corollario del principio di buon andamento e imparzialità della Pubblica Amministrazione, nonché come garanzia per i diritti degli amministrati, individualmente o collettivamente considerati.
La visibilità dell’agire amministrativo, garantita dalla trasparenza, inoltre, non è finalizzata ad assicurare una mera osservazione dell’attività delle amministrazioni pubbliche e ai dati della PA, ma diviene vero e proprio strumento di democrazia partecipativa, in virtù del quale il cittadino acquisisce consapevolezza e partecipa alla elaborazione delle politiche pubbliche.
Così si spiega il perche di come, nella versione originaria dell’art. 22 della legge 7 agosto 1990, n. 241, il diritto di accesso agli atti amministrativi fosse configurato come mezzo finalizzato ad assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa⁴.
Trasparenza che poteva esser considerata, quindi, insieme ai criteri di economicità, efficacia, imparzialità, parametro regolatore dell’attività amministrativa.
Va sottolineato che, tuttavia, con la modifica normativa avutasi con la legge 11 febbraio 2005, n. 15, il riferimento espresso alla trasparenza, contenuto nell’originario articolo 22, comma 1 della legge 241/1990 è stato eliminato e il diritto di accesso ivi delineato è stato configurato come una forma di garanzia riconosciuta, restrittivamente, a taluni soggetti e non più “a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti⁵”.
Si è in presenza, in tal modo, di un riferimento poco ricollegabile con l’idea di trasparenza appena delineata.
L’accesso ex lege 241/1990 trova, invero, la sua precipua finalità nel garantire a soggetti titolari di una posizione giuridica qualificata l’esercizio di tutte le facoltà partecipative ed oppositive all’interno del procedimento amministrativo.
Come ha ben rilevato parte della dottrina, il diritto di accesso così regolamentato si riduce in una finalizzazione alla realizzazione di un interesse del privato, non consistente già nel ricercare piena trasparenza sull’operato della propria amministrazione, ma nell’ottenere un bene capace di soddisfare i propri bisogni. L’accesso alle informazioni statuito dalla 241/1990 e successive modificazioni è visto, da questo orientamento ermeneutico, come meramente strumentale al soddisfacimento di detti interessi privati⁶.
Queste considerazioni, va detto, non possono però portare alla conclusione secondo la quale all’interno dell’ordinamento non v’è stata traccia normativa vera alcuna, per lungo tempo e fino ad oggi, che fosse rappresentativa di un rapporto tra accesso agli atti della PA e trasparenza amministrativa.
Infatti, in ambiti particolari, tale stretta connessione tra questi due importanti istituti era già garantita.
Il riferimento è da operarsi al Decreto Legislativo 19 agosto 2005, n. 195, di attuazione della Direttiva 2003/4/CE, sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale.
In tale ambito, si è statuita la natura di diritto civico, a legittimazione universale, propria del diritto d’accesso alle informazioni ambientali. Esso riguarda chiunque ne faccia richiesta e non comporta la necessità di dichiarare o qualificare un proprio specifico interesse. Da un punto di vista oggettivo, peraltro, in tale ambito si è assistito al superamento del parametro che imponeva che l’informazione fosse contenuta in un documento, già formato e nella disponibilità dell’Amministrazione, come invece necessario per l’esercizio delle garanzie previste dall’art. 22 della legge 241/1990.
Più che il diritto d’accesso ex lege 241/1990, sarà questo unicum nella legislazione italiana a costituire un valido modello di ispirazione per il nuovo accesso civico, delineato compiutamente dalla normativa più recente.
2. Il cammino della trasparenza nella regolamentazione dell’attività amministrativa
2.1. Una prima evoluzione generale del rapporto tra accesso e trasparenza: brevi riferimenti al Decreto Legislativo 150/2009
E’ con il Decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, attuativo della delega contenuta nella legge 4 marzo 2009, n. 15 che la trasparenza inizia ad assumere nuovo valore e viene indicata come parametro per valutare e misurare le performances ed i risultati delle pubbliche amministrazioni. La finalità precipua è quindi individuata nel garantire l’efficienza dell’azione amministrativa, da aversi attraverso un sistema di accessibilità totale delle informazioni della PA, da pubblicarsi sui siti istituzionali relativi.
Si tratta, in sostanza, di una prima forma di controllo generalizzato sull’operato della Pubblica Amministrazione, espressamente escluso in precedenza dalla legge 241/1990⁷, con il quale, peraltro, ci si propone di prevenire la corruzione, attraverso la pubblicità dei procedimenti e degli assetti organizzativi.
Il legislatore, con il D.lgs 150/2009, vuole far emergere le informazioni relative all’organizzazione, alla gestione e all’utilizzo delle risorse strumentali, umane e finanziarie. Per far ciò, invero, non si fa ricorso al diritto d’accesso tout court, ma si prevedono obblighi stringenti di pubblicazione delle predette informazioni sui siti istituzionali delle pubbliche amministrazioni.
Ciò che rileva è che, in ogni caso, il “Decreto Brunetta” costituisce una prima forma generale di esercizio di un controllo diffuso dell’operato dell’amministrazione pubblica.
2.2. La trasparenza e le politiche pubbliche di controllo e di prevenzione della corruzione: il Decreto Legislativo n. 33/2013
L’evoluzione dell’atteggiarsi della trasparenza nell’agire amministrativo trova poi una diversa collocazione nel Decreto Legislativo 14 marzo 2013, n. 33.
Imperniato sulla base dei principi direttivi contenuti nella legge delega n. 190 del 6 novembre 2012, il D.lgs. 33/2013 ha come obiettivo principale quello di prevenire e reprimere i fenomeni di illegalità e di corruttela nella PA, realizzando forme e metodologie diffuse di controllo dell’operato amministrativo, con riferimento al perseguimento delle funzioni istituzionali e dell’utilizzo delle risorse pubbliche.
Ai sensi dell’art. 3, comma 1, del d.lgs. 33/2013 “tutti i documenti, le informazioni e i dati oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi della normativa vigente sono pubblici” e, ex art. 7, comma 1, del medesimo decreto, “chiunque ha diritto di conoscerli, di fruirne gratuitamente e di utilizzarli e riutilizzarli”.
Gli obblighi di trasparenza previsti dal D.lgs. 33/2013, riguardanti l’attività amministrativa dei soggetti che compongono la Pubblica Amministrazione, sono assolti attraverso la pubblicazione dei dati e delle informazioni relative nel sito istituzionale di ogni singola amministrazione, all’interno dell’apposita nuova sezione denominata “Amministrazione trasparente”.
Si tratta, dunque, di un passo netto verso l’open government, come ha fatto rilevare parte della dottrina più autorevole⁸.
Al fine di vigilare sugli adempimenti sopra indicati, il legislatore del 2013 ha istituito l’apposita figura del Responsabile della trasparenza, il cui compito è quello di aggiornare il Programma triennale per la trasparenza e l’integrità e di segnalare all’organo di indirizzo politico, all’Organismo indipendente di valutazione(OIV), all’Autorità nazionale anticorruzione e, nei casi più gravi, all’ufficio di disciplina, le fattispecie di mancato o ritardato adempimento degli obblighi di pubblicazione.
Nel D.lgs 33/2013 non v’è solo una forma di pubblicità obbligatoria. Ai sensi dell’art. 4 del medesimo decreto, infatti, le amministrazioni possono disporre la pubblicazione di atti, documenti o informazioni per i quali non vige un obbligo di pubblicazione.
Dalla lettura coordinata di questa disciplina emerge, comunque, che non può parlarsi di accesso civico diffuso ai dati della PA al di là dell’ambito dell’obbligo di pubblicazione legislativamente previsto, oltre il quale lo strumento utilizzabile resta quello del diritto d’accesso, per come costruito dalle disposizioni della legge 241/1190.
Con riferimento precipuo al rapporto tra la su menzionata legge 241/1990 e il D.lgs. 33/2013 il Consiglio di Stato ha avuto modo di chiarire, di recente, che l’obbligo di pubblicazione degli atti di cui al D.Lgs. 33/2013 vale “con riferimento agli atti amministrativi (oggetto di domanda di accesso) formatisi successivamente alla sua entrata in vigore e pertanto per gli atti formatisi anteriormente (come quelli oggetti della domanda) continua ad operare il principio del divieto di controllo generalizzato del procedimento“.
Inoltre, l’introduzione dell’obbligo di pubblicazione dei provvedimenti determina il venir meno del principio del divieto di controllo generalizzato sull’operato della pubblica amministrazione “in quanto ai sensi del decreto legislativo n. 33/2013 ormai è l’amministrazione stessa obbligata alla pubblicazione dei propri documenti”⁹.
Da sottolineare, poi, è la parte del decreto¹⁰ suddetto relativa alla vigilanza sull’attuazione delle disposizioni e alle relative sanzioni. Queste ultime sono dirette a colpire gli inadempimenti sia del Responsabile della trasparenza che dei dirigenti e degli organi politici che hanno l’obbligo di fornire i dati per realizzare le pubblicazioni previste dalla normativa.
Sanzioni sono previste persino con riferimento al singolo atto, con la finalità di bloccarne l’efficacia¹¹. Una sanzione peculiare è quella rappresentata dall’articolo 5 del decreto in questione, modificato nel 2016 nel modo in cui di seguito si dirà.
La norma prevede che in caso di omessa pubblicazione, prevista dalla legge, dei documenti, informazioni o dati delle pubbliche amministrazioni, è assicurato il diritto di chiunque di richiedere i medesimi.
Quest’ultima previsione può essere considerata un embrione generale della disciplina dell’accesso civico che, va segnalato, è stato qui limitato dal legislatore del 2013 ai soli documenti, informazioni e dati oggetto di obblighi di pubblicazione imposti dalla legge ed è configurato come sanzione rispetto al mancato adempimento di detti obblighi e non già come vera e propria situazione giuridica autonoma, qualificata.
Con riferimento al bilanciamento tra trasparenza e privacy, non può non notarsi come alcune criticità evidenti pervadano la struttura e le previsioni del D.lgs. 33/2013.
Come è stato fatto acutamente osservare¹², ad esempio, la previsione che sottopone i dati personali pubblicati a indicizzazione e rintracciabilità mediante motori di ricerca esterni al sito di provenienza, contenuta nell’art. 4, comma 1 del Decreto, non solo porta ad una de contestualizzazione del dato, che diviene mera informazione sulla persona, messa in circolo sul web, ma lede il diritto all’oblio degli interessati, comportando la riemersione di informazioni passate durante e persino dopo la vita dei soggetti coinvolti.
Ancora, la vaga disciplina concernente la riutilizzabilità dei dati reperiti online(artt. 7 e 4 del D. l.gs. 33/2013) consente a chiunque il riutilizzo dei dati pubblicati, con il mero limite di citarne fonte e rispettarne la integrità.
La conseguenza, rilevata anche dal Garante della Privacy, è la palese violazione del principio di finalità, in virtù del quale i dati personali, legittimamente raccolti, possono essere utilizzati in altre operazioni del trattamento solo "in termini compatibili" con gli scopi per i quali sono stati raccolti e registrati¹³.
Ciò posto, secondo parte della dottrina¹⁴, nonostante i limiti e le criticità evidenziati, al Decreto Legislativo n. 33/2013 va attribuito un riconoscimento consistente da un lato nella semplificazione normativa degli obblighi di pubblicazione e, dall’altro, nell’aver insistito sull’accesso come strumento di forcing per le amministrazioni al rispetto degli obblighi di trasparenza e di pubblicazione.
3. Il nuovo “Decreto Trasparenza”(D.lgs. 25 maggio 2016, n. 97): la trasparenza come libertà di accesso a documenti e dati
Il percorso della trasparenza amministrativa, più che trovare indesiderate battute d’arresto, ha acquistato nuovo slancio e prospettive innovative, con l’approvazione della legge 7 agosto 2015, n. 124(cd. Legge Madia).
Con l’art. 7 della Legge Madia¹⁵, si è delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, sulla base di una serie di principi e criteri direttivi espressamente elencati.
Fra questi, di rilevanza ai fini del presente articolato esegetico vi è quello di cui alla lettera h) dell’art. 7, comma 1, ai sensi del quale: “fermi restando gli obblighi di pubblicazione, riconoscimento della libertà di informazione attraverso il diritto di accesso, anche per via telematica, di chiunque, indipendentemente dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti, ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, salvi i casi di segreto o di divieto di divulgazione previsti dall'ordinamento e nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati, al fine di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche”.
In attuazione della delega appena evidenziata il Ministro per la semplificazione e la Pubblica Amministrazione ha proposto uno schema di Decreto legislativo in materia di trasparenza, che reca la data dell’11 febbraio 2016, poi confluito, con alcune correzioni apportate a seguito del prescritto parere del Consiglio di Stato¹⁶ e delle Commissioni parlamentari, nel Decreto Legislativo 25 maggio 2016, n. 97.
Il nuovo “Decreto Trasparenza”, così come è stato subito ribattezzato, contiene degli elementi di profonda innovazione con riferimento alla trasparenza amministrativa, agli obblighi di pubblicazione e al diritto di accesso civico.
In primo luogo, occorre rilevare l’importanza dell’art. 2 del Decreto, che modifica l’art. 1, comma 1, del D.Lgs. n. 33/2013, che fa sì che lo scopo della trasparenza non si riduca al solo “favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche”, ma anche a garantire una forma di accessibilità totale, in funzione di tutela dei diritti fondamentali che, come si intuisce dalla lettura del comma 2 dell’art. 1 del D.lgs. 33/2013, sono da farsi riferire a “libertà individuali e collettive”, nonché ai “diritti civili, politici e sociali”, al diritto ad una buona amministrazione e alla realizzazione di una amministrazione aperta, al servizio del cittadino.
Come è facilmente intuibile, si tratta di una modifica non di poco conto. Il legislatore ha operato un netto cambio di prospettiva, passando da mere forme di pubblicazione di documenti da parte della PA, a garantire una vera e propria libertà di accesso a dati e documenti in possesso delle amministrazioni.
L’accesso civico diventa lo strumento principe per conoscere la documentazione in possesso della Pubblica amministrazione; solo in subordine lo scopo conoscitivo è realizzato tramite gli obblighi di pubblicazione.
Emblematico, in tal senso, è il nuovo comma due dell’art. 5 del D.lgs. 33/2013, come sostituito dall’art. 6 del D.lgs. 97/2016, ai sensi del quale: “2. Allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall'articolo 5-bis”.
Se nella versione del 2013 l’articolo 5 configurava l’accesso civico come mera sanzione rispetto all’obbligo di pubblicazione imposto alla PA, con l’articolato del D.lgs. 97/2016 si è assistiti al passaggio ad un sistema nel quale si è innestato nell’ordinamento un nuovo diritto di accesso civico ai dati e alle informazioni pubbliche, seppur nei limiti tassativamente previsti dalla legge, anche in assenza di un esplicito obbligo di pubblicazione.
Si tratta di un modello già collaudato negli ordinamenti anglosassoni, che prende il nome di FOIA(Freedom Of Information Act), il cui fine è rappresentato precipuamente dalla libertà di accedere alle informazioni possedute dagli apparati pubblici.
Come ha avuto modo di chiarire la dottrina più autorevole¹⁷, i modelli delle democrazie liberali, impiantati sul sistema del FOIA, rappresentano un paradigma che persegue tre scopi: accountability, partecipation e legitimancy.
Il diritto di conoscere è dunque preposto a consentire un controllo diffuso dell’operato amministrativo, al fine di prevenire fenomeni di corruttela, a garantire una consapevole partecipazione dei cittadini alle scelte di politica pubblica, a rinsaldare la legittimazione della PA¹⁸.
Ciò chiarito, una prima critica può essere avanzata con riferimento alle improprietà terminologiche e di significato normativo contenute nel novellato articolo 5 del D.lgs. 33/2013. Se da un lato l’accesso civico è opportunamente riferito solo a dati e documenti(al comma 2), rimane in diversi altri commi il riferimento alle informazioni, che parte della dottrina ha definito poco coerente¹⁹. Infatti, si è sottolineato che i termini “dato” ed “informazione” esprimono concetti connotati da profonde diversità e che la distinzione tra i due termini, sorta nell’ambito del linguaggio dell’informatica, andava mantenuta in modo coerente. In tal senso, si evidenzia come il dato è sempre un elemento conosciuto, mentre l’informazione è il risultato dell’aggregazione di dati che l’utente può ricavare consultando un database.
Come detto, il nuovo accesso civico non ha carattere illimitato.
L’articolo 6, comma 2, del D.lgs. 97/2016, introducendo l’art. 5-bis²⁰ nel D.lgs. 33/2013, prevede, per l’appunto, tutta una serie di ipotesi in cui l’accesso civico può essere escluso.
Il rifiuto della richiesta di accesso è sancito, anzitutto, allo scopo di salvaguardare interessi pubblici riguardanti la sicurezza pubblica, la sicurezza nazionale, la difesa e le questioni militari, le relazioni internazionali, la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato, la conduzione di indagini sui reati e il relativo perseguimento, lo svolgimento di attività di indagine.
Il rifiuto, peraltro, è posto a tutela anche di eventuali pregiudizi a rilevanti interessi privati, quali la protezione dei dati personali, la libertà e la segretezza della corrispondenza, gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprieta' intellettuale, il diritto d'autore e i segreti commerciali.
Chiude la long list una previsione specifica, riferibile ai casi di esclusione dell’accesso legati al segreto di Stato e alle ipotesi di divieto di accesso o divulgazione previsti dalla legge, “ivi compresi i casi in cui l'accesso e' subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalita' o limiti, inclusi quelli di cui all'articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990”.
Qualche obiezione è stata posta sia in dottrina, che dal Consiglio di Stato nel parere sulla bozza di febbraio 2016²¹, sulla configurazione normativa ideata per la tutela dei predetti interessi pubblici e privati.
La critica più rilevante, da ritenersi condivisibile, attiene alla eccessiva ampiezza di dette limitazioni che, seppur opportune, possono sfociare in prassi di rifiuto frutto di un esercizio della discrezionalità amministrativa, nella maniera più ampia, fino a vanificare la reale efficacia del provvedimento²².
Né tale discrezionalità è limitata dalle ipotesi di differimento o di accesso parziale, da utilizzarsi in luogo del radicale diniego.
Una ulteriore criticità, presente nella bozza di febbraio, era rappresentata dalla previsione della mancanza di motivazione del provvedimento di diniego dell’accesso civico e della sua identificazione come ipotesi tipica di silenzio-rigetto.
La levata di scudi del Consiglio di Stato e della dottrina ha portato il legislatore delegato a correggere il tiro, specificando, nel nuovo comma 6 dell’art. 5 del d.lgs 33/2013, che “6. Il procedimento di accesso civico deve concludersi con provvedimento espresso e motivato nel termine di trenta giorni dalla presentazione dell'istanza con la comunicazione al richiedente e agli eventuali controinteressati”.
Si è così evitato il paradosso di un provvedimento, il cui fondamento è la trasparenza, caratterizzato da assoluta distanza dal principio generale di motivazione degli atti amministrativi, già scolpito dalla legge n. 241/1990.
Altra correzione opportuna è quella effettuata, poi, con riferimento alla tutela concessa al soggetto nelle ipotesi di diniego. Nella bozza del decreto legislativo si prevedeva la possibilità, per questi, di ricorrere solo all’autorità giudiziaria, con la conseguenza di far sorgere in capo al privato notevoli oneri e costi.
Il nuovo comma 7 dell’art. 5 del d.lgs 33/2013 ha previsto, differentemente, un’ipotesi di riesame amministrativo, su richiesta di parte, prima del ricorso al tribunale amministrativo regionale²³.
4. (Segue) Il nuovo “Decreto Trasparenza”(D.lgs. 25 maggio 2016, n. 97): ambito soggettivo di applicazione e la ipotesi peculiare di responsabilità dirigenziale
Evidenziati i caratteri fondamentali dell’istituto, qualche considerazione va svolta con riferimento all’ambito soggettivo di applicazione delle disposizioni e alla nuova fattispecie di responsabilità dirigenziale ivi delineata.
Per ciò che concerne il primo aspetto, va sottolineato che l’articolo 3, comma 2, del D.lgs. 97/2016, introduce un articolo 2-bis nel D.lgs. 33/2013, con la conseguente abrogazione dell’art. 11 del d.lgs. 33 del 2013.
Ai sensi del comma 1 dell’art. 2-bis si precisa che ai fini del decreto si intendono per pubbliche amministrazioni tutte le amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, comprese le Autorità amministrative indipendenti di garanzia, vigilanza e regolazione.
Al comma 2 dell’art. 2-bis si stabilisce che la disciplina di cui al comma 1 deve essere applicata, in quanto compatibile²⁴, anche ad enti pubblici economici, autorità portuali e ordini professionali; alle società in controllo pubblico(come definite dal decreto legislativo emanato in attuazione dell'articolo 18 della legge 7 agosto 2015, n. 124. Sono escluse le societa' quotate come definite dallo stesso decreto legislativo emanato in attuazione dell'articolo 18 della legge 7 agosto 2015, n. 124); alle associazioni, fondazioni, enti di diritto privato comunque denominati, anche privi di personalità giuridica, la cui attività sia finanziata in modo maggioritario da pubbliche amministrazioni o in cui la totalità o la maggioranza dei titolari dell’organo d’amministrazione o di indirizzo sia designata da pubbliche amministrazioni.
Infine, la medesima disciplina prevista per le pubbliche amministrazioni di cui al comma 1 si applica, in quanto compatibile, limitatamente ai dati e ai documenti inerenti all'attivita' di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell'Unione europea, alle societa' in partecipazione pubblica come definite dal decreto legislativo emanato in attuazione dell'articolo 18 della legge 7 agosto 2015, n. 124, e alle associazioni, alle fondazioni e agli enti di diritto privato, anche privi di personalita' giuridica, con bilancio superiore a cinquecentomila euro, che esercitano funzioni amministrative, attivita' di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici.
All’interno delle pubbliche amministrazioni predette, con riferimento ai soggetti coinvolti, il D.lgs. 97/2016 ridisegna l’apparato sanzionatorio posto a guardia dei diritti e degli obblighi correlati al nuovo accesso civico.
In tal senso, va evidenziato il nuovo articolo 46 del D.lgs. 33/2013, per come modificato dall’art. 37 del D.lgs. 97/2016, che muta completamente la propria rubrica, che diviene “Responsabilita' derivante dalla violazione delle disposizioni in materia di obblighi di pubblicazione e di accesso civico”²⁵ e prevede che “1. L'inadempimento degli obblighi di pubblicazione previsti dallanormativa vigente e il rifiuto, il differimento e la limitazione dell'accesso civico, al di fuori delle ipotesi previste dall'articolo 5-bis²⁶, costituiscono elemento di valutazione della responsabilita' dirigenziale, eventuale causa di responsabilita' per danno all'immagine dell'amministrazione e sono comunque valutati ai fini della corresponsione della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale dei responsabili....”.
Dalla lettura della norma è possibile ricavare che:
a)l’inadempimento degli obblighi normativi di pubblicazione e il rifiuto, il differimento e la limitazione ingiustificati dell’accesso costituiscono elemento di valutazione per la responsabilità dirigenziale ed eventuale causa di responsabilità di danno all’immagine dell’amministrazione;
b) l’inadempimento degli obblighi normativi di pubblicazione e il rifiuto, il differimento e la limitazione ingiustificati dell’accesso sono comunque valutati in sede di attribuzione della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio del dirigente.
Con riguardo al primo degli aspetti evidenziati, la dottrina²⁷, già in sede di commento della bozza di febbraio scorso, aveva sottolineato come il richiamo all’eventuale danno all’immagine non può che circoscriversi a ipotesi precise e determinate, consistenti nei reati contro la Pubblica Amministrazione, ex artt. 314-335 c.p., o in altre tassative fattispecie di rilievo penale, quale, ad esempio, quella di “false attestazioni o certificazioni” di cui all’all’art. 55-quinquies del D.lgs. 165/2001, sulla scia di quanto affermato anche dalle Sezioni Riunite della Corte dei Conti²⁸. Più criticabile, certamente, è la previsione di una sanzione accessoria, quale può considerarsi, rispetto a questa nuova fattispecie di responsabilità dirigenziale, quella derivante dal collegamento tra inadempimento degli obblighi di pubblicazione e l’utilizzo distorto della discrezionalità in tema di diniego dell’accesso, e il trattamento retributivo del dirigente.
Peraltro, all’uopo il legislatore non ha indicato alcun criterio di parametrazione, né rimandato la disciplina ad apposita, e opportuna, sequenza di contrattazione collettiva.
Il rischio è quello che la predetta “sanzione retributiva” assuma caratteri non prevedibili, entità non regolamentate ex ante e, dunque, sia destinata a perdere rapidamente efficacia.
5. (Segue) Il nuovo “Decreto Trasparenza”(D.lgs. 25 maggio 2016, n. 97): il diritto di accesso civico e gli oneri finanziari a carico delle amministrazioni e dei privati, anche con riferimento ai contro interessati
A questo punto della trattazione, imprescindibile è la valutazione dei costi, a carico dei cittadini della Pubblica Amministrazione, derivanti dal nuovo accesso civico.
Per quanto riguarda i primi, va sottolineato come dalla lettura coordinata degli artt. 3 e 5 del D.lgs. 33/2013, come modificati dalle disposizioni del D.lgs. 97/2016 emerge chiaramente che la completa gratuità dell’accesso, per i cittadini, è da limitarsi alla sola ipotesi di fruizione del documento, da intendersi come mero esame dello stesso, senza estrazione di copia.
Diversamente, l’accesso tramite estrazione di copia, non potrà esser fornito in maniera gratuita, ma sarà subordinato al rimborso del costo di produzione, salve le disposizioni tributarie in materia di bollo et similia.
La ragione è presto intuibile, vista la enorme potenziale platea di soggetti pronti a richiedere l’accesso, comportando un costo eccessivo per le pubbliche amministrazioni.
La Pubblica Amministrazione, peraltro, per espressa previsione normativa, deve far fronte all’esercizio del diritto di accesso da parte dei consociati, nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Si tratta, invero, della classica clausola di invarianza finanziaria, il cui uso ha assunto caratteri sproporzionati e quasi grotteschi all’interno della legislazione italiana.
Gli obblighi di invarianza finanziaria appena predetti e il contenimento dei costi che essa richiede si scontrano palesemente, tuttavia, con la previsione del novellato comma 5 dell’art. 5 del D.lgs. 33/2013, ai sensi del quale: “5. Fatti salvi i casi di pubblicazione obbligatoria, l'amministrazione cui e' indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati, ai sensi dell'articolo 5-bis, comma 2, e' tenuta a dare comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento, o per via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione. Entro dieci giorni dalla ricezione della comunicazione, i controinteressati possono presentare una motivata opposizione, anche per via telematica, alla richiesta di accesso. A decorrere dalla comunicazione ai controinteressati, il termine di cui al comma 6 e' sospeso fino all'eventuale opposizione dei controinteressati. Decorso tale termine, la pubblica amministrazione provvede sulla richiesta, accertata la ricezione della comunicazione.”
Per controinteressati devono senz’altro intendersi tutti quei soggetti che possano avere interesse a veder tutelati i propri dati personali, in conformita' con la disciplina legislativa in materia, la liberta' e la segretezza della propria corrispondenza, gli interessi economici e commerciali, ivi compresi la proprieta' intellettuale, il diritto d'autore e i segreti commerciali.
Ad esser problematica non è la finalità della norma, che tutela la riservatezza di eventuali contro interessati, ma le modalità concrete con le quali detta garanzia è esplicitata(raccomandata con avviso di ricevimento o per via telematica per i soli soggetti che abbiano consentito a tale forma di comunicazione).
Facilmente rilevabile, già ictu oculi, è il rischio che i costi derivanti da dette modalità possano diventare insostenibili per l’Amministrazione e si auspica che il legislatore ne tenga conto in sede di regolamentazione dell’uso e della diffusione del domicilio elettronico e della posta elettronica certificata.
6. Considerazioni finali
In conclusione, la riforma appena descritta presenta alcuni spunti di assoluto pregio e qualche elemento che suscita perplessità.
Come si è già avuto modo di evidenziare, grande merito va alla scelta del Governo di virare verso un modello di accesso civico più ampio, non rigidamente connesso ad una idea di trasparenza da intendersi solo sotto l’aspetto del collegamento con gli obblighi di pubblicazione posti in capo alla Pubblica Amministrazione.
La trasparenza, invece, diventa il criterio direttivo e non è un mero strumento per prevenire e punire forme di corruzione nell’agire amministrativo.
Altro punto a favore della novella normativa è quello, indubbiamente, di aver disboscato e razionalizzato una folta selva di obblighi normativi di pubblicazione, eliminando altresì alcuni gravosi oneri posti in capo alle pubbliche amministrazioni.
Tra questi, come sottolineato acutamente da parte della dottrina²⁹, sicuramente di rilievo è l’abrogazione del comma terzo dell’articolo venti del D.lgs. 33/2013, che pone fine all’obbligo per la PA di pubblicare i dati relativi ai “livelli di benessere organizzativo”.
Nondimeno, permangono alcune perplessità, di varia natura.
L’aver imposto la pubblicazione, in tema di bandi di concorso per il reclutamento di personale, anche dei “criteri di valutazione della commissione e delle tracce delle prove scritte” finisce per entrare a gamba tesa sulla discrezionalità delle commissioni di concorso, ingerendo pesantemente sul potere di ciascuna di esse, di stabilire, di volta in volta, quali possano essere detti criteri, trasformando quasi la valutazione in un’articolazione astratta e non già in un severo giudizio in concreto, per la selezione dei “migliori” imposta dallo strumento costituzionalmente previsto del pubblico concorso³⁰.
Un’ultimissima notazione va poi fatta su quanto detto in materia di costo economico della riforma. La novella normativa si innesta perfettamente nel trend legislativo degli ultimi anni, che pretende di caricare sulle poche e inadeguate risorse umane, strumentali e finanziarie della Pubblica Amministrazione il costo economico di imponenti e innovative riforme.
Questa concezione, invero, si incarica di mettere a rischio le finalità di pubblicità e trasparenza e la portata della tutela degli interessi pubblici coinvolti e richiederà, in futuro, sulla base di un doveroso monitoraggio dell’attuazione delle nuove disposizioni, una rivisitazione operosa del nuovo modello di accesso civico.
______________________________
¹FILIPPO TURATI, in Atti del Parlamento italiano, Camera dei deputati, sess. 1904-1908, 17 giugno 1908, p. 22962. Sul concetto di casa di vetro P. DOMENICONI, F.S CARPIELLO, La legge n. 15/2009: fra trasparenza ed eccesso di informazione, in Aziendaitalia - Il Personale, n. 5, 2009, pp. 227-233.
²G. TERRACCIANO, La trasparenza amministrativa da valore funzionale alla democrazia partecipativa a mero (utile?) strumento di contrasto della corruzione, in Amministrativ@mente, fascicolo n. 11-12-/2014.
³Queste le parole di M. CLARICH, Trasparenza e diritti della personalità nell’attività amministrativa, in www.giustiziaamministrativa.it, sezione “studi e contributi”.
⁴Questa la versione originaria del primo comma dell’art. 22 della legge 241/1990: “al fine di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa e di favorirne lo svolgimento imparziale”.
⁵Adesso invece il diritto di accesso ex art. 22 legge 241/1990 riguarda “i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”.
⁶Cfr. S. COGNETTI, <<Quantità>> e <<qualità>> della partecipazione, Milano, 2000.
⁷Ex art. 23, comma 3, della L. 241/1990: “Non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni”.
⁸Cfr. A. PAJNO, Il principio di trasparenza alla luce delle norme anticorruzione, in Giust. Civ., n. 2, 2015, 228 ss.
⁹Cons. Stato, Sez. IV, sent. 02/02/2016 n. 385, rinvenibile in www.giustizia-amministrativa.it.
¹⁰E’ il capo VI del D.lgs. 33/2013.
¹¹Cfr. art. 15, comma 2; art. 26, comma 3; art. 39, comma 3, del D.lgs. 33/2013.
¹²Per un’analisi completa del D.lgs. 33/2013, sotto il profilo del bilanciamento con le garanzie a tutela della privacy, cfr. L. CALIFANO, Il bilanciamento tra trasparenza e privacy nel d.lgs. 33/2013, in http://www.garanteprivacy.it/documents/10160/0/Il+bilanciamento+tra+trasparenza+e+privacy+nel+dlgs+33+2013. pdf.
¹³Art. 11, comma 1, lett. b), del Codice; Art. 6 direttiva 95/46/CE.
¹⁴A.M. PORPORATO, Il “nuovo” accesso civico introdotto dalla riforma Madia e i modelli di riferimento, in Il Piemonte delle Autonomie, 2016.
¹⁵La cui rubrica riporta “Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza".
¹⁶Consiglio di Stato, Sezione Consultiva per gli Atti Normativi, parere del 24 febbraio 2016, n. 515/2016, reperibile in www.giustizia-amministrativa.it.
¹⁷M. SAVINO, La nuova disciplina della trasparenza amministrativa, in Giorn. dir. amm., n. 8-9, 2013; M. BOVENS, Information Rights: Citizenship in the Information Society, in The Journal of Political Philosophy, 2002, vol. 10, 317 e ss.
¹⁸Una ricostruzione puntuale è offerta da A.M. PORPORATO, Il “nuovo” accesso civico introdotto dalla riforma Madia e i modelli di riferimento, cit., secondo cui “Dal punto di vista storico, l’area scandinava è stata considerata «la culla del diritto di accesso» alle informazioni: discipline in materia di accesso sono state adottate dapprima in Finlandia nel 1951, poi in Danimarca e Norvegia nel 1970. Nel 1966 negli Stati Uniti è stato adottato il Freedom of Information Act che è divenuto il prototipo per altri paesi di cultura anglosassone (Australia, Canada, Nuova Zelanda). Nell’Europa continentale i primi paesi a disciplinare l’istituto dell’accesso mediante approvazione di nuove leggi sono state la Francia nel 1978, la Grecia nel 1986, l’Austria nel 1987 ed, infine, l’Italia nel 1990. Leggi modellate sul FOIA sono state adottate in Olanda, dapprima nel 1980 e poi nel 2005, in Spagna nel 1992, in Portogallo nel 1993, in Belgio nel 1994, in Irlanda nel 1997, nel Regno Unito nel 2000, in Svizzera nel 2004, in Germania nel 2005, in Russia nel 2009 e in molti paesi dell’Europa orientale. Nell’Unione europea il diritto d’accesso ai documenti delle istituzioni europee è disciplinato dalle disposizioni dei Trattati (art. 255 del Trattato CE e ora art. 15 del TUE) e dalla Carta dei diritti fondamentali (art. 42) e le modalità e le condizioni di esercizio sono definite dal Regolamento n. 1049 del 2001. Il 18 giugno 2009 è stata aperta alla firma degli Stati membri e all’adesione degli Stati non membri e a qualsiasi organizzazione internazionale la Convenzione sull’accesso ai documenti ufficiali”.
¹⁹Cfr. D.U. GALETTA, Accesso civico e trasparenza della Pubblica Amministrazione alla luce delle (previste) modifiche alle disposizioni del D.Lgs. n. 33/2013, in www.federalismi.it, 9.
²⁰Questo il testo: “«Art. 5-bis (Esclusioni e limiti all'accesso civico). - 1. L'accesso civico di cui all'articolo 5, comma 2, e' rifiutato se il diniego e' necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno degli interessi pubblici inerenti a: a) la sicurezza pubblica e l'ordine pubblico; b) la sicurezza nazionale; c) la difesa e le questioni militari; d) le relazioni internazionali; e) la politica e la stabilita' finanziaria ed economica dello Stato; f) la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento; g) il regolare svolgimento di attivita' ispettive.
2. L'accesso di cui all'articolo 5, comma 2, e' altresi' rifiutato se il diniego e' necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno dei seguenti interessi privati:
a) la protezione dei dati personali, in conformita' con la disciplina legislativa in materia;
b) la liberta' e la segretezza della corrispondenza;
c) gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprieta' intellettuale, il diritto d'autore e i segreti commerciali.
3. Il diritto di cui all'articolo 5, comma 2, e' escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l'accesso e' subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalita' o limiti, inclusi quelli di cui all'articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990.
4. Restano fermi gli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente. Se i limiti di cui ai commi 1 e 2 riguardano soltanto alcuni dati o alcune parti del documento richiesto, deve essere consentito l'accesso agli altri dati o alle altre parti.
5. I limiti di cui ai commi 1 e 2 si applicano unicamente per il periodo nel quale la protezione e' giustificata in relazione alla natura del dato. L'accesso civico non puo' essere negato ove, per la tutela degli interessi di cui ai commi 1 e 2, sia sufficiente fare ricorso al potere di differimento.
6. Ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all'accesso civico di cui al presente articolo, l'Autorita' nazionale anticorruzione, d'intesa con il Garante per la protezione dei dati personali e sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, adotta linee guida recanti indicazioni operative.anticorruzione, d'intesa con il Garante per la protezione dei dati personali e sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, adotta linee guida recanti indicazioni operative.>>”
²¹Consiglio di Stato, Sezione Consultiva per gli Atti Normativi, parere del 24 febbraio 2016, n. 515/2016, reperibile in www.giustizia-amministrativa.it.
²²Cfr. D.U. GALETTA, Accesso civico e trasparenza della Pubblica Amministrazione alla luce delle (previste) modifiche alle disposizioni del D.Lgs. n. 33/2013, cit., 10.
²³Questo il testo del comma 7: “7. Nei casi di diniego totale o parziale dell'accesso o di mancata risposta entro il termine indicato al comma 6, il richiedente puo' presentare richiesta di riesame al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, di cui all'articolo 43, che decide con provvedimento motivato, entro il termine di venti giorni. Se l'accesso e' stato negato o differito a tutela degli interessi di cui all'articolo 5-bis, comma 2, lettera a), il suddetto responsabile provvede sentito il Garante per la protezione dei dati personali, il quale si pronuncia entro il termine di dieci giorni dalla richiesta. A decorrere dalla comunicazione al Garante, il termine per l'adozione del provvedimento da parte del responsabile e' sospeso, fino alla ricezione del parere del Garante e comunque per un periodo non superiore ai predetti dieci giorni. Avverso la decisione dell'amministrazione competente o, in caso di richiesta di riesame, avverso quella del responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, il richiedente puo' proporre ricorso al Tribunale amministrativo regionale ai sensi dell'articolo 116 del Codice del processo amministrativo di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104.”
²⁴La clausola di compatibilità è stata introdotta dal decreto attuativo.
²⁵Nel testo originario era “Violazione degli obblighi di trasparenza – Sanzioni”.
²⁶Il testo sottolineato riguarda proprio la modifica apportata alla norma.
²⁷Cfr. D.U. GALETTA, Accesso civico e trasparenza della Pubblica Amministrazione alla luce delle (previste) modifiche alle disposizioni del D.Lgs. n. 33/2013, cit., 14-15
²⁸Cfr. Corte dei Conti, Sezioni Riunite, sentenza 19 marzo 2015, n. 8, reperibile in www.respamm.it.
²⁹Cfr. D.U. Galetta, Accesso civico e trasparenza della Pubblica Amministrazione alla luce delle (previste) modifiche alle disposizioni del D.Lgs. n. 33/2013, cit., 17.
³⁰Interessante in tal senso è la critica proposta dal Consiglio di Stato a questa soluzione, nel già richiamato parere 515/2016, p. 93: “la Sezione ritiene di non poter condividere l’estensione dell’obbligo di pubblicazione ai criteri di valutazione adottati dalle commissioni esaminatrici nella correzione delle tracce delle prove scritte. Tale prescrizione, infatti, rischia di essere fuorviante, creando un precedente in grado di incidere sul potere di ogni commissione di esame di decidere, di volta in volta, quali debbano essere i criteri, con il rischio, altresì, di creare ulteriori motivi di contenzioso in un settore già molto esposto“.