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Anno XVI - n. 04 - Aprile 2024

  Temi e Dibattiti



Il Telelavoro e lo Smart working nelle Pubbliche Amministrazioni. Dalla normativa “pre-Covid” ai recenti provvedimenti connessi all’emergenza epidemiologica da COVID-19.

Di Lucia Esposito
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Il Telelavoro e lo Smart working nelle Pubbliche Amministrazioni.

Dalla normativa “pre-Covid” ai recenti provvedimenti

connessi all’emergenza epidemiologica da COVID-19

 

Di LUCIA ESPOSITO

 

SOMMARIO: 1. Definizione di Telelavoro. - 1.1. Il quadro normativo di riferimento. - 1.2. Caratteristiche e forme di telelavoro. ­- 2. Concetto di Smart working. - 2.1. Cos’è lo smart working: definizione. - 2.2. Differenze tra telelavoro e smart working. – 2.3. Smart working nella PA: la disciplina contenuta nella Legge n. 81/2017 e nella Direttiva n. 3/2017. - 2.4. Quali i vantaggi del lavoro agile nelle Amministrazioni pubbliche. - 3. La diffusione dello smart working a seguito della emergenza COVID-19. - 3.1. Il lavoro agile “emergenziale”. - 3.2. Dalla normativa “pre-Covid” ai successivi provvedimenti connessi all’emergenza epidemiologica da COVID-19. - 3.3. Le prospettive sul lavoro agile dopo la pandemia. - Bibliografia

 

  1. Definizione di Telelavoro

 

  • Il quadro normativo di riferimento

Nel presente elaborato si persegue l’intento di esaminare l’applicazione alle pubbliche amministrazioni del telelavoro e del lavoro agile (cd. smart working), focalizzando l’attenzione sia sulla normativa di riferimento che sui recenti sviluppi che questi concetti hanno avuto a seguito della emergenza epidemiologica da Covid-19, sottolineando opportunamente le differenze normative e applicative dei due istituti, ovvero di queste due tipologie di lavoro.

Premettiamo fin da ora che sia il telelavoro che lo smart working, o lavoro agile (sua traduzione letterale), indicano il lavoro che il dipendente svolge altrove (a casa o altro luogo), senza recarsi in ufficio.

Tuttavia essi hanno presupposti diversi.

Il telelavoro è il risultato di una scelta basata su un accordo con l’azienda, in base al quale la prestazione lavorativa si svolge a casa  ( nella maggior parte dei casi ) e per un periodo medio lungo.

Nei rapporti di lavoro subordinato, gli elementi caratterizzanti sono l’utilizzo di strumenti informatici e lo svolgimento dell’attività lavorativa lontano dal luogo di lavoro, in una sede prefissata.

Lo smart working, a sua volta, è una modalità “agile” di svolgimento dell’attività lavorativa, non definitiva e non legata ad un luogo preciso.

In quest’ultimo, in altre parole, non ci sono vincoli di spazio e tempo e ciò che conta è il raggiungimento di obiettivi e risultati.

Fatta questa necessaria premessa, utile ad introdurre la tematica oggetto della nostra disamina, approfondiamo ora il concetto di telelavoro, partendo dalla normativa di riferimento.

Il ciclo normativo volto a favorire il telelavoro dei dipendenti pubblici inizia con la c.d. Legge “Bassanini ter” (L.191/1998[1]) ed il successivo Regolamento (DPR 8 marzo 1999, n. 70), emanato in attuazione dell'art. 4, c. 3, della suddetta legge, ai quali si è aggiunto l’Accordo quadro nazionale sul telelavoro nelle pubbliche amministrazioni, sottoscritto il 23 marzo 2000.

In particolare si fa riferimento all’art 4 della citata Legge 191/1998, il quale, rispondendo ad esigenze di flessibilità del lavoro, ha previsto che “Allo scopo di razionalizzare l'organizzazione del lavoro e di realizzare economie di gestione attraverso l'impiego flessibile delle risorse umane, le amministrazioni pubbliche … possono avvalersi  di  forme  di  lavoro  a  distanza. A tal fine, possono installare, nell'ambito delle proprie disponibilità di bilancio, apparecchiature informatiche e collegamenti telefonici e telematici necessari e possono autorizzare i propri dipendenti ad effettuare, a parità di salario, la prestazione lavorativa in luogo diverso dalla sede di lavoro, previa determinazione delle modalità per la verifica dell'adempimento della prestazione lavorativa” (c.1).

Il comma successivo dello stesso articolo prevede inoltre che “I dipendenti possono essere reintegrati, a richiesta, nella sede di lavoro originaria”.

Nella pubblica amministrazione, quindi, la L. 191 del 1998, ha previsto che le PA possano avvalersi di forme di lavoro a distanza. Le modalità attuative sono state dettate dal D.P.R. 70 del 1999, che definisce il telelavoro come quella forma di lavoro svolto a distanza, ovvero al di fuori dell’azienda e degli altri luoghi in cui tradizionalmente viene prestata l’attività lavorativa ma, al contempo, funzionalmente e strutturalmente collegato ad essa grazie all’ausilio di strumenti di comunicazione informatici e telematici.

L’Accordo quadro nazionale del 2000 sottolinea, a sua volta, che l’assegnazione a progetti di telelavoro non muta la natura giuridica del rapporto di lavoro in atto.

La concretizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari è affidata alla contrattazione collettiva, intercompartimentale e di comparto.

Quanto sopra viene poi ripreso dalla Legge 124/2015[2], c.d. Legge Madia di Riforma della PA, che all’ art. 14, c.1, prevede che “Le  amministrazioni pubbliche, nei limiti delle risorse di bilancio disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, adottano misure organizzative volte  a fissare obiettivi annuali per l'attuazione del telelavoro  e  per  la sperimentazione, anche al fine di  tutelare  le cure parentali,  di nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa che permettano, entro tre anni, ad almeno il 10 per cento dei dipendenti, ove lo richiedano, di avvalersi  di  tali  modalità, garantendo che i dipendenti  che se ne avvalgono non subiscano penalizzazioni ai fini del riconoscimento di professionalità e della progressione di carriera …”.

Chiarito brevemente il quadro normativo di riferimento, passiamo ora all’esame delle caratteristiche e delle diverse forme di telelavoro.

 

  • Caratteristiche e forme di telelavoro

L’art. 2 del Regolamento di cui sopra definisce il telelavoro come la prestazione di lavoro del dipendente pubblico eseguita in qualsiasi luogo ritenuto idoneo, collocato al di fuori della sede di lavoro, dove la prestazione sia tecnicamente possibile, con il prevalente supporto di tecnologie dell’informazione e della comunicazione, che consentano il collegamento con l’amministrazione cui la prestazione stessa inerisce.

Per sede di lavoro si intende quella dell’ufficio al quale il dipendente è assegnato.

Dalla suddetta definizione si evince chiaramente che le caratteristiche del telelavoro sono sostanzialmente tre: delocalizzazione della prestazione lavorativa, supporto di tecnologie dell’informazione e collegamento con l’amministrazione[3].

Tra le diverse forme di telelavoro si inserisce quello domiciliare, ma in realtà la delocalizzazione della prestazione dipende dalle modalità previste dal progetto, che oltre al lavoro a domicilio, contemplano forme di lavoro mobile, decentrato in centri-satellite, servizi in rete o altre forme flessibili, anche miste, ivi comprese quelle in alternanza.

Si può pertanto affermare che vi sono diverse accezioni di telelavoro, strettamente connesse al luogo in cui si svolge la prestazione lavorativa:

  • Telelavoro a domicilio (c.d. home office), dove la postazione di telelavoro è, di norma, installata e collaudata a spese del datore di lavoro;
  • Telelavoro mobile (c.d. working out), nel quale il lavoro viene svolto in luoghi diversi con l’utilizzo di computer, cellulare, etc..;
  • Telelavoro remotizzato presso “strutture satelliti”, dotate delle tecnologie ICT più recenti;
  • Telelavoro office to office, in cui il lavoratore, pur operando in un ufficio tradizionale, interagisce telematicamente con un gruppo di lavoro collocato in diverse parti del mondo[4].

L'amministrazione assume, nei confronti del dipendente in telelavoro, gli obblighi in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, tutela dei dati trattati e della privacy del dipendente, copertura dei costi di installazione e manutenzione della postazione di telelavoro, rimborso forfettario delle spese relative ai consumi energetici e telefonici, nonché delle eventuali altre spese connesse all'effettuazione della prestazione.

Inoltre assicura il pieno inserimento, normativo, professionale e relazionale del dipendente in telelavoro nel contesto lavorativo di appartenenza, assicurando al medesimo la pluralità delle informazioni, dei rapporti e delle opportunità professionali, formative, sociali e sindacali, anche al fine di evitare rischi di isolamento ed estraniamento[5].

Il ricorso al telelavoro avviene, come già abbiamo avuto occasione di precisare, sulla base di un progetto generale definito dalle amministrazioni interessate.

Per quanto concerne il supporto di tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in base all’ art. 5 del Regolamento, la “postazione di telelavoro” ricomprende un insieme di apparecchiature e programmi informatici, che consente lo svolgimento di attività di telelavoro e deve essere installata e collaudata a spese dell’amministrazione interessata, sulla quale gravano anche i costi di manutenzione e gestione di sistemi di supporto per il dipendente.

Con riferimento poi all’ultimo elemento caratterizzante il concetto di telelavoro, ovvero il collegamento con l’amministrazione, l’art. 2 del Regolamento precisa che va inteso nel senso che le tecnologie debbano consentire il collegamento con l’amministrazione cui la prestazione inerisce, senza necessità di un collegamento permanente.

Premesso che la concreta attivazione di forme di telelavoro presuppone un progetto approvato dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio, il c.d. progetto di telelavoro, sarà quest’ultimo in sostanza ad individuare le attività interessate, le tecnologie da utilizzare, i dipendenti coinvolti, i tempi e le modalità di realizzazione e quant’altro serva a definire l’organizzazione e realizzazione delle forme di telelavoro da attivare.

La disciplina del telelavoro di cui si tratta prevede comunque che l’Amministrazione proceda ad assegnare al telelavoro quei lavoratori che si siano dichiarati disponibili, essendo necessario il consenso del lavoratore (art. 4 Accordo quadro).

Qualora le richieste di telelavoro dovessero essere superiori a quelle attivabili in base al progetto di cui sopra, sono previsti specifici criteri di scelta, quali situazioni di disabilità, esigenze di cura dei figli minori o di familiari, tempi di percorrenza casa-lavoro.

L’assegnazione a progetti di telelavoro deve consentire al lavoratore pari opportunità quanto a possibilità di carriera, di partecipazione a iniziative formative e di socializzazione rispetto ai lavoratori che operano in sede.

Il progetto di telelavoro dovrà, a tal fine, consentire rientri periodici del lavoratore presso la sede di lavoro.

Il telelavoratore infine può richiedere di essere reintegrato nella sede di lavoro originaria, come espressamente previsto dall’art. 4 della      L. 191/1998 e confermato dal regolamento attuativo.

Le considerazioni finali, relative alla tematica che stiamo trattando in questo capitolo, riguardano l’orario di lavoro del telelavoratore e la verifica dell’adempimento della prestazione.

Sul primo punto, l’Accordo prevede la stessa quantità oraria prevista per il personale che presta la propria attività in sede.

Più complessa si presenta invece la seconda questione: l’individuazione dei parametri qualitativi e quantitativi delle prestazioni di telelavoro.

Ebbene, in primis, deve essere precisato che nessun dispositivo di controllo può essere attivato ad insaputa dei lavoratori e l’Amministrazione è tenuta ad informare il dipendente circa le modalità attraverso le quali avviene la valutazione del lavoro prestato (art.3 Accordo).

Per il resto è evidente che i criteri di verifica, basati anche sui risultati, dovranno essere determinati nel progetto di telelavoro e ad essi farà riferimento il dirigente, al quale spetta la verifica dei risultati raggiunti.

 

  1. Concetto di Smart working
    • Cos’è lo smart working: definizione

“Il lavoro agile (o smart working) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività”.

Questa la definizione che troviamo sul sito del Ministero del lavoro e delle politiche sociali[6] e che riprende il concetto già espresso nel 2015 dall’ Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, che definisce lo smart working “una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”.

Si tratta pertanto di una modalità lavorativa dipendente in cui non ci sono vincoli di orari e in cui non vi è una postazione fissa, caratteristiche che lo differenziano dal “telelavoro”, come sarà più specificamente precisato nel prosieguo della trattazione.

Alla luce delle definizioni sopra citate si comprende facilmente come il lavoro agile rappresenti un’opportunità nella PA, alla quale si è accompagnata un’esigenza concreta, quando, a partire da marzo 2020, l’emergenza legata alla pandemia da Covid-19 ha “costretto” i pubblici dipendenti (e non solo) a fare ricorso a questa modalità di svolgimento dell’attività lavorativa, ben lontana dall’approccio tradizionale del lavoro subordinato cui la maggior parte di essi era abituata.

Improvvisamente, o quasi, le PA hanno dovuto ridefinire in maniera flessibile le modalità di lavoro, focalizzandosi sul raggiungimento di obiettivi e risultati, secondo una logica ispirata a principi di flessibilità, virtualizzazione e collaborazione.

Eppure, l’ inquadramento normativo del lavoro agile risale alla L. 81/2017[7], che lo definisce come “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva” (art. 18, c.1).

Nella definizione data dal Legislatore del 2017 gli elementi caratterizzanti questa modalità di esecuzione del rapporto di lavoro sono il carattere volontario alla base dell’accordo tra le parti, la flessibilità organizzativa e l'utilizzo di strumentazioni che consentano di lavorare da remoto.

Ai lavoratori agili viene garantita la parità di trattamento economico e normativo rispetto ai loro colleghi che eseguono la prestazione con modalità ordinarie (art.20, c.1) e la tutela in caso di infortuni e malattie professionali (art. 23).

 

  • Differenze tra telelavoro e smart working 

Una volta chiariti i presupposti che sono alla base dei due concetti di telelavoro e lavoro agile, sulla base delle definizioni contenute nei diversi provvedimenti sopra esaminati, proviamo ora a sintetizzare le differenze sostanziali tra queste due forme di organizzazione del rapporto di lavoro.

A tal fine, abbiamo sottolineato che il telelavoro prevede lo spostamento (in tutto o in parte) della sede di lavoro dai locali dell’azienda/amministrazione presso altra sede, per lo più l’abitazione del lavoratore.

Il telelavoratore resta comunque vincolato ad una postazione fissa e a limiti di orario prestabiliti, al pari dei lavoratori che svolgono la prestazione all’interno della sede aziendale.

Appare evidente che lo smart working si differenzia nettamente dal telelavoro per l’insieme delle caratteristiche spazio-temporali che lo contraddistinguono.

Lo smart worker svolge infatti la sua prestazione lavorativa sia all’interno che all’esterno dell’azienda/amministrazione, senza una postazione fissa.

Ne consegue che, nel lavoro agile, non ci sono vincoli di spazio e tempo e l’unico vincolo è rappresentato dalla durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, prevista dalla legge e dalla contrattazione collettiva. 

Questa forma di organizzazione del rapporto di lavoro è incentrata in sostanza sul raggiungimento di obiettivi e risultati[8].

Il termine inglese “smart”  si riferisce infatti all’obiettivo, ovvero migliorare la produttività del lavoratore attraverso la conciliazione dei tempi di vita e lavoro.

Un vantaggio di entrambe le modalità lavorative è sicuramente la limitazione degli spostamenti, ma di questo aspetto ne parleremo più approfonditamente quando tratteremo della diffusione dello smart working a seguito dell’ emergenza COVID-19.

 

 

2.3.   Smart working nella PA: la disciplina contenuta nella Legge n. 81/2017 e nella Direttiva n. 3/2017

Nei precedenti paragrafi abbiamo sottolineato come nell’evoluzione normativa del lavoro agile nella pubblica amministrazione, già prima della disciplina dettata dalla L. 81/2017, era intervenuto il Legislatore, con la c.d. Riforma Madia ( L.124/2015), a prevedere l’introduzione di nuove e più agili misure di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti.

Tuttavia è con la Legge 81 (art. 18-24) che si introduce nel nostro ordinamento una disciplina specifica del lavoro agile, prevedendo, al contempo, la sua applicazione anche nel settore pubblico.

L’art. 18, c. 3, della Legge n. 81/2017 precisa infatti che “Le disposizioni  del  presente  capo  si  applicano, in quanto compatibili, anche nei rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30  marzo  2001,  n. 165, e successive modificazioni, secondo le direttive emanate anche ai sensi dell'articolo 14 della legge 7 agosto 2015, n. 124, e fatta salva l'applicazione delle diverse disposizioni specificamente adottate per tali rapporti”.

L’attuazione delle disposizioni legislative sopra citate è affidata alla Direttiva 3/2017 in materia di lavoro agile[9], a firma del Presidente del Consiglio dei Ministri e della Ministra Madia, e alle relative Linee Guida[10], contenenti regole inerenti all’organizzazione del lavoro finalizzate a promuovere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti.

Le suddette Linee guida richiamano inoltre la Risoluzione del Parlamento europeo del 13 settembre 2016 sulla creazione di condizioni del mercato del lavoro favorevoli all’equilibrio tra vita privata e vita professionale, evidenziando che il Parlamento “sostiene il lavoro agile, un approccio all'organizzazione del lavoro basato su una combinazione di flessibilità, autonomia e collaborazione, che non richiede necessariamente al lavoratore di essere presente sul posto di lavoro o in un altro luogo predeterminato e gli consente di gestire il proprio orario di lavoro, garantendo comunque il rispetto del limite massimo di ore lavorative giornaliere e settimanali stabilito dalla legge e dai contratti collettivi …”.

 

2.4.  Quali i vantaggi del lavoro agile nelle Amministrazioni pubbliche

Volendo analizzare i pro del lavoro agile, secondo gli studi dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano[11],  i benefici economico-sociali che possono scaturire dall’adozione di modelli di lavoro agile sono notevoli e si possono sintetizzare in questo modo: incremento di produttività dei lavoratori, riduzione del tasso di assenteismo, risparmi sui costi di gestione degli spazi fisici ed un miglior equilibrio fra lavoro e vita privata dei lavoratori.

In particolare, dalla Ricerca[12] dell'Osservatorio, presentata ad ottobre 2018 al Convegno "Smart Working: una rivoluzione da non fermare", emerge che “Le principali motivazioni che inducono i lavoratori ad aderire allo smart working sono legate alla sfera personale e al miglioramento del benessere”, in quanto permettono di evitare lo stress durante gli spostamenti casa-ufficio, di migliorare il proprio equilibrio tra vita privata e professionale, di aumentare la propria efficienza e motivazione professionale.

Lavorando da casa, infatti, si riesce a gestire meglio il proprio work-life balance, valorizzando il tempo a disposizione e abbattendo i costi legati agli spostamenti.

L’Osservatorio precisa inoltre che “i benefici del lavoro agile non sono solo in termini di equilibrio e soddisfazione individuale, ma anche di performance delle persone e dell’organizzazione nel complesso”. 

Sul punto abbiamo già accennato all’ aumento della produttività, con conseguente risparmio in termini di costi e di miglioramento dei servizi offerti, nonché alla riduzione dell’assenteismo.

Per contro, l’indagine dell’Osservatorio rivela anche alcune criticità legate al ricorso a formule di lavoro agile, in primis la percezione di un senso di isolamento, ma anche una certa difficoltà nella gestione delle urgenze ed una limitata efficacia della comunicazione e della collaborazione virtuale.

La ricerca rivela infine che, prima della diffusione del fenomeno a seguito della pandemia da Covid-19, mentre nelle grandi imprese lo smart working risultava in forte crescita, nella PA, nonostante lo sforzo normativo e le scadenze fissate dalla legge Madia, lo stesso era ancora alquanto limitato, e ciò era dovuto principalmente sia alla mancanza di consapevolezza dei benefici ottenibili che alle attività poco digitalizzate.

Ebbene, come vedremo nel capitolo seguente, l’emergenza sanitaria legata alla pandemia da Covid-19, ha di colpo trasformato gli ostacoli suddetti in una grande opportunità, permettendo, da un lato al dipendente pubblico di continuare a svolgere la sua attività lavorativa (pur con qualche iniziale difficoltà), e dall’altro alla PA di continuare ad erogare i servizi pubblici essenziali ai cittadini.

 

 

 

  1. La diffusione dello smart workinga seguito della emergenza COVID-19

 

3.1. Il lavoro agile “emergenziale”

L’emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del Covid-19, che ha segnato il 2020 e che permane a tutt’oggi, ha creato le condizioni per diffondere anche nella pubblica amministrazione il lavoro a distanza, con la conseguenza che il lavoro da remoto è diventato improvvisamente, o quasi, una realtà per la maggior parte dei pubblici dipendenti.

Tuttavia, alla luce delle considerazioni ed argomentazioni fatte nei capitoli precedenti, si può senza dubbio affermare che non si è trattato di vero e proprio smart working, ovvero di una modalità di lavoro volontaria, definita con il datore di lavoro e fondata su obiettivi precisi da realizzare in un determinato arco temporale.

A dire il vero, si è trattato di smart working “emergenziale”, ben diverso dal lavoro agile (come già definito ed analizzato) e caratterizzato molto spesso da una certa improvvisazione, connessa anche all’ utilizzo di pc e connessioni internet proprie.

In tale contesto è inoltre mancata la necessaria programmazione, oltre alla definizione di obiettivi e controlli.

Ebbene, un anno fa, iniziata l’emergenza sanitaria ed il conseguente lockdown, il Governo italiano ha previsto il ricorso al lavoro agile senza accordo individuale tra le parti, con procedura semplificata ed in deroga a quanto previsto dalla L.81/2017.

Tale procedura resta valida fino alla fine dello stato di emergenza epidemiologica, ad oggi fissato al 30 aprile 2021, come stabilito dal Decreto Milleproroghe, convertito nella L. 26 febbraio 2021, n. 21[13].

Questa fase di smartizzazione e di remotizzazione del lavoro, a partire da febbraio 2020, a causa della pandemia innescata dalla diffusione del Covid-19, ha subito una notevole accelerazione, mettendo alla prova sia i lavoratori che le amministrazioni.

I primi si sono dovuti in qualche modo autogestire, ricorrendo a strumentazioni proprie e riorganizzando il proprio lavoro in base alle nuove esigenze.

Tuttavia ad essere condizionata è stata anche la leadership dei dirigenti, i quali si sono trovati a gestire competenze e formazione del personale non sempre sufficienti a garantire efficienza ed efficacia alla macchina amministrativa, oltremodo affaticata anche da nuovi e più complessi adempimenti dovuti all’ emergenza in corso[14].

 

3.2. Dalla normativa “pre-Covid” ai successivi provvedimenti connessi all’emergenza epidemiologica da COVID-19

Nel capitolo secondo abbiamo esaminato la disciplina del lavoro agile previgente ai provvedimenti emanati dal Governo per diffondere l’utilizzo dello smart working nella PA a seguito dell’emergenza epidemiologica da Covid-19.

A questo punto esaminiamo, brevemente e senza pretese di esaustività, i principali provvedimenti legislativi e regolamentari che hanno disciplinato il ricorso al lavoro agile nella PA a seguito del diffondersi dell’emergenza sanitaria.

Il primo provvedimento da citare è il D.L. n. 6 del 23 febbraio 2020, in base al quale il lavoro agile “è applicabile in via automatica ad ogni rapporto di lavoro subordinato nell’ambito di aree considerate a rischio nelle situazioni di emergenza nazionale o locale nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni e anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti”[15].

Il regime sperimentale dell’obbligo per le amministrazioni di adottare misure organizzative per il ricorso a nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa è superato dal successivo D.L. n. 9 del 2 marzo 2020, recante “Misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”.

Il quadro normativo si arricchisce inoltre di una serie di interventi della Funzione pubblica, finalizzati ad incentivare l’utilizzo del lavoro agile e delle modalità telematiche per lo svolgimento di riunioni e convegni. Viene così emanata dapprima la Direttiva n. 1 del 25 febbraio 2020[16], sostituita dalla successiva Direttiva n. 2 del 12 marzo 2020[17], che stabilisce, inter alia, che “le pubbliche amministrazioni, anche al fine di contemperare l’interesse alla salute pubblica con quello alla continuità dell’azione amministrativa, nell’esercizio dei poteri datoriali assicurano il ricorso al lavoro agile come modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa”.

La disposizione è confermata dall’art. 87 del D.L. n. 18 del 17 marzo 2020, c.d. Decreto “Cura Italia”[18] e dalla relativa Circolare applicativa della Funzione Pubblica n. 2 del 2 aprile, in base alla quale le amministrazioni pubbliche devono garantire il pieno utilizzo dello smart working, accessibile in modo temporaneamente semplificato, così da ridurre al minimo gli spostamenti e la presenza dei dipendenti negli uffici, che va limitata ai soli servizi indifferibili non erogabili da remoto.

Con le suddette disposizioni si ribadisce quindi che, fino alla cessazione dello stato di emergenza, il lavoro agile rappresenta la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa.

Per ragioni di carattere espositivo che non consentono in questa sede di analizzare dettagliatamente tutti i provvedimenti inerenti alla diffusione del lavoro agile a seguito della pandemia da Covid-19, dopo i provvedimenti sopra citati, ci limitiamo a ricordare inoltre il D.L. 19 maggio 2020, n. 34[19], c.d. Decreto Rilancio, il quale ha previsto la proroga del lavoro agile fino al 31 dicembre 2020 per i pubblici dipendenti, nella misura minima del 50% e sempreché sia possibile lo svolgimento da casa del lavoro in base alla qualifica rivestita.

Infine, come accennato nel precedente paragrafo, il Decreto Milleproroghe, convertito nella L. 26 febbraio 2021, n. 21, ha prorogato tali disposizioni fino alla fine dello stato di emergenza epidemiologica, ad oggi fissato al 30 aprile 2021.

 

3.3. Le prospettive sul lavoro agile dopo la pandemia

In questo paragrafo ci limiteremo a fare delle brevi considerazioni conclusive, focalizzando l’attenzione sulle prospettive future in materia di smart working, nella consapevolezza che trattasi di un argomento oggetto di studi e ricerche continui, strettamente connessi anche agli specifici interventi legislativi e regolamentari, a loro volta legati all’andamento dell’emergenza sanitaria.

Iniziamo con l’affermare, senza alcun dubbio, che l’esperienza dello smart working, accelerata dalla pandemia ancora in essere, è stata significativa per comprendere sia lo stato che le potenzialità della digitalizzazione nella PA.

Inoltre, a prescindere dai risultati conseguiti, anche frutto di improvvisazione e di mancanza delle tecnologie adatte, sembra ormai affermatasi la logica del rendimento da valutare e misurare attraverso i risultati, al fine di garantire quell’efficacia e quell’efficienza dell’azione amministrativa, maggiormente sentita in un periodo emergenziale come quello attuale.

In questa prospettiva si inserisce l’Osservatorio nazionale del lavoro agile nella PA, previsto dal già citato Decreto Rilancio ed istituito con decreto ministeriale del 4 novembre 2020, con la specifica funzione di 

formulare proposte di carattere normativo, organizzativo e tecnologico, al fine di promuovere e migliorare lo smart working nella PA.

La tematica in questione, con particolare riferimento agli sviluppi futuri legati al post-Covid, ci obbliga ad accennare anche al Monitoraggio sul lavoro agile condotto dal Dipartimento della funzione pubblica.

Più specificamente, al fine di analizzare l’attuazione del lavoro agile nella PA nel periodo emergenziale e quindi di pianificare gli opportuni interventi per promuoverne l’utilizzo, il Dipartimento della funzione pubblica ha avviato un apposito Monitoraggio, i cui primi risultati sono stati diffusi a dicembre 2020 ed evidenziano, in particolare, come nelle pubbliche amministrazioni si siano evolute le competenze digitali dei dipendenti. 

Sul sito della Funzione pubblica è prevista un’apposita sezione dedicata al suddetto monitoraggio, nella quale è possibile consultare anche i report di attuazione del lavoro agile disponibili[20].

In conclusione, pur nell’incertezza dovuta alla pandemia in essere a tutt’oggi, alla luce dei risultati delle ricerche e delle indagini finora condotte sul tema, il bilancio dello smart working “forzato” nella PA è assolutamente positivo e dimostra che anche nelle amministrazioni pubbliche è possibile lavorare in modo flessibile, con effetti positivi sia sul lavoro che sulla vita privata dei lavoratori[21].

 

Bibliografia

 

  • LEGGE 16 giugno 1998, n. 191 Modifiche ed integrazioni alle leggi 15 marzo 1997, n. 59, e 15 maggio 1997, n. 127, nonche' norme in materia di formazione del personale dipendente edi lavoro a distanza nelle pubbliche amministrazioni. Disposizioni in materia di edilizia scolastica”, entrata in vigore il 5/7/1998.

 

  • 7 agosto 2015, n. 124 Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, entrata in vigore il 28/08/2015.

 

  • Mazzaro R., Silvestro C., L’introduzione del telelavoro nella pubblica amministrazione: dalla Bassanini ter all’accordo quadro nazionale, in diritto.it, (2001), p.5.

 

  • Masucci Maria Paola, Telelavoro nel settore privato e pubblico: si può., in diritto.it, (2018), p.2.

 

 

 

  • LEGGE 22 maggio 2017, n. 81 “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”, entrata in vigore il 14/06/2017.

 

 

 

 

 

 

  • FAQ Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali : “ai sensi dell'art. 19 del D.L. 31 dicembre 2020, n. 183 (c.d. Decreto Milleproroghe), convertito con modificazioni in Legge 26 febbraio 2021, n. 21, il termine per l'utilizzo della procedura semplificata di comunicazione dello smart working di cui all'art. 90, commi 3 e 4, del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni in L. 17 luglio 2020, n. 77, è prorogato fino al 30 aprile 2021.

È, pertanto, utilizzabile la procedura semplificata già in uso (per la quale non è necessario allegare alcun accordo con il lavoratore), con modulistica resa disponibile dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali”.

 

  • Alessandro Donadio, relazione al webinar Smart working e industria 4.0. L’evoluzione organizzativa del lavoro nelle imprese negli ultimi trent’anni, UnitelmaSapienza, 16 febbraio 2021.

 

 

 

 

  • L. 19 maggio 2020, n. 34 “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonche' di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19, entrato in vigore il 19/05/2020 e convertito con modificazioni dalla L. 17 luglio 2020, n. 77 (in S.O. n. 25, relativo alla G.U. 18/07/2020, n. 180).

 

 

 

 NOTE:

 

[1] LEGGE 16 giugno 1998, n. 191 “Modifiche ed integrazioni alle leggi 15 marzo 1997, n. 59, e 15 maggio 1997, n. 127, nonche' norme in materia di formazione del personale dipendente e di lavoro a distanza nelle pubbliche amministrazioni. Disposizioni in materia di edilizia scolastica”, entrata in vigore il 5/7/1998

 

[2] L. 7 agosto 2015, n. 124 “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, entrata in vigore il 28/08/2015

 

[3] Mazzaro R., Silvestro C., L’introduzione del telelavoro nella pubblica amministrazione: dalla Bassanini ter all’accordo quadro nazionale, in www.diritto.it, (2001), p.5

 

[4] Masucci Maria Paola, Telelavoro nel settore privato e pubblico: si può., in www.diritto.it, (2018), p.2

 

[5] https://www.mise.gov.it/images/stories/trasparenza/disciplina_Telelavoro.pdf

 

[6] https://www.lavoro.gov.it/strumenti-e-servizi/smart-working/Pagine/default.aspx

[7] LEGGE 22 maggio 2017, n. 81 “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”, entrata in vigore il 14/06/2017

[8] https://www.forumpa.it/riforma-pa/smart-working/smart-working-cose-come-funziona-la-normativa-e-i-vantaggi-per-le-pa/

 

[9] http://www.funzionepubblica.gov.it/articolo/dipartimento/01-06-2017/direttiva-n-3-del-2017-materia-di-lavoro-agile

 

[10] http://www.funzionepubblica.gov.it/lavoro-agile-linee-guida

 

[11] https://www.osservatori.net/it/ricerche/osservatori-attivi/smart-working

 

[12] https://www.osservatori.net/it/ricerche/comunicati-stampa/smart-working-continua-la-crescita-tra-le-grandi-aziende

 

[13] FAQ Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali : “ai sensi dell'art. 19 del D.L. 31 dicembre 2020, n. 183 (c.d. Decreto Milleproroghe), convertito con modificazioni in Legge 26 febbraio 2021, n. 21, il termine per l'utilizzo della procedura semplificata di comunicazione dello smart working di cui all'art. 90, commi 3 e 4, del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni in L. 17 luglio 2020, n. 77, è prorogato fino al 30 aprile 2021.

È, pertanto, utilizzabile la procedura semplificata già in uso (per la quale non è necessario allegare alcun accordo con il lavoratore), con modulistica resa disponibile dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali”.

 

[14] Alessandro Donadio, relazione al webinar Smart working e industria 4.0. L’evoluzione organizzativa del lavoro nelle imprese negli ultimi trent’anni, Unitelma Sapienza, 16 febbraio 2021.

[15] D.L. 23 febbraio 2020, n. 6 “Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, entrato in vigore il 23/02/2020 e convertito con modificazioni dalla L. 5 marzo 2020, n. 13 (in G.U. 09/03/2020, n. 61).

 

[16] http://www.funzionepubblica.gov.it/articolo/dipartimento/26-02-2020/direttiva-n1-del-2020

 

[17] http://www.funzionepubblica.gov.it/articolo/dipartimento/12-03-2020/direttiva-n2-del-2020

 

[18]http://www.funzionepubblica.gov.it/sites/funzionepubblica.gov.it/files/documenti/SW_COVID/decreto_17mar_20.pdf

 

[19] D.L. 19 maggio 2020, n. 34 “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonche' di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19, entrato in vigore il 19/05/2020 e convertito con modificazioni dalla L. 17 luglio 2020, n. 77 (in S.O. n. 25, relativo alla G.U. 18/07/2020, n. 180).

 

[20] http://www.funzionepubblica.gov.it/lavoro-agile-e-covid-19/monitoraggio-lavoro-agile

 

[21]https://www.forumpa.it/riforma-pa/smart-working/smart-working-il-94-dei-dipendenti-pubblici-proseguirebbe-anche-nel-post-emergenza/