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Anno XVI - n. 07 - Luglio 2024

  Giurisprudenza Amministrativa



Sul discrimen tra cartomanzia e ciarlataneria.

Di Remo Giovanelli
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NOTA A CONSIGLIO DI STATO - SEZIONE TERZA,

SENTENZA 1 luglio 2020, n. 4189

 

Sul discrimen tra cartomanzia e ciarlataneria

Di REMO GIOVANELLI

 

SOMMARIO: 1. Introduzione. - 1.1. Le questioni giuridiche rilevanti per la controversia in commento. - 1.1.1. La disciplina in materia prevista dal Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza. – 1.1.2. L'abuso della credulità popolare ex art. 661 del Codice Penale. – 1.1.3. - L'applicabilità al caso di specie del Codice del Consumo. - 2. Fatto. - 2.1. La motivazione del Giudice di prime cure.3. Il percorso argomentativo seguito dalla III Sezione di Palazzo Spada. –  4. Conclusioni.

 

Abstract.

La credulità popolare è un concetto elastico che varia in relazione al contesto socio-economico di riferimento.

In un'epoca in cui la scolarizzazione e la circolazione delle informazioni è cresciuta in relazione all'aumento della complessità della società, l'attività di cartomanzia deve essere ricondotta nell'alveo delle attività commerciali disciplinate dal codice del consumo, aventi finalità ludiche e/o predittive, ferma restando la distinzione di tale servizio con la “ciarlataneria”, che è invece caratterizzata da una diversa connotazione “apotropaica”, e dalla presenza di uno squilibrio economico a svantaggio del consumatore nel sinallagma contrattuale.    

 

  1. Introduzione.

 

La sentenza in annotazione definisce la linea di confine tra cartomanzia e ciarlataneria, tra lecito e vietato, in cui emerge inoltre come sia mutato il rapporto tra Stato ed individuo, ove all'accrescimento della libertà di scelta di questo, dovuto ad una maggiore  conoscibilità delle conseguenze dei propri comportamenti, faccia da contrappeso l'abbandono del ruolo “tutorio” dello Stato-Apparato, lasciando al mercato ed ai principi che lo regolano – quali l'interazione tra “domanda” e “offerta” - la funzione di orientare le valutazioni dei soggetti dell'ordinamento.

Resta sullo sfondo l'art. 41 della Carta Costituzionale, di cui il pronunciamento in questione fornisce un'applicazione concreta, nella misura in cui la cartomanzia si possa considerare un'attività commerciale che abbia come utilità sociale quella di (provare ad) apprestare  “a chi non sappia o voglia trovarlo su più affidabili terreni, riparo dalle paure e dalle contraddizioni della modernità[1], in considerazione del fatto che la fruizione del servizio di cartomanzia possa essere motivata da “semplice curiosità o desiderio di svago[2].

 

1.1. Le questioni giuridiche rilevanti per la controversia in commento.       

 

Prima di addentrarci nell'analisi della controversia affrontata dalla III Sezione di Palazzo Spada, è necessario prendere in considerazione le norme applicabili al caso in trattazione, consistenti in alcune disposizioni presenti in diverse fonti, la cui combinazione descrive il “fenomeno” della cartomanzia: il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, il codice penale, ed il codice del consumo.

 

1.1.1. La disciplina in materia prevista dal Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza.

 

La materia in analisi viene disciplinata dal Testo unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, nell'art. 121, a tenore del quale “E' vietato il mestiere di ciarlatano[3].

Del pari, l'art. 231 del relativo regolamento di esecuzione definisce come “mestiere di ciarlatano” “ogni attività diretta a speculare sull'altrui credulità, o a sfruttare od alimentare l'altrui pregiudizio, come gli indovini, gli interpreti di sogni, i cartomanti, coloro che esercitano giuochi di sortilegio, incantesimi, esorcismi, o millantano o affettano in pubblico grande valentia nella propria arte o professione, o magnificano ricette o specifici, cui attribuiscono virtù straordinarie o miracolose”.

Inoltre, si tenga presente che la “ciarlataneria” è punita ai sensi dell'art. 17 bis c. 1 T.U.L.P.S con una sanzione amministrativa pecuniaria da Euro 516,00 a Euro 3098,00[4].

Premesso quanto sopra, tali disposizioni venivano lette nel senso di vietare tout court l'esercizio della professione di cartomante, in quanto la ratio delle stesse è da rinvenirsi “nella finalità di tutela dei soggetti culturalmente più deboli[5].

Pertanto, secondo il parere di chi scrive, le suddette norme sono teleologicamente contigue al reato depenalizzato di “abuso della credulità popolare”, di cui si descriveranno le caratteristiche fondamentali nel paragrafo successivo.

 

1.1.2. L'abuso della credulità popolare ex art. 661 del Codice Penale.

 

Fino al 2016, la norma appena richiamata prevedeva quanto segue: “Chiunque, pubblicamente, cerca con qualsiasi impostura, anche gratuitamente, di abusare della credulità popolare è punito, se dal fatto può derivare un turbamento dell'ordine pubblico, con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a Euro 1.032”.

Per quel che rileva in questa sede, occorre osservare che eravamo in presenza di un reato  “necessariamente” doloso, di pericolo, ed il bene tutelato dalla norma è “l'ordine pubblico inteso come tranquillità pubblica. [Pertanto,] per la sua consumazione è sufficiente che il soggetto tenga una condotta idonea ad abusare della credulità popolare e capace, altresì di turbare l'ordine pubblico[6], intendendosi per impositura “ogni atteggiamento idoneo ad ingannare i soggetti cui è rivolto[7].

Tuttavia, con il D.Lgs. n. 8/2016[8] il suddetto “abuso” è stato così rimodulato: “Chiunque, pubblicamente, cerca con qualsiasi impostura, anche gratuitamente, di abusare della credulità popolare è soggetto, se dal fatto può derivare un turbamento dell'ordine pubblico, alla sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 15.000”. Pertanto, a seguito della suddetta depenalizzazione la suddetta contravvenzione è diventata un illecito amministrativo.

Peraltro, può accadere che l'impositura sia particolarmente “suggestiva”, e sia diretta ad un soggetto determinato, anziché “pubblicamente”[9]. In tal caso, l'impositura resterebbe penalmente rilevante, e si configurerebbe il  delitto di “Truffa” ex art. 640 Cod. Pen [10].

 

1.1.3. L'applicabilità al caso di specie del Codice del Consumo.

    

Come ricorda la sentenza appellata[11], alla cartomanzia, è applicabile l'art. 28 D.Lgs. 206/2005, a mente del quale, “Le disposizioni della presente sezione si applicano alle televendite, […] comprese quelle di astrologia, di cartomanzia ed assimilabili e di servizi relativi a concorsi o giochi comportanti ovvero strutturanti in guisa di pronostici. [...]”; nonché il DM 145/2006, denominato “Regolamento dei servizi a sovrapprezzo”, il quale all'art. 3 c. 1 lett d) n. 3 pone i servizi di astrologia fra i servizi di intrattenimento.

Inoltre, lo stesso allegato A alla delibera n. 538/01/CSP del 27 luglio 2001[12] (Regolamento in materia di pubblicità radiotelevisiva e televendite) fornisce la seguente definizione di televendita: “offerta diretta trasmessa al pubblico attraverso il mezzo televisivo o radiofonico allo scopo di fornire, dietro pagamento, beni o servizi, [...]”

Tuttavia, come ricorda il giudice di prime cure di Perugia, resta fermo il divieto di “quelle comunicazioni che, [...] siano tali da indurre in errore o sfruttare la credulità del consumatore[13]”.

Pertanto, dalla combinazione delle succitate norme il Collegio umbro giungeva a considerare la cartomanzia come attività economica consentita, purchè non sia posta in essere “con modalità idonee ad abusare dell'altrui ignoranza e superstizione[14]”.

Per quel che rileva in questa sede, risulta di particolare interesse l'ordinanza cautelare pronunciata nel giudizio di primo grado, ove nel sospendere temporaneamente il provvedimento impugnato, vengono direttamente evocati il D.Lgs. 206/2005, l'art. 41 Cost. ed il Trattato UE, ai fini della sussistenza del fumus[15].

 

 

 

 

  1. Fatto.

 

Il Ministero appellante impugnava la sentenza del giudice di prime cure di Perugia con cui veniva accolto il ricorso della società Alfa s.r.l avverso il decreto del Questore di Beta, “con il quale veniva ordinata la cessazione dell’attività, [...] qualificata “illecita” dall’Amministrazione, siccome consistente in un servizio telefonico di cartomanzia, in affermata violazione dell’art. 121 T.U.L.P.S.[16].

 

2.1. La motivazione del Giudice di prime cure.

 

In particolare, il Tar di Perugia nell'occasione forniva un'interpretazione dell'art. 121 TULPS in armonia con l'art. 41 Cost., richiamando per relationem T.A.R. Piemonte, sez. I, 27 giugno 2014 n. 1138, ove viene affermato che i giudici hanno preso atto del mutamento della situazione socio-economica e, “da una posizione di assoluta ostilità nei confronti del mestiere di ciarlatano” (cfr. Cass. 19 aprile 1951), sono giunti a valutazioni più caute e differenziate, sino ad ammettere talune delle attività di cui si discute, ritenendole […] al pari di qualsiasi attività professionale (Cass. Penale, 28 gennaio 1986)[17]”.

Inoltre, il giudice di Torino ricorda che “l'ordine di cessazione dell'attività di cartomante  è inficiato da difetto di motivazione qualora l'amministrazione non abbia in concreto valutato, attraverso apposita istruttoria, l'oggettiva idoneità della specifica condotta a configurare l'ipotesi di ciarlataneria[18].      

 

  1. Il percorso argomentativo seguito dalla III Sezione di Palazzo Spada.

 

Il Giudice D'Appello, ponendosi sulla stessa scia della sentenza appellata, specifica altresì che nella società attuale, caratterizzata da una maggiore libertà individuale rispetto al passato, “lo Stato ha pressoché dismesso ogni funzione latamente paternalistico-protettiva e di orientamento etico nei confronti dei consociati”, lasciando al mercato ed alle sue leggi, quali il rapporto tra domanda ed offerta, un ruolo preminente nella determinazione delle comportamento dell'individuo-consumatore, purchè “non vengano compromessi beni e valori di carattere superiore (come l’ordine pubblico, il buon costume, la salute dei cittadini ecc.), di cui lo Stato conserva l’irrinunciabile funzione di tutela[19]”.

In particolare, la III Sezione di Palazzo Spada evidenzia come lo “sdoganamento” della cartomanzia e la sua riconduzione nelle attività commerciali sia da attribuirsi alle seguenti ragioni: incertezza e complessità del mondo moderno, aumento del livello culturale.

Di conseguenza, viene richiamato il principio di sinallagmaticità, in applicazione del quale potrebbe essere considerato “ciarlatano” colui che promuove determinate attività aleatorie prospettando “una possibilità di successo (o addirittura una certezza) superiore a quella statisticamente effettiva”[20]

Inoltre, dal punto di vista strettamente normativo, la sentenza in commento specifica alcuni aspetti già trattati nella sentenza di primo grado, a proposito dell'applicabilità alla fattispecie in trattazione del Codice del Consumo[21]

Pertanto, il Collegio giunge ad affermare che “vi è la necessità di interpretare evolutivamente, alla luce delle modificazioni intervenute nel contesto giuridico e socio-economico generale [...] le [...] norme che, venute in essere in un contesto storico dominato dal mito dello Stato etico, devono confrontarsi con la nuova funzione da esso assunta di definitore in “negativo” dei limiti entro i quali i cittadini individuano, in libertà e autonomia, i fini cui tendere nel loro percorso esistenziale ed i mezzi per realizzarli[22]”.

Per questa via, è stata rigettata l'impugnazione proposta, ed è stato possibile evitare l'espunzione dall'ordinamento delle suddette disposizioni del TULPS, potenzialmente incompatibili con la sopravvenuta disciplina costituzionale e con quella consumeristica.

 

 

 

 

  1. Conclusioni.

 

Giunti al termine dell'analisi della sentenza in annotazione, è possibile affermare che con l'abbandono da parte dello Stato della logica etico-paternalistica, e la simmetrica emersione della dialettica domanda-offerta, riecheggia la distinzione di ciceroniana memoria tra religio e superstitio.

Tuttavia, prima di affrontare tale questione, occorre preliminarmente effettuare un cenno al concetto di “pax deorum”, con cui si fa riferimento alla “conservazione di un rapporto con le divinità che ne garentisca il favore nei confronti della civitas e dei singoli appartenenti alla comunità, favore che è sentito come condizione essenziale per la prosperità comune ed individuale”[23].

Per tali ragioni, i Romani decisero di non imporre le proprie divinità sulle popolazioni conquistate, in quanto “la concezione teologica (e giuridica) di pax deorum [garantiva] di fatto la “libertà religiosa”: dovendosi salvaguardare il diritto di ciascun Dio ad avere il proprio culto, si legittimava contestualmente il diritto del singolo di adorare le divinità secondo la propria coscienza e nelle forme che a lui sembravano necessarie[24].

Infatti, Cicerone intendeva il termine religio come “culto degli dei[25]”, e la massima espressione di tale concezione era manifestata nei “rituali in materia di sacrifici [...] [finalizzati alla] conservazione della pax deorum”[26]   

Invece, con il termine superstitio veniva indicata “ogni religione che implicasse un timore eccessivo degli dei, particolarmente pericolosa poi se il culto suscita forti emozioni (morbus animi) e se i fedeli si riuniscono in privato o di notte”[27].

Per supportare tale definizione, a titolo esemplificativo viene menzionata la repressione dei seguaci di Bacco in Italia -considerati “fanatici”-,  effettuata nel 186 a.C.[28]

In conclusione, possiamo affermare che oggi come allora, la libertà di culto è connotata da ampie garanzie che recedono in caso di turbativa dell'ordine pubblico[29].

garanzie che recedono in caso di turbativa dell'ordine pubblico[30].

 

NOTE:

[1]             Sentenza in commento.

[2]             Sentenza cit.

[3]             L'attuale formulazione della norma è frutto della novella introdotta dall'art. 6 del D.P.R. 28 maggio 2011 n. 311, con cui sono stati abrogati i previgenti commi 1 e 2.

[4]             Si vedano inoltre le ulteriori conseguenze sanzionatorie previste dagli artt. 17 ter, 17 quater del T.U.L.P.S.

[5]             Cfr. con Tar Umbria, sentenza 8 febbraio 1996 n. 61, massimata in Testo Unico di Pubblica Sicurezza, VIII edizione 2005, Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna (RN), 2005, p. 145.

[6]             Codice Penale esplicato, XIV edizione, Simone, Napoli, 2012, p. 957.

[7]             Codice Penale cit., p. 957.

[8]             Disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma dell'articolo 2, comma 2, della legge 28 aprile 2014, n. 67. 

[9]             Cfr. Codice Penale cit., p. 957, ove viene affermato che per pubblicamente si intende “verso il pubblico, cioè nei confronti di un numero indeterminato di persone”.

[10]            Cfr. con Cassazione Penale, II Sezione, sentenza 18 gennaio 2006, n. 1862, in materia di “Guaritori ed esercizio abusivo della professione medica”, disponibile su www.olir.it.; FORTI – SEMINARA, coordinamento di E. PALERMO FABRIS, commentario breve al Codice Penale, Wolters Kluwer Cedam, Vicenza, 2019, p. 3528: “L'impositura, come mezzo per trarre in inganno, [...] nei congrui casi, […] integra gli estremi della truffa se è usata verso persona determinata per indurla in errore e conseguire, con l'artificio in essa insito, un ingiusto profitto con altrui danno (sez. II 66/103088)”. In senso conforme, cfr. con Cassazione Penale, II Sezione, sentenza 5 dicembre 2019, n. 49519, disponibile su www.neldiritto.it 

[11]            Tar Umbria, sez. I, sentenza n. 295 del 2019.

[12]            Tale delibera è esplicitamente richiamata nel predetto art. 28.

[13]            Tar Umbria, cit., Diritto 5.

[14]            Tar Umbria, id.

[15]            Tar Umbria, sez. I, ordinanza n. 203 del 2017: “Ritenuto, ad un sommario esame, di poter apprezzare favorevolmente le esigenze cautelari atteso che: […]  l’attività di cartomanzia non risulta in se e per sé illecita risultando invero contemplata da varie norme dell’ordinamento, anche successive al T.U.L.P.S. (tra cui il D.lgs. n. 206 del 2005 “Codice del Consumo”) e comunque attività economica il cui esercizio è garantito dall’art. 41 della Cost. e dal Trattato UE”.  Il periculum invece, veniva ravvisato nell'incidenza del provvedimento impugnato sul “profilo occupazionale”.

[16]            Cons. Stato, sentenza in annotazione.

[17]            Tar Piemonte, sez. I, 27 giugno 2014 n. 1138, Diritto 1.2.

[18]            Tar Piemonte cit., Diritto 1.4., e la giurisprudenza ivi citata: Tar Palermo, sez. I, 2 novembre 2011, n. 1944; Cons, Stato, sez. VI, 9 febbraio 2006 n. 510; Id. sez. IV, 16 ottobre 2000, n. 5502; 12 marzo 2001, n. 1393 e 3 aprile 2001 n. 1936; Tar Bari, sez. II, 1 luglio 2005, n. 3059; Tar Napoli, 22 aprile 1997, n. 1084; Tar Salerno, sez. I, 11 marzo 2002, n. 205; Tar Marche, 6 aprile 2001, n. 343; Tar Bologna, sez. I, 21 marzo 2003, n. 274. In senso conforme, Tar Umbria ult. cit., Diritto 6.  

[19]            Cons. Stato, sentenza in annotazione.

[20]            Cons, Stato, sentenza in annotazione.

[21]            A differenza della sentenza appellata, in quella in commento vengono evocati gli artt. 29 e 30 Cod. Cons., sicuramente utili a segnare il confine tra libera promozione commerciale e vietata speculazione sull'altrui credulità. Infatti, il predetto art. 29 prevede che “le televendite devono evitare ogni forma di sfruttamento della superstizione, della credulità o della paura”, ed il successivo art. 30 testualmente affermano che  “le televendite non devono contenere dichiarazioni o rappresentazioni che possono indurre in errore gli utenti o i consumatori, anche per mezzo di omissioni, ambiguità o esagerazioni, in particolare per ciò che riguarda le caratteristiche e gli effetti del servizio…”.

[22]            Cons. Stato, sentenza in annotazione.

[23]            AA.VV., sotto la direzione di M. TALAMANCA, Lineamenti di storia del diritto romano, seconda edizione, Giuffrè editore, Milano, 1989, p. 32.

[24]            F. SINI, Sua cuique civitati religio – Religione e diritto pubblico in Roma antica, G. Giappichelli editore, Torino, 2001,  p. XII.

[25]            Cfr. con Cicerone, De natura deorum, 2.8.: “[...] religione, id est cultu deorum [,,,]”.

[26]            F. SINI, op.cit., p. XIII. L'autore afferma inoltre che “nel sacrificio si perfezionava, […] quel peculiare rapporto di intensa reciprocità, che ben si esprimeva nella concezione romana della religio”. 

[27]            F. SINI, op.cit., p. 61, il quale in nota richiama l'insegnamento di Cicerone (Verr. 2.4.113; De har. Resp. 12; De domo 103; De fin. 1. 59-60; De div. 2.148; 2.125; 2.81; De domo 105) e di Tito Livio.  Id.,  pp. 61-62: “Dal complesso delle testimonianze degli autori antichi emergono dati abbastanza interessanti sulla vicenda semantica di superstitio. La parola, da un valore affine a religio, passa ad indicare con sempre maggiore frequenza ogni religio iniusta, cioè non riconosciuta e regolamentata dallo ius divinum”.

[28]            F. SINI, op.cit., p. 64. Id., p. 68, nt. 139, che rinvia alle considerazioni di C. GALLINI, Protesta e integrazione nella Roma antica, Bari, 1970, pp. 86 ss.: <<Quanto ai baccanali, essi si qualificano come un movimento religioso scisso dall'autorità politico-statale, […] Sono, in altre parole, un'istituzione eversiva perchè vogliono  avere a che fare esclusivamente col mondo degli dei>>.

[29]            Cfr. con  AA.VV., sotto la direzione di M. TALAMANCA, Lineamenti di storia del diritto romano cit., pp. 35-36, [Gli inizi della repressione criminale]: “lo stato ritiene necessario interporre la propria opera per il ristabilimento dell'ordine turbato”. Vedi supra nt. 19.

[30]            Cfr. con  AA.VV., sotto la direzione di M. TALAMANCA, Lineamenti di storia del diritto romano cit., pp. 35-36, [Gli inizi della repressione criminale]: “lo stato ritiene necessario interporre la propria opera per il ristabilimento dell'ordine turbato”. Vedi supra nt. 19.