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Anno XVI - n. 03 - Marzo 2024

  Studi



Sentenze Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 2020 – rassegna sintetica-

Di Alessandra Talamonti
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Sentenze Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 2020 – rassegna sintetica

 

Di ALESSANDRA TALAMONTI

 

Questo scritto intende ripercorrere e sintetizzare gli arresti del Supremo Giudice amministrativo intervenuti nel corso del 2020.

L’ Adunanza Plenaria è intervenuta su diversi temi di notevole rilievo che investono la materia dei contratti pubblici, dell’accesso, dell’occupazione appropriativa ex art. 42- bis ma anche il T.U. edilizia e altre questioni processuali.

Lo scritto seguirà, pertanto, laddove possibile, una suddivisione in macroaree tematiche.

 

  • Contratti pubblici, Dlgs n. 50 del 2016

 

Il mondo dei contratti pubblici è tanto affascinante quanto complicato e ,proprio per tale ragione, uno degli obiettivi principali del nuovo Codice dei contratti,  di cui al D.lgs. n. 50/ 2016 sostitutivo del previgente Codice di cui al Dlgs n. 163/2006, è quello di continuare l’opera di armonizzazione e di ordine del settore degli appalti pubblici, prevedendo una normativa più dettagliata sia per i lavori pubblici che per gli appalti di servizi e forniture.

  • Per quanto concerne, più nello specifico, i criteri di selezione delle offerte e le cause di esclusione, con pronuncia n. 22, l’Adunanza Plenaria si è pronunciata sulle conseguenze della nullità della clausola del bando di gara per violazione della tassatività delle cause di esclusione medesime.

I giudici affermano che la nullità della clausola ai sensi dell’art. 83, comma 8, del D.lgs. 50/2016 configura un’ipotesi di nullità parziale limitata alla clausola, da considerare come non apposta, che non si estende all’intero provvedimento, il quale conserva natura autoritativa; non si possono applicare gli artt. 21 – septies della legge n. 241 del 1990 e l’art. 31 cpa , i quali si riferiscono ai casi in cui un provvedimento sia nullo e integralmente improduttivo di effetti: la clausola di nullità in questione infatti risponde al principio “ vitiatur sed non vitiat”. Per quanto concerne il regime processuale, i provvedimenti successivi adottati dall’amministrazione che facciano applicazione o comunque si fondino sulla clausola nulla, compresi il provvedimento di esclusione della gara o la sua aggiudicazione, vanno impugnati nell’ordinario termine di decadenza previsto dall’art. 120 c.p.a. entro il quale si può chiedere l’annullamento dell’atto di esclusione per aver applicato illegittimamente la clausola escludente nulla.

  • Il Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria ha affrontato, in altre pronunce, ulteriori questioni relative alla procedura di gara e, nello specifico, alla fase di valutazione e selezione delle offerte. Con sentenza n. 16, è stato affermato che la falsità di informazioni, rese dall’operatore economico in procedure di affidamento dei contratti pubblici, è riconducibile all’ipotesi prevista dalla lettera c-bis dell’art. 83 comma 8, D.lgs. n. 50/2016. Pertanto, la stazione appaltante è tenuta, ai sensi della lettera c della medesima disposizione, a svolgere la valutazione di integrità e affidabilità del concorrente senza poter procedere ad alcun automatismo espulsivo.

Con sentenza n. 7, n. 8  e n. 14, l’ Adunanza Plenaria  si è pronunciata in tema di mancata indicazione separata dei costi per la manodopera e per la sicurezza. Riprendendo quanto deciso dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea in causa C-309/18, è stato affermato che i principi di certezza del diritto, di parità di trattamento e di trasparenza devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale secondo la quale la mancata indicazione separata dei costi di manodopera, in un’offerta economica presentata nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta l’esclusione della medesima offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell’ipotesi in cui il medesimo obbligo non fosse specificato nella documentazione della gara di appalto purchè tali condizioni siano chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta documentazione. Tuttavia, se le disposizioni della gara di appalto non consentono agli offerenti di indicare tali costi nelle loro offerte economiche, i principi di trasparenza e proporzionalità devono essere interpretati nel senso che non ostano alla possibilità di consentire agli offerenti di sanare la loro situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dalla normativa nazionale in materia.

  • Particolarmente interessante la sentenza 13 con cui l’Adunanza Plenaria ha modo di raffrontare la disciplina del previgente codice dei contratti pubblici, D.lgs. n. 163/2006, con l’attuale di cui al d.lgs. n. 50/2016 in merito al rilevante tema dell’avvalimento cosiddetto a cascata.

La pronuncia afferma che, ai sensi dell’art. 53 comma 3 del previgente codice, il progettista va qualificato come professionista esterno incaricato di redigere il progetto esecutivo e, dunque, non rientra nella figura del concorrente né in quella di operatore economico; per questo motivo e per il divieto di avvalimento “a cascata “, il progettista non può usare l’istituto dell’avvalimento.

Per quanto concerne, più nello specifico, la posizione del progettista i giudici evidenziano che sia da inquadrarsi come prestatore d’opera professionale il quale non entra a far parte della struttura societaria che si avvale della sua opera e neppure nella struttura societaria quando questa formula l’offerta.

Precisa inoltre l’Adunanza Plenaria che il divieto di avvalimento cosiddetto a cascata, oggetto di espresso divieto all’art. 89 del nuovo codice dei contratti pubblici,  era già affermato nel vigore del precedente codice dalla giurisprudenza maggioritaria, pur in assenza di una espressa previsione legislativa.

Se, infatti, da un lato l’avvalimento costituisce valido strumento per assicurare la massima partecipazione alle gare di appalto e all’effettività della concorrenza, l’applicazione dell’istituto deve comunque essere contemperata con l’esigenza di assicurare idonee garanzie alla stazione appaltante al fine della corretta esecuzione del contratto.

 

  • Occupazione appropriativa ex art. 42- bis D.p.r. n. 327/2001

 

Altro tema di notevole rilevanza di cui l’Adunanza Plenaria si è occupata nel corso del 2020 concerne l’espropriazione invertita, anche nota come occupazione appropriativa ex art. 42- bis del D.p.r. n. 327/2001. La disposizione in commento, nonostante sia stata inserita nel 2011, in sostituzione al vecchio art. 43, dichiarato incostituzionale dalla Consulta, continua a essere oggetto di notevoli dubbi interpretativi tali da lasciar presagire un ulteriore intervento a livello europeo che decida sulla compatibilità ai valori costituzionali e convenzionali di una disposizione di tal tipo.

A differenza del precedente art. 43, il vigente testo prevede una più penetrante procedimentalizzazione e maggiori garanzie per il privato da parte della P.A. che utilizzi, senza titolo, un bene per scopi di interesse pubblico; si determina , con il sopraggiungere del provvedimento amministrativo, una separazione tra il momento di occupazione sine titulo e quello provvedimentale in cui l’attività della P.A. “torna a essere lecita”.

Questa soluzione non convince , e per tale ragione si ipotizza un nuovo intervento sulla disposizione in commento, in quanto la mera esistenza di un provvedimento formale non può rendere lecita ogni attività precedente della P.A. ; la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha infatti chiarito che l’espropriazione indiretta non è soltanto quella in cui manchi un provvedimento formale autorizzativo ma anche quella sostanzialmente imputabile all’illecito in quanto la mediazione del provvedimento è da considerarsi solo formale.

Effettuate queste sommarie e brevi considerazioni, è utile ripercorrere le pronunce dell’Adunanza Plenaria in materia:

 

  • con la sentenza n. 5 del 2020 , il Massimo Consesso di Giustizia Amministrativa ha risolto la questione sollevata dalla Sezione IV del Consiglio di Stato concernente la compatibilità dell’art. 42- bis con un giudicato restitutorio, in specie formatosi su sentenza del giudice civile dichiarativa della nullità di un contratto di compravendita. Il dubbio interpretativo concerneva, in particolare, la possibilità di applicare tale disposizione ad ogni caso in cui un bene immobile altrui sia utilizzato dall’amministrazione per scopi di interesse pubblico ovvero se la sua applicazione sia limitata solo a vicende in cui la P.A. agisca nella sua veste di autorità senza un valido titolo espropriativo.

L’Adunanza Plenaria ha sposato la prima soluzione valorizzando la finalità di pubblico interesse che la P.A. persegue pur quando si serve di strumenti privatistici. L’attività amministrativa risulta, infatti, costantemente funzionalizzata alla cura, tutela, perseguimento dell’interesse pubblico sia che, a tali fini, vengano esercitati poteri pubblicistici sia che la P.A. agisca iure privatorum.

La Plenaria, risolta tale questione, ne affronta un’ulteriore concernente la possibilità, in presenza di un giudicato civile sull’obbligo di restituire un’area al proprietario da parte della P.A. occupante sin titulo, di emanare un atto di imposizione di servitù di passaggio, con il mantenimento del diritto di proprietà in capo al suo titolare.

La sentenza afferma a tal proposito che, se oggetto del petitum è il recupero del bene alla piena proprietà del soggetto privato, questo non impedisce un successivo provvedimento della P.A. con cui si imponga , ex novo, una servitù trattandosi di un’ipotesi del tutto diversa da quella coperta dal giudicato.

 

  • Di particolare rilievo altresì le sentenze 2 e 4 con le quali l’Adunanza Plenaria ha affermato che , per le ipotesi disciplinate dall’art. 42- bis D.p.r. n. 327/2001 l’illecito permanente della p.a. viene meno nei casi previsti, come l’acquisizione del bene o la sua restituzione, salva la conclusione di un contratto traslativo tra le parti di natura transattiva, mentre la rinuncia abdicativa, implicita nella domanda di risarcimento del privato, non può essere ravvisata.

Infatti, sostiene la Plenaria che una rinuncia da parte del privato si porrebbe in contrasto con il rispetto dei vincoli formali previsti in materia di espropriazione e non rispetterebbe neppure il principio di eccezionalità degli acquisti coattivi secondo cui nessuno, neppure la P.A., può divenire proprietario contro la sua volontà. Se si ammettesse la rinuncia abdicativa, si finirebbe per riconoscere una forma di acquisto coattivo priva di base legale e della chiarezza necessaria per giustificare la perdita della proprietà.

L’intervento della P.A., attraverso il provvedimento formale ex art. 42- bis, è, pertanto, ritenuto necessario e non surrogabile.

Tali pronunce non sono andate esenti da critiche: non si comprende, anzitutto, perché, la rinuncia, ammessa senza problemi tra privati, non possa riconoscersi solo perchè nel rapporto vi è la P.A. Lo statuto della proprietà, infatti, rileva la critica, è unitario e, come tale, non dovrebbe subire deroghe o modifiche.

Anche la ritenuta mancanza di base legale si ritiene infondata: l’autonomia negoziale può considerarsi una base sufficiente a giustificare la rinuncia che, in casi come questo, potrebbe rappresentare l’unico strumento in mano al privato per ottenere un ristoro completo ed evitare di subire il regime giuridico della proprietà solo per gli aspetti negativi dello stesso ( come pesi fiscali e responsabilità per danni che opererebbero fin quando il privato rimanga formalmente titolare del bene).

 

  • Si segnala, all’interno della medesima macro-area, la pronuncia n. 15 in cui l’Adunanza Plenaria chiarisce che l’atto di acquisizione sanante ex art. 42- bis d.p.r. n. 327 del 2001, generatore di debito a carico dell’ente locale in procedura di dissesto finanziario, è di competenza dell’organo straordinario di liquidazione e non rientra quindi nella gestione ordinaria, sia sotto il profilo contabile che sotto il profilo della competenza amministrativa, se è emanato nel termine di approvazione del rendiconto della gestione liquidatoria e si riferisce a fatti di occupazione illegittima anteriori al 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato.

 

  • Accesso agli atti ai sensi degli articoli 22 e seguenti della legge n. 241/1990

 

L’istituto dell’accesso ai documenti amministrativi, disciplinato dal Capo V della L. n. 241/1990 è uno strumento indispensabile al fine di assicurare la trasparenza amministrativa, ossia la possibilità di un controllo sulla rispondenza dell’attività della Pubblica Amministrazione agli interessi pubblici e ai canoni normativi.

Si possono schematicamente individuare tre diverse tipologie di accesso agli atti:

l’accesso documentale, anche definito procedimentale, previsto dalla Legge n. 241/1990 che permette a chiunque di prendere visione e richiedere copia di documenti, dati e informazioni detenuti da una P.A. purchè il richiedente sia titolare di un interesse diretto, concreto e attuale all’ostensione dei documenti;

l’accesso civico previsto dal D.lgs n. 33 del 2013 che consente a chiunque di richiedere documenti, dati o informazioni che la P.A. sia, però, tenuta a pubblicare in un’apposita sezione dei propri siti web istituzionali, la cosiddetta “ amministrazione trasparente”;

l’accesso civico generalizzato o universale, introdotto con il cosiddetto FOIA ( Freedom of Information Act) , grazie al D.lgs. n. 97 del 2016, che consente a chiunque di richiedere l’ostensione di dati e documenti ulteriori rispetto a quelli che la P.A. è tenuta a pubblicare e senza essere necessariamente portatore di un particolare e specifico interesse.

  • Con le sentenze 19 e 20 del 2020 l’Adunanza Plenaria ha chiarito che le dichiarazioni, le comunicazioni e gli atti presentati o acquisiti dagli uffici dell’amministrazione finanziaria contenenti dati finanziari, reddituali e patrimoniali e inseriti nelle banche dati dell’anagrafe tributaria, costituiscono documenti amministrativi ai fini dell’accesso documentale difensivo ai sensi degli artt. 22 e seguenti L. 241/ 1990.
  • La sentenza n. 10 ha, invece, chiarito che la P.A. ha il potere- dovere di esaminare l’istanza di accesso agli atti, pur se formulata in maniera generica e alla stregua di accesso generalizzato a meno che l’interessato non abbia inteso fare esclusivo riferimento alla disciplina dell’accesso documentale. In questo caso, infatti, la P.A. dovrà esaminare l’istanza seguendo la disciplina prevista all’interno della L. n. 241/1990 senza che possa residuale in capo al giudice amministrativo, adito ex art. 116 c.p.a., la possibilità di mutare il titolo dell’accesso.

 

  • Ulteriori questioni processuali

 

  • Con sentenza n. 24 del 2020 l’Adunanza Plenaria è intervenuta in relazione al termine per la proposizione del giudizio di ottemperanza ex art. 114 comma 1 c.p.a. , pari a dieci anni dal passaggio in giudicato della sentenza. L’ Adunanza prende, anzitutto, posizione in merito alla questione relativa alla natura giuridica del termine previsto, definendolo come termine di prescrizione dell’azione di ottemperanza. Infatti, il legislatore ha espressamente riferito la prescrizione all’azione e non ai diritti sottostanti.

L’ Adunanza chiarisce altresì che detto termine possa essere sempre interrotto, anche da atti stragiudiziali in applicazione dei principi generali di cui agli artt. 2943 e 2953 cc. a differenza di quanto affermato da precedente giurisprudenza la quale aveva escluso tale possibilità in assenza di un chiaro dato legislativo sul punto.

Una diversa statuizione, sostengono i giudici, comporterebbe, infatti, una disparità di trattamento e di tutela tra giudicato civile e amministrativo in contrasto con gli artt. 3, 103 e 113 della Costituzione.

  • Con sentenza 12 del 2020 l’Adunanza Plenaria precisa che il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione decorre dalla pubblicazione generalizzata di tutti gli atti di gara ivi compresi i verbali di gara e tutte le operazioni di valutazione delle offerte presentate in coerenza a quanto disposto in materia dall’art. 29 lgs n. 50/2016;

 

  • Con sentenza n. 6 del 2020 l’Adunanza Plenaria , ha inoltre, affermato che agli enti associativi esponenziali iscritti nello speciale elenco delle associazioni rappresentative di utenti o consumatori oppure in possesso dei requisiti individuati dalla giurisprudenza sono legittimati a esperire azioni a tutela degli interessi legittimi collettivi di determinate comunità o categorie e , in particolare, l’azione generale di annullamento in sede giurisdizionale amministrativa di legittimità, indipendentemente da un’espressa previsione di legge in tal senso;

 

  • Infine, con pronuncia n. 23 del 2020 l’Adunanza Plenaria ha precisato che non è possibile l’intervento ad opponendum nel giudizio avanti all’adunanza Plenaria per chi adduca come interesse la sola circostanza di essere parte di un giudizio in cui venga in rilievo una questione di diritto analoga a quella sottoposta all’Adunanza Plenaria.

 

Per completezza, si segnalano le restanti quattro pronunce dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato intervenute nel 2020 e di cui si riportano le massime:

 

  • Adunanza Plenaria n. 9: “ Chi, per effetto di condanna pronunciata con sentenza definitiva, abbia ottenuto il ristoro dei danni subiti a seguito della morte del padre a causa di una trasfusione di sangue infetto, non ha più titolo a conseguire dal Ministero della Salute , per il medesimo fatto illecito, oltre alla somma liquidata dal giudice civile, l’indennizzo ottenibile mediante l’accesso alla procedura transattiva prevista dalla legge; pertanto, ancorchè la domanda di accesso a detta procedura sia stata presentata in pendenza del giudizio di risarcimento, la sopravvenienza della sentenza definitiva rende improcedibile il ricorso avverso il diniego opposto dall’amministrazione”.
  • Adunanza plenaria n. 18: “In tema di domanda per incentivi relativi alla produzione di energia da fonti rinnovabili, l’accertamento necessario ai fini della pronuncia di decadenza ha ad oggetto la sola violazione e la sua rilevanza, prescindendo dall’elemento soggettivo, che viene in evidenza soltanto nel prosieguo del procedimento sanzionatorio avanti alla competente autorità di settore “.
  • Adunanza Plenaria n. 17: “In caso di annullamento del permesso di costruire, i vizi delle procedure amministrative cui fa riferimento l’art. 38 d.p.r. 380/2001 sono esclusivamente quelli che riguardano forma e procedura che, alla luce di una valutazione in concreto operata dall’amministrazione, risultino di impossibile rimozione”.
  • Adunanza Plenaria n. 1: “il farmacista che, all’esito del concorso straordinario, risulti assegnatario di due sedi deve necessariamente optare per l’una o per l’altra”.