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Anno XVI - n. 07 - Luglio 2024

  Giurisprudenza Amministrativa



“Rifiuti” (solidi) di competenza tra enti locali, al crocevia tra disciplina della circolazione stradale e strumenti di tutela ambientale.

Di Pietro Maglione
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NOTA A CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

SENTENZA 3 giugno 2020, n. 395

 

“Rifiuti” (solidi) di competenza tra enti locali, al crocevia tra disciplina della circolazione stradale e strumenti di tutela ambientale

Di PIETRO MAGLIONE

 

 

SOMMARIO: 1. Cenni introduttivi – 2. Il caso deciso – 3. La “competenza” a rimuovere rifiuti abbandonati da ignoti sulle strade (ex) provinciali – 3.1 I presupposti (soggettivi) dell’obbligo di intervento della Città metropolitana in subiecta materia – 3.2 Un caveat finale: il “governo” dei rifiuti tra ambiti di competenza e leale cooperazione – 4. Brevi considerazioni (ricostruttive e) conclusive

 

 

  1. Cenni introduttivi

Con la sentenza che si annota il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana (da qui C.G.A.R.S.) ha sancito alcuni importanti principi di diritto in materia di (competenze sulla) gestione dei rifiuti urbani[1], compiendo un significativo passo in avanti nella direzione di una maggiore definitezza dei confini che perimetrano le attribuzioni dei diversi enti pubblici territoriali operanti a livello di ambiti ottimali[2]. Segnatamente, la pronuncia prende posizione in ordine ai compiti che la legge, non senza ambiguità, assegna rispettivamente a comuni ed enti pubblici di ambito provinciale (o loro concessionari), questi ultimi nella qualità di proprietari delle strade, in presenza di cumuli di rifiuti abusivamente depositati e abbandonati (c.d. microdiscariche) lungo le medesime strade provinciali[3].

La vicenda da cui origina la pronuncia (sulla quale infra, 2.) assume contorni tristemente emblematici, oltre che della deprecabile inciviltà diffusa che ancora funesta alcuni territori, dei quali compromette il decoro e la salubrità a tutto svantaggio delle comunità ivi residenti e degli utenti della strada, anche del non meno noto fenomeno dei “rimpalli” di competenze (e connesse responsabilità) tra enti locali, in ciò (s)favoriti da una legislazione che, nei settori che a vario titolo e sotto vari aspetti interessano la gestione del ciclo dei rifiuti, continua a caratterizzarsi per una strutturale opacità degli ambiti di intervento propri ai diversi livelli territoriali di governo[4]. Per altro verso, il quadro istituzionale risente anche qui dell’ormai cronica limitatezza delle risorse finanziarie di cui gli enti territoriali dispongono: “strettoie” che, in una con la accennata incertezza del quadro normativo, indubbiamente alimentano il circolo vizioso delle declinatorie di intervento (considerazione che in nulla muta laddove il servizio nel quale l’intervento necessario si inscrive venga erogato per il tramite di società in house dell’ente, come nella specie).

La sentenza in epigrafe si segnala per aver chiaramente affermato l’obbligo della Città metropolitana, nella qualità di proprietaria della strada sulla quale i rifiuti erano stati abbandonati, di intervenire per porvi rimedio, nel quadro della competenza prevista dall’art. 14 del codice della strada (d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285; da qui “c.d.s.”), che affida agli “enti proprietari delle strade, allo scopo di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione”, il compito di provvedere alla “manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo” (co. 1, lett. a). L’applicabilità di tale disposizione alle fattispecie materialmente riconducibili (alle condotte di cui) all’art. 192 cod. amb.[5] discende dalla sua ritenuta specialità rispetto a quest’ultimo, la quale rende inoperante l’art. 198 cod. amb.[6], che individua la competenza concorrente (i.e. residuale rispetto a quella esercitata a livello di ambito territoriale ottimale) dei comuni in ordine alla gestione dei rifiuti urbani.

 

  1. Il caso deciso

Con ordinanza sindacale[7] n. 42 del 21 settembre 2017 il Comune di Mascali (CT), dato atto in motivazione dell’infruttuoso esito delle svariate segnalazioni con contestuale diffida a procedere già trasmesse alla Città metropolitana di Catania, ordinava a quest’ultima di provvedere alla rimozione e allo smaltimento di ingenti cumuli di rifiuti solidi urbani abbandonati da ignoti lungo alcune strade provinciali ricomprese nell’area metropolitana, con l’espresso avvertimento che, decorso inutilmente il termine di 15 giorni, vi avrebbe provveduto il medesimo Comune a spese dell’Amministrazione intimata (c.d. esecuzione in danno).

Come emerge dagli atti processuali, la perdurante inerzia di quest’ultima era stata giustificata, già prima dell’emanazione dell’ordinanza sindacale (e, dunque, della sua impugnazione) e per il tramite di apposite note a riscontro delle succitate segnalazioni, assumendo la tendenziale estraneità della gestione dei rifiuti solidi urbani all’ambito di intervento della Città metropolitana, alla quale competerebbero solo gli interventi diretti a garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione stradale. E infatti, secondo una prospettazione che l’Ente di vasta area porrà altresì a fondamento del successivo ricorso avverso l’ordinanza, l’ “obbligo” di provvedere alla rimozione dei rifiuti solidi urbani, sopportandone i relativi costi, graverebbe ai sensi dell’art. 198 cod. amb. sul Comune nel cui territorio ricadono le strade e le pertinenze dell’area metropolitana ove detti rifiuti vengono derelitti. Ciò – come si accennava – sul ritenuto presupposto che l’art. 14, co. 1, c.d.s.[8], attraverso il riferimento “allo scopo di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione” cui si correla la competenza dell’ente proprietario della strada (la Citta metropolitana) a provvedere in ordine “alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, [e] delle loro pertinenze”, sancirebbe un limite funzionale idoneo ad escludere la doverosità, in capo all’ente formalmente titolare dell’area di abbandono, di interventi di rimozione ulteriori rispetto a quelli connotati dalle predette finalità.

Il T.A.R. Sicilia - Catania[9], innanzi al quale l’ordinanza sindacale veniva impugnata, disattendeva l’ora descritta ipotesi esegetica, enucleando il principio di diritto che il C.G.A.R.S., in sede di appello, avrà poi cura di riaffermare e precisare, nei termini che verranno di seguito illustrati (3., 3.1), valorizzando altresì il carattere di specialità dell’art. 14 rispetto alle fattispecie disciplinate dal Codice dell’ambiente, nel solco della più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato.

Prima di entrare nel merito della pronuncia in esame, va rilevato che, nel corso del giudizio di appello promosso dalla Città metropolitana rimasta soccombente in primo grado, il Consiglio[10] prendeva (e dava) atto dell’intervento di bonifica attuato nelle more ad opera del Comune, sicché l’oggetto della controversia risultava circoscritto all’individuazione dell’ente territoriale su cui le correlative spese sarebbero dovute ricadere[11].

 

  1. La “competenza” a rimuovere rifiuti abbandonati da ignoti sulle strade (ex) provinciali

Preliminarmente disattesa la censura della Città metropolitana, reiterata in appello, diretta a far valere l’asserito difetto di contraddittorio procedimentale[12] che avrebbe determinato, in tesi, l’annullabilità dell’ordinanza impugnata, il C.G.A.R.S. si sofferma sulla questione di maggior interesse, relativa all’individuazione dell’ente territoriale – tra quelli coinvolti nella controversia – cui spetta provvedere alla rimozione dei rifiuti abbandonati sulle strade appartenenti alla Citta metropolitana, subentrata nella titolarità delle stesse alla defunta (?) provincia[13].

Il Consiglio muove a partire dalla disamina dell’art. 14 c.d.s., di cui precisa l’esatta portata precettiva, recependo le considerazioni svolte in proposito dal giudice di prime cure. Si osserva, infatti, che la “clausola finalistica” ivi contenuta, che ricollega la competenza dell’ente proprietario della strada – in ordine alla gestione e pulizia della stessa – allo specifico fine di “garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione”, non fa che rendere esplicita la ratio della prevista devoluzione di competenza, senza tuttavia determinare una contrazione dell’ampiezza oggettiva del precetto e, quindi, dei compiti cui è chiamato, secondo legalità, il soggetto proprietario della strada, attributario di un potere-dovere di intervento generalizzato[14]. L’attribuzione di competenze sancita dall’art. 14 cit.[15] – si legge – ha “carattere incondizionato”, come emerge, per un verso, dalla stessa formulazione della disposizione, nella quale l’anzidetta clausola presenta carattere meramente incidentale e lato sensu giustificativo; e, per altro verso, dalla stessa (esplicita) connotazione teleologica della attribuzione, diretta ad individuare, secondo un criterio che riecheggia i canoni della responsabilità da cose in custodia radicati nella signoria sul bene[16], il soggetto cui è affidata, attraverso i previsti interventi di “manutenzione, gestione e pulizia delle strade”, la cura della sicurezza stradale[17]. E infatti, a sostegno della prescelta opzione ermeneutica, il Consiglio capovolge l’assunto dell’ente appellante, negando la neutralità del fine enunciato dalla disposizione (ma) sotto il diverso (e opposto) profilo della strumentalità – proprio rispetto al ridetto fine – dei compiti onnicomprensivamente devoluti al proprietario della strada (nella specie, la Città metropolitana). A quest’ultimo proposito, il Collegio evidenzia che la pulizia delle strade, in quanto condiziona la funzionalità dell’infrastruttura e la sicurezza della viabilità, va necessariamente ascritta al soggetto gestore (che – com’è ovvio – coincide con il proprietario della stessa, laddove il bene non abbia formato oggetto di concessione e la gestione non sia stata affidata a terzi[18]), il quale è tenuto a adempiere specifici doveri di vigilanza, controllo e conservazione”[19], essendo tale soggetto il solo a poter razionalmente programmare ed efficacemente attuare le misure necessarie a rimuovere la situazione di insicurezza per la circolazione connessa all’insistenza dei rifiuti sulla pubblica strada[20].

Ne discende l’applicabilità alla fattispecie considerata dell’art. 14 c.d.s.[21]. Tale conclusione trae ulteriore argomento, come si vedrà subito, dal carattere di specialità che tale disposizione assume rispetto agli artt. 192 e 198 cod. amb.

 

3.1 I presupposti (soggettivi) dell’obbligo di intervento della Città metropolitana in subiecta materia

Il C.G.A.R.S. ha poi cura di precisare, integrando e “perfezionando” il principio di diritto sin qui richiamato, le condizioni al ricorrere delle quali gli obblighi di intervento de quibus si radicano in capo alla Città metropolitana (melius: in capo all’ente proprietario o concessionario della strada). Quest’ultima aveva denunciato già in primo grado che l’addebito di responsabilità per la mancata rimozione dei rifiuti fosse stato ingiustificatamente mosso a titolo oggettivo, non avendo il Comune acquisito (nella fase procedimentale) né offerto (nella fase processuale) la prova della rimproverabilità dell’ente di vasta area per l’omessa bonifica, almeno nei termini della culpa in vigilando. Per altro verso, la Città metropolitana aveva censurato la qualificazione dell’art. 14 c.d.s., operata dal primo giudice, come lex specialis rispetto alla disciplina contenuta negli artt. 192 e 198 cod. amb., assumendo l’estraneità degli interventi richiesti dal Comune alle finalità di sicurezza e fluidità della circolazione stradale (con argomento tuttavia smentito in radice dalla già riferita (3.) adesione del Collegio alla tesi secondo cui gli obblighi di intervento ex art. 14 c.d.s. avrebbero carattere generale e non sarebbero limitati dal fine di sicurezza della circolazione).

Facendo proprio il ragionamento espresso dalla sentenza appellata, il Consiglio osserva che la colpa ex art. 192, co. 3, cod. amb., richiesta ai fini della configurabilità dell’obbligo di rimozione e ripristino in capo al proprietario dell’area nella quale i rifiuti siano abbandonati, “può ben consistere proprio nell’omissione degli accorgimenti e delle cautele che l’ordinaria diligenza suggerisce per realizzare un’efficace custodia e protezione dell’area interessata”[22]. Il tema della imputabilità soggettiva della violazione (i.e. l’abbandono di rifiuti) al proprietario o concessionario dell’area di abbandono offre al C.G.A.R.S. l’occasione per lumeggiare il carattere di specialità dell’art. 14 rispetto alle previsioni contenute nel Codice dell’ambiente. E infatti, precisato che l’art. 192 cod. amb. non lascia spazio a forme di responsabilità oggettiva, richiedendo espressamente il requisito del dolo o della colpa[23], si afferma – richiamando la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato[24] ed in conformità alle conclusioni già raggiunte in sede di ricostruzione della normativa applicabile (3.) – che “tra la disciplina di ordine generale contenuta nell’art. 192 del d.lgs. 152 del 2006 e quella specifica per i soggetti proprietari e concessionari di strade contenuta nell’art. 14 del d.lgs. 285 del 1992 viene (…) ad instaurarsi un rapporto di specialità, contraddistinto dalla sussistenza nell’ordinamento di una norma puntuale che, al fine di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione stradale, impone in via diretta al soggetto proprietario o concessionario della strada di provvedere alla sua pulizia e, quindi, di rimuovere i rifiuti depositati sulla strada medesima e sulle sue pertinenze”.

Detto rapporto di specialità si specifica, sul piano della fattispecie provvedimentale, in una peculiare forma di “complementarità” sul versante dell’elemento soggettivo richiesto dall’art. 198 cod. amb. ai fini della (legittima) adozione dell’ordinanza di rimozione nei confronti dell’ente proprietario della strada: “la disciplina dell’art. 14 del d.lgs. 285 del 1992 si configura quale parametro normativo per l’individuazione del profilo della colpa presupposto in via generale dall’art. 192 del d.lgs. n. 152 del 2006”[25], talché la colpevolezza dell’ente proprietario (o concessionario) della strada di abbandono deve considerarsi insita nell’inottemperanza, da parte dello stesso, del dovere posto a suo carico dall’art. 14 c.d.s. di assicurare la pulizia delle strade (e delle relative pertinenze). Ciò postula – osserva il Collegio – “l’esistenza di una relazione di ‘complementarità’ tra i due articoli di legge appena citati, basata sul fatto che l’inosservanza dei doveri imposti dall’art. 14 del Codice della Strada ‘colora’ e connota l’elemento psicologico richiesto” dall’art. 192, co. 3, cod. amb.[26].

 

3.2 Un caveat finale: il “governo” dei rifiuti tra ambiti di competenza e leale cooperazione

La sentenza in commento non manca di avvertire – conclusivamente[27] – che la (pur) riconosciuta doverosità degli interventi di rimozione de quibus in capo alle amministrazioni d’ambito provinciale, ai sensi dell’art. 14 c.d.s. (ove applicabile all’ente medesimo per la sua qualità di soggetto proprietario della strada di abbandono), deve essere coordinata, da un lato, con il principio di leale cooperazione tra pubbliche amministrazioni[28], e, dall’altro, con la ripartizione normativa delle competenze in materia di gestione dei rifiuti, la quale riserva agli enti di vasta area un ruolo di programmazione, controllo e impulso[29], ed ai comuni un ruolo di indole operativa, correlato ad apposito mezzo di finanziamento[30]. Ne deriva, segnatamente, la necessità di interpretare restrittivamente il concetto di “pulizia” (delle strade) menzionato dall’art. 14 c.d.s., ritenendo che esso includa gli oneri inerenti alla raccolta e al trasporto dei rifiuti, ma non anche quelli per il conferimento in discarica, che gravano sui comuni nel cui ambito territoriale i rifiuti sono stati prodotti[31].

La precisazione testé richiamata appare singolarmente apposta – per così dire – “nell’interesse della legge”, ancorché ad essa possa riconoscersi una pratica utilità identificabile nell’interesse della Città metropolitana a conoscere gli esatti limiti entro cui è(ra) tenuta a corrispondere al Comune le somme derivanti dall’avvenuta esecuzione in danno, a termini dell’art. 192, co. 3, cod. amb., da parte di quest’ultimo. Tale profilo, tuttavia, non assumeva specifica rilevanza ai fini della definizione della controversia, essendo la questione relativa al quantum debeatur rimasta estranea al giudizio. Non sembra pertanto avventato ipotizzare che la precisazione suddetta, che conclude la parte motiva della pronuncia, oltre ad assolvere il fine pratico ora accennato, testimoni l’esigenza diffusamente avvertita di chiarezza in relazione al quadro delle competenze degli enti territoriali in materia di gestione dei rifiuti, mirando così a “cristallizzare” la ripartizione di un segmento delle attribuzioni rispettivamente ascrivibili agli enti pubblici territoriali (del tipo di quelli) coinvolti del giudizio, nonché ad evitare che i principi di diritto enunciati in sentenza possano – se male intesi – comportare nella prassi il rischio una indebita dilatazione in via interpretativa degli obblighi di gestione e dei relativi pesi economici, gravanti sui soggetti proprietari (o concessionari) delle strade sulle quali insistono rifiuti solidi urbani derelitti[32].

 

  1. Brevi considerazioni (ricostruttive e) conclusive

La sentenza annotata si palesa, per le ragioni viste sin qui, foriera di rilevanti conseguenze pratiche in ordine all’auspicato efficientamento delle attività di pulizia delle strade extraurbane presenti nel territorio regionale, efficientamento cui ha ostato fino ad oggi l’incertezza sull’esatta individuazione del soggetto pubblico – ente di ambito provinciale oppure comune – a ciò preposto.

La condivisibile interpretazione dell’art. 14 c.d.s. in sé considerato, alla cui stregua il riferimento al fine di assicurare la sicurezza nella circolazione viene in rilievo come (mera) ratio iuris e non già come limite al novero degli interventi esigibili nei confronti dell’ente proprietario della strada, ne esclude in radice la natura sanzionatoria, disvelandone piuttosto l’ampia e “incondizionata” proiezione funzionale, rivolta ad una estensione in via generale-residuale degli obblighi di cura ed intervento in materia secondo un meccanismo propter rem che non solo .

Non meno rilevante – anche se forse non altrettanto lineare – è l’interpretazione sistematica dello stesso art. 14, ed in particolare il duplice passaggio relativo alla sua qualificazione come norma ad un tempo “speciale” e “complementare” rispetto all’art. 192 cod. amb. Quel che non sembra emergere con assoluta chiarezza è che la fattispecie ingiuntiva fondata sull’art. 14 c.d.s. resta pur sempre, sul piano della struttura (e, quindi, della situazione di fatto che ne legittima l’adozione), nell’alveo dell’art. 192, co. 3, cod. amb.[33].

Appare preferibile, a sommesso avviso dello scrivente, ritenere che tale ultima disposizione si presti a ricomprendere, nel caso di rifiuti abbandonati su pubbliche vie, proprio l’ipotesi in cui il proprietario della strada rimanga inadempiente all’obbligo impostogli dall’art. 14 c.d.s. di provvedere alla pulizia della stessa (che, com’è ovvio, include la rimozione dei rifiuti ivi abbandonati). E infatti, malgrado contenga alcuni riferimenti “tralatizi” che parrebbero sottintendere un’estraneità dell’art. 14 cit. alla struttura della fattispecie provvedimentale ex art. 192, co. 3, ult. per., cit., la soluzione accolta dal Collegio va intesa nel senso che il primo costituisce presupposto di operatività della seconda: è cioè l’art. 14 cit. che, consentendo di ritenere competente all’intervento il proprietario della strada anziché il comune, integra il presupposto per l’adozione dell’ordinanza ex art. 192, co. 3, che richiede – per definizione – di essere indirizzata (all’autore dell’abbandono, qui rimasto ignoto, e/o) al proprietario del suolo. La specialità dell’art. 14 cit., sotto questo profilo, va allora intesa con riferimento all’art. 198 cit. (rispetto al quale, d’altra parte, si pone in evidente rapporto di omogeneità contenutistica, avendo entrambi come oggetto l’individuazione della titolarità soggettiva di un obbligo istituzionale), e non rispetto all’art. 192, co. 3, del quale anzi rappresenta un presupposto indefettibile in tutte le ipotesi in cui teatro delle micro-discariche sia il demanio stradale e, quindi, tenuto alla rimozione sia ex lege un soggetto pubblico. Nel solco di questa operazione ricostruttiva, non occorre allora ritenere che l’art. 14 si atteggi in termini di specialità (anche) rispetto al primo periodo del terzo comma dell’art. 192, che sancisce a carico del proprietario l’insorgere dell’obbligo di rimozione dei rifiuti al cui abbandono abbia in qualche modo contribuito (anche in forma omissiva, purché almeno colposa), essendo sufficiente ritenere che esso (art. 14) si inquadri appieno nell’obbligo anzidetto, estendendolo (da cui l’evidenziata “complementarità”) alle ipotesi in cui il suolo di abbandono rientri nel demanio stradale[34]. La violazione dei doveri imposti al proprietario della strada dall’art. 14 determina, dunque, il sorgere dell’obbligo di rimozione ai sensi e agli effetti dell’art. 192, co. 3, cod. amb.[35].

Così intesa la specialità dell’art. 14 c.d.s., risulta di più agevole comprensione il collegamento tra la violazione dell’art. 14 e l’elemento psicologico richiesto dall’art. 192: il proprietario è in colpa e per ciò legittimamente destinatario di ordinanza ex art. 192, co. 3, cpv., cod. amb. proprio in quanto su di lui incombeva un compito rimasto ingiustificatamente inevaso.

A prescindere dal (più) corretto modo di tracciare le linee teoriche del sistema normativo (per come) ricostruito dal C.G.A.R.S., la pronuncia qui commentata perviene ad un approdo interpretativo-applicativo senz’altro condivisibile. Sotto altro aspetto, la chiara individuazione dell’amministrazione cui incombe di rimuovere i rifiuti giacenti sulle strade (ex) provinciali promette di migliorare la situazione di frequente degrado in cui versano le arterie extraurbane di alcune Regioni[36]. L’auspicio è che alla acclarata titolarità del potere-dovere di intervento in capo agli enti locali proprietari delle strade si accompagni, nel solco della (trasparenza delle) responsabilità al cospetto delle comunità locali, una costante attività di vigilanza e prevenzione, che dovrebbe ridurre – il condizionale è sempre d’obbligo – se non l’inciviltà dei singoli, quantomeno le sue manifestazioni più tangibili.

 

 

 

 

 

 

[1] Cfr. l’art. 184, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (da qui “cod. amb.”), recante la classificazione delle diverse categorie di rifiuti, rilevante ai fini dell’applicazione delle norme sulla gestione, inclusi quelli urbani, analiticamente individuati dal comma 2 dello stesso articolo.

[2] Cfr. l’art. 200 cod. amb., relativo all’organizzazione territoriale del servizio di gestione integrata dei rifiuti, incentrata sugli ambiti territoriali ottimali (ATO), sui quali agiscono le Autorità d’ambito (AATO) (cfr. artt. 202 e 203 cod. amb.). L’introduzione degli ATO, originariamente identificati nell’estensione delle Province, si fa convenzionalmente (ma non del tutto esattamente) risalire all’art. 23 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (c.d. decreto Ronchi). Non può in questa sede neppure accennarsi al tormentato iter normativo che, a partire dall’art. 2, comma 186-bis, L. 23 dicembre 2009 n. 191, introdotto dall’art. 1, comma 1-quinquies L. 26 marzo 2010 n. 42, ha interessato le Autorità d’ambito, più volte (virtualmente) soppresse a fini di contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica ed altrettante volte prorogate, sino alla loro definitiva sostituzione con nuovi enti di governo dei bacini territoriali individuati dalle Regioni, ai quali devono oggi intendersi riferite le disposizioni del Codice dell’ambiente (per la Regione siciliana, si veda la nota 4). Sul punto si rinvia, anche per una panoramica generale delle trasformazioni che hanno interessato i servizi di gestione del ciclo dei rifiuti e del ciclo idrico, a M. PASSALACQUA, La regolazione amministrativo degli ATO per la gestione dei servizi pubblici locali a rete, in Federalismi.it, 13 gennaio 2016, anche in Il «disordine» dei servizi pubblici locali. Dalla promozione del mercato ai vincoli di finanza pubblica, in ID. (a cura di), Torino, 2016, 35 ss.; J. BERCELLI, La riorganizzazione per ambiti ottimali del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, in Ist. federalismo, 227, n. 1/2016, 225 ss.; E CARPINO, Le Autorità d'ambito, l'organizzazione territoriale dei servizi pubblici locali, in Comuni d’Italia, n. 5/2013, 45 ss.; E.M. PALLI, La (prorogata) soppressione delle Autorità d’ambito territoriale ottimale nei servizi pubblici locali ambientali, in Ist. federalismo, n. 4/2012, 881 ss.

[3] Cfr. l’art. 2 c.d.s., che contiene la classificazione e la definizione delle diverse tipologie di strade ai fini dell’applicazione delle norme del medesimo codice; la tassonomia ivi delineata, tuttavia, alla luce degli svariati richiami contenuti nelle (diverse) normative di settore, assume una latitudine definitoria e classificatoria che va ben oltre la sistematica del codice della strada.

[4] Il riordino del governo locale e la connessa (re)distribuzione delle funzioni e dei servizi sono stati oggetto, com’è noto, della (non più) recente Legge Delrio (L. 7 aprile 2014, n. 56), cui avrebbe dovuto accompagnarsi, com’è altrettanto noto, la riforma costituzionale poi “naufragata” a seguito del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016. Sul punto, anche con riferimento ai profili di più stretta inerenza ai servizi pubblici a rete di interesse economico, si rinvia a C. BENETAZZO, Le province a cinque anni dalla Legge Delrio: profili partecipativi e funzionali-organizzativi, in Federalismi.it, n. 5/2019, 1-47; A. SAPORITO, L’organizzazione delle funzioni amministrative delle province e delle città metropolitane dopo la cosiddetta ‘riforma Delrio’, in Dir. proc. amm., n. 1/2018, 389 ss.; C. FELIZIANI, Le funzioni amministrative di Province e Città metropolitane nella legge Delrio e nel quadro della riforma costituzionale in fieri, in GiustAmm.it, n. 11/2016, 1-45; M. GORLANI, L’attuazione della riforma delle Province tra legislazione regionale e prospettive di revisione costituzionale, in Studi in memoria del prof. Paolo Cavaleri, Padova, 2016, 435 ss.; F. PIZZETTI, La Legge Delrio: una grande riforma in un cantiere aperto. Il diverso ruolo e l’opposto destino delle Città metropolitane e delle Province, in Riv. AIC, n. 3/2015, 1-11. Sull’ “anomalo” caso delle Province regionali siciliane, si veda G. MINALDI, Il fallimento della riforma delle province in Sicilia fra vincoli, opportunità e crisi dell’autonomia, in Riv. it. pol. pubbl., n. 2/2017, 273 ss. Si dà atto che le funzioni di cui agli artt. 200, 202 e 203 cod. amb. sono esercitate in Sicilia dalle “società per la regolamentazione del servizio di gestione dei rifiuti” (S.R.R.) di cui agli 6 segg. L. Reg. Sic. n. 9/2010 (“Gestione integrata dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati”), società consortili di capitali, costituite per ciascun (ex) ATO, a capitale interamente pubblico e partecipate al 95% dai comuni d’ambito e al 5% dagli enti di vasta area subentrati alle ex Province regionali.

[5] Dispone l’art. 192 cod. amb., rubricato “Divieto di abbandono”: “1. L’abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati. 2. È altresì vietata l'immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee. 3. Fatta salva l’applicazione delle sanzioni di cui agli articoli 255 e 256, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione (…) ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate […]”.

[6] Dispone l’art. 198 cod. amb., rubricato “Competenze dei comuni”: “1. I comuni concorrono, nell’ambito delle attività svolte a livello degli ambiti territoriali ottimali di cui all’articolo 200 e con le modalità ivi previste, alla gestione dei rifiuti urbani ed assimilati. Sino all'inizio delle attività del soggetto aggiudicatario della gara ad evidenza pubblica indetta dall’Autorità d’ambito ai sensi dell’articolo 202, i comuni continuano la gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento in regime di privativa nelle forme di cui al l'articolo 113, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 […]”.

[7] Trattasi di ordinanza adottata dal Sindaco del Comune ai sensi e agli effetti dell’art. 192, co. 3, ult. per., cod. amb. (v. nota 5). Sulle ragioni che inducono a un tale esito sussuntivo, si veda 4.

[8] Dispone il primo comma dell’art. 14 c.d.s., rubricato “Poteri e compiti degli enti proprietari delle strade”: “1. Gli enti proprietari delle strade, allo scopo di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione, provvedono: a) alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi; b) al controllo tecnico dell'efficienza delle strade e relative pertinenze; c) alla apposizione e manutenzione della segnaletica prescritta”. Com’è evidente, nel caso in esame viene in rilievo il potere-dovere sub a), e segnatamente il compito di “pulizia” delle strade.

[9] T.A.R. Sicilia - Catania, 12 aprile 2019, n. 800.

[10] C.G.A.R.S., ord. 11-12 settembre 2019 n. 575. Sul punto, la sentenza in commento evidenzia “che il Comune aveva dichiarato di aver già provveduto alla bonifica, sì che la controversia rilevava soltanto al fine di stabilire su quale dei due enti pubblici in contrasto sarebbero dovuti definitivamente ricadere i relativi oneri economici, accoglieva la domanda cautelare dell’appellante ai soli fini della sollecita trattazione della causa in sede di merito”.

[11] Ciò che – per inciso – ha refluito solo sul contenuto dispositivo della sentenza, non già sulla parte motiva della stessa sulla quale l’interesse (anche teorico) si appunta, risultando comunque necessario, al fine di stabilire su quale soggetto dovessero in definitiva gravare gli oneri economici del già realizzato intervento, ricostruire la normativa applicabile e delineare il corretto assetto delle attribuzioni nella materia de quo, in presenza di una fattispecie concreta come quella dedotta.

[12] La violazione delle garanzie partecipative di cui agli artt. 7 segg. L. n. 241/1990 sarebbe derivata, in radice, dall’omessa comunicazione alla ricorrente dell’avvio del procedimento. Sennonché, il Collegio, richiamando sul punto la statuizione del Tribunale, aderisce alla tesi largamente prevalente secondo cui l’omissione della comunicazione anzidetta non inficia la validità del provvedimento allorché l’astratto destinatario della comunicazione abbia comunque avuto tempestiva conoscenza dell’intrapresa azione amministrativa, con la conseguente possibilità di esplicare le proprie facoltà partecipative. Ciò che è senz’altro avvenuto nel caso in esame, alla luce del fitto scambio di note tra l’amministrazione procedente e quella (poi) intimata, la quale aveva in quel contesto già espresso in modo esaustivo ed inequivocabile la propria posizione tecnico-giuridica (e, di conseguenza la propria volontà “pratica”) sulla questione controversa. In questo caso, infatti, le reiterate segnalazioni trasmesse dal Comune alla Città metropolitana (supra, 2.) ben possono considerarsi equipollenti all’omessa comunicazione ex art. 7 LPA, della quale le reiterate segnalazioni hanno costituito un equipollente, essendo “stato così raggiunto – osserva il Collegio – lo scopo al quale la previa comunicazione in via generale tende”. Sul punto, cfr. Cons. Stato, sez. III, 9 aprile 2018, n. 2148; Cons. Stato, sez. III, 11 gennaio 2018, n. 136; Cons. Stato, sez. V, 22 luglio 2019, n. 5168; Cons. Stato, sez. V, 8 giugno 2015, n. 2796; Cons. di Stato, Sez. IV, 17 settembre 2012, n. 4925; Cons. Stato, sez. VI, 17 aprile 2009, n. 4899; Cons. Stato, sez. IV, 10 aprile 2006, n. 1982; Cons. St., sez. V, 8 settembre 2004, n. 1969; Cons. Stato, sez. V, 8 settembre 2003, n. 5034; Cons. Stato, sez. III, 28 maggio 2020, n. 3375. In dottrina, anche con riferimento al profilo in discorso, F. SAITTA, Omessa comunicazione dell’avvio del procedimento: il lupo perde il pelo, ma non il vizio (ovvero ‘in claris…fit interpretatio’), in Giust. amm., n. 4/2008, 199 ss.; ID., Nuove riflessioni sul trattamento processuale dell'omessa comunicazione di avvio del procedimento: gli artt. 8, ultimo comma, e 21-octies, 2 comma, della legge n. 241 del 1990 a confronto, in Foro amm. - TAR, n. 6/2006, 2295 ss.; ID., L’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento: profili sostanziali e processuali, in Dir. amm., n. 3-4/2000, 449 ss.; S. CIVITARESE MATTEUCCI, La comunicazione di avvio del procedimento dopo la l.n.15 del 2005. Potenziata nel procedimento, dequotata nel processo, in Foro amm. - CdS, n. 6/2005, 1963 ss.; R. PROIETTI, La partecipazione al procedimento amministrativo, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2011, spec. 502 ss. Al riguardo, non sembra superfluo osservare che, almeno a partire dalla L. n. 15/2005, il riferimento contenuto nelle massime (anche recenti) al “raggiungimento dello scopo” aliunde va inteso con riguardo all’atto di cui si è omesso il compimento e non al provvedimento finale (per il quale rileva, invece, il “raggiungimento del risultato”): infatti, in ipotesi come quella esaminata, non viene direttamente in rilievo – al fine di escludere l’annullabilità del provvedimento – la prognosi di identità contenutistica del provvedimento medesimo ex art. 21-octies, co., 2 LPA, bensì la riscontrata sussistenza di un atto (o di una serie di atti) equipollente alla comunicazione di avvio, talché la disposizione prima citata non viene, almeno in via diretta, in considerazione (peraltro, trattandosi di provvedimento vincolato anche nell’an, il provvedimento non sarebbe stato comunque annullabile, alla luce dell’approdo esegetico del Decidente in ordine all’oggetto principale della controversia, relativo all’individuazione del soggetto competente all’intervento di bonifica). In senso analogo a quello qui sostenuto, per tutti, Cons. Stato, sez. VI, 17 ottobre 2006, n. 6194.

[13] Sul punto, sul quale non è possibile in questa sede soffermarsi, si rinvia ai contributi già richiamati alla nota 4, spec. in fine.

[14] In proposito, Cass. civ., sez. III, 22 aprile 2010, n. 9527 osserva che “trattasi di obblighi derivanti dal mero fatto di essere proprietari, il quale può concorrere con ulteriori obblighi del medesimo ente o di altri, derivanti da altre normative e, in particolare, dalla disciplina dettata dall’art. 2051 c.c.”.

[15] Cfr., anche con riferimento all’art. 25 del regolamento di esecuzione e attuazione del codice (d.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495), G. TAMBURRINO – P. CIALDINI, Commentario al nuovo codice della strada, Torino, 402 ss.; F. DELVINO – G. NAPOLITANO – F. PICCIONI – G. CARMAGNINI, Nuovo codice della strada commentato, Ravenna, 209 ss.; M. SIMONE (a cura di), Codice della strada, Padova, 89 ss.

[16] Sul connesso tema della responsabilità civile della P.A. per danno c.d. da insidie, ‘conteso’ tra l’art. 2051 e l’art. 2043 c.c., la produzione giurisprudenziale e dottrinale, anche recente, abbonda. Cfr., ex multis, Cass. civ., sez. VI, 23 gennaio 2019, n. 1725; Cass. civ., sez. III, 1 febbraio 2018, n. 2481; Cass., sez. III, 12 aprile 2013, n. 8935; Cass. civ., sez. III, 18 novembre 2010, n. 23277; Cass. civ., sez. III, 6 luglio 2006, n. 15383.

[17] Le finalità espressamente enunciate, peraltro, non esauriscono quelle sottese agli interventi richiesti dall’art. 14 c.d.s. Sul punto, Cons. Stato, sez. II, 13 giugno 2019, n. 3967, ove si afferma che l’obbligo di intervento “può ben correlarsi anche alle concorrenti necessità dell’incolumità pubblica, nonché all’esigenza di evitare pregiudizi all'ambiente e a tutti coloro che sono insediati nel territorio, e deve pertanto essere fatto rispettare – in caso di inadempienza del proprietario o del concessionario – dall’amministrazione comunale, in quanto istituzionalmente tenuta a esercitare tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale, anche con precipuo riguardo ai servizi resi alla comunità e all'assetto e all'utilizzazione del territorio medesimo (cfr. art. 13 del d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267)”.

[18] Art. 14, co. 3, c.d.s.: “Per le strade in concessione i poteri e i compiti dell’ente proprietario della strada previsti dal presente codice sono esercitati dal concessionario, salvo che sia diversamente stabilito”. T.A.R. Puglia - Lecce, sez. I, 18 novembre 2009, n. 2756: “Spetta all’ANAS, in qualità di gestore del servizio stradale, disporre la rimozione di rifiuti abbandonati dalla sede stradale, con interventi di bonifica, decontaminazione e risanamento igienico dei siti”. Nello stesso senso, più di recente, Cons. Stato, n. 3967/2019, cit.; T.A.R. Campania - Salerno, sez. II, 17 giugno 2015, n. 1373; T.A.R. Campania - Napoli, sez. V, 12 giugno 2015, n. 1158. In proposito, appare opportuno osservare che, al di fuori dell’ipotesi di concessione prevista dal citato comma 3 dell’art. 14, l’esternalizzazione, mediante appalto, del servizio di gestione e manutenzione delle strade non vale ad esonerare da responsabilità l’ente committente proprietario della strada, essendo tale contratto solo “lo strumento tecnico-giuridico per la realizzazione in concreto del compito istituzionale, proprio dell’ente territoriale, di provvedere alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade di sua proprietà, ai sensi dell’art. 14 Codice della Strada” (Cass. civ., sez. III, 23 gennaio 2009, n. 1691), tuttavia restando “ferma la possibilità per lo stesso Comune di essere manlevato e, quindi, tenuto indenne da qualsiasi pretesa risarcitoria avanzata dagli utenti per i danni cagionati dalle strade da parte della società cui è affidata la manutenzione sulla base degli obblighi discendenti dalla convenzione di appalto” (Trib. Roma, sez. civ., 12-26 ottobre 2011).

[19] Nello stesso senso già T.A.R. Lazio - Roma, Sez. I, 16 luglio 2009 n. 7027, ove si precisava inoltre che gli specifici doveri di cui al testo “prescindono dai profili di dolo o colpa” (sul punto, infra, 3.1, spec. nota 22). Cfr., inoltre, T.A.R. Campania - Salerno, sez. II, 20 ottobre 2016, n. 2311; T.A.R. Basilicata - Potenza, sez. I, 21 giugno 2013, n. 364; Campania - Napoli, sez. V, 11 luglio 2006, n. 7428; T.A.R. Puglia - Lecce, sez. I, 18 giugno 2008, n. 487.

[20] Sul punto la sentenza in commento richiama T.A.R. Campania - Napoli, 6 febbraio 2018, n. 752. Nello stesso senso, già in precedenza, Cons. Stato, sez. V, 31 maggio 2012, n. 3256 (“(…) non può negarsi che l’Amministrazione provinciale avrebbe dovuto adottare tutte le misure e cautele opportune e necessarie quanto meno per eliminare tali rifiuti, di cui peraltro non può neppure negarsi la pericolosità oltre che per l’ambiente, anche per la stessa circolazione stradale, tale obbligo deriva direttamente dall’obbligo di custodia connesso alla proprietà/appartenenza della strada, oltre che dalla previsione dell’art.14 del D.Lgs. 30 aprile 1992 n. 285”), cui adde Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 2677/2011 (“sarebbe, con tutta evidenza, illogico imporre al Comune il dovere di rimuovere i rifiuti abbandonati su strada e sue pertinenze, di proprietà di soggetto terzo, poiché la relativa attività comporterebbe, come già osservato in giurisprudenza, l’occupazione della carreggiata con mezzi pesanti per la raccolta e il trasporto dei rifiuti, nonché il transito di operatori ecologici per le altre attività proprie della raccolta rifiuti, che sono oggettivamente incompatibili, o comunque interferenti, con il normale flusso della circolazione stradale. È soltanto l'ente proprietario o gestore della strada che, infatti, può razionalmente ed efficacemente programmare ed attuare ‘in sicurezza’, come vuole il Codice, la pulizia della strada e delle sue pertinenze, poiché solo essi possono programmare e gestire tutte le misure e le cautele idonee a garantire la sicurezza della circolazione e degli operatori addetti alle pulizie”). Analogamente, TAR Campania - Salerno, n. 1373/2015, cit.; T.A.R. Basilicata - Potenza, sez. I, 28 giugno 2010, n. 441; T.A.R. Campania - Napoli, n. 7428/2006, cit.

[21] Già C.G.A.R.S. 24 dicembre 2018, n. 1029 aveva reputato – in obiter – che la tesi sostenuta dal Comune, “nel senso della prevalenza e dell’applicabilità alla fattispecie in esame dell’art. 14 del codice della strada in luogo dell’art. 192 del d.lgs. 152/2006 (v. Cons. St. n. 2677/2011)”, fosse più persuasiva; tuttavia, tale tesi – ora consacrata dalla sentenza in commento – non risultava allora dirimente, atteso che in quel caso era mancata la previa comunicazione di avvio del procedimento, senza che l’ente proprietario intimato avesse avuto aliunde modo di (conoscere del e) partecipare al procedimento dal quale l’ordinanza sindacale promanava (diversamente da quanto avvenuto nel caso concreto esaminato dalla sentenza oggetto del presente contributo: v. nota 12).

[22] In terminis, Cons. Stato, n. 3256/2012, cit.

[23] In questo senso, conformemente alla chiara littera legis, Cons. Stato, sez. V, 17 luglio 2014, n. 3786; T.A.R. Campania - Napoli, Sez. V 29 aprile 2019, n. 2285; T.A.R. Campania - Napoli, sez. V, 3 ottobre 2018, n. 5783; TAR Puglia - Bari, sez. I, 24 marzo 2017, n. 287 e 30 agosto 2016, n. 1089.

[24] Cons. Stato, Sez. V, 14 marzo 2019, n. 1684.

[25] Cons. Stato, n. 3967/2019, cit. Già la cit. sentenza n. 7027/2009 del T.A.R. Lazio - Roma, in relazione all’asserita specialità dell’art. 14 c.d.s., affermava che “L’art. 14 del codice della strada, dunque, costituisce anche una norma speciale rispetto alla previsione di cui all’art. 192 del d.lgs. n. 152/2006 che, in materia di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti sul suolo, prevede l’obbligo di provvedere all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi non solo in capo agli autori dell’illecito, ma anche, in solido con essi, del proprietario e del titolare di diritti reali o personali di godimento sull'area, purché tale violazione sia loro imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Come si è visto, invece, l’obbligo di mantenere la pulizia delle strade e di loro pertinenze è imposto al proprietario dal citato art. 14 del codice della strada a prescindere dalla contestazione di un comportamento doloso o colposo”. Tra le pronunce non vi è, invero, alcuna contraddizione, ove solo si intenda che a poter prescindere dal requisito soggettivo è l’obbligo di intervento ex art. 14 nella sua obiettiva esistenza giuridica, e non la diversa ipotesi in cui detto obbligo resti inosservato, assurgendo a presupposto – da imputarsi necessariamente a titolo soggettivo – (giustificativo) dell’ordinanza sindacale emessa a norma dell’art. 192, co. 3, cod. amb. Sul punto, si veda infra, 4.

[26] In questo senso già T.A.R. Lecce, sez. I, 12 gennaio 2015, n. 109: “i doveri imposti dalla prima ‘colorano’ l’elemento psicologico della seconda, nel senso che laddove vi sia una violazione dell’art. 14 cit., ossia la violazione delle norme che impongono al proprietario e gestore delle strade la manutenzione, pulizia e controllo delle strade, risulta configurato l’elemento psicologico previsto dall’art. 192 cit.”. Da ultimo, T.A.R. Puglia - Lecce, sez. I, 1 marzo 2019, n. 351.

[27] Par. 10, già richiamato al par. 6.

[28] Sul principio di leale cooperazioni tra PP.AA., si rinvia, tra gli altri, a P. MARZARO, Leale collaborazione e raccordo tra amministrazioni. Su un principio del sistema a margine delle ‘riforme Madia’, in Federalismi.it, n. 23/2017, 1-44; M.R. SPASIANO, Il principio di buon andamento, in M. Renna - F. Saitta (a cura di), Studi sui principi del diritto amministrativo, Milano, 2012, 122 ss.; A. GRATTERI, La faticosa emersione del principio costituzionale di leale collaborazione, in E. Bettinelli - F. Rigano (a cura di), La riforma del Titolo V della Costituzione e la giurisprudenza costituzionale, Torino, 2004.

[29] Artt. 197 cod. amb. e 3 L. Reg. Sic. 8 aprile 2019, n. 9 (legge sulla “Gestione integrata dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati”). L’art. 3 ult. cit. individua le “Competenze delle Province” in materia, oggi da intendersi riferite alle Città metropolitane ovvero ai Liberi consorzi comunali (cfr. la L. Reg. Sic. 24 marzo 2014, n. 8, con cui si è provveduto alla “Istituzione dei liberi Consorzi comunali e delle Città metropolitane”, nonché la L. Re. Sic. 4 agosto 2015, n. 15, recante “Disposizioni in materia di liberi Consorzi comunali e Città metropolitane”). Sul punto, si veda la nota 4.

[30] Artt. 198 cod. amb. e 4 L. Reg. Sic. n. 9/2010, cit. L’art. 4 ult. cit. individua le “Competenze dei comuni”.

[31] Cfr. il comma 2 dell’art. 198 cod. amb., che impone ai comuni l’adozione di appositi regolamenti per disciplinare, tra l’altro, “le modalità del conferimento, della raccolta differenziata e del trasporto dei rifiuti urbani ed assimilati al fine di garantire una distinta gestione delle diverse frazioni di rifiuti e promuovere il recupero degli stessi” (lett. c).

[32] In tema, si veda anche Cons. Stato, sez. V, 14 marzo 2019, n. 1648, ove l’ordinanza sindacale con cui si ingiunge al concessionario dell’autostrada di eliminare rifiuti abbandonati in un tratto di quest’ultima viene ritenuta di per sé legittima in base all’art. 14 c.d.s., ma non “nella parte in cui ordina all’A.N.A.S. di procedere alla bonifica, decontaminazione e al risanamento igienico del sito in quanto si tratta di adempimenti che esorbitano dalle attività di gestione e pulizia delle strade configurandosi come una misura sanzionatoria per violazione del divieto di abbandonare i rifiuti (art. 192. D.lgs. n. 152 del 2006)”.

[33] Tale ultima disposizione, come visto (v. nota 5), obbliga alla rimozione, in solido con l’autore dell’abbandono, il proprietario del suolo che versi (almeno) in colpa, la quale può ravvisarsi anche (supra, 3.1) in una omissione (anteriore – quale mancata adozione di opportune cautele –, o successiva – quale tolleranza rispetto alla situazione creatasi – rispetto all’altrui condotta di abbandono dei rifiuti).

[34] Una diversa ricostruzione, alla cui stregua tuttavia non muterebbe il risultato pratico di inquadrare nell’art. 192, co. 3, ult. per., cod. amb. l’ordinanza sindacale motivata ai sensi dell’art. 14 c.d.s., potrebbe ravvisare nell’inosservanza degli obblighi sanciti da quest’ultima disposizione – nelle ipotesi di cui al testo (luogo di abbandono appartenente al demanio stradale) – non già una peculiare ipotesi di obbligo sorto ex art. 192, co. 3, primo periodo, quanto piuttosto un diverso presupposto succedaneo: in quest’ottica, il dovere ex art. 14 c.d.s., ove rimasto inadempiuto, finirebbe per “surrogare” l’obbligo che sorge ai sensi del primo periodo, terzo comma, art. 192 cod. amb., legittimando l’adozione dell’ordinanza sindacale.

[35] Ciò presuppone – come peraltro sembra ritenere anche la giurisprudenza – che l’illecito del proprietario abbia carattere permanente e che il concetto di “abbandono” di cui al primo comma dell’art. 192 cod. amb. debba intendersi, allorché la violazione sia imputabile (anche) al proprietario, come “stato” (di abbandono, appunto). Diversamente, il proprietario risponderebbe solo per omessa vigilanza anteriore all’abbandono dei rifiuti ad opera di terzi, e non anche per l’omesso apprestamento dei necessari interventi di rimozione. Tale considerazione, a ben vedere, schiude una terza ricostruzione possibile, oltre alle due già tratteggiate (al testo ed alla nota precedente), che ravvisi il quid di specialità-complementarità dell’art. 14 c.d.s. proprio nella estensione del precetto ex art. 192, co. 3, cod. amb. anche alle ipotesi in cui la condotta colposa del proprietario dell’area abbia natura susseguente (all’abbandono), sostanziandosi – come nel caso di specie – nell’omissione della doverosa attività di rimozione (quale species della attività di “pulizia”) di rifiuti che siano stati in precedenza abbandonati da terzi indipendentemente dalla eventuale culpa in vigilando del medesimo proprietario.

[36] È penoso constatare che tutti i precedenti giurisprudenziali rinvenuti in materia, citati in questo scritto, sono stati resi (in primo grado) da Tribunali amministrativi delle Regioni del Centro e, soprattutto, del Meridione.