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Anno XVI - n. 10 - Ottobre 2024

  Studi



Questioni in tema di proroghe delle concessioni balneari.

Di Davide Cozzolino
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Questioni in tema di proroghe delle concessioni balneari

 

Di  Davide Cozzolino

 

Abstract

Il presente elaborato tende ad analizzare l’articolata problematica delle imparziali e trasparenti gare pubbliche da indire entro il 31/12/2023, per le concessioni dei territori demaniali dello Stato italiano, con decorrenza dal 01/01/2024.

Al riguardo, si cercherà di ragionare sull’osmosi che intercorre tra il diritto euro-unitario e quello domestico, in ragione della sopravvenuta esegesi dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, di cui alle sentenze nn. 17 e 18 del 2021.

Infine, ci si soffermerà sull’azione di condanna giurisdizionale, interrogandosi sulla sua possibile ammissibilità nei confronti dello Stato italiano legislatore, in caso di danno ingiusto sofferto dal concessionario operatore economico.

 

This essay is oriented to analyze the complex issue of impartial and transparent public procurement to hold by the date of December 31st, 2023, with regard to concessions of the Italian state property territories with effect from January 1st, 2024.

In this regard, we will try to reason on the osmosis that exists between European and Italian law (i.e. domestic law) as a result of exegesis of the Plenary Assembly of the Italian Council of State referred to in judgments nos. 17 and 18 of 2021.

Finally, we will focus on the action for judicial conviction, questioning its possible admissibility against the Italian State legislature, in case of unjust damage suffered by the economic operator concessionaire.

 

Sommario: 1. Introduzione – 2. Il caso e la questione giuridica – 3. I beni pubblici nell’ordinamento giuridico nazionale ed euro-unitario – 4. Rapporto tra le fonti dell’Unione europea e quelle nazionali – 5. La concessione/autorizzazione e la direttiva Bolkenstein – 6. I principi di diritto enunciati dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale – 7. Considerazioni conclusive.

 

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, ha messo fine alla questione delle proroghe nazionali delle concessioni demaniali dichiarandole illegittime, per la violazione del diritto comunitario (rectius diritto dell’Unione europea), ma con efficacia di quelle in essere sino al 31/12/2023[1].

Il presente saggio, pertanto, intende illustrare le questioni giuridiche che hanno determinato la soluzione adottata dal giudice della nomofilachia amministrativa rispetto alla legge provvedimento, che ha previsto la loro proroga automatica e generalizzata fino al 31/12/2033[2], tenendo conto anche dei motivi presupposti alla delega di riforma della materia in esame conferita al Governo della Repubblica italiana[3][4], poi licenziata anche nell’art. 10-quater, co. 3, del D.L. n. 198/2022[5] convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 14/2023, il quale è stato, però, già stigmatizzato nella sua portata applicativa dall’esegesi della Sezione Sesta del Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, di cui alla sentenza n. 2192/2023[6].

In tale ambito, ci si soffermerà sulla nozione di beni pubblici riconosciuta dall’ordinamento giuridico nazionale e da quello euro-unitario muovendo la trattazione dal rapporto tra le fonti dell’Unione europea e quelle nazionali e facendo cenno anche all’esegesi della Corte di giustizia dell’UE, che è approdata alla tesi che la concessione è un’autorizzazione[7]

Nel proseguo dell’illustrazione, poi, la riflessione poggerà sulla direttiva Bolkenstein[8], vagliando il rapporto giuridico pubblico secondo i principi solidaristici di buona fede oggettiva e di affidamento legittimo[9], osservando, tuttavia, come l’affidamento legittimo di derivazione europea non ammette condotte opportunistiche di tutela[10].

Cosicché, si trascinerà il lettore nell’analisi della teoria dei common goods (id est beni comuni)[11].

Infine, ci s’intratterrà sull’accezione di risarcimento del danno ingiusto e sugli strumenti di tutela apprestati dall’ordinamento giuridico italiano[12], in caso di legge provvedimento in contrasto con il diritto europeo accessibile e prevedibile e con la Costituzione repubblicana del 1948.

 

  1. Il caso e la questione giuridica

 Le decisioni n. 17/2021 e n. 18/2021 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, conseguono a due ricorsi proposti rispettivamente avverso le sentenze n. 504/2021 del Tribunale amministrativo regionale (in proseguo “TAR”) per la Sicilia sede di Catania, Sezione Terza e n. 73/2021 del TAR per la Puglia sede di Lecce, Sezione Prima, che, tuttavia, si distinguono per la loro antitesi, nonostante la coincidenza della causa petendi e/o del petitum sostanziale.

Ed invero, da una lato la sentenza n. 504/2021 del TAR per la Sicilia sede di Catania, Sezione Terza, ha respinto il ricorso proposto da un operatore economico già titolare di una concessione demaniale marittima, che aveva impugnato il decreto di rigetto dell’istanza di estensione della sua validità, ai sensi della Legge n. 145/2018, dando continuità alla pronuncia n. 7874/2019 della Sezione Quarta del Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, sull’applicabilità dei principi di diritto dell’Unione europea di libera circolazione dei servizi, di par condicio, d’imparzialità e di trasparenza, in adesione ai criteri enunciati dall’esegesi della Corte di giustizia dell’UE[13].

Mentre, dall’altro lato la sentenza n. 73/2021 del TAR per la Puglia sede di Lecce, Sezione Prima, ha accolto il ricorso proposto dal titolare di un’altra concessione demaniale marittima e per l’effetto annullato i relativi provvedimenti, con cui l’autorità comunale ha respinto l’istanza di proroga prevista dalla stessa Legge n. 145/2018, perché è stato ritenuto che l’Amministrazione ha illegittimamente disapplicato la legge nazionale, che prevede la proroga delle concessioni demaniali. Pertanto, il portato motivazionale di questa ultima ermeneutica poggia sulla impostazione che nel caso delle proroghe demaniali non può trovare applicazione l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE, tenuto conto della sua non precettività self-executing e della carenza del vincolo di disapplicazione della legge domestica, con essa in contrasto, da parte dell’Organo amministrativo, essendo questo accertamento rimesso al solo prudente apprezzamento del Giudice e precluso all’Amministrazione.

Per il suesposto manifesto contrasto giurisprudenziale, con il decreto n. 160/2021, il Presidente del Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, accertata la particolare rilevanza economico-sociale della materia in contestazione e della questione, ha deferito ex officio l’affare all’Adunanza Plenaria, ai sensi dell’art. 99, co. 2, del c.p.a., al fine di assicurare certezza e uniformità di applicazione del diritto sia in sede amministrativa, sia in quella giurisdizionale, rimettendo all’esame del massimo organo della giustizia amministrativa le seguenti questioni di diritto: “1) se sia doverosa, o no, la disapplicazione, da parte della Repubblica Italiana, delle leggi statali o regionali che prevedano proroghe automatiche e generalizzate delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative; in particolare, se, per l’apparato amministrativo e per i funzionari dello Stato membro sussista, o no, l’obbligo di disapplicare la norma nazionale confliggente col diritto dell’Unione europea e se detto obbligo, qualora sussistente, si estenda a tutte le articolazioni dello Stato membro, compresi gli enti territoriali, gli enti pubblici in genere e i soggetti ad essi equiparati, nonché se, nel caso di direttiva self-excuting, l’attività interpretativa prodromica al rilievo del conflitto e all‘accertamento dell’efficacia della fonte sia riservata unicamente agli organi della giurisdizione nazionale o spetti anche agli organi di amministrazione attiva; 2) nel caso di risposta affermativa al precedente quesito, se, in adempimento del predetto obbligo disapplicativo, l’amministrazione dello Stato membro sia tenuta all’annullamento d’ufficio del provvedimento emanato in contrasto con  la normativa dell’Unione europea o, comunque, al suo riesame ai sensi e per gli effetti dell’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990 e s.m.i., nonché se, e in quali casi, la circostanza che sul provvedimento sia intervenuto un giudicato favorevole costituisca ostacolo all’annullamento d’ufficio; 3) se, con riferimento alla moratoria introdotta dall’art. 182, comma 2, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, come modificato dalla legge di conversione 17 luglio 2020, n. 77, qualora la predetta moratoria non risulti inapplicabile per contrasto col diritto dell’Unione europea, debbano intendersi quali «aree oggetto di concessione alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto» anche le aree soggette a concessione scaduta al momento dell’entrata in vigore della moratoria, ma il cui termine rientri nel disposto dell’art. 1, commi 682 e seguenti, della legge30 dicembre 2018, n. 145”.

 

  1. I beni pubblici nell’ordinamento giuridico nazionale ed euro-unitario

Il fondamento normativo dei beni pubblici è scolpito nell’art. 42 della Costituzione repubblicana del 1948[14] e nelle previgenti disposizioni degli artt. 822[15], 823[16], 824[17], 825[18] e 826[19] del codice civile del 1942[20] da cui è possibile enucleare i seguenti loro elementi caratteristici: a. soggettività pubblica; b. incommerciabilità; c. ius excludendi omnes alios[21].

Viceversa, la definizione dei beni del demanio marittimo è possibile rinvenirla nell’art. 28 del codice della navigazione[22], il quale all’art. 31 ne detta anche la disciplina d’uso[23] ed all’art. 36 ne sancisce le eventuali modalità di  concessione[24].

Alla luce della surriferita breve premessa di ordine generale ed allo stato della trattazione, l’illustrazione può dipanarsi sulla stratificazione dei valori fondamentali della persona umana, della comunità e dello Stato democratico, in virtù di peculiari caratteristiche di alcune categorie giuridiche dei beni pubblici.

Difatti, è un dato incontrovertibile che con il passare degli anni, che si sono susseguiti dalla pubblicazione del codice civile del 1942, è emersa la fragilità della categoria demaniale storica a perseguire la funzione sociale, poiché ormai ritenuta inidonea a garantire la tutela dei diritti fondamentali ed a conservare, in un contesto di forte competizione transfrontaliera, lo status d’inalienabilità nel mercato interno dell’Unione europea, in cui la libertà di movimento e di stabilimento[25] di persone, di beni e di servizi non ammette più distorsioni della concorrenza[26].

Tale nuovo e più ambizioso modo d’intendere i beni pubblici trae la sua legittimazione nell’interpretazione costituzionalmente e comunitariamente orientata delle stesse norme del codice civile del 1942, secondo la teoria dell’evoluzione della legge[27].

In particolare, perché le diverse crisi economiche, che si sono susseguite nel tempo hanno affievolito il modo di accettare lo Stato sociale ed il rapporto con i cittadini, a causa del depauperamento delle già precarie risorse economiche e finanche diventando la spinta che ha poi favorito le politiche di privatizzazione di beni pubblici.

In linea con tale prospettazione si segnala il fenomeno della privatizzazione degli anni ’90 di stampo liberista e di diritto europeo, che ha limitato, tuttavia, il libero accesso ed il pieno godimento della res, in termini di sua fruibilità da parte della collettività.

Inoltre, la procedura di cartolarizzazione[28], con cui è stata trasferita a società per azioni la valorizzazione, la gestione e l’alienazione del patrimonio dello Stato italiano nel rispetto dei requisiti e delle finalità proprie dei beni pubblici[29], consentendo l’ampliamento di questa possibilità anche a favore delle autonomie locali[30].

 Il divenire di tale percorso di privatizzazione e di cartolarizzazione dei beni pubblici ha, comunque, fertilizzato l’affermarsi della tesi dei cosiddetti beni comuni[31], con cui si esula da ogni logica economica e dinamica commerciale e si tende, per contro, a recuperare l’adempimento dell’interesse sociale, che si è [ era ] perso nel privilegiare la funzione privata, la quale ha messo in risalto la difficoltà dello Stato di fare fronte ai bisogni sociali.

 Cosicché, il punto di equilibrio tra l’esigenza di privatizzazione, per motivi di contenimento della finanza, e l’interesse pubblico collettivo è stato ricondotto ad unità con una attenta riflessione giuridica, oltre che teleologica, del servizio alla collettività a cui deve essere orientata la proprietà in generale come “funzione sociale” (art. 42 della Costituzione).

Il raggiungimento di questa nuova modalità d’intendere la gestione dei beni demaniali è il punto di arrivo del percorso motivazionale inaugurato dalla storica sentenza della Cassazione romana del 1887 pubblicata nel vigore dello Statuto albertino promulgato nel 1848[32], per i diritti di uso pubblico di “Villa Borghese” dei singoli componenti della comunità del popolo romano di passeggiare nei suoi giardini privati.

Segnatamente, con il riconoscimento ai cittadini di una posizione qualificata di uso pubblico anche degli spazi di proprietà privata qualora gli stessi hanno acquisito, per il loro lungo uso nel tempo, una peculiare funzione sociale[33].

In segno di continuità con questa esegesi si segnala la successiva giurisprudenza delle Sezioni Unite Civili della Suprema Corte di Cassazione dello Stato repubblicano, che nel più recente passato dell’anno 2011 si sono occupate della problematica delle “Valli da pesca” della laguna veneta, in cui è stata data una nuova nozione di bene comune di tipo funzionale, anche se è stata confermata la natura demaniale dei beni (artt. 2, 9 e 42 della Costituzione).

Ne consegue una palmare nuova dimensione giuridica dei beni pubblici, che si allontana dal carattere di esclusività pubblica, per abbracciare una impostazione di solidarietà sociale.

Questa, infatti, è la nozione di “bene ad uso comune” (common goods), che, in definitiva, ha condizionato l’iter logico ragionato è motivato seguito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale[34], come nuovo modo d’intendere il rapporto di fruibilità da parte della collettività del demanio pubblico, indipendentemente dalla preventiva destinazione datagli dal legislatore.  

 

  1. Rapporto tra le fonti dell’Unione europea e quelle nazionali

L’ordinamento comunitario è un sistema autonomo di norme di natura sovranazionale rispetto a quello domestico ed unico nel panorama internazionale, per la sua peculiarità di creare obblighi non solo per gli Stati membri, che ne fanno parte, ma anche diritti per i loro cittadini, a causa della cessione di sovranità che i Paesi che ne fanno parte hanno consentito con l’appartenenza all’Unione europea [35].

Sicché, il rapporto tra le fonti di diritto europee e quelle nazionali è sempre di tipo verticale discendente e giammai ascendente.

Fatta questa sistematica premessa d’inquadramento generale è doveroso constatare, inoltre, che l’ordinamento comunitario non prevede posizioni d’interesse legittimo da tutelare ma solo di diritto soggettivo, come nel caso del diritto ad una buona amministrazione scolpito nell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Nonostante ciò, però, non si può neppure sottacere che lo stesso ordinamento europeo intercetta mediatamente una posizione soggettiva attiva d’interesse legittimo nella misura in cui la prevede come aspettativa ad un’azione amministrativa corretta nel 122° considerando della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26/04/2014 sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE.

Conseguentemente, il rapporto tra le fonti dell’Unione europea e quelle nazionali va indagato alla luce del rapporto assiologico verticale d’integrazione degli ordinamenti giuridici.

Al riguardo, l’esegesi della Corte Costituzionale, condivisa anche dalle Sezioni Civili e Lavoro della Suprema Corte di Cassazione, oltre che dal Consiglio di Stato, riposa sull’impostazione che in caso di contrasto tra il diritto euro-unitario e quello nazionale, l’autorità giurisdizionale e/o amministrativa domestica devono disapplicare la normativa di riferimento italiana favorendo la risoluzione della fattispecie concreta mediante l’attuazione di quella europea fornita di efficacia diretta, attesa la sua primazia secondo la teoria dei contro-limiti rappresentati dal nocciolo duro degli intangibili principi generali scolpiti nella Costituzione repubblicana[36].

Tanto è vero che la legittimazione ad attivare l’eventuale giudizio incidentale di costituzionalità può essere sollevato dagli Organi del potere giudiziario (id est giudice a quo) solo quando non si può dare un’interpretazione orientata al Testo costituzionale di una disposizione legislativa e non nel caso in cui, invece, ne potrebbe conseguire  un’esegesi in violazione di esso[37].

Tale approdo giurisprudenziale di primazia del diritto comunitario è stato recentemente confermato anche nell’ermeneutica dell’Organo di ultima istanza nazionale del giudice della nomofilachia amministrativa nella sua massima composizione[38], a seguito dei sopravvenuti recenti arresti della Corte delle leggi[39] e della Corte di giustizia dell’UE[40] [41], in materia di limiti esterni alla giurisdizione, per violazione del diritto comunitario[42].

Va da sé che il dibattito sulla natura self-executing o meno delle fonti del diritto euro-unitarie riguarda solo le direttive e non i regolamenti, per i quali non si dubita della loro diretta applicazione.

Invero, l’art. 288, paragrafo 3, del TFUE, sancisce che: “(…). La direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi. (…)”.

Alla luce di ciò, la Corte di giustizia dell’UE[43] ha individuato alcune tipologie di direttive, che sono dotate di efficacia diretta nell’ambito dei singoli ordinamenti nazionali quando le stesse presentano le seguenti specificità:

  1. prevedono integralmente o in alcune parti di esse un obbligo negativo imponendo ai destinatari di non tenere un determinato comportamento;
  2. pur essendo prive di carattere innovativo si limitano a confermare, chiarendone la portata, le norme già previste dai Trattati;
  3. prevedono degli obblighi aventi un contenuto sufficientemente chiaro e preciso, con correlativa attribuzione di diritti a favore dei singoli, nitidamente individuabili nella loro portata da non lasciare margine di discrezionalità incondizionato agli Stati, nella misura in cui non è richiesta l’emanazione di ulteriori atti (cosiddette direttive dettagliate o self-executing), tradendo la loro indole fisiologicamente incompleta.

In tali casi, la direttiva dovrà essere applicata direttamente dal giudice nazionale senza che lo Stato inadempiente possa prendere a pretesto la mancata attuazione della direttiva al fine di disconoscere le posizioni dalla stessa compiutamente conferite.

Infine, si precisa che in tema di primazia del diritto comunitario anche le sentenze della Corte di giustizia dell’EU hanno una efficacia diretta ed erga omnes, per gli ordinamenti degli Stati membri, perché il  vincolo riguarda non solo il giudice nazionale che ha sollevato il rinvio ma anche gli altri giudicanti, che saranno chiamati a statuire sulla medesima causa nei diversi gradi del giudizio, i quali dovranno sollecitare una nuova pronunzia, in via pregiudiziale, della stessa Corte di giustizia dell’UE, qualora intendano offrire elementi nuovi non esaminati precedentemente dal giudice di Lussemburgo ovvero indurre la medesima Corte di giustizia dell’UE ad un eventuale revirement della storica posizione dichiarata.

In tale contesto, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale è pervenuta all’esegesi che si valorizza nella massima che reputa le sentenze pregiudiziali interpretative della Corte di giustizia dell’UE avere la stessa efficacia vincolante delle disposizioni interpretate.

Difatti, per i giudici di Palazzo Spada la decisione della Corte euro-unitaria in sede di rinvio pregiudiziale, oltre a vincolare il giudice che ha sollevato la questione, spiega i suoi effetti anche rispetto a qualsiasi altro caso che debba essere deciso in applicazione della medesima disposizione di diritto.

Quindi, la sentenza interpretativa pregiudiziale della Corte di giustizia dell’UE è equiparabile ad una sopravvenienza normativa, la quale, incidendo su un procedimento ancora in corso di svolgimento e su un tratto d’interesse non coperto dal giudicato non determina un conflitto ma una successione cronologica di regole, che disciplinano la medesima situazione giuridica[44].

In conclusione, in ragione delle suesposte riflessioni, si può approdare alla soluzione che il rapporto tra diritto comunitario e nazionale è improntato alla primazia di quello europeo e che in caso di conflitto, di contraddizione o d’incompatibilità tra una norma comunitaria direttamente applicabile ed una interna, la prima prevale sistematicamente sulla seconda, sia essa precedente o successiva.

 

  1. La concessione/autorizzazione e la direttiva Bolkenstein

La problematica delle proroghe delle concessioni demaniali marittime, per fini turistico-ricreativi, deve essere equamente ponderata, con i vincoli discendenti dal diritto comunitario, incisi nell’art. 49 del TFUE, in coordinato disposto con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12/12/2006 relativa ai servizi nel mercato interno (cosiddetta direttiva Bolkenstein)[45], perché connotata da ipotesi di restrizione alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vietata dal diritto comunitario.

 Alla luce di tale premessa, allora, il punto nodale è costituito dai seguenti elementi costitutivi della fattispecie:

  1. risorse naturali scarse;
  2. legittimo affidamento;
  3. interesse transfrontaliero certo, in relazione a criteri geografici, tecnici ed economici.

Tale approccio logico d’indagine è stato seguito nel percorso mosso   dalla sentenza del 14/07/2016 della Quinta Sezione della Corte di giustizia dell’UE, nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15 (caso Promoimpresa), con cui il giudice europeo nel chiarire che la concessione prevista dal diritto nazionale italiano altro non è per quello comunitario che un’autorizzazione[46] ha definitivamente dichiarato che la direttiva Bolkestein osta al rinnovo automatico dei diritti esclusivi di sfruttamento dei beni del demanio pubblico marittimo e lacuale in Italia.

È appena il caso di precisare, comunque, che questa posizione ermeneutica poggia sulla teoria che privilegia la tesi che il demanio dello Stato è il luogo e lo strumento naturale di esercizio dei diritti umani di libertà fondamentali da proteggere come tale ed a titolo conservativo, in virtù delle utilità che esso procura e non per ultimo per l’esercizio delle libertà individuali e collettive, che per il suo tramite possono essere attuate, per motivi di solidarietà sociale.

D’altra parte, ciò che viene messo in evidenza ai fini di demarcare l’obbligo degli Stati d’indire una gara di appalto, per l’affidamento della gestione di beni pubblici demaniali, con cui poi vengono offerti nel mercato una serie di servizi di pubblica utilità collettiva, è la scarsità delle ricorse naturali, che deve essere accertata dal giudice nazionale, caso per caso, al fine di valutare la possibilità dell’affidamento in concessione (rectius autorizzazione) solo nella denegata ipotesi in cui il bene, viceversa, non appartenga alla categoria di quelli scarsi ma facilmente reperibili in natura da tutti[47].

Peraltro, un ulteriore nevralgico profilo d’indagine è il principio del legittimo affidamento di matrice europea, anch’esso da valutare caso per caso e sicuramente non tutelato dalle proroghe automatiche e unitamente all’interesse transfrontaliero certo sui beni pubblici riconducibile a peculiari criteri geografici, tecnici ed economici[48].

Di talché, facendo proprie le direttrici esegetiche del giudice europeo è possibile ritenere condivisibile la tesi assiologica che rispetta l’accesso alle attività autonome e al loro esercizio, per motivi di divieto di tutte quelle condotte opportunistiche che tendono a restringere e falsare la concorrenza nel mercato interno dell’Unione europea, perché l’approccio alla materia da privilegiare è quello di gestione dei public goods con una durata limitata nel tempo e del divieto di proroghe automatiche da parte degli Stati membri, i quali, comunque, possono tenere conto, nel caso concreto, di motivi imperativi d’interesse generale da tutelare.

In definitiva, perché non è ammesso il radicarsi di alcuna posizione di affidamento legittimo di buona fede nel concessionario, neppure per consentirgli di ammortizzare gli investimenti effettuati, quando viene violato il diritto comunitario, con proroghe disposte da una legge nazionale che osta a quanto previsto dall’art. 49 del TFUE, in relazione all’art. 12 della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12/12/2006.

 

  1. I principi di diritto enunciati dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

 

Con le sentenze nn. 17 e 18 del 2021 l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale ha risposto ai quesiti giuridici a lei rimessi con il decreto n. 160/2021 del Presidente del Consiglio di Stato stesso enunciando, ai sensi dell’art. 99 c.p.a.[49], il seguente   principio di diritto: “(…). 1. Le norme legislative nazionali che hanno disposto (e che in futuro dovessero ancora disporre) la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative - compresa la moratoria introdotta in correlazione con l’emergenza epidemiologica da Covid-19 dall’art. 182, comma 2, d.l. n. 34/2020, convertito in legge n. 77/2020 - sono in contrasto con il diritto eurounitario, segnatamente con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE. Tali norme, pertanto, non devono essere applicate né dai giudici né dalla pubblica amministrazione. 2. Ancorché siano intervenuti atti di proroga rilasciati dalla P.A. (e anche nei casi in cui tali siano stati rilasciati in seguito a un giudicato favorevole o abbiamo comunque formato oggetto di un giudicato favorevole) deve escludersi la sussistenza di un diritto alla prosecuzione del rapporto in capo gli attuali concessionari. Non vengono al riguardo in rilievo i poteri di autotutela decisoria della P.A. in quanto l’effetto di cui si discute è direttamente disposto dalla legge, che ha nella sostanza legificato i provvedimenti di concessione prorogandone i termini di durata. La non applicazione della legge implica, quindi, che gli effetti da essa prodotti sulle concessioni già rilasciate debbano parimenti ritenersi tamquam non esset, senza che rilevi la presenza o meno di un atto dichiarativo dell’effetto legale di proroga adottato dalla P.A. o l’esistenza di un giudicato. Venendo in rilievo un rapporto di durata, infatti, anche il giudicato è comunque esposto all’incidenza delle sopravvenienze e non attribuisce un diritto alla continuazione del rapporto. 3. Al fine di evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere, di tener conto dei tempi tecnici perché le amministrazioni predispongano le procedure di gara richieste e, altresì, nell’auspicio che il legislatore intervenga a riordinare la materia in conformità ai principi di derivazione europea, le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere continuano ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023, fermo restando che, oltre tale data, anche in assenza di una disciplina legislativa, esse cesseranno di produrre effetti, nonostante qualsiasi eventuale ulteriore proroga legislativa che dovesse nel frattempo intervenire, la quale andrebbe considerata senza effetto perché in contrasto con le norme dell’ordinamento dell’U.E.. (…)”.

  A tale riguardo, tuttavia, e prima di approfondire le basi giuridiche su cui poggia il percorso logico giuridico seguito dal giudice della nomofilachia amministrativa, giova osservare che attraverso l’istituto del principio di diritto enunciato giurisdizionalmente nell’interesse della legge ex art. 99 del c.p.a. si amplia nell’ordinamento giuridico domestico, orientato a principi di civil law, proprio il significato della stessa legge, attraverso la sua conformazione  all’accezione sostanziale ammessa nell’ordinamento comunitario ed in quello internazionale, perché riconducibile anche alla giurisprudenza consolidata, che si connota dei principi di accessibilità e di prevedibilità, come diritto vivente, in quanto risultante della interpretazione costante dei Tribunali[50]

Pertanto, tenuto conto del tenore delle statuizioni dispositive contenute nel citato principio di diritto, si può riflettere sul fatto che il giudicante amministrativo, nella sua massima composizione, ha assunto una posizione evolutiva e coraggiosa, in funzione di giudice nazionale di presidio di legalità del diritto europeo, mediante l’anticipazione dell’effetto conformativo a cui è obbligata l’amministrazione, il quale modula nel tempo, per effetto delle sentenze in approfondimento, il principio di diritto enunciato dell’obbligo delle gare, al fine di colmare il vuoto normativo in vigore nell’ordinamento nazionale, con una sensibilità attenta a risolvere i rapporti di frizione tra il diritto comunitario e quello domestico sui seguenti interrogativi:

  1. si applica la direttiva cosiddetta Bolkenstein alle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative nel vigore dell’art. 1, co. 682 e 683, della Legge n. 145/2018, il quale dispone la proroga automatica e generalizzata fino al 31/12/2033 delle concessioni demaniali in essere?
  2. come vanno interpretati i beni pubblici demaniali alla luce del diritto comunitario e nazionale?
  3. che succede ai rapporti giuridici pubblici conseguiti alle concessioni in essere fino al 31/12/2033, per gli effetti di quanto previsto dall’art. 1, co. 682 e 683, della Legge n. 145/2018 e dall’art. 49 del TFUE e dall’art. 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12/12/2006?

Alla prima domanda è stata data risposta affermativa, in ragione della tesi dell’atto amministrativo ricognitivo emesso in attuazione della legge provvedimento di estensione delle proroghe delle concessioni in essere, ai sensi dell’art. 1, co. 682 e 683, della Legge n. 145/2018.

Tanto è vero che la questione critica è stata risolta ritenendo che l’obbligo di non applicare la legge nazionale anti comunitaria gravi non solo sul giudice ma anche sull’apparato amministrativo, pure nei casi in cui il contrasto riguardi una direttiva self-executing.

A supporto di questa conclusione è stato enucleato l’approdato a cui è pervenuta la Quinta Sezione della Corte di giustizia dell’UE, con la sentenza del 14/07/2016, nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15, nel caso Promoimpresa s.r.l., con cui il giudice europeo ha dichiarato che: “(…). 1) L’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, deve essere interpretato nel senso che osta a una misura nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico-ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati. 2) L’articolo 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che consente una proroga automatica delle concessioni demaniali pubbliche in essere per attività turistico-ricreative, nei limiti in cui tali concessioni presentano un interesse transfrontaliero certo. (…)”.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, pertanto, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, ha ritenuto che il diritto dell’Unione europea impone che il rilascio o il rinnovo delle concessioni demaniali marittime o lacuali, oppure fluviali, debba avvenire all’esito di una procedura di evidenza pubblica, con conseguente incompatibilità della disciplina nazionale, che prevede la proroga automatica ope legis fino al 31/12/2033 delle concessioni in essere.

In tale ambito, è stato valorizzato l’interesse transfrontaliero, come requisito di specie certo, che la Corte di giustizia dell’UE rimette al prudente apprezzamento del giudice nazionale, in quanto le risorse naturali in esame sono scarse sotto l’aspetto qualitativo e non solo quantitativo, atteso che quelle ancora potenzialmente concedibili sono poche e ricadono nel più ampio significato di autorizzazione disciplinato dall’art. 12 direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12/12/2006 relativa ai servizi nel mercato interno (cosiddetta direttiva Bolkenstein).

Il portato motivazionale di questa esegesi è stato motivato anche in ragione della peculiare normativa di riferimento in vigore in Italia, di cui all’art. 45-bis del codice della navigazione[51], il quale consente al concessionario, previa autorizzazione dell’Autorità competente, di affidare ad altri soggetti la gestione delle attività oggetto della concessione o di attività secondarie nell’ambito della stessa concessione.

Da qui, l’argomento dirimente dell’interesse transfrontaliero certo come opportunità di guadagno, che va ben al di là del contenuto costo di concessione sostenuto dal concessionario, con il rilascio del provvedimento dell’Amministrazione, che, a legislazione nazionale invariata, da una parte non porta alla conclusione di un contratto di appalto e dall’altra consente di gestire dei beni pubblici, che per la loro bellezza naturale sono valutati unitariamente e complessivamente come uno dei patrimoni unici dal punto di vista naturalistico e sono, per questa ragione, i più attrattivi del mondo.

In tale prospettiva, quindi, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, ha dato risposta anche al secondo interrogativo ribadendo la sua visione esegetica sostanzialistica dei beni pubblici (common goods), con l’equiparazione delle concessioni alle autorizzazioni alla luce della direttiva Bolkenstein e di quanto accertato dal giudice euro-unitario nella decisione del 14/07/2016 della Quinta Sezione della Corte di giustizia dell’UE nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15.

Infine, sempre il medesimo giudice amministrativo nella sua massima composizione ha dato risposta anche alla terza domanda.

Questa ultima è intrinsecamente contenuta negli inediti effetti conformativi, con l’esigenza di plasmare nel tempo la soluzione individuata, per fini di attenzione economica e d’impatto della decisione sulle situazioni in essere mitigando l’impossibilità di riconoscere un affidamento legittimo di buona fede oggettiva degli operatori economici in una legge provvedimento nazionale che viola il diritto comunitario e gli effetti temporali della sentenza, che vengono ancorati al termine del 31/12/2023, come limiti massimo di efficacia  delle concessioni in essere, oltre il quale le stesse cesseranno di produrre effetti, nonostante qualsiasi eventuale proroga legislativa in contrasto con il diritto dell’UE, che nel frattempo dovesse intervenire e dell’obbligo dell’amministrazione d’indire le gare di appalto.

 

  1. Considerazioni conclusive

L’avvincente percorso logico giuridico motivazionale seguito dal giudice amministrativo, nella sua massima composizione, dovrebbe condurre a riflettere sulla funzione giurisdizionale domestica, come presidio di legalità del diritto comunitario e del suo ruolo di giudice europeo, quando nel contrasto tra le norme euro-unitarie e quelle nazionali, è chiamata a disapplicare queste ultime, per la primazia delle prime rispettose del nocciolo duro intangibile dei principi generali costituzionali posti a presidio dei diritti umani.

D’altra parte, quella di giudicante è, comunque, una funzione sovrana dello Stato, così come lo sono tutte quelle che trovano il loro primo diretto referente nell’art. 1, co. 2, della Costituzione, di cui quella legislativa ne è una diretta espressione costituente la stessa esistenza delle Repubblica democratica fondata sul lavoro.  

Tale ordine di considerazioni sembra, peraltro, trovare conferma proprio per la funzione legislativa nell’art. 70 del Testo costituzionale repubblicano, come espressione di quella sovranità che appartiene al popolo e che viene esercitata per il tramite delle Camere del Parlamento nelle forme e nei modi dallo stesso previsti.

La prova dirimente di tale teoria può essere ricondotta al verbo utilizzato di “appartiene” inciso nel co. 2 dell’art. 1 della stessa Costituzione[52], che è un indice intenso dell’esistenza di un inscindibile legame tra il potere sovrano ed i singoli soggetti che costituiscono il popolo.

Donde, è palmare che l’esercizio della funzione del potere legislativo trova i suoi limiti proprio nei vincoli costituzionali, che sono posti a tutela del loro corretto esercizio, in quanto promanano dal potere sovrano ma come appartenenza precisa al popolo.

Alla luce di queste considerazione occorre, allora, interrogarsi sul se l’esercizio del potere sovrano legislativo non conforme al Testo costituzionale repubblicano possa essere suscettibile di cagionare un danno ingiusto, ai sensi dell’art. 2043 del codice civile e dell’art. 30 del codice del processo amministrativo, come tale sindacabile in sede giurisdizionale rispetto alla sua immunità secondo il normale principio del neminem laedere.

In particolare, perché è noto che gli spazi d’irresponsabilità nell’esercizio della funzione sovrana legislativa trovano conferma nella teoria dell’atto politico, la quale riposa sull’insindacabilità degli atti di espressione di un potere politico, così come, peraltro, è previsto dall’art. 7, co. 1, secondo paragrafo, del codice del processo amministrativo, perché si ritiene, in via generale, che un atto politico tecnicamente non possa generare un illecito.

Di contro, però, all’attento lettore non sfuggirà la criticità derivante dall’attuale contesto d’integrazione verticale degli ordinamenti, che può sterilizzare l’atto politico nella sua essenza di libertà sia nell’an, sia nel quomodo, proprio in ragione dei vincoli derivanti dall’ordinamento europeo di diretta applicazione in quello domestico, ai sensi degli artt. 11 e 117, co. 1, della Costituzione[53].

Sennonché, pur rimanendo aperto questo dibattito, si ritiene che per la funzione legislativa è discusso il sorgere della responsabilità dello Stato proprio per il carattere generale ed astratto degli atti legislativi, che di regola non sembrerebbero potere ledere le posizioni giuridica dei singoli.

Ma è proprio su questo punto nodale che occorre riflettere, atteso che nel caso di specie approfondito tale tesi pare essere suffragata dal fatto che si discute della funzione sovrana legislativa esercitata per il tramite di una legge provvedimento, in materia di concessioni demaniali marittime per fini turistico-ricreativi, la quale è stata adottata in luogo del provvedimento amministrativo di autorizzazione causando, però, l’emergere di una posizione d’interesse legittimo dell’operatore economico concessionario, in virtù della teoria della degradazione.

Ed invero, si è dell’avviso che occorre domandarsi se questi principi possono trovare applicazione nel caso di provvedimenti amministrativi esecutivi di atti legislativi, come per le leggi provvedimento, innovative o esecutive, le quali sembrerebbero derogare al carattere dell’astrattezza ma che nel contempo violano il diritto europeo, perché arbitrari.

D’altronde, pur non ignorando che la Corte Costituzionale si è espressa positivamente per la loro ammissibilità[54] affermando, tra l’altro, lo spostamento del sindacato giurisdizionale a livello costituzionale nel caso in cui tali leggi costituiscano attuazione di provvedimenti amministrativi, è un dovere quello di porre in rilievo non tanto la violazione del diritto euro-unitario in sé, che correttamente non può dare diritto a riconoscere una forma di tutela anche indennitaria[55] per l’affidamento legittimo non di buona fede ma opportunistico, proprio perché emulativo rispetto al diritto comunitario, ma di spostare l’attenzione sulla questione del sé lo Stato in questo caso è immune dalla giurisdizione.

In breve, si opina che occorrerebbe chiedersi sé la violazione del diritto di libertà ad autodeterminarsi all’iniziativa economica privata (artt. 2, 13, 16 e 41 della Costituzione) possa dare luogo a responsabilità civile dello Stato, abbracciando la tesi di una ipotesi di responsabilità dello Stato nell’esercizio della funzione sovrana legislativa, venendo in rilievo un diritto fondamentale presidiato dalla Costituzione.

Specificatamente, quando viene accertato in sede giurisdizionale, come nel caso di specie dei principi di diritti enunciati dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con le sentenze nn. 17 e 18 del 2021, la violazione del diritto vivente accessibile e prevedibile del Giudice europeo[56], oltre che della direttiva self-executing[57], travisando i fatti che costituiscono un illecito permanente e che possono cagionare un danno ingiusto ad un operatore economico conformemente allo schema norma, fatto ed effetto, il quale governa la responsabilità civile, anche di natura patrimoniale.

Soprattutto perché, come già precisato, potrebbe essere stato violato manifestamente il diritto di libertà di autodeterminazione all’iniziativa economica privata dell’operatore economico enucleabile dagli artt. 2, 13, 16 e 41 della Costituzione, in termini di colpa o dolo, come parametri di gravità ed in rapporto di causalità con il danno da ricostruirsi secondo i principi della probabilità (id quod plerumque accidit) e dispositivo che governano il diritto processuale civile ed amministrativo.

In sintesi, pur ribadendo che non si dubita dell’impossibilità di riconoscere il diritto all’indennizzo, per la violazione del diritto comunitario, si ravvede, comunque, la possibilità non esplorativa della fattispecie degli elementi costitutivi della struttura del danno ingiusto, che conseguono all’accertata violazione giurisdizionale cosciente dello stesso diritto comunitario da parte delle due Camere del Parlamento, con l’approvazione e la pubblicazione dell’art. 1, co. 682 e 683, della Legge n. 145/2018, per il tramite della funzione legislativa sovrana appartenente allo Stato[58].

Conclusivamente, per tutte le surriferite motivazioni, si è dell’avviso che con questi propositi d’indagine lo Stato potrebbe non essere immune dalla giurisdizione.

Nel solco di tali apprezzamenti, infatti, andrebbe indagata la possibilità d’intraprendere un’azione di accertamento e di condanna volta allo scrutinio del rapporto, tenuto conto che la legge provvedimento è un atto formalmente legislativo ma concretamente amministrativo, in cui si manifesta, comunque, l’esercizio del potere autoritativo, affinché possa essere eventualmente saggiato l’eventuale  prospective overruling dell’autorevole insegnamento del Consiglio di Stato[59], che riposa sulla posizione che la legge provvedimento è un atto politico ed il provvedimento amministrativo attuativo che da essa promana è solo ricognitivo e come tale non sindacabile direttamente in sede giurisdizionale amministrativa, con l’azione di cognizione di annullamento, quando vi è stata, viceversa, un’accertata manifesta violazione del diritto comunitario in sede giurisdizionale, con sentenza passata in giudicato rafforzata dal principio di diritto enunciato nell’interesse della legge dall’Organo di ultima istanza giurisdizionale.

In definitiva, perché questa condotta dello stesso Stato può essere costitutiva di un illecito permanente, con danno ingiusto del privato, da accertare sempre in sede giurisdizionale sul contenuto della legge provvedimento e non sulla forma del provvedimento legislativo in sé, per il fatto della consumazione illegittima del potere autoritativo per il tramite della funzione legislativa sovrana, che appartiene al popolo così come è scolpito nell’art. 1, co. 2, della Costituzione plasticamente ancorato all’art. 70 del Testo costituzionale repubblicano. 

 

BIBLIOGRAFIA

 

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Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Adunanza Plenaria, sentenza n. 4/2015;

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Corte Costituzionale sentenza n. 6/2018;

Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Adunanza Plenaria, sentenza n. 5/2018;

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Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Adunanza Plenaria, sentenza n. 17/2021;

Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Adunanza Plenaria, sentenza n. 18/2021;

Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Adunanza Plenaria, sentenza n. 19/2021;

Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Adunanza Plenaria, sentenza n. 20/2021;

Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, sentenza n. 2207/2021;

Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, sentenza n. 2409/2021;

Tribunale Amministrativo Regionale della Sardegna sede di Cagliari sentenza n. 191/2021;

Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili ordinanza n. 8236/2021;

Corte Cassazione, Sezione Lavoro, ordinanza n. 40004/2021;

Corte di giustizia dell’UE, Grande Sezione, decisione del 21/12/2021, nella causa C-497/20;

Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, sentenza n. 2409/2021;

TAR per il Lazio sede di Roma, Sezione Quarta, sentenza n. 17819/2022;

Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, sentenza n. 2192/2023.

 

 

[1] Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Adunanza Plenaria, con le sentenze nn. 17 e 18 del 2021, ha enunciato i seguenti principi di diritto: “(…). 1. Le norme legislative nazionali che hanno disposto (e che in futuro dovessero ancora disporre) la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative - compresa la moratoria introdotta in correlazione con l’emergenza epidemiologica da Covid-19 dall’art. 182, comma 2, d.l. n. 34/2020, convertito in legge n. 77/2020 - sono in contrasto con il diritto eurounitario, segnatamente con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE. Tali norme, pertanto, non devono essere applicate né dai giudici né dalla pubblica amministrazione. 2. Ancorché siano intervenuti atti di proroga rilasciati dalla P.A. (e anche nei casi in cui tali siano stati rilasciati in seguito a un giudicato favorevole o abbiamo comunque formato oggetto di un giudicato favorevole) deve escludersi la sussistenza di un diritto alla prosecuzione del rapporto in capo gli attuali concessionari. Non vengono al riguardo in rilievo i poteri di autotutela decisoria della P.A. in quanto l’effetto di cui si discute è direttamente disposto dalla legge, che ha nella sostanza legificato i provvedimenti di concessione prorogandone i termini di durata. La non applicazione della legge implica, quindi, che gli effetti da essa prodotti sulle concessioni già rilasciate debbano parimenti ritenersi tamquam non esset, senza che rilevi la presenza o meno di un atto dichiarativo dell’effetto legale di proroga adottato dalla P.A. o l’esistenza di un giudicato. Venendo in rilievo un rapporto di durata, infatti, anche il giudicato è comunque esposto all’incidenza delle sopravvenienze e non attribuisce un diritto alla continuazione del rapporto. 3. Al fine di evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere, di tener conto dei tempi tecnici perché le amministrazioni predispongano le procedure di gara richieste e, altresì, nell’auspicio che il legislatore intervenga a riordinare la materia in conformità ai principi di derivazione europea, le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere continuano ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023, fermo restando che, oltre tale data, anche in assenza di una disciplina legislativa, esse cesseranno di produrre effetti, nonostante qualsiasi eventuale ulteriore proroga legislativa che dovesse nel frattempo intervenire, la quale andrebbe considerata senza effetto perché in contrasto con le norme dell’ordinamento dell’U.E.. (…)”;

[2] L’art. 1, co. 682 e 683, della Legge n. 145/2018, recitano che: “(…). 682. Le concessioni disciplinate dal comma 1 dell'articolo 01 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge hanno una durata, con decorrenza dalla data di entrata in vigore della presente legge, di anni quindici.  Al termine del predetto periodo, le disposizioni adottate con il decreto di cui al comma 677, rappresentano lo strumento per individuare le migliori procedure da adottare per ogni singola gestione del bene demaniale. 683. Al fine di garantire la tutela e la custodia delle coste italiane affidate in concessione, quali   risorse   turistiche fondamentali del Paese, e tutelare l'occupazione e il reddito delle imprese in grave crisi per i danni subiti dai cambiamenti climatici e dai conseguenti eventi calamitosi straordinari, le concessioni di cui al comma 682, vigenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge 31 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n.  25, nonché quelle rilasciate successivamente a tale data a seguito di una procedura amministrativa attivata anteriormente al 31 dicembre 2009 e per le quali il rilascio è avvenuto nel rispetto dell’articolo 18 del decreto del Presidente della Repubblica 15 febbraio 1952, n.  328, o il rinnovo è avvenuto   nel   rispetto   dell'articolo   02   del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, hanno una durata, con decorrenza dalla data di entrata in vigore della presente legge, di anni quindici. Al termine del predetto periodo, le disposizioni adottate con il decreto di cui al comma 677 rappresentano lo strumento per individuare le migliori procedure da adottare per ogni singola gestione del bene demaniale. (…)”;

[3] L’art. 2 della Legge n. 118/2022 prevede una delega al Governo in materia di mappatura e di trasparenza dei regimi concessori di beni pubblici;

[4] L’art. 4 della Legge n. 118/2022 sancisce la delega al Governo in materia di affidamento delle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per finalità turistico-ricreative e sportive;

[5] L’art. 10-quater, co. 3, del D.L. n. 198/2022 convertito, con modificazione, dalla Legge n. 14/2023, dispone che: “(…). 3. Ai fini dell'espletamento dei compiti del tavolo tecnico di cui al comma 1, ai commi 3 e 4 dell'articolo 3 della legge 5 agosto 2022, n. 118, le parole: "31 dicembre 2024”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalle seguenti: "31 dicembre 2025".  Le concessioni e i rapporti di cui all'articolo 3, comma 1, lettere a) e b), della legge 5 agosto 2022, n. 118, continuano in ogni caso ad avere efficacia sino alla data di rilascio dei nuovi provvedimenti concessori”;

[6] La Sezione Sesta del Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, con la sentenza n. 2192/2023 ha precisato che: “(…). In conclusione giova soltanto soggiungere che, sulla base di quanto affermato dall’Adunanza Plenaria, con le ricordate sentenze nn. 17 e 18 del 2021, non solo i commi 682 e 683 dell’art. 1 della L. n. 145/2018, ma anche la nuova norma contenuta nell’art. 10-quater, comma 3, del D.L. 29/12/2022, n. 198, conv. in L. 24/2/2023, n. 14, che prevede la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime in essere, si pone in frontale contrasto con la sopra richiamata disciplina di cui all’art. 12 della direttiva n. 2006/123/CE, e va, conseguentemente, disapplicata da qualunque organo dello Stato. (…)”;

[7] La Corte di giustizia dell’UE, Quinta Sezione, con la decisione del 14/07/2016, nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15, ha precisato, ai capi nn. 46, 47 e 48, che: “(…). 46. A tale riguardo occorre ricordare che una concessione di servizi è caratterizzata, in particolare, da una situazione in cui un diritto di gestire un servizio determinato viene trasferito da un’autorità aggiudicatrice ad un concessionario e che questi dispone, nell’ambito del contratto concluso, di una certa libertà economica per determinare le condizioni di gestione di tale diritto, restando parallelamente in larga misura esposto ai rischi connessi a detta gestione (v., in tal senso, sentenza dell’11 giugno 2009, Hans & Christophorus Oymanns, C-300/07, EU:C:2009:358, punto 71). 47. Orbene, nei procedimenti principali, come sottolinea la Commissione, le concessioni vertono non su una prestazione di servizi determinata dell’ente aggiudicatore, bensì sull’autorizzazione a esercitare un’attività economica in un’area demaniale. Ne risulta che le concessioni di cui ai procedimenti principali non rientrano nella categoria delle concessioni di servizi (v., per analogia, sentenza del 14 novembre 2013, Belgacom, C-221/12, EU:C:2013:736, punti da 26 a 28). 48. Un’interpretazione siffatta è inoltre corroborata dal considerando 15 della direttiva 2014/23. Quest’ultimo precisa infatti che taluni accordi aventi per oggetto il diritto di un operatore economico di gestire determinati beni o risorse del demanio pubblico, in regime di diritto privato o pubblico, quali terreni, mediante i quali lo Stato fissa unicamente le condizioni generali d’uso dei beni o delle risorse in questione, senza acquisire lavori o servizi specifici, non dovrebbero configurarsi come «concessione di servizi» ai sensi di tale direttiva. (…)”;

[8] Direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12/12/2006 relativa ai servizi nel mercato interno;

[9] L’art. 1, co. 2-bis, della Legge n. 241/1990, recante “Principi generali dell’attività amministrativa”, come aggiunto dall’art. 12 del D.L. n. 76/2020 convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 120/2020 a decorrere dal 15/09/2020, sancisce che: “(…). 2-bis. I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai principi della collaborazione e della buona fede”;

[10] Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, sentenza n. 2207/2021; Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, sentenza n. 3940/2018; Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Adunanza Plenaria, sentenza n. 8/2017; Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Adunanza Plenaria, sentenza n. 8/2017; Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Adunanza Plenaria, sentenza n. 16/2020; Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Adunanza Plenaria, sentenza n. 19/2021; Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Adunanza Plenaria, sentenza n. 20/2021;

[11] Dalla celebre sentenza resa nel 1887 dalla Cassazione romana nella vigenza del codice civile del 1865 con riguardo ai diritti di uso pubblico di “Villa Borghese” dei singoli componenti della comunità costituente il popolo romano alle sentenze nn. 3665, 3811, 3812, 3936, 3937, 3938 e 3939 depositate fra il 14 e il 18 febbraio del 2011 delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, in relazione alla problematica delle “Valli da pesca” della laguna veneta. Con queste ultime decisioni del 2011, il giudice della nomofilachia civile, pur confermando la natura demaniale dei beni, nel solco tracciato dall’arresto del 1887 sono approdate ad una nuova ratio decidendi incentrata sulla nozione di bene comune di tipo funzionale ricavabile dall’interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni normative del codice civile agli artt. 2, 9 e 42 della Cost.. In sintesi, è stato valorizzato dal giudicante il principio della tutela della umana personalità e del suo corretto svolgimento nell’ambito dello Stato sociale, anche nell’ambito del paesaggio, con specifico riferimento non solo ai beni costituenti, per classificazione legislativa-codicistica, il demanio e il patrimonio oggetto dello Stato ma anche riguardo a quei beni che, indipendentemente da una preventiva individuazione da parte del legislatore, per loro intrinseca natura o finalizzazione risultino, sulla base di una compiuta interpretazione dell’intero sistema normativo, funzionali al perseguimento e al soddisfacimento degli interessi della collettività. Ne è derivata la discendente esigenza di andare oltre la dicotomia beni pubblici-beni privati, per non limitarsi alla mera individuazione della titolarità dei beni e per non tralasciare l’ineludibile dato della classificazione degli stessi in virtù della relativa funzione e dei relativi interessi a tali beni collegati. In definitiva, è stata individuata una nozione di bene comune, che ricomprende tutti quei beni che, a prescindere dall’appartenenza (pubblica, privata o collettiva), siano, per loro intrinseca natura o finalizzazione e indipendentemente da una preventiva individuazione da parte del legislatore, destinati alla realizzazione degli interessi della collettività. Tale impostazione è stata confermata da Corte EDU, Seconda Sezione, sentenza del 23/09/2014 ricorso n. 46154/11 di Valle Pierimpiè società agricola SpA contro Italia;

[12] L’art. 2043 del c.c. recante “Risarcimento per fatto illecito” prevede che: “Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”; l’art. 30, co. 2, del c.p.a., intitolato “Azione di condanna”, dispone che: “(…). Può essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall'illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria. Nei casi di giurisdizione esclusiva può altresì essere chiesto il risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi.  Sussistendo i presupposti previsti dall'articolo 2058 del codice civile, può essere chiesto il risarcimento del danno in forma specifica. (…)”.

[13] La Sezione Quinta della Corte di giustizia dell'UE con la sentenza del 14/07/2016 emessa nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15, ha perimetrato i limitati casi di autorizzazioni che non soggiacciono all’art. 12, paragrafi nn. 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE, in relazione all’art. 49 del TFUE, chiarendo la sua diretta applicabilità alle proroghe disposte dal legislatore e la sussistenza dell’obbligo d’indire una procedura selettiva, per l’affidamento di concessioni balneari, oltre che l’obbligo del funzionario di non applicare la norma primaria nazionale o regionale in conflitto con il diritto europeo.

[14] L’art. 42 della Costituzione sancisce che: “La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale. La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità”; la Costituzione della Repubblica italiana è stata approvata dall'Assemblea Costituente in data 22/12/1947 e promulgata dal Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola il 27/12/1947, nonché pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 27/12/1947, n. 298, edizione straordinaria ed è entrata in vigore il 01/01/1948.

[15] L’art. 822 del c.c., rubricato “Demanio pubblico”, recita che: “Appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico il lido del mare, la spiaggia, le rade e i porti; i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia; le opere destinate alla difesa nazionale. Fanno parimenti parte del demanio pubblico, se appartengono allo Stato, le strade, le autostrade e le strade ferrate; gli aerodromi; gli acquedotti; gli immobili riconosciuti d'interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia, le raccolte dei musei, delle pinacoteche degli archivi, delle biblioteche; e infine gli altri beni che sono dalla legge assoggettati al regime proprio del demanio pubblico”;

[16] L’art. 823 del c.c., recante “Condizione giuridica del demanio pubblico”, dispone che: “I beni che fanno parte del demanio pubblico, sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano. Spetta all'autorità amministrativa la tutela dei beni che fanno parte del demanio pubblico. Essa ha facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso regolati dal presente codice”;

[17] L’art. 824 del c.c., intitolato “Beni delle province e dei comuni soggetti al regime dei beni demaniali”, prevede che: “I beni della specie di quelli indicati dal secondo comma dell'articolo 822, se appartengono alle province o ai comuni, sono soggetti al regime del demanio pubblico. Allo stesso regime sono soggetti i cimiteri e i mercati comunali”;

[18] L’art. 825 del c.c., denominato “Diritti demaniali su beni altrui”, reca che: “Sono parimenti soggetti al regime del demanio pubblico i diritti reali che spettano allo Stato, alle province e ai comuni su beni appartenenti ad altri soggetti, quando i diritti stessi sono costituiti per l'utilità di alcuno dei beni indicati dagli articoli precedenti o per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni medesimi”;

[19] L’art. 826 del c.c., rubricato “Patrimonio dello Stato, delle province e dei comuni”, sancisce che: “I beni appartenenti allo Stato, alle province e ai comuni, i quali non siano della specie di quelli indicati dagli articoli precedenti, costituiscono il patrimonio dello Stato o, rispettivamente, delle province e dei comuni. Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato le foreste che a norma delle leggi in materia costituiscono il demanio forestale dello Stato, le miniere, le cave e torbiere quando la disponibilità ne è sottratta al proprietario del fondo, le cose d'interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo, i beni costituenti la dotazione della presidenza della Repubblica, le caserme, gli armamenti, gli aeromobili militari e le navi da guerra. Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato o, rispettivamente, delle province e dei comuni, secondo la loro appartenenza, gli edifici destinati a sede di uffici pubblici, con i loro arredi, e gli altri beni destinati a un pubblico servizio”;

[20] Il codice civile è stato approvato con il R.D. 16/03/1942, n. 262, il quale è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 04/04/1942, n. 79 ed è entrato in vigore in data 19/04/1942;

[21] L'espressione ius excludendi omnes alios indica il carattere di esclusività tipico del diritto di proprietà e cioè che il proprietario, mediante azione negatoria, può fare dichiarare inesistenti le pretese avanzate da terzi, oltre che il principio che sulla stessa cosa non può esistere più di un diritto di proprietà. Un tipico esempio di questo brocardo latino è quello dell’esclusività del divieto d'accesso nella proprietà privata.

[22] L’art. 28 del codice della navigazione, recante “Beni del demanio marittimo”, prevede che: “Fanno parte del demanio marittimo: a) il lido, la spiaggia, i porti, le rade; b) le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa o salmastra che almeno durante una parte dell'anno comunicano liberamente col mare; c) i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo”;

[23] L’art. 30 del codice della navigazione, rubricato “Uso del demanio marittimo”, sancisce che: “L' amministrazione dei trasporti e della navigazione regola l'uso del demanio marittimo e vi esercita la polizia”;

[24] L’art. 36 del codice della navigazione, intitolato “Concessione di beni demaniali”, dispone che: “L'amministrazione marittima, compatibilmente con le esigenze del pubblico uso, può concedere l'occupazione e l'uso, anche esclusivo, di beni demaniali e di zone di mare territoriale per un determinato periodo di tempo. Le concessioni di durata superiore a quindici anni sono di competenza del Ministro per la marina mercantile. Le concessioni di durata superiore a quattro, ma non a quindici anni, e quelle di durata non superiore al quadriennio che importino impianti di difficile sgombero sono di competenza del direttore marittimo.  Le concessioni di durata non superiore al quadriennio, quando non importino impianti di difficile sgombero, sono di competenza del capo di compartimento marittimo”;

[25] L’art. 49 del TFUE prevede che: “Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all'apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro. La libertà di stabilimento importa l'accesso alle attività autonome e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell'articolo 54, secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali”;

[26] L’art. 107, paragrafo n. 1, del TFUE recita che: “1. Salvo deroghe contemplate dai trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza. (…)”;

[27] Betti Emilio, Interpretazione della legge e sua efficienza evolutiva, “Jus”, 1959, 10, 2;

[28] L’art. 1, co. 1, del D.L. n. 351/2001 convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 410/2001, recante “Ricognizione del patrimonio immobiliare pubblico”, dispone che: “1. Per procedere al riordino, gestione e valorizzazione del patrimonio immobiliare dello Stato, anche in funzione della formulazione del conto generale del patrimonio, di cui agli articoli 5, comma 2,  della  legge  3 aprile 1997, n. 94, e 14, comma 2, del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279, l'Agenzia del demanio, con propri decreti dirigenziali, individua, sulla base e nei limiti della documentazione esistente presso gli archivi e gli uffici pubblici, i singoli  beni,  distinguendo  tra beni demaniali e beni facenti parte del patrimonio indisponibile e disponibile.  (…)”;

[29] L’art. 7, co. 1, del D.L. n. 63/2002 convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 112/2002, ha istituito la società per azioni "Patrimonio dello Stato S.p.A.";

[30] L’art. 84, co. 1, della Legge n. 289/2002, recante “Privatizzazione del patrimonio immobiliare delle regioni, degli enti locali e degli altri enti pubblici”, sancisce che: “1.  Le regioni, le province, i comuni e gli altri enti locali sono autorizzati a costituire o a promuovere la costituzione, anche attraverso soggetti terzi, di più società a responsabilità limitata con capitale iniziale di 10.000 euro, aventi ad oggetto esclusivo la realizzazione di   una o più operazioni di cartolarizzazione dei proventi derivanti dalla dismissione dei rispettivi patrimoni immobiliari. (…)”;

[31] Una definizione di beni comuni è riconducibile alla Commissione Rodotà del 2007, per la modifica delle norme del codice civile in materia di beni pubblici, istituita presso il Ministero della giustizia, che li ha definiti come quei beni che per la loro funzione sono atti a soddisfare i diritti fondamentali dell’uomo servendo immediatamente non l’amministrazione pubblica ma la collettività intera secondo un concetto di fasce di utilità, che i beni pubblici dovrebbero garantire, che si oppone a quello di appropriazione elaborato dalla dottrina civilista italiana accolta nel codice civile del 1942, per la quale, invece, la qualifica di bene comune era inidonea ad offrire adeguata tutela giuridica ai beni di interesse pubblico;

[32] Lo Statuto Albertino prende il nome dal Re Carlo Alberto di Savoia che lo promulgo in data 04/03/1848 a Torino ed è stato lo statuto costituzionale adottato dal Regno di Sardegna. Il 17/03/1861, con la fondazione del Regno d'Italia, divine la carta fondamentale della nuova Italia unita e rimane formalmente tale, pur con modifiche, fino all'entrata in vigore della Costituzione repubblicana del 01/01/1948;

[33] Pugliatti Salvatore, La proprietà nel nuovo diritto, Milano, Giuffré, 1954.

[34] Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Adunanza Plenaria, con le sentenze n. 17/2021 e 18/2021 ha accertato che: “(…) la p.a. mette a disposizione dei privati concessionari un complesso di beni demaniali che, valutati unitariamente e complessivamente, costituiscono uno dei patrimoni naturalistici (in termini di coste, laghi e fiumi e connesse aree marittime, lacuali o fluviali) più rinomati e attrattivi del mondo. Basti pensare che il giro d’affari stimato del settore si aggira intorno ai quindici miliardi di euro all’anno, a fronte dei quali l’ammontare dei canoni di concessione supera di poco i cento milioni di euro, il che rende evidente il potenziale maggior introito per le casse pubbliche a seguito di una gestione maggiormente efficiente delle medesime. (…)”;

[35] Corte di giustizia dell’UE sentenza Van Gend & Loos del 05/02/1963 nella causa C-26/62.

[36] Corte Costituzionale sentenza n. 348/2007; Corte Costituzionale sentenza n. 349/2007; Corte Costituzionale sentenza n. 80/2011; Corte Cassazione, Sezione Sesta Civile, sentenza n. 27102/2013; Corte Cassazione, Sezione Lavoro, ordinanza n. 40004/2021; Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Adunanza Plenaria, sentenze n. 11/2016 e n. 9/2018;

[37] Corte Costituzionale sentenza n. 46/2013 al capo n. 5.3.1. del considerato in diritto recita che: “(…). E’ ben noto, al riguardo, il costante insegnamento di questa Corte – espresso soprattutto nei giudizi incidentali, ma che vale, per ciò che attiene alla decisione di merito, anche nei giudizi in via principale (sentenza n. 21 del 2013, ordinanze n. 255 del 2012, n. 287 del 2011 e n. 110 del 2010) – che di una disposizione legislativa non si pronuncia l’illegittimità costituzionale quando se ne potrebbe dare un’interpretazione in violazione della Costituzione, ma quando non se ne può dare un’interpretazione conforme a Costituzione. (…)”;

[38] Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Adunanza Plenaria, sentenza n. 9/2018.

[39] La Corte Costituzionale con la sentenza n. 6/2018 ha precisato al capo n. 15 del considerato in diritto che: “(…) 15. L’«eccesso di potere giudiziario», denunziabile con il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, come è sempre stato inteso, sia prima che dopo l’avvento della Costituzione, va riferito, dunque, alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, e cioè quando il Consiglio di Stato o la Corte dei conti affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all’amministrazione (cosiddetta invasione o sconfinamento), ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento); nonché a quelle di difetto relativo di giurisdizione, quando il giudice amministrativo o contabile affermi la propria giurisdizione su materia attribuita ad altra giurisdizione o, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici. (…)”;

[40] Corte di giustizia dell’UE, Grande Sezione, decisione del 21/12/2021, nella causa C-497/20, le cui statuizioni dispositive recano che: “(…). L’articolo 4, paragrafo 3, e l’articolo 19, paragrafo 1, TUE, nonché l’articolo 1, paragrafi 1 e 3, della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una disposizione del diritto interno di uno Stato membro che, secondo la giurisprudenza nazionale, produce l’effetto che i singoli, quali gli offerenti che hanno partecipato a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, non possono contestare la conformità al diritto dell’Unione di una sentenza del supremo organo della giustizia amministrativa di tale Stato membro nell’ambito di un ricorso dinanzi all’organo giurisdizionale supremo di detto Stato membro. (…)”;

[41] L’articolo 267 (ex art. 234 del TCE) del TFUE, nella sua versione consolidata di Lisbona del 2009, recita che: “La Corte di giustizia dell'Unione europea è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale: a) sull'interpretazione dei trattati; b) sulla validità e l'interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell'Unione. Quando una questione del genere è sollevata dinanzi ad una giurisdizione di uno degli Stati membri, tale giurisdizione può, qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su questo punto, domandare alla Corte di pronunciarsi sulla questione. Quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a una giurisdizione nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, tale giurisdizione è tenuta a rivolgersi alla Corte. Quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a una giurisdizione nazionale e riguardante una persona in stato di detenzione, la Corte statuisce il più rapidamente possibile”;

[42] Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, ordinanza n. 19598/2020 di remissione alla Corte di giustizia dell’UE.

[43] Corte di giustizia dell’UE sentenza 18/12/1997, causa C-129/96, Inter-Environnement Vallonie; Corte di giustizia dell’UE sentenza 15/04/2008, causa C-268/08, Impact.

[44] Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Adunanza Plenaria, sentenza n. 11/2016;

[45] L’art. 12 della direttiva 2006/123/CE, recante “Selezione tra diversi candidati”, dispone che: “1. Qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento. 2. Nei casi di cui al paragrafo 1 l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami. 3. Fatti salvi il paragrafo 1 e gli articoli 9 e 10, gli Stati membri possono tener conto, nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto comunitario”;

[46] Il capo n. 41 della sentenza del 14/07/2016 della Quinta Sezione della Corte di giustizia dell’UE, nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15, recita che: “(…). 41 Tali concessioni possono quindi essere qualificate come «autorizzazioni», ai sensi delle disposizioni della direttiva 2006/123, in quanto costituiscono atti formali, qualunque sia la loro qualificazione nel diritto nazionale, che i prestatori devono ottenere dalle autorità nazionali al fine di poter esercitare la loro attività economica. (…)”.

[47] I capi dal n. 51 al 57 della sentenza del 14/07/2016 della Quinta Sezione della Corte di giustizia dell’UE, nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15, hanno accertato che: “(…). 51 Inoltre, la proroga automatica di autorizzazioni relative allo sfruttamento economico del demanio marittimo e lacuale non consente di organizzare una procedura di selezione come descritta al punto 49 della presente sentenza. 52 I ricorrenti nei procedimenti principali nonché il governo italiano fanno tuttavia valere che la proroga automatica delle autorizzazioni è necessaria al fine di tutelare il legittimo affidamento dei titolari di tali autorizzazioni, in quanto consente di ammortizzare gli investimenti da loro effettuati. 53 A tale riguardo occorre constatare che l’articolo 12, paragrafo 3, della direttiva 2006/123 prevede espressamente che gli Stati membri possono tener conto, nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni legate a motivi imperativi d’interesse generale. 54 Tuttavia è previsto che si tenga conto di tali considerazioni solo al momento di stabilire le regole della procedura di selezione dei candidati potenziali e fatto salvo, in particolare, l’articolo 12, paragrafo 1, di tale direttiva. 55 Pertanto l’articolo 12, paragrafo 3, della direttiva in questione non può essere interpretato nel senso che consente di giustificare una proroga automatica di autorizzazioni allorché, al momento della concessione iniziale delle autorizzazioni suddette, non è stata organizzata alcuna procedura di selezione ai sensi del paragrafo 1 di tale articolo. 56 Inoltre, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 92 e 93 delle conclusioni, una giustificazione fondata sul principio della tutela del legittimo affidamento richiede una valutazione caso per caso che consenta di dimostrare che il titolare dell’autorizzazione poteva legittimamente aspettarsi il rinnovo della propria autorizzazione e ha effettuato i relativi investimenti. Una siffatta giustificazione non può pertanto essere invocata validamente a sostegno di una proroga automatica istituita dal legislatore nazionale e applicata indiscriminatamente a tutte le autorizzazioni in questione. 57 Da quanto precede risulta che l’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123 deve essere interpretato nel senso che osta a una misura nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico-ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati. (…)”;

[48] I capi dal n. 63 al 66 della sentenza del 14/07/2016 della Quinta Sezione della Corte di giustizia dell’UE, nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15, recano il seguente dato letterale: “(…) 63 Occorre altresì precisare che le concessioni di cui ai procedimenti principali riguardano un diritto di stabilimento nell’area demaniale finalizzato a uno sfruttamento economico per fini turistico-ricreativi, di modo che le situazioni considerate nei procedimenti principali rientrano, per loro stessa natura, nell’ambito dell’articolo 49 TFUE. 64 A tale riguardo, è stato dichiarato che le autorità pubbliche, qualora intendano assegnare una concessione che non rientra nell’ambito di applicazione delle direttive relative alle diverse categorie di appalti pubblici, sono tenute a rispettare le regole fondamentali del Trattato FUE, in generale, e il principio di non discriminazione, in particolare (v., in tal senso, sentenza del 17 luglio 2008, ASM Brescia, C-347/06, EU:C:2008:416, punti 57 e 58 nonché giurisprudenza ivi citata). 65 In particolare, qualora siffatta concessione presenti un interesse transfrontaliero certo, la sua assegnazione in totale assenza di trasparenza ad un’impresa con sede nello Stato membro dell’amministrazione aggiudicatrice costituisce una disparità di trattamento a danno di imprese con sede in un altro Stato membro che potrebbero essere interessate alla suddetta concessione. Una siffatta disparità di trattamento è, in linea di principio, vietata dall’articolo 49 TFUE (v., per analogia, sentenze del 17 luglio 2008, ASM Brescia, C-347/06, EU:C:2008:416, punti 59 e 60, nonché del 14 novembre 2013, Belgacom, C-221/12, EU:C:2013:736, punto 37). 66 Per quanto riguarda, anzitutto, l’esistenza di un interesse transfrontaliero certo, occorre ricordare che quest’ultimo deve essere valutato sulla base di tutti i criteri rilevanti, quali l’importanza economica dell’appalto, il luogo della sua esecuzione o le sue caratteristiche tecniche, tenendo conto delle caratteristiche proprie dell’appalto in questione (v., in tal senso, sentenze del 14 novembre 2013, Belgacom, C-221/12, EU:C:2013:736, punto 29 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 17 dicembre 2015, UNIS e Beaudout Père et Fils, C-25/14 e C-26/14, EU:C:2015:821, punto 30). (…)”.

[49] L’art. 99, co. 4 e 5, del c.p.a., recante “Deferimento all'adunanza plenaria”, dispone che: “(…). 4. L'adunanza plenaria decide l’intera controversia, salvo che ritenga di enunciare il principio di diritto e di restituire per il resto il giudizio alla sezione remittente. 5. Se ritiene che la questione è di particolare importanza, l'adunanza plenaria può comunque enunciare il principio di diritto nell’interesse della legge anche quando   dichiara   il   ricorso irricevibile, inammissibile o improcedibile, ovvero l’estinzione del giudizio. In tali casi, la pronuncia dell’adunanza plenaria non ha effetto sul provvedimento impugnato. (…)”.

[50] Corte EDU decisione del 17/09/2009 nel ricorso allibrato al n. 10249/2003 nel caso Scoppola contro Italia; Corte EDU sentenza del 06/03/2007 nel ricorso rubricato al n. 43662/1998 nel caso Scordino contro Italia.

[51] L’art. 45-bis del codice della navigazione, recante “Affidamento ad altri soggetti delle attività   oggetto   della concessione”, dispone che: “Il concessionario previa autorizzazione dell’autorità competente, può affidare ad altri soggetti la gestione delle attività oggetto   della concessione. Previa autorizzazione dell’autorità competente, può essere altresì affidata ad altri soggetti la gestione di attività secondarie nell’ambito della concessione”.

[52] L’art. 1, co. 2, della Costituzione repubblicana sancisce che: “(…). La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

[53] L’art. 117, co. 1, della Costituzione sancisce che: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. (…)”.

 

[54] Corte Costituzionale sentenza n. 168/2020; TAR per il Lazio sede di Roma, Sezione Quarta, sentenza n. 17819/2022;

[55] L’art. 4, co. 43, della Legge n. 183/2011, recante “Riduzione delle spese non rimodulabili nei Ministeri”, sancisce che: “(…). 43. La prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da mancato recepimento nell'ordinamento dello Stato di direttive o altri provvedimenti obbligatori comunitari soggiace, in ogni caso, alla disciplina di cui all'articolo 2947 del codice civile e decorre dalla data in cui il fatto, dal quale sarebbero derivati i diritti se la direttiva fosse stata tempestivamente recepita, si è effettivamente verificato. (…)”;

[56] Sentenza del 14/07/2016 della Quinta Sezione della Corte di giustizia dell’UE nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15;

[57] Direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12/12/2006 relativa ai servizi nel mercato interno.

[58] La Corte Costituzionale con la sentenza n. 238/2014 ha affermato che gli elementi identificativi ed irrinunciabili dell’ordinamento costituzionale sono sottratti anche alla revisione costituzionale, così come scolpito negli artt. 138 e 139 della Costituzione;

[59] Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, sentenza n. 2409/2021.