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Anno XVI - n. 04 - Aprile 2024

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Profili problematici e quaestio facti: tra successione a titolo universale e particolare.

Di Giuseppe Maria Marsico
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Profili problematici e quaestio facti: tra successione a titolo universale e particolare

 

Di GIUSEPPE MARIA MARSICO

 

Sommario: Introduzione - 1. Sulla successione a titolo universale e particolare: peculiarità del complesso fenomeno successorio: tra vis espansiva dell’istituzione di erede e istituzione di erede mediante attribuzione di beni determinati e attribuzione di legato. – 2. Il dibattitto annoso sulla sorte dei beni non contemplati - 3. Istitutio ex re certa: tra attribuzione della qualità di unico erede e determinazione della quota di patrimonio attribuita all’istituito

 

Introduzione

Prima di analizzare le complesse species di attribuzioni e la rilevanza della volontà del testatore al momento del confezionamento del testamento (c.d. testamenti factio), occorre evidenziare che materia delle successioni a causa di morte è strettamente legata ai temi della proprietà e della famiglia, a seguito di talune rilevanti novelle che hanno interessati le relative discipline. La devoluzione dei beni, infatti, quando non sia stabilita dal privato attraverso un atto di autonomia negoziale, quale il testamento, è operata dalla legge a favore dei soggetti che erano legati al defunto da vincoli familiari, secondo le regole della successione legittima.

La libertà negoziale e l’autonomia negoziale che si esprime nel testamento è, tuttavia, limitata dal necessario rispetto dei diritti delle persone (cc.dd. legittimari)[1] “a favore delle quali la legge riserva una quota di eredità o altri diritti nella successione” (art. 536 c.c.); su quest’ultima materia hanno profondamente inciso diverse riforme, che hanno recepito nel tempo i mutamenti delle geometrie sociali e familiari della collettività. Il modello di famiglia diffuso nel tessuto socio-economico ha costantemente orientato le scelte legislative in ordine all’individuazione dei soggetti e delle relazioni parentali da privilegiare nella devoluzione del patrimonio del de cuius. In ragione di ciò, i rinnovamenti dei modelli familiari registratisi nelle diverse epoche hanno determinato un corrispondente mutamento dei principi informatori del sistema successorio.

Ed infatti, se la legge 151/1975, in attuazione dei principi sanciti dall’art. 29 della Costituzione, ha quale cellula sociale di riferimento la famiglia nucleare, progressivamente si assiste al diffondersi di nuove forme di relazioni familiari, per le quali non è più indefettibile la presenza, quale titolo genetico, del matrimonio.

Le relazioni familiari oggi costituiscono un mosaico le cui tessere sono quanto mai eterogenee. Nella realtà sociale le famiglie si scompongono e si ricompongono, il che impone, ormai, una declinazione al plurale di un fenomeno che presenta un’ampia eterogeneità di manifestazioni. La famiglia nucleare italiana, viene investita da una trasformazione inedita, tale da modificare i valori, le regole, i modelli sociali di riferimento. In nome di un imperante principio di libertà, vanno ad allentarsi i vincoli tradizionali: si registra una pluralità di forme familiari ed una accentuata instabilità delle stesse.

Dinanzi ad una realtà così complessa, una disciplina legale orientata unicamente alla tutela dei membri della famiglia fondata sul matrimonio si rivela palesemente inadeguata, in quanto non in grado di offrire una compiuta disciplina ai “modelli alternativi” di rapporti prepotentemente diffusisi nel tessuto sociale.

Sul piano successorio, gli elementi su cui concentrare l’attenzione sono: l’aumento dei conflitti di coppia (separazione e divorzio); l’ampia diffusione di unioni di fatto, non coniugali; le cosiddette famiglie ricomposte; la considerazione dei figli nati fuori dal matrimonio.

 

  1. Sulla successione a titolo universale e particolare: peculiarità del complesso fenomeno successorio: tra vis espansiva dell’istituzione di erede e istituzione di erede mediante attribuzione di beni determinati e attribuzione di legato

 La successione mortis causa[2] rappresenta il fenomeno[3] mediante il quale un soggetto, subentra ad un altro soggetto, persona fisica (c.d. de cuius) nella titolarità di uno o più diritti patrimoniali. La successione può essere a titolo universale o a titolo particolare[4]: nel primo caso comprende «l’universalità o una quota dei beni» del de cuius ed il successore assume la qualità di erede[5]; nel secondo caso, invece, viene attribuito un determinato bene o un complesso di beni ed il successore è qualificato come legatario.4 Inoltre, l’erede succede nei rapporti attivi e passivi del de cuius, a titolo universale o in una quota, mentre il legatario succede limitatamente ad un determinato rapporto.

La successione può avvenire per legge o per testamento[6]

Quando manca il testamento o nel caso in cui vi sia un testamento ma che non disponga di tutti i beni, si attua la successione legittima[7]; si evidenzia che in tale ultimo caso, la successione legittima è limitata ai beni per i quali il testamento non dispone nulla.

Nella successione legittima è la legge che determina i criteri di ripartizione dell’eredità ed i soggetti ai quali i beni del de cuius devono essere assegnati (c.d. “successibili”) legati al de cuius da vincoli familiari.

Altro presupposto della successione per legge è la sussistenza di un vincolo, coniugale o di parentela, che conferisce il titolo a succedere. Il fondamento della successione legittima è pertanto rinvenibile, oltre che nella morte della persona, nel principio della solidarietà familiare[8] secondo il quale il coniuge, i discendenti legittimi e naturali, gli ascendenti legittimi, i collaterali e gli altri parenti (c.d. legittimari) hanno diritto di ricevere, comunque, una quota del valore del patrimonio del de cuius (c.d. quota di legittima o di riserva).

La successione testamentaria si attua mediante il testamento.[9] Del patrimonio del de cuius, quest’ultimo può disporre, mediante testamento, solo di una parte (c.d quota “disponibile”). Occorre fare una distinzione tra la quota disponibile e la quota di legittima (o riserva) della quale invece il testatore non può disporre liberamente a favore di alcun soggetto, in quanto spetta per legge ai legittimari. Per la determinazione della quota disponibile, si osserva che la presenza di figli esclude sempre tutti gli altri eredi.

Si evidenzia che la quota disponibile varia a seconda del numero di figli e della presenza o meno del coniuge; inoltre, al coniuge è riservato il diritto di abitazione della casa in cui vi è la residenza familiare ed il diritto di uso dei mobili che l’arredano.[10] In caso di mancanza del coniuge e degli ascendenti, il testatore è libero di disporre del proprio patrimonio. Tanto premesso in via generale, occorre ripercorrere, seppur brevemente, le caratteristiche peculiari dell’istitutio ex re certa

L’institutio ex re certa di cui all’articolo 588, secondo comma, codice civile è un istituto giuridico che da sempre costituisce oggetto di vivace dibattito in dottrina ed in giurisprudenza. L’argomento di discussione investe soprattutto la questione se tale articolo configuri un’ipotesi di lascito a titolo universale od a titolo particolare. La norma in esame così statuisce: “Le disposizioni testamentarie, qualunque sia l'espressione o la denominazione usata dal testatore, sono a titolo universale e attribuiscono la qualità di erede, se comprendono l'universalità o una quota dei beni del testatore”.

Le altre disposizioni sono a titolo particolare e attribuiscono la qualità di legatario. L'indicazione di beni determinati o di un complesso di beni non esclude che la disposizione sia a titolo universale, quando risulta che il testatore ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio.”

L’articolo 588 codice civile, nella portata generale del suo primo comma, si pone dunque all’inizio delle norme dello stesso codice civile in materia di successione “mortis causa” proprio per gettare il discrimen tra quella che è una disposizione a titolo particolare e quella che è una disposizione a titolo universale. Tuttavia tale norma si compone anche di un secondo comma, che fa intendere come si debba compiere un’indagine anche di carattere soggettivo al fine distinguere tra eredità o legato.

La successione è stata definita, in via generale, come quel fenomeno[11] per cui un soggetto subentra a un altro in una medesima situazione giuridica. Si tratta di un fenomeno differente dal trasferimento in senso stretto, la cui nozione è limitata alla successione nel lato attivo del rapporto giuridico, non contemplando l’ordinamento il trasferimento della posizione meramente passiva.

 Nell’ambito della successione a causa di morte, il meccanismo della successione – di regola limitato ad un singolo rapporto giuridico – si complica, poiché si introduce il concetto di successione universale, ossia in universum ius; l’avente causa succede nell’intero patrimonio ovvero in una quota di esso, comprensivo dunque dei rapporti attivi e passivi facenti capo al dante causa. La successione universale è collegata all’assunzione della qualità di erede, che si acquista o mediante nomina o per mezzo dell’attribuzione di tutti i beni o di una quota di essi; quota che, come si approfondirà nel proseguo, in ipotesi di attribuzione di beni determinati può essere individuata in base alla relazione tra il valore dei beni attribuiti e il patrimonio ereditario[12]. Si parla, in questi casi di disposizioni a titolo universale. A fianco alla successione a titolo universale si colloca la successione a titolo particolare, derivante da una disposizione a titolo particolare che prende il nome di legato.

Sebbene si tratti di una terminologia largamente utilizzata, è bene chiarire che non sempre il legato determina una successione a titolo particolare; ciò certamente non nel senso che esso comporti una successione universale – fenomeno di esclusivo appannaggio dell’istituzione di erede, quantomeno nell’ambito della successione a causa di morte – ma nel senso che non sempre l’attribuzione di un legato comporta il subentrare del legatario in una posizione giuridica già facente capo al de cuius. Di successione a titolo particolare si può infatti parlare solamente nelle ipotesi di legati traslativi, per mezzo dei quali il testatore trasferisce un diritto già presente nel proprio patrimonio, ma non anche nei casi di legati obbligatori, in cui la disposizione ha l’effetto di costituire in capo all’onerato un’obbligazione in favore del legatario.

Pertanto, la migliore dottrina ha fornito del legato una definizione in negativo, quale attribuzione come la disposizione testamentaria che non attribuisce il diritto di diventare erede, ovvero in senso positivo, affermando che “il legato è la disposizione testamentaria a titolo particolare che conferisce specifici diritti patrimoniali e attribuisce la qualità di legatario”.

Il discrimen di disciplina tra istituzione di erede e legato sono note. La più evidente è la responsabilità anche per i debiti ereditari del primo, in proporzione alla quota ricevuta, e non del secondo, cosa che si riflette sul modo d’acquisto: in particolare, mentre il chiamato acquista la qualità di erede soltanto a seguito di accettazione, espressa o tacita, ovvero nelle ipotesi previste dalla legge, il legatario acquista immediatamente il diritto attribuitogli dal testatore salvo rinunzia (art. 649 c.c.).

L’accettazione del legato serve solo a rendere “stabile” l’attribuzione a titolo particolare, acquistandosi il legato per mezzo del mancato rifiuto del chiamato.  Altra differenza è che solo all’istituzione di erede  si attribuisce la c.d. vis expansiva. In forza di tale principio, che si ritiene caratteristica connaturata alla chiamata a titolo universale, qualora sopravvengano dei beni non presenti al momento della redazione della scheda testamentaria, ovvero se ne scoprano altri che il testatore non conosceva, quei beni saranno attribuiti agli eredi secondo le quote del patrimonio loro spettanti.

Tale principio si fonda sulla natura stessa dell’istituzione di erede, il quale, come visto, succede nel patrimonio del de cuius o in una quota di esso, cosicché i beni facenti parte del patrimonio, ancorché ignoti, non possono che comporre la quota di eredità. Ciò appare anche conforme alla volontà del de cuius, poiché egli con l’istituzione di erede non ha inteso limitare la successione del beneficiario della disposizione a titolo universale a singoli beni determinati, come invece accade nel legato, ma ad una quota di patrimonio, quale che fosse l’esatta composizione del patrimonio stesso.

Emerge con evidenza l’importanza di distinguere una disposizione a titolo universale o particolare. Si tratta di un’operazione semplice nel caso in cui il de cuius abbia proceduto con le modalità di cui all’art. 588 co. 1 c.c., ossia all’institutio heredis mediante nomina o attribuendo tutto il patrimonio o una quota di esso. Al contrario, nell’ipotesi in cui il testatore abbia proceduto nelle modalità di cui all’art. 588 co. 2 c.c., ovverosia attribuendo al beneficiario beni determinati, l’interpretazione della disposizione presenta indubbi profili di complessità9. L’interprete è infatti chiamato, in tali ipotesi, a verificare se il testatore abbia inteso attribuire quei beni quale quota del patrimonio – che andrà determinata, come già evidenziato, sulla base della relazione tra i beni[13] attribuiti e l’intero patrimonio – ovvero se abbia inteso, al contrario, attribuire al beneficiario soltanto quei determinati beni, mediante dunque una disposizione che andrà qualificata quale disposizione a titolo particolare, attributiva non della qualità di erede ma piuttosto di legatario. La stella polare da seguire nell’ardua operazione ermeneutica cui l’interprete è tenuto è la volontà del testatore, come chiarito dalla giurisprudenza, la quale evidenzia che si tratta di “una quaestio voluntatis”, che va esaminata dal giudice di merito in base ai canoni ermeneutici fondamentali (Cass. n. 5773/1980). È certamente ammesso il ricorso a qualunque mezzo utile ai fini della ricostruzione della volontà del testatore (Cass. n. 4582/1980); si deve tuttavia convenire con chi suggerisce un'applicazione ermeneutica rigorosa della disposizione (cfr. Cass. n. 5625/1985; n. 3304/1981; n. 3452/1973)”. Ai fini della ricostruzione della volontà del testatore è dunque ammesso il ricorso non soltanto agli elementi desunti dal testamento, ma anche ad elementi ad esso estranei, purché si tratti di elementi sintomatici della volontà del testatore di procedere all’istituzione di erede piuttosto che all’attribuzione di un legato.

Se quello appena esposto costituisce un principio di diritto unanimemente condiviso, è invece discusso quale debba essere l’opzione dell’interprete in tutte quelle ipotesi, certo non infrequenti, in cui dovesse residuare un dubbio sulla natura della disposizione, e cioè se si tratti di disposizione a titolo universale o particolare. Secondo parte della dottrina, dovrebbe prevalere la qualificazione dell’attribuzione[14] quale disposizione a titolo universale, alla luce della necessità che un erede vi sia in ogni caso, nonché della formulazione dell’art. 588 c.c., che indica il legato quale ipotesi residuale.

La giurisprudenza condivide invece un contrario principio, affermando che il carattere universale della disposizione potrà essere riconosciuto solo qualora, dopo attento esame di tutto il complesso delle disposizioni testamentarie, resti accertata l'intenzione del testatore di considerare i beni assegnati come una quota della universalità del suo patrimonio (Cass. n. 5414/1978)”. È stata poi messa in luce la stretta correlazione tra l’institutio ex re certa e la divisione fatta dal testatore ex art. 734 c.c. In tale prospettiva, infatti, l’assegnazione di beni determinati quale quota del patrimonio costituirebbe esercizio della facoltà del testatore di procedere alla divisione del proprio patrimonio già nel proprio testamento, impedendo così – laddove esaurisca mediante tali disposizioni tutto il proprio patrimonio – la costituzione della comunione ereditaria. Da tale stretta correlazione derivano alcuni indici utilizzati per effettuare la complessa operazione ermeneutica demanda agli interpreti, primo fra tutti l’indice quantitativo. Si afferma infatti che, se il testatore ha disposto della maggior parte del proprio patrimonio mediante l’attribuzione di beni determinati, egli ha voluto assegnare tali beni in funzione divisoria e dunque quale quota del patrimonio.

La circostanza per cui tra l’institutio ex re certa e la divisione ex art. 734 c.c. il legame sia tanto stretto è stata però messa in luce dalla dottrina più recente, la quale ha evidenziato le innegabili differenze sotto il profilo causale e funzionale delle due fattispecie; si è, in particolare, rilevato che mentre nella fattispecie divisoria possono essere individuati tre segmenti causali – istitutivo, attributivo e distributivo – nella institutio ex re certa è rintracciabile soltanto il profilo attributivo, poiché quello istitutivo è un effetto di legge e non negoziale, mentre quello distributivo potrebbe dirsi meramente eventuale.

Si può, inoltre, osservare che difetta qualunque correlazione tra i due istituti quando vi sia una sola designazione di erede ex re certa, ed è certo che in tal caso la funzione divisoria sarebbe del tutto assente.

Ferme le differenze tra institutio ex re certa e divisione fatta dal testatore, va rilevato che l’indice quantitativo rimane in realtà il principale indice di carattere oggettivo per distinguere institutio ex re certa[15] e legato anche per coloro che negano che la prima costituisca una forma di divisione ex art. 734 c.c. Il fatto che il testatore abbia esaurito il proprio patrimonio attribuendo beni determinati ai singoli beneficiari costituisce infatti un indice fondamentale per rintracciare la volontà di istituire tali beneficiari quali propri eredi. Lo stesso deve dirsi nel caso in cui egli abbia disposto della maggior parte dei beni di valore.

Tale conclusione si impone a prescindere dall’individuazione di un intento divisorio, poiché ciò che conta è la quaestio voluntatis[16] relativa al se il testatore abbia inteso attribuire quei beni quali indicativi di una quota e non già se abbia inteso dividere il proprio patrimonio, in modo da impedire la formazione di una comunione ereditaria. Va, infine, chiarito che può ben aversi una institutio ex re certa anche laddove vi sia un’unica attribuzione di beni determinati, e si tratta di un indice del tutto neutro ai fini della qualificazione della disposizione quale a titolo universale o particolare.

 

  1. Il dibattitto annoso sulla sorte dei beni non contemplati

Qualificata la disposizione testamentaria con cui il testatore istituisce l’erede mediante attribuzione di beni determinati, i problemi interpretativi potrebbero non essere finiti. È infatti da lungo tempo dibattuto quale sia la sorte dei beni ereditari non contemplati dal testatore che abbia istituito un erede ex re certa, o perché sopravvenuti rispetto alla confezione della scheda testamentaria o perché ignoti al testatore ovvero ancora perché, pur ben presenti al testatore, questi non li abbia contemplati. L’ipotesi che residuino dei beni dall’assegnazione di beni determinati, benché l’indice quantitativo rivesta importanza fondamentale nella qualificazione della disposizione, non può in alcun modo escludersi, atteso che, come insegna la giurisprudenza citata, la ricostruzione della volontà del testatore può anche essere fatta con qualunque mezzo. Del resto, come si è visto, si sarà in presenza di una institutio ex re certa non soltanto quando il testatore abbia esaurito il proprio patrimonio mediante l’assegnazione di certae res, ma anche qualora egli abbia disposto della maggior parte dei beni di valore; fermo restando, peraltro, che l’indice quantitativo potrebbe cedere il passo ad altri sintomi della volontà del testatore di istituire un erede mediante attribuzione di beni determinati, che dunque potrebbero pur essere di esiguo valore.

Secondo una prima opinione, al chiamato istituito mediante attribuzione di beni determinati dovrebbero essere attribuiti anche i beni non contemplati, in ragione della vis expansiva connaturata alla chiamata a titolo universale, in proporzione alla quota individuata in base all’attribuzione dei beni determinati e il totale dei beni, compresi quelli ignorati dal testatore. Sui restanti beni si aprirebbe pertanto la successione legittima, ai sensi dell’art. 457 co. 2 c.c., essendo ammesso il concorso tra le due successioni, testamentaria e legittima, quando manca, in tutto o in parte, la successione testamentaria, e gli eredi istituiti ex re certa vi prenderebbero in ragione della quota in cui sono stati istituiti.

Un’opinione più estrema giunge ad affermare che l’institutio ex re certa escluderebbe in radice l’apertura della successione legittima sui beni. Si tratta di un’opinione che potrebbe sembrare condivisa da parte della giurisprudenza, la quale afferma che “in tema di delazione dell’eredità, non vi è luogo alla successione legittima agli effetti dell’art. 457 c.c., comma 2, in presenza di disposizione testamentaria a titolo universale, sia pur in forma di istituzione ex re certa, tenuto conto della forza espansiva della stessa per i beni ignorati dal testatore o sopravvenuti”.

 In realtà, come evidenziato dalla successiva giurisprudenza di legittimità, poiché il principio fa riferimento alle ipotesi in cui il testatore attribuisce a uno o più beneficiari beni determinati credendo di disporre della totalità del proprio patrimonio, e dunque, in caso di unico beneficiario, istituendolo erede universale. In tali casi, è evidente che non vi sarà alcuno spazio per la successione legittima, dal momento che i beni ignorati dal testatore verranno distribuiti agli eredi istituiti ex re certa in base alla forza espansiva della chiamata a titolo universale; esattamente quanto accadrebbe qualora le instututiones fossero fatte in base all’art. 588 co. 1 c.c. La citata giurisprudenza, pertanto, in realtà non accoglie l’opinione in esame, limitandosi piuttosto a enunciare un principio che non risulta oggetto di discussione.

Il concorso della successione legittima e testamentaria sembrerebbe effettivamente escluso, invece, in base all’affermazione pretoria, per cui “la successione[17] legittima può coesistere con la successione testamentaria nell’ipotesi in cui il de cuius non abbia disposto con il testamento della totalità del suo patrimonio ed, in particolare, nel caso di testamento che senza recare istituzione di erede, contenga soltanto attribuzione di legati”.

 In base a tale principio, un’istituzione di erede presente nel testamento, tanto fatta per mezzo del comma 1 quanto del comma 2 dell’art. 588 c.c., escluderebbe il concorso con la successione legittima in forza del principio della vis expansiva della chiamata a titolo universale; e ciò, sembrerebbe, anche nel caso in cui l’istituzione di erede sia pro quota e non universale, attributiva cioè dell’intero patrimonio.

A tale opzione interpretativa se ne contrappone un’altra radicalmente opposta, in base alla quale i beni non contemplati – tutti, senza distinzione tra quelli ignorati e quelli consapevolmente non menzionati – dal de cuius devono essere attribuiti in base alla legge, senza che su tali beni concorra, nemmeno laddove sia anche chiamato ex lege, l’erede istituito ex re certa.

Questa impostazione fa leva in primo luogo sull’art. 734 co. 2 c.c., il quale afferma che, in difetto di contraria volontà del testatore, “se nella divisione fatta dal testatore non sono compresi tutti i beni lasciati al tempo della morte, i beni in essa non compresi sono attribuiti conformemente alla legge”; si tratta tuttavia di un argomento che si fonda sulle ricordate analogie funzionali tra la divisione fatta dal testatore e l’institutio ex re certa, e che dunque sconta le medesime critiche evidenziate. Altro argomento in tal senso si fonda sulla voluntas testantis, poiché si rileva che il testatore, avendo attribuito un bene determinato, ha voluto escludere l’istituito da ogni altro bene ereditario.

Tale argomento non può però condurre a ritenere che l’istituito ex re certa debba essere escluso anche dai beni ignoti al testatore al tempo della redazione del testamento, poiché relativamente a tali beni non può rinvenirsi alcuna volontà del de cuius. Tale rilievo conduce alla quarta impostazione – che appare quella maggiormente attenta alla mens testantis - in base alla quale occorre distinguere se il testatore abbia o meno attribuito tutti i beni di cui sapeva di poter disporre: laddove li abbia assegnati tutti, i beni non attribuiti andrebbero certamente assegnati agli eredi istituiti, in virtù della forza espansiva della chiamata a titolo universale; qualora, al contrario, ne abbia attribuita solo una parte (beninteso, con disposizione a titolo universale), sui beni restanti dovrebbe aprirsi la successione legittima, e detti beni spetterebbero all’istituito ex re certa soltanto se ed in quanto egli sia anche chiamato ex lege. Sarebbe dunque necessario distinguere tra i beni consapevolmente ignorati, su cui la forza espansiva della chiamata a titolo universale non opera, e i beni di cui il testatore non sapeva di poter disporre, sui quali invece detto principio esplica il proprio effetto.

 

  1. Istitutio ex re certa: tra attribuzione della qualità di unico erede e determinazione della quota di patrimonio attribuita all’istituito

Nel frastagliato panorama dottrinale appena tratteggiato è intervenuta la Cassazione, Sez. Civ., con la sentenza n. 42121/2021, che, facendo propria l’ultima delle impostazioni delineate, ha riconosciuto il concorso tra l’istituito ex re certa e i chiamati legittimi. Rileva infatti la Corte, in primo luogo, che l’institutio ex re certa non attribuisce la qualità di unico erede, ma serve soltanto a determinare la quota di patrimonio attribuita all’istituito.

La pronuncia chiarisce altresì che i beni non contemplati consapevolmente, dal testatore, sui quali come detto si apre la successione legittima[18], possono essere attribuiti anche all’istituito ex re certa laddove vi sia concorso di delazioni e dunque qualora egli sia anche chiamato ex lege, e ciò in ossequio alla volontà del testatore; l’attribuzione dei beni determinati costituisce in questo senso il limite della vocazione testamentaria, in base alla quale non possono essere attribuiti i beni che il testatore, consapevolmente, non aveva assegnato all’istituito. Tali beni potranno essere assegnati soltanto in base al diverso titolo, costituito dalla legge, pena un evidente vulnus alla volontà del testatore.

Discorso del tutto diverso vale invece per i beni non contemplati nel testamento perché sconosciuti al testatore. Relativamente a questi cespiti, riprende pieno vigore il principio della vis expansiva della chiamata a titolo universale, cosicché su tali beni concorreranno istituito ex re certa e chiamati legittimi, il primo in base della quota determinata dalla proporzione tra il valore dei beni assegnati dal testatore e i beni che questi aveva presente al momento della confezione della scheda testamentaria. Con riguardo il negozio testamentario, dunque, si può notare come lo stesso sia espressione dell’autodeterminazione negoziale propria di ogni soggetto.

Tale autodeterminazione trova diretta tutela dall’articolo 2 della Carta Costituzionale, nonché, più specificatamente sotto il piano negoziale – patrimoniale, dall’art. 42 Cost. Entrambi tali articoli, infatti, fondano la libertà testamentaria, che trova limiti ove si debba tutelare beni giuridici di pari rango, come la tutela successoria dei più stretti congiunti, la quale ultima costituisce attuazione del dettato programmatico previsto dagli articoli 29 e 30 della Costituzione e che si concreta, pragmaticamente, nel riconoscimento di determinati diritti riservati ed intangibili. Il sistema normativo che ne risulta è manifestazione di un compromesso di detti principi, dove se da un lato si tende ad attribuire ampia libertà al testatore, da altro lato si contempera tale libertà con interessi sociali ritenuti rilevanti come la tutela della famiglia e della filiazione. Tuttavia, non si può non notare come, a presidio della più ampia espressione del negozio testamentario, l’elaborazione dottrinale tenda a dare preminenza all’esplicarsi della volontà nel testamento rispetto ad altri negozi giuridico patrimoniali. Ciò vuoi per ossequio all’ultimo atto di autodeterminazione del soggetto, vuoi perché il testatore dispone comunque unilateralmente dei propri beni, tendenzialmente, con spirito liberale.

Alla luce di quanto detto, la tesi più diffusa in dottrina ritiene che al negozio testamentario sia riconosciuta l’ampia autonomia negoziale prevista dall’art 1322 c.c.. Non si può tacere, inoltre, che una tesi più recente ed autorevole, ritiene addirittura che l’autonomia testamentaria, nel suo esplicarsi, non troverebbe le limitazioni di cui all’articolo 1322 c.c. In altre parole, l’articolo suddetto, essendo norma limitativa, non si applicherebbe analogicamente al testamento, pertanto, il giudizio sull’ammissibilità delle disposizioni testamentarie non sconterebbe il sindacato di meritevolezza[19] proprio dei contratti e degli atti negoziali inter vivos, ma solo una valutazione di non illeicità. In base a quanto fin qui asserito, ne consegue un’ampia autonomia ed ammissibilità di disposizioni testamentarie atipiche, finanche punitive, purché conformi alle norme ed ai principi dell’ordinamento, primo tra tutti quello di relatività degli effetti, a presidio dell’intangibilità della sfera giuridica di terzi in relazioni a disposizioni sfavorevoli.

Con riguardo a tale ultimo principio, la più recente elaborazione ermeneutica ha provveduto ad una rivisitazione dello stesso in chiave moderna ed adattiva alla velocità degli scambi economici del tempo odierno. Il dogma della relatività degli effetti è stato quindi rielaborato, passando da una assoluta intangibilità della sfera giuridica di terzi ad una ammissibilità di effetti giuridici a prescindere dal consenso del terzo, purché non sfavorevoli e/o onerosi.

Alla stregua di ciò si è ritenuto ammissibile, ad esempio il pagamento traslativo, nonché il contratto a favore di terzo con effetti reali. Tali considerazioni possono agevolmente estendersi anche al testamento, con le ulteriori seguenti argomentazioni.

Anzitutto, sulla scorta delle motivazioni fatte dalla tesi più permissiva in ordine all’autonomia testamentaria, è opportuna una soluzione ermeneutica che – alla luce della rilevanza e della complessità del fenomeno successorio - tenda di avallare il più possibile le ultime volontà espresse nel testamento.

In secondo luogo, con riguardo il fenomeno successorio nel complesso, si deve prender atto della sua necessarietà, onde non disperdere nel nulla rapporti giuridici passivi ed attivi. In particolare, in relazione all’erede, esso è, nel bene o nel male, continuatore dei rapporti giuridici del de cuius.

Con riguardo il legatario si può notare come, a fronte dell’automatismo (ex art 649 c.c.) della disposizione, lo stesso tuttavia risponda nei limiti della cosa legata (art. 671 c.c.) ed ha, al pari dell’erede, il potere comunque di rifiutare il lascito a lui indirizzato.

 

 

[1] La questione connessa alla individuazione della natura della posizione giuridica del legittimario è molto controversa in dottrina (al riguardo, G. Capozzi, op. ult. cit., 389 ss.; G. Criscuoli, La posizione giuridica del legittimario, in Vita not., 2001, 87 ss.). Secondo una tesi già sostenuta nella vigenza del c.c. del 1865; L. Coviello Jr., Successione legittima e necessaria, Milano, 1938, 307; E. Pacifici Mazzoni, Il codice civile commentato, a cura di Venzi, Trattato delle successioni, IV, Torino, 1929, 10 ss.; C. De Pirro, Contributo alla dottrina della legittima, in Riv. it. sc. giur., 1894, 270 ss.; C. Losana, Le disposizioni comuni alle successioni legittime e testamentarie, 2ª ed., Torino, 1911, 412 ss.) il legittimario acquisterebbe immediatamente, al momento dell’apertura della successione, la qualità di erede, anche se completamente pretermesso e quindi prescindendo dal contenuto dell’eventuale testamento. Egli avrebbe quindi titolo comunque a partecipare alla divisione ereditaria pur in assenza di una espressa delazione testamentaria e solo nel caso di insufficiente apporzionamento avrebbe la necessità di esperire l’azione di riduzione. Tale tesi è stata giustamente avversata da autorevole dottrina  cfr. L. Mengoni, Successioni per causa di morte, Parte speciale: Successione necessaria, in Tratt. Cicu - Messineo, Milano, 2000, 50 ss. la quale ne ha evidenziato almeno due punti deboli: essa contrasterebbe con la regola secondo cui è erede solo colui al quale il testatore o la legge attribuiscano l’universalità o una quota dei beni ereditari e con quella secondo la quale la vocazione legale è esclusa nel caso di testamento che contenga disposizioni a titolo universale che sia valido ed efficace. La posizione in questione è stata sostenuta con evidenti modificazioni, da altra autorevole dottrina cfr. A. Cicu, op. cit., 218 ss.) la quale ha inteso distinguere tra quota di eredità e quota di legittima. La prima, calcolata sul relictum al netto dei debiti ereditari, verrebbe acquisita automaticamente dal legittimario al momento dell’apertura della successione, pur in presenza di una totale pretermissione dello stesso all’interno del testamento confezionato dal de cuius. La quota di legittima, invece, è calcolata tenendo anche conto delle donazioni effettuate in vita dall’ereditando e per il conseguimento della stessa il legittimario è tenuto ad esercitare l’azione di riduzione. Questa ricostruzione è stata criticata dalla dottrina prevalente in quanto oramai dal punto di vista storico è scomparsa ogni distinzione tra “riserva” e “legittima”; inoltre se si aderisse alla tesi che individua in capo al legittimario il diritto alla cd. quota di eredità automaticamente al momento dell’apertura della successione si finirebbe per escludere teoricamente l’applicazione dell’art. 564, 2^ comma c.c. che tra le condizioni dell’azione di riduzione prescrive anche la necessità di operare la cd. imputazione ex se, salvo formale dispensa data dal donante o dal testatore, con conseguente possibilità di lucro. Secondo altra dottrina cfr. L. Ferri, Dei legittimari, cit., 9 ss.; i legittimari sarebbero non eredi ma successori a titolo particolari e precisamente legatari ex lege in quanto beneficiari solo di una pars bonorum e non di una quota hereditatis. Tale tesi contrasta con tutta una serie di norme in tema di successioni e con notevole evidenza con la disciplina disposta dall’art. 551 c.c. in tema di legato in sostituzione di legittima per il quale se il legatario preferisce rinunciare al legato può conseguire appunto la legittima acquistando quindi la qualità di erede. Risulta pertanto prevalente la teoria che ritiene il legittimario erede a seguito del vittorioso esperimento dell’azione di riduzione, tra i tanti, v., in particolare, F. Santoro Passarelli, Dei legittimari, in Comm. D’Amelio-Finzi, 1941, 331; L. Mengoni, Successioni per causa di morte, Parte speciale: Successione necessaria, cit., 223 ss.; A. Pino, La tutela del legittimario, Padova, 1954, 78 ss.; L. Cariota Ferrara, Le successioni per causa di morte (parte generale), cit., 176 ss.; P. Grosso - A. Burdese, Le successioni, Parte generale, cit., 86; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, VI, cit., 363; in giurisprudenza tra le molte, Cass., 15 marzo 1958, n. 867, in Foro it., I, 536; Cass., 18 giugno 1963, n. 1636, in Foro pad., 1963, II, 46; Cass., 26 gennaio 1970, n. 160, in Foro it., 1970, I, 1128; Cass., 12 marzo 1975, n. 926, in Giur. it., 1976, I, 1, 1012; Cass., 15 novembre 1982, n. 6098, in Giust. civ., 1983, I, 49; Cass., 22 ottobre 1988, n. 5731, in Rep. Foro it., 1988, voce Successione ereditaria, n. 77; Cass., 5 aprile 1990, n. 2809, in Mass. Foro it., 1990, 407)

[2] La successione è disciplinata dagli artt. 456-768 del Codice Civile, le cui disposizioni originarie sono state modificate ed integrate dalla Legge di riforma del diritto di famiglia del 19 maggio 1975, n. 151 pubblicata in G.U. del 23 maggio 1973, n. 135.

[3] Cfr. V.R. Casulli, Successioni, Successione necessaria, in Noviss. Dig. it., XVIII, Torino, 1971, 787 ss.; G. Grosso - A. Burdese, Le successioni, Parte generale, in Tratt. Dir. Civile, Torino, 1977, 85) ha ravvisato nella cd. successione necessaria caratteri così peculiari da distinguerla in maniera netta dalla successione legittima e quella testamentaria. Si tratterebbe di un terzo tipo di successione anch’essa fondata sulla legge, ma che si distingue in tutta evidenza dalla successione ab intestato in quanto vi sarebbero indubbie diversità con riguardo ai soggetti destinatari, alla determinazione delle loro quote, e alla ratio che la ha ispirata; inoltre essa concerne solo una parte del patrimonio del de cuius e mai l’intero asse ereditario. Altra parte della dottrina, G. Azzariti, Le successioni e le donazioni, Libro secondo del Codice civile, Padova, 1982, 216;  L. Ferri, Dei legittimari, Artt. 536-564, in Comm. Cod. civ. a cura di V. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1981, 7) ha individuato in capo ai legittimari la qualifica di successori a titolo particolare e non di eredi, in quanto la legge attribuisce loro non il diritto ad una quota di eredità ma solo il diritto ad una pars bonorum. Risulta però prevalente l’orientamento che individua nella successione necessaria una sorta di “successione legittima potenziata” secondo l’espressione utilizzata da A. Cicu, Successione legittima e dei legittimari, Milano, 1947, 218, dovendosi considerare le due forme di successione due specie dello stesso genere avendo in comune il titolo (la legge) e il fondamento (la tutela della famiglia). Naturalmente e differenze tra le due distinte serie di regole sono indubbie solo che ci si limiti ad evidenziare come le disposizioni a tutela dei legittimari siano prevalenti sulla volontà contraria manifestata dal testatore, mentre le regole sulle successioni legittime siano radicalmente inapplicabili nel caso di apertura di una successione retta completamente da un testamento.

[4] L’art. 588, co. 1 c.c., seppure in ambito di successione testamentaria, prevede che «Le disposizioni testamentarie, qualunque sia l'espressione o la denominazione usata dal testatore, sono a titolo universale e attribuiscono la qualità di erede, se comprendono l'universalità o una quota dei beni del testatore. Le altre disposizioni sono a titolo particolare e attribuiscono la qualità di legatario». Tale distinzione è utile non solo con riguardo alla successione testamentaria, ma il medesimo criterio di distinzione vale anche per la successione legittima e per la successione necessaria.

[5] L’erede succede a titolo universale in tutti i rapporti trasmissibili, attivi e passivi, che facevano capo al de cuius, o in una quota ideale (per quota si intende una frazione aritmetica dell’asse ereditario come ad esempio un terzo o la metà). Cfr. Breviaria Iuris a cura di G. Cian e A. Trabucchi, Cedam, 2010. 4 Il legatario succede in uno o più diritti individuati, o in una parte o quota degli stessi; si pensi al caso in cui un soggetto riceva per testamento la proprietà di un singolo immobile.

[6] Cfr. art. 457 c.c. sulla delazione dell’eredità: «L'eredità si devolve per legge o per testamento. Non si fa luogo alla successione legittima se non quando manca, in tutto in parte, quella testamentaria. Le disposizioni testamentarie non possono pregiudicare i diritti che la legge riserva ai legittimari».

[7] Nel diritto romano più arcaico l’istituto della legittima intesa come quota di eredità non esistevano particolari vincoli alla facoltà di disposizione testamentaria. Per successione necessaria, nel diritto romano arcaico, si intendeva la devoluzione dei beni della familia, secondo una antica concezione della indisponibilità mortis causa dei beni stessi, a favore dell’heres suus il quale doveva necessariamente divenire erede quale naturale e necessario continuatore della comunità familiare (F. Serrao, Diritto privato economia e società nella storia di Roma, 1, Napoli, 2008, 404, il quale precisa che gli eredi necessarii a differenza di quelli voluntarii non dovevano accettare l’investitura). Nel caso della praeteritio dei sui heres o dei liberi in diritto civile e nel diritto pretorio cadeva tutto il testamento. Nella diversa ipotesi della istituzione di questi solo in una minima parte dell’asse ereditario ovvero nella ipotesi di loro espressa diseredazione veniva riconosciuto al legittimario il diritto di agire con la querela inofficiosi testamenti. Così l’intero testamento veniva giudicato nullo con riguardo ai soggetti che avevano proposto l’azione con conseguente apertura della successione ab intestato. In età post classica fu riconosciuta la possibilità dell’actio ad supplendam legittimam dall’imperatore Costanzo definitivamente convertita sotto l’impero di Giustiniano dall’actio ad implendam legittimam.

[8] C.M. Bianca, Diritto civile, 2, La famiglia, Le successioni, 3a ed., Milano, 2001, 487; M.R. Morelli, Vocazione ereditaria, in Enc. Dir., XLVI, Milano, 1993, 1026; A. De Cupis, Aspettativa legittima e risarcimento del danno, in Arch. Civ., 1983, II, 104.

[9] Cfr. art. 587 c.c. Il testamento è un negozio giuridico unilaterale, revocabile, non recettizio, e personale, in quanto consente ad una persona di disporre dei propri beni per «il tempo in cui avrà cessato di vivere»

[10] In presenza di uno o più figli e del coniuge, la quota disponibile è pari a: • 1/3 se vi sono 1 figlio ed il coniuge; dei rimanenti 2/3 del patrimonio, 1/3 è riservato al figlio ed 1/3 al coniuge; • 1/4 se vi sono più figli ed il coniuge; dei 3/4 rimanenti, 2/4 (corrispondenti alla metà del patrimonio) spettano ai figli, mentre 1/4 del patrimonio spetta al coniuge. In presenza di uno o più figli ed in mancanza del coniuge, la quota disponibile diminuisce se ci sono più figli. In sintesi: • se vi è 1 solo figlio, a quest’ultimo è riservata la metà del patrimonio, e l’altra metà rappresenta la quota disponibile. Se vi sono più figli: i 2/3 del patrimonio sono divisi tra i figli in egual misura e la quota disponibile è pari a 1/3; In mancanza di figli, se vi sono il coniuge e gli ascendenti legittimi (padre, madre, nonni) la quota disponibile è pari a: • 1/4, mentre al coniuge spetta la metà del patrimonio e agli ascendenti invece 1/4 del patrimonio. Se invece mancano il coniuge ed i figli, la quota disponibile è pari a 2/3, mentre agli ascendenti legittimi spetta 1/3

[11] E. del Prato, Patti successori, in Lo spazio dei privati. Scritti, Bologna, 2016, 618, il quale autorevolmente evidenzia come l’incertezza delle disposizioni testamentarie sino a quando non sopraggiunga la morte del testatore attribuisca al possibile beneficiario la titolarità di una mera aspettativa di fatto, stante la revocabilità delle disposizioni mortis causa; E. del Prato, Sistemazioni contrattuali in funzione successoria: prospettive di riforma, in Riv. Not., 2001, I, 625 ss., e le osservazioni di S. delle Monache, Spunti ricostruttivi e qualche spigolatura in tema di patto di famiglia, in Riv. Not., 2006, I, 889 ss.

[12] S. Pagliantini, La frode per testamento ai creditori del legittimario: sulla c.d. volontà testamentaria negativa e tecniche di tutela dei creditori, in La c.d. forza di legge del testamento, Napoli, 2016, 85 ss. Sul punto si veda anche M. Criscuolo, La tutela dei creditori rispetto ad atti dispositivi della legittima, in Tradizione e modernità del diritto ereditario nella prassi notarile, a cura della Fondazione Italiana del Notariato, Milano, 2016, reperibile su , 118 ss. e più di recente P. Mazzamuto, La tutela dei creditori personali del legittimario leso o pretermesso, in Comparazione e Dir. civ., 2019, 1 ss.

[13] G. Marinaro, La successione necessaria, in Tratt. Dir. civ. del Consiglio Nazionale del Notariato, diretto da P. Perlingieri, VIII, 3, Napoli, 2009, 290; V.E. Cantelmo, I legittimari, in Successioni e donazioni, a cura di P. Rescigno, I, Padova, 1994, 541.

[14] L. Mengoni, Successioni per causa di morte, Parte speciale: Successione necessaria, cit., 242, per cui l’opinione che limita ai cessionari il riferimento del termine “aventi causa” contrasta con i precedenti storici della norma e con l’argomento testuale desumibile dal terzo comma; W. D’Avanzo, Delle successioni, II, Firenze, 1941, 499; L. Barassi, Le successioni per causa di morte, cit., 278.

[15] G. Capozzi, Successioni e donazioni, cit., p. 429; M. Dosetti, Concetto e fondamento della successione necessaria, in Tratt. dir. succ. e donaz., dir. da G. Bonilini, cit., III, p. 35; F. Loffredo, La determinazione della quota di riserva spettante ai legittimari nel caso in cui uno di essi rinunci all’eredità ovvero perda, per rinuncia o per prescrizione, il diritto di esperire l’azione di riduzione, cit., p. 682 s.

[16] G. Bonilini, Nozioni di diritto ereditario, Torino, 1986; G. Bonilini, Legato, in Dig. disc. priv., X, Torino, 1993; G. Bonilini, Autonomia testamentaria e soluzione delle controversie in via arbitrale, in Contratti, 1999, 633 ss.; G. Bonilini, La divisione, in Dig. disc. priv., VI, Torino, 1999; G. Bonilini, Autonomia negoziale e diritto ereditario, in Riv. Not., 2000; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, 2006, IV ed.; G. Bonilini, Patto di famiglia e diritto delle successioni mortis causa, in Fam., pers. e succ., 2007, 390- 399; G. Bonilini, Il diritto di famiglia, Torino, 2007; G. Bonilini, Sulla proposta di novellazione delle norme relative alla successione necessaria, in Fam. pers. e succ., 2007, . 581 ss.;

[17] Per l‟analisi del concetto di successione e, più specificamente, per l‟esame della nozione di successione mortis causa, cfr. M. Allara, Principi di diritto testamentario, Torino, 1957, p. 9 ss.; G. Azzariti, Le successioni e le donazioni, Padova, 1982, p. 3 ss.; L. Barassi, Le successioni per causa di morte, Milano, 1941, p. 4 ss.; C. M. Bianca, Diritto civile, 2. La famiglia - Le successioni, Milano, 2005, p. 529 ss.; L. Bigliazzi Geri, Il testamento, in Tratt. dir. priv. diretto da P. Rescigno, volume 6, Tomo II, Successioni, Torino, 1997, p. 5 ss.; G. Bonilini, Diritto delle successioni, Roma, 2004, 5 ss.; ID, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, 2006, p. 1 ss. e 25 ss.; ID, Nozioni di diritto ereditario, Torino, 1993, p. 1 ss e 16 ss.; A. Burdese, Successione a causa di morte, in Enc. giur. Treccani, XXX, Roma, 1993, p. 1 ss.; G. Capozzi, Successioni e donazioni, Milano, 2002, p. 5 ss. e 11 ss.; L. Cariota Ferrara, Le successioni per causa di morteParte generale, Tomo I, Principi – Problemi fondamentali, Napoli, 1959, 30 ss. e 37 ss.; U. Carnevali, voce: “Successione, I) Profili generali”, in Enc. giur. Treccani, XXX, Roma, 1993, p. 1 ss.; A. De Cupis, voce: “Successione, I) Successione nei diritti e negli obblighi”, in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990, p. 1250 ss.; M. Di Fabio, Le successioni nel diritto comparato, in Successioni e donazioni a cura di P. RESCIGNO, Volume II, Padova, 1994, p. 448 ss.; L. Ferri, Successioni in generale, in Comm. cod. civ. a cura di A. Sciajola – G. Branca, Successioni. Artt. 456 – 511, Bologna – Roma, 1980, 1 ss.; R. Nicolò, voce: “Successione nei diritti”, in Noviss. Dig. it., XVIII, Torino, 1971, p. 605 ss.; A. Zoppini, Le successioni in diritto comparato, Torino, 2002, p. 1 ss.

[18] Cfr. G. B. Ferri, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, cit., p. 58 ss., secondo il quale, considerate le differenze tra il testamento e i negozi inter vivos, i principi di autonomia contenuti nell’art. 1322 c.c. non sarebbero applicabili al testamento. Più precisamente, non soltanto non sarebbe possibile creare negozi atipici in materia testamentaria, ma non sarebbe neppure ammissibile un giudizio sulla meritevolezza di tutela dell‟interesse perseguito, giudizio, quest‟ultimo, che presupporrebbe, per il perseguimento dell‟interesse, la costituzione, la modificazione o l’estinzione di un rapporto giuridico.

Sono state individuate alternative in senso stretto al testamento (negozi trans mortem) e alternative in senso lato al testamento (negozi inter vivos con effetti post mortem). Nella prima categoria rientrerebbero il contratto a favore del terzo, il contratto di assicurazione sulla vita a favore del terzo, la rendita vitalizia e il vitalizio alimentare. Si tratta di ipotesi in cui l’uscita del bene dal patrimonio del disponente avverrebbe prima della sua morte, mentre la definitività dell’attribuzione a favore del beneficiario si verificherebbe solo dopo la morte dell’autore, il quale potrebbe vanificare il predisposto assetto patrimoniale sino all‟apertura della successione. Rientrerebbero nella seconda categoria, invece, la donazione modale con adempimento post mortem del modus e la donazione si praemoriar, ipotesi, queste, caratterizzate dal fatto di produrre effetti dopo la morte del loro autore. Per un‟analisi delle manifestazioni dell’autonomia privata che, in concreto, assolvono funzioni analoghe a quella propria del testamento, Cfr. A. Palazzo, Autonomia contrattuale e successioni anomale, cit., 1 ss.

[19] Cfr. G. B. Ferri, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, cit., 58 ss., secondo il quale, considerate le

differenze tra il testamento e i negozi inter vivos, i principi di autonomia contenuti nell’art. 1322 c.c. non

sarebbero applicabili al testamento. Più precisamente, non soltanto non sarebbe possibile creare negozi atipici in materia testamentaria, ma non sarebbe neppure ammissibile un giudizio sulla meritevolezza di tutela

dell’interesse perseguito, giudizio, quest’ultimo, che presupporrebbe, per il perseguimento dell’interesse, la

costituzione, la modificazione o l’estinzione di un rapporto giuridico.

Sono state individuate alternative in senso stretto al testamento (negozi trans mortem) e alternative in senso lato al testamento (negozi inter vivos con effetti post mortem). Nella prima categoria rientrerebbero il contratto a favore del terzo, il contratto di assicurazione sulla vita a favore del terzo, la rendita vitalizia e il vitalizio alimentare. Si tratta di ipotesi in cui l’uscita del bene dal patrimonio del disponente avverrebbe prima della sua morte, mentre la definitività dell’attribuzione a favore del beneficiario si verificherebbe solo dopo la morte dell’autore, il quale potrebbe vanificare il predisposto assetto patrimoniale sino all’apertura della successione. Rientrerebbero nella seconda categoria, invece, la donazione modale con adempimento post mortem del modus e la donazione si praemoriar, ipotesi, queste, caratterizzate dal fatto di produrre effetti dopo la morte del loro autore. Per un’analisi delle manifestazioni dell’autonomia privata che, in concreto, assolvono funzioni analoghe a quella propria del testamento, Cfr. A. Palazzo, Autonomia contrattuale e successioni anomale, cit., 1 ss.