Giurisprudenza Amministrativa
Alla Plenaria il quesito circa l’ammissibilità del giudizio di ottemperanza relativo a crediti pecuniari vantati nei confronti di Comuni in stato di dissesto: la possibile rimeditazione di un precedente arresto.
Di Tommaso Tornielli
NOTA A CONSIGLIO DI STATO - SEZIONE QUINTA,
ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL’ADUNANZA PLENARIA
21 aprile 2021, n. 3211
Alla Plenaria il quesito circa l’ammissibilità del giudizio di ottemperanza relativo a crediti pecuniari vantati nei confronti di Comuni in stato di dissesto: la possibile rimeditazione di un precedente arresto
Di TOMMASO TORNIELLI
SOMMARIO: 1. Introduzione. Riferimenti normativi in materia di dissesto degli enti locali – 2. Il fatto – 3. La precedente pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 15/2020 – 4. I motivi del “nuovo” rinvio all’Adunanza Plenaria – 5. Sintesi e conclusioni
- Introduzione. Riferimenti normativi in materia di dissesto degli enti locali
L’istituto del dissesto finanziario degli enti locali, introdotto originariamente dall’art. 25, DL n. 66/1989, trova oggi regolamentazione all’interno del Titolo VIII, D. lgs. n. 267/2000 (TUEL), rubricato “Enti locali deficitari e dissestati”.
Scopo della disciplina è “il ripristino degli equilibri di bilancio e della ordinaria funzionalità degli enti locali in grave crisi finanziaria”, al fine di assicurare, in via mediata, “la tutela di interessi primari, relativi al buon andamento, alla continuità dell'azione amministrativa, e al mantenimento dei livelli essenziali delle prestazioni” [1].
L’art. 244 TUEL identifica il presupposto del dissesto con la situazione in cui “l'ente non può garantire l'assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili ovvero esistono nei confronti dell'ente locale crediti liquidi ed esigibili di terzi cui non si possa fare validamente fronte” né mediante il ripristino del riequilibrio di bilancio ordinario e neppure mediante il riconoscimento del debito fuori bilancio straordinario.
Al verificarsi dei presupposti sopra descritti, il consiglio dell’ente locale è vincolato all’adozione della deliberazione dichiarativa dello stato di dissesto. La dichiarazione dà avvio alla procedura di risanamento finanziario, all’interno della quale l’art. 245 TUEL individua due soggetti:
- l’organo straordinario di liquidazione (OSL), che ha il compito di “provvedere al ripiano dell’indebitamento pregresso” [2];
- gli organi istituzionali dell’ente, che hanno il compito di assicurare “condizioni stabili di equilibrio della gestione finanziaria, rimuovendo le cause strutturali che hanno determinato il dissesto”.
Mentre gli organi istituzionali garantiscono la continuità dell’azione amministrativa (gestione ordinaria), l’OSL provvede al riequilibrio del bilancio dell’ente (gestione liquidatoria), mediante il piano di rilevazione della massa passiva (art. 254 TUEL), l’acquisizione dei mezzi finanziari per il risanamento (art. 255 TUEL), la liquidazione e il pagamento della massa passiva, al cui esito viene redatto il rendiconto di gestione (art. 256 TUEL).
Quanto agli effetti della dichiarazione di dissesto, essi si protraggono fino all’approvazione del bilancio stabilmente riequilibrato e consistono – principalmente – nella sospensione dei termini per la deliberazione del bilancio, nell'estinzione d’ufficio delle procedure esecutive pendenti e nell’inammissibilità di azioni esecutive nei confronti dell’ente per i debiti che rientrano nella competenza dell’organo straordinario di liquidazione (art. 248 TUEL).
Una della criticità maggiori della disciplina è costituita dalla distinzione tra i debiti di competenza della gestione ordinaria, rimessi agli organi istituzionali dell’ente e perciò azionabili dai creditori con le procedure ordinarie e i debiti di competenza della gestione liquidatoria, rientranti nella massa passiva di competenza dell’OSL e, pertanto, non passibili di esecuzione coattiva ai sensi del sopra citato art. 248 TUEL.
La norma che identifica i debiti di competenza dell’OSL è l’art. 252, comma 4, TUEL, che dispone: “l’organo straordinario di liquidazione ha competenza relativamente a fatti e atti di gestione verificatisi entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato”.
La disposizione appena citata ha subito un’integrazione interpretativa ad opera dell’art. 5, comma 2, DL n, 80/2004[3], ai sensi del quale “ai fini dell'applicazione degli articoli 252, comma 4 […], si intendono compresi nelle fattispecie ivi previste tutti i debiti correlati ad atti e fatti di gestione verificatisi entro il 31 dicembre dell'anno precedente a quello dell'ipotesi di bilancio riequilibrato, pur se accertati, anche con provvedimento giurisdizionale, successivamente a tale data ma, comunque, non oltre quella di approvazione del rendiconto della gestione di cui all'articolo 256, comma 11, del medesimo testo unico”.
Dal momento che l’ipotesi di bilancio riequilibrato deve essere perentoriamente presentata entro tre mesi dalla nomina dell’OSL (art 259 TUEL), risulta che i debiti di competenza dell’OSL, che alimentano la massa passiva, sono quelli derivanti da “atti e i fatti di gestione” verificatisi entro il 31 dicembre dell’anno precedente la dichiarazione di dissesto (rectius, dell’anno precedente quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato), anche se accertati – in via amministrativa o giurisdizionale – in data successiva, con l’unico limite dell’approvazione del rendiconto, che segna il momento a partire dal quale l’OSL cessa la sua giuridica esistenza.
Proprio con riferimento all’interpretazione della locuzione “atti e fatti di gestione” contenuta nel citato art. 252, comma 4, TUEL sono sorti i dubbi che hanno portato il Consiglio di Stato a interpellare nuovamente l’Adunanza Plenaria.
- Il fatto
I ricorrenti proponevano giudizio di ottemperanza ex art. 112, comma 2, lett. c), CPA contro un comune per l’esecuzione di un decreto ingiuntivo non opposto, con cui il Tribunale ordinario, in data 29 novembre 2017, aveva ordinato il pagamento in loro favore di una somma di danaro, il cui titolo risiedeva in debiti decorrenti, rispettivamente, dal 2013 e dal 2014.
Il TAR adito[4] rilevava d’ufficio l’inammissibilità del ricorso per l’ottemperanza, sul presupposto che il Comune aveva dichiarato lo stato di dissesto il 19 giugno 2017. Pertanto, in applicazione dell’art. 248 TUEL e dell’art. 5, comma 2, DL n, 80/2004, a far tempo da quella data non avrebbero potuto essere intraprese azioni esecutive nei confronti dell’ente per i debiti di competenza dell’OSL.
Il ragionamento seguito dai giudici di primo grado appare aderente al dettato normativo: il debito, anche se accertato giudizialmente in data successiva (novembre 2017) alla dichiarazione di dissesto (giugno 2017), trovava la sua fonte in atti e fatti di gestione del comune antecedenti alla dichiarazione di dissesto (2013, 2014), dunque lo stesso doveva essere ricondotto alla competenza dell’OSL e sottratto a qualunque tipo di azione esecutiva, incluso il rito di ottemperanza[5].
I ricorrenti appellavano la sentenza di primo grado, sostenendo che, in generale, i crediti derivanti da una pronuncia giudiziale passata in giudicato in data successiva alla dichiarazione di dissesto non dovrebbero rientrare nella massa passiva di competenza dell’OSL, anche se il fatto genetico sia anteriore al dissesto, ma dovrebbero seguire le regole generali.
Gli appellanti richiedevano inoltre che fosse sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 252, comma 4, TUEL e dell’art. 5, comma 2, DL n. 80/2004 in riferimento agli artt. 97 e 117 Cost.
Prima di addentrarsi nell’analisi delle ragioni che hanno portato la Quinta Sezione del Consiglio di Stato a rimettere la questione all’Adunanza Plenaria, pare opportuno richiamare brevemente un precedente analogo, noto alla difesa degli appellanti e assunto dall’ordinanza di rimessione quale punto di partenza del proprio ragionamento logico-interpretativo.
- La precedente pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 15/2020
Meno di un anno prima della pubblicazione dell’ordinanza in commento, l’Adunanza Plenaria ha avuto occasione di confrontarsi con il problema della corretta imputazione dei debiti facenti capo a un comune in stato di dissesto finanziario.
In quel caso, il debito trovava la sua origine nell’utilizzo, da parte del comune, di un bene immobile di proprietà privata in assenza di espropriazione o di dichiarazione di pubblica utilità, avvenuto in data precedente alla dichiarazione di dissesto, sebbene, anche in seguito al dissesto, non fosse ancora intervenuto il provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42-bis, DPR n. 327/2001.
Il TAR, in primo grado[6], interpretava la normativa in senso formale-contabile, ritenendo che l’atto o fatto di gestione ai fini dell’imputazione del debito non coincidesse con l’occupazione sine titulo dell’immobile privato da parte del comune (avvenuta in data risalente, precedente al dissesto), ma fosse da identificarsi con il provvedimento di acquisizione sanante, unica modalità di accertamento del debito, non ancora adottato alla data di instaurazione del giudizio e quindi successivo rispetto alla dichiarazione di dissesto.
Pertanto, il TAR riconduceva il debito alla competenza della gestione ordinaria del comune, con conseguente possibilità di soddisfacimento immediato, anche in via esecutiva, per il ricorrente.
La Quarta Sezione del Consiglio di Stato, investita dell’appello da parte del comune, sottoponeva alla Plenaria il quesito[7] relativo “all’imputazione del debito conseguente all’emanando provvedimento di acquisizione sanante alla gestione dell’Organo Straordinario di Liquidazione ovvero alla gestione ordinaria del bilancio del comune”.
La Plenaria – nel ribaltare la pronuncia di primo grado – dava risalto al tenore letterale dell’art. 5, comma 2, DL n. 80/2004, affermando che il momento di accertamento del debito deve essere tenuto ben distinto, ai fini della relativa imputazione, dal momento genetico dello stesso, cioè dalla data in cui si siano storicamente verificati i “fatti o atti di gestione” che lo abbiano originato.
In altri termini, “la circostanza che l’accertamento del credito intervenga successivamente è irrilevante ai fini dell’imputazione”: anche un’obbligazione sorta dopo la dichiarazione di dissesto sarebbe idonea a rientrare nella competenza dell’OSL, laddove eziologicamente ricollegabile ad eventi pregressi alla dichiarazione di dissesto.
Concludeva quindi la Plenaria che, nonostante il provvedimento di acquisizione sanante abbia natura costitutiva e non meramente ricognitiva, esso trova comunque il suo fatto genetico nell’occupazione sine titulo di un bene immobile privato da parte della PA, essendo normativamente sancito lo stretto nesso di presupposizione logico-giuridica tra l’indebita utilizzazione dell’area e il successivo provvedimento di acquisizione.
Pertanto, ai fini dell’imputazione del relativo debito, la data che occorre considerare è unicamente quella del “fatto di occupazione illegittima”, essendo del tutto ininfluente la data dell’atto amministrativo di acquisizione sanante.
La riferita contrapposizione tra la posizione formale-contabile espressa dal TAR e l’arresto in senso sostanzialista dettato dalla Plenaria rappresenta una tappa (recente e dunque ancora connotata da importanti elementi di instabilità) di un contrasto giurisprudenziale non ancora del tutto sopito[8].
- I motivi del “nuovo” rinvio all’Adunanza Plenaria
L’ordinanza della Quinta Sezione in commento richiama anzitutto uno dei passaggi motivazionali della precedente sentenza della Plenaria n. 15/2020, secondo cui “sono attratti dalla competenza dell’OSL e non rientrano quindi nella gestione ordinaria, non solo le poste passive pecuniarie già contabilizzate alla data di dichiarazione del dissesto […], ma anche tutte le svariate obbligazioni che, pur se stricto iure sorte in seguito, costituiscano comunque la conseguenza diretta di atti e fatti di gestione pregressi alla dichiarazione di dissesto”.
Dando applicazione – continua la Quinta Sezione – a tale affermazione di principio, dovrebbe essere confermata la statuizione di inammissibilità del ricorso di ottemperanza emanata dal TAR in primo grado, poiché, nonostante il decreto ingiuntivo sia stato emesso dopo la dichiarazione di dissesto, esso trova la sua fonte genetica in atti e fatti pregressi al dissesto, con conseguente competenza dell’OSL e operatività del divieto di azioni esecutive (ex art. 248 TUEL).
L’ordinanza riflette poi sulle conseguenze della mancata attribuzione del debito alla gestione comunale ordinaria e, segnatamente, sull’impossibilità di soddisfacimento del creditore prima del definitivo riequilibrio finanziario dell’ente, sollevando dubbi di compatibilità con i principi espressi in materia dalla Corte EDU.
La Sezione Quinta richiama quindi la sentenza “De Luca”[9], con cui la Corte EDU aveva accolto il ricorso di un cittadino italiano che faceva valere un proprio credito accertato con sentenza nel 2004 nei confronti di un comune, dopo che quest’ultimo aveva dichiarato lo stato di dissesto finanziario nel 1993, a contenzioso già avviato.
La Corte EDU aveva in particolare ritenuto che la pendenza della procedura di dissesto non sarebbe tout-court idonea a comprimere in maniera sproporzionata e irragionevole i diritti di credito accertati in capo ai privati. Infatti, ciò concreterebbe la lesione del diritto al rispetto dei beni di proprietà privata (tra cui rientrano anche i crediti) ai sensi dell’art. 1 del Primo Protocollo Addizionale alla CEDU, nonché la violazione degli articoli 6 e 13 della CEDU relativi al diritto ad un equo processo e al diritto di poter attivare un ricorso effettivo davanti ad un’autorità nazionale.
In altri termini, il principio di diritto espresso dalla Corte EDU e richiamato dall’ordinanza in commento postula che, una volta che un cittadino veda giudizialmente riconosciuto un credito in proprio favore, l’esecuzione del relativo provvedimento giurisdizionale sia “parte integrante” del diritto al giusto processo sancito dall’art. 6 della CEDU.
La Quinta Sezione sviluppa il ragionamento, caratterizzando lo stato di dissesto dell’ente locale come terreno di scontro tra due esigenze contrapposte.
Da un lato, si pone l’interesse pubblico al riequilibrio finanziario dell’ente, che reca con sé il divieto di azioni esecutive per i debiti di competenza dell’OSL, anche in un’ottica di tutela della par condicio creditorum. Dall’altro lato, vi è il diritto dei cittadini-creditori a soddisfare, anche giudizialmente, i loro crediti.
Il bilanciamento tra i due contrapposti interessi va ricercato alla luce del principio di proporzionalità: ben può essere posto un limite alle azioni esecutive dei privati contro l’ente dissestato, ma un simile limite non può tradursi in un sostanziale svuotamento del diritto di credito del privato, destinato a essere soddisfatto in una data futura e incerta, all’esito di una procedura liquidatoria straordinaria che “sfugge completamente al controllo del ricorrente”.
L’ordinanza di rimessione individua il profilo più critico della disciplina del dissesto nel fatto che il credito del privato, una volta confluito nella massa passiva di competenza dell’OSL, viene congelato e il relativo diritto di azione esecutiva viene paralizzato fino al definitivo riequilibrio dell’ente, per un periodo che virtualmente non ha limite temporale e che può protrarsi per anni.
Nel caso in cui la procedura di riequilibrio abbia durata eccessivamente lunga, il sacrificio richiesto al privato si tradurrebbe, quindi, in una sproporzionata “paralisi dei diritti dei creditori che nascono da date assai lontane” (nella fattispecie, debiti decorrenti dal 2013 e dal 2014, non ancora soddisfatti alla data attuale).
Sono dunque motivazioni di giustizia sostanziale e di tutela dei diritti dei singoli di fronte alla PA (specie se derivanti da provvedimento giudiziale, come nel caso di un decreto ingiuntivo non opposto, o di una sentenza passata in giudicato) a spingere la Quinta Sezione a rimettere nuovamente la questione alla Plenaria.
- Sintesi e Conclusioni
Le problematiche interpretative sollevate dall’ordinanza in commento nascono da una caratteristica strutturale della procedura di dissesto, ossia la necessità di tracciare un preciso spartiacque tra la gestione dell’indebitamento pregresso dell’ente locale, destinata al riequilibrio, e la gestione corrente, ordinaria, che garantisca la continuità dell’azione amministrativa durante la ristrutturazione finanziaria dell’ente locale.
Una volta individuata la massa passiva, il ripiano dell’indebitamento non può che essere attuato con gradualità, sia a tutela della platea dei creditori, sia a garanzia delle funzioni pubbliche che l’ente locale deve continuare a svolgere.
Proprio per assicurare la gradualità del riequilibrio, è stato previsto che i debiti rientranti nella massa passiva, di competenza della gestione liquidatoria, non possano essere eseguiti coattivamente; invece, i debiti sorti successivamente al dissesto restano del tutto indipendenti da esso, poiché si collocano al di là dello spartiacque, ossia nella vita futura e risanata dell’ente, che non può più risentire della precedente gestione diseconomica.
Si verifica dunque una disparità di trattamento tra i titolari di crediti rientranti nella competenza ordinaria e i titolari di crediti rientranti nella competenza liquidatoria: i primi si possono immediatamente soddisfare, anche esecutivamente, i secondi devono attendere il riequilibrio dell’ente.
Laddove tale disparità di trattamento sia contenuta entro limiti ragionevoli, la stessa può essere sopportata dai creditori della massa passiva. Ma ove lo stato di dissesto e il conseguente mancato pagamento dei debiti imputati alla massa passiva si protragga per anni, il pregiudizio per i creditori può divenire intollerabile, nonché lesivo di diritti tutelati a livello costituzionale e comunitario.
È quindi agevole comprendere come un ruolo decisivo sia giocato dal criterio di attribuzione dei debiti dell’ente dissestato alla competenza liquidatoria, oppure a quella ordinaria.
Il legislatore, nel definire tale criterio, ha stabilito originariamente che siano attratti nella massa passiva i debiti relativi a “fatti e atti di gestione” verificatisi entro l’anno precedente al dissesto (art. 252 TUEL).
Successivamente, in sede di interpretazione autentica, il legislatore ha precisato che rientrano nella competenza della gestione liquidatoria tutti i debiti correlati ad atti e fatti di gestione verificatisi entro l’anno precedente al dissesto, pure se accertati, anche con provvedimento giurisdizionale, successivamente a tale data (art. 5, comma 2, DL n. 80/2004).
Il chiarimento normativo del 2004 è stato evidentemente necessario in conseguenza dell’ampia formulazione originaria “fatti e atti di gestione”, la quale aveva posto la giurisprudenza di fronte alla necessità di individuare, caso per caso, quali fossero gli atti rilevanti per determinare il tempus di insorgenza del debito a carico dell’ente, così da ascriverlo, o meno, alla gestione liquidatoria.
Alla tesi formale, che considerava come “verificatisi” i fatti o atti di gestione solo dopo che il debito fosse divenuto liquido ed esigibile, determinato nell’an e nel quantum, si è contrapposta la tesi sostanziale, che ha invece dato rilievo esclusivamente al momento genetico del debito, intendendosi per tale quello della decorrenza dell’obbligazione, tenendo così separati il momento in cui l’obbligazione sorge e il momento in cui esse viene accertata.
L’ordinanza in commento testimonia come il contrasto tra tesi formale e tesi sostanziale – apparentemente superato in favore della seconda, ad opera dell’interpretazione autentica fornita dal legislatore nel 2004 – nasconda in realtà un dubbio della giurisprudenza, la quale è chiamata a ricercare la giustizia del caso concreto dilatando o restringendo la competenza dell’OSL, per tutelare la posizione del privato creditore di un ente in stato di dissesto.
Nella fattispecie affrontata dalla Plenaria con la precedente sentenza n. 15/2020, il TAR aveva in primo grado sostenuto che la data rilevante per l’insorgenza del debito sarebbe da identificare con il provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42-bis, DPR n. 327/2001. Invece, il Consiglio di Stato aveva dilatato al massimo la competenza dell’OSL, andando a ricercare storicamente la data in cui si era verificato il fatto dell’occupazione sine titulo e valorizzando quella data ai fini dell’imputazione del debito.
Leggendo tale precedente “a ritroso”, secondo la chiave di lettura orientata in senso comunitario fornita dall’ordinanza n. 3211/2021 in commento, si potrebbe affermare che l’interpretazione formale-contabile offerta dal TAR nasconda in realtà l’esigenza di dare soddisfacimento al credito vantato dal ricorrente, nascente dall’occupazione abusiva del proprio fondo da parte della PA, assai risalente nel tempo e non ancora liquidato a causa del dissesto.
Il Consiglio di Stato, in sede di Adunanza Plenaria, ha quindi adempiuto alla sua funzione nomofilattica, facendo prevalere la tesi sostanziale dell’indifferenza della data dell’accertamento rispetto all’individuazione storica dell’atto o fatto genetico del debito fornita dal legislatore nel 2004, con norma di interpretazione autentica.
Invece, nel caso della “nuova” ordinanza in commento, la questione non è sorta intorno a un atto amministrativo di accertamento (come l’acquisizione sanante), bensì con riguardo a un decreto ingiuntivo non opposto, ossia a un debito accertato con provvedimento giudiziale definitivo.
Rispetto al precedente, le posizioni della giurisprudenza si capovolgono, poiché la sentenza del TAR aveva applicato l’art. 5, comma 2, DL n. 80/2004 come interpretato dall’Adunanza Plenaria n. 15/2020 e dunque, una volta accertato che il debito dedotto in giudizio iniziava a decorrere in data precedente al dissesto, aveva dichiarato l’inammissibilità del ricorso in ottemperanza.
La “nuova” ordinanza di rimessione della Quinta Sezione, ben conscia del precedente arresto della Plenaria, confermativo della tesi sostanziale, non tenta mai l’applicazione della tesi formale, ma dimostra sensibilità rispetto all’effettività della tutela del privato creditore richiamando i principi espressi dalla Corte EDU e, più in generale, i principi generali di cui all’art. 97 Cost.
A ben vedere, allora, il reale problema giuridico deriva non tanto dalla formulazione normativa, già chiarita in sede di interpretazione autentica, ma da una situazione materiale: lo stato di dissesto può durare anni e privare sostanzialmente il privato-creditore del suo diritto, nonché della relativa tutela giurisdizionale esecutiva.
Emerge, in conclusione, che l’istituto del dissesto finanziario si rivela come strumento di riequilibrio dell’ente locale che non lede i diritti dei privati in quanto tale, come meccanismo di ristrutturazione della finanza pubblica territoriale, ma nella sua concreta applicazione.
Per queste ragioni, la rimessione della questione all’Adunanza Plenaria appare senz’altro opportuna, anche in considerazione della oggettiva diversità di presupposti in fatto e in diritto rispetto alla fattispecie oggetto della precedente pronuncia n. 15/2020.
Abstract
The case note focuses on the referring order of the 5th Section of the State Council to the Plenary Session on the question concerning the effects of the legal rules about insolvency of local authorities.
In particular, the case note describes the legal regulation of public insolvency provided by the Sigle Text about Local Authorities (Legislative Decree 267/2000) and examines the legal ban of foreclosure for credits owned by private citizens, following under the competence of the Special Liquidation Authority.
Finally, the case note also analyses a recent precedent judgement by the Plenary Session, highlighting positive and negative effects of the current regulation and pointing out the motivations of the new referring order.
[1] Così, testualmente, Albo, Francesco, La dichiarazione di dissesto finanziario negli enti locali. Prospettive di riforma, in Azienditalia, 2011, 1, 5.
[2] Il Ministero dell’Interno ha chiarito che “per indebitamento pregresso si intende la sommatoria del disavanzo di amministrazione da conto consuntivo dell'ultimo esercizio precedente il dissesto e dei debiti fuori bilancio, verificatisi prima dell'anno di riferimento del dissesto, riconoscibili in quanto rispondenti ai fini istituzionali dell'ente” (così, testualmente, Ministero dell'interno, Direzione finanza locale, Il dissesto finanziario degli enti locali alla luce del nuovo assetto normativo, aprile 2010, su www.interno.it).
[3] Convertito nella L. n. 140/2004.
[4] La sentenza di primo grado è TAR Lazio, Roma, n. 10043/2019.
[5] Sul tema, in questa sede del tutto collaterale, della natura c.d. “polisemica” del giudizio di ottemperanza, intesa come diversità delle possibili modalità di manifestazione dello stesso, da ricondurre alle peculiarità della questione in concreto da affrontare, sia sufficiente il richiamo a Cons. St., Ad. Plen., n. 2/2013.
[6] TAR Basilicata, 467/2019.
[7] CdS, ordinanza di rimessione n. 1994/2020.
[8] Per una caratterizzazione del contrasto giurisprudenziale sul tema, corredato da un elenco delle relative pronunce si rinvia a: Travi, Aldo, nota a Cons. St., n. 2141/2018, in Foro Italiano, 2018, III, 302. La nota, in particolare, evidenzia la contrapposizione tra l’interpretazione sostanziale, per cui “la procedura di dissesto si estende a tutti i debiti correlati ad atti e fatti anteriori alla dichiarazione di dissesto, anche se liquidati con un provvedimento giurisdizionale successivo” e l’interpretazione formale, secondo cui “l'ambito indicato dal legislatore non potrebbe estendersi fino ad includere nella massa passiva debiti ancora in via di accertamento e pertanto privi dei requisiti della certezza, della liquidità ed esigibilità”.
[9] Sentenza Corte EDU del 24/9/2014 (ricorso n. 43780/2004). Per un commento, si segnala: De Nes, Matteo, La Corte EDU entra nel merito della procedura di dissesto finanziario degli enti locali italiani. I casi di Pennino e De Luca, in: http://www.dpceonline.it/ , Vol 16 No. 4 (2013).