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Anno XVI - n. 10 - Ottobre 2024

  Temi e Dibattiti



Patrimonio digitale, mercato e nuovi paradigmi successori: tra dogmi e atipicità delle disposizioni testamentarie.

Di Giuseppe Maria Marsico
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Patrimonio digitale, mercato e nuovi paradigmi successori: tra dogmi e atipicità delle disposizioni testamentarie

 

Di Giuseppe Maria Marsico

 

Abstract

Lo spazio crescente che le nuove tecnologie informatiche occupano nella nostra vita quotidiana, le loro potenzialità e le rapide trasformazioni che determinano nello svolgimento di molteplici attività umane, con i conseguenti rischi che il loro utilizzo comporta, pongono la necessità di una regolamentazione post mortem degli interessi personali legati al mondo digitale. La crescente importanza dell’uso delle nuove tecnologie informatiche e l’impatto che queste esercitano sui rapporti patrimoniali e sui diritti e libertà fondamentali della persona, insieme alla trasformazione che i rapporti coinvolti nella successione avvengano nella cosiddetta società dell’informazione, essenzialmente collegati ai dati personali, affrontano il tema relativo alla sorte di tale “patrimonio” dopo la morte dell'utente.

 

The increasing space that new information technologies helds in our daily life, their potential and the rapid transformations they determine in the fulfillment of multiple human activities, with the consequent risks that their use entails, pose the need for post-mortem regulation of personal interests linked to the digital world. The growing importance of the use of new information technologies and the impact they exert on property relationships and on the fundamental rights and freedoms of the person, together with the transformation that the relationships involved in the succession events in the so-called information society, essentially linked to personal data, make the theme relating to the fate of such "assets" after the death of the user.

 

Sommario: 1. Introduzione metodologica: la moderna atipicità delle disposizioni testamentarie – 2. Profili ricostruttivi in tema di patrimonio digitale – 3. Tra dogmi e natura proteiforme delle disposizioni testamentarie alla luce delle moderne complessità del diritto di internet - 4. Brevi riflessioni conclusive.

 

  1. Introduzione metodologica: la moderna atipicità delle disposizioni testamentarie

 

Il tema della «eredità digitale» è stato declinato dalla letteratura italiana anche sotto altre denominazioni: come «successione digitale» o come «morte digitale». Tali «incertezze lessicali» testimoniano le difficoltà di definire o meglio di qualificare questo tipo di «successione». Si è optato per eredità digitale forse perché, come si è efficacemente rilevato, risulta «l’espressione più evocativa e fortunata». Tale sintagma, pur avendo un valore descrittivo, riesce ad assumere un significato simbolico, in quanto associa questioni inerenti alla tutela dei diritti della personalità e diritto successorio; vale a dire rappresenta una sorta di ibridazione tra tutela della persona e «pianificazione post mortem», non più solo relegata alla mera trasmissione patrimoniale.

Lo spazio sempre più ampio che occupano le nuove tecnologie informatiche nella nostra vita quotidiana, le loro potenzialità e le rapide trasformazioni che esse determinano nel compimento di molteplici attività umane, con i conseguenti rischi che il loro utilizzo comporta, pongono l'esigenza di una regolamentazione post mortem degli interessi della persona legati al mondo digitale. La crescente importanza che riveste l'uso delle nuove tecnologie informatiche e l'incidenza che esse esercitano sui rapporti patrimoniali e sui diritti e le libertà fondamentali della persona[1], unitamente alla trasformazione che hanno subito i rapporti coinvolti nelle vicende successorie nella c.d. società dell'informazione, legati essenzialmente ai dati personali, rendono peculiare il tema relativo alla sorte di tali “beni” dopo la morte dell'utente. La c.d. devoluzione mortis causa e – in particolare – il “paradigma” di testamento a cui siamo abituati, per tradizione millenaria, è quello avente ad oggetto esclusivamente a beni materiali. In quasi la totalità delle successioni ereditarie ciò che si trasferiva dal defunto ai suoi successibili era costituito, nel passato, sostanzialmente da immobili, denaro e beni mobili. A tal uopo, tuttavia, occorre rilevare che gli investimenti delle famiglie hanno assunto sempre più rilevanza gli strumenti finanziari o i titoli di credito dematerializzati che, in un primo momento, erano caratterizzati da semplicità e trasparenza e poi da prodotti sempre più sofisticati e “immateriali”.

Ad oggi, l’eredità assume una natura “proteiforme”: essa è, talvolta, costituita da beni immateriali, valutabili dal lato economico, come i diritti d’autore, ma anche da oggetti di non sempre concreto valore economico, come lettere, fotografie, manoscritti e anche da qualità ideali, morali, culturali e scientifiche.

Peraltro,  le  nuove tecnologie dell’informazione hanno modificato il nostro modo di vivere e di lavorare: taluni esponenti della dottrina hanno, in tale ottica, definito tale processo come una “rivoluzione digitale”[2]

Mediante l’uso sempre più massiccio delle tecnologie digitali si possono ingenerare notevoli risorse economiche, ma al contempo si configura una identità digitale plurale, «liquida» della persona che risulta sempre più scissa, «scollegata» da un’identità «analogica», relativa alla sua dimensione fisica e su cui l’individuo mantiene la possibilità di controllo. Nella dimensione digitale, infatti, si assiste ad una frantumazione «della unità del pensiero e dei sentimenti in una molteplicità di pezzi (i dati) i quali — una volta ricomposti ed ammesso che tale ricomposizione sia possibile — possono anche restituire un altro “io”» senza che la persona sia in grado di governare scientemente tale processo di ridefinizione. Questa frattura tra reale e digitale risulta ulteriormente acuita con la morte, quando «la personalità digitale postuma» del de cuius, frutto della tensione dialettica tra oblio, riservatezza e corretta e piena rappresentazione delle informazioni dell’individuo, risulta ridefinita, in senso univoco, dalle condizioni contrattuali, previste dai social network o dai servizi di cloud computing che l’utente ha accettato per potervi accedere.

La lex contractus aggiunge, quindi, un’ulteriore coordinata che ispessisce il grado di complessità e che sembra «fagocitare» le succitate istanze di tutela postuma dei dati personali e di applicazione del diritto successorio

La digitalizzazione della nostra vita e di ogni documento, giuridico e non, è ormai un fenomeno irreversibile. Non hanno più rilevanza - ai fini anche dei trasferimenti mortis causa - solamente gli immobili, le auto, i gioielli e i depositi bancari tradizionali, intesi nella loro materialità e  “fisicità”.

Nell’era moderna digitale «la ricchezza si smaterializza» e assumono sempre più rilevanza realtà nuove, come gli ‘archivi digitali’, i contatti sui ‘social network’ e anche la reputazione ‘on line’. Si pensi al valore di «informazioni» o di «fotografie» o «filmati» che una persona – anche per il suo lavoro o per le cariche avute in vita – può avere archiviati nei suoi supporti informatici, la cui divulgazione può determinare addirittura ‘crisi economiche’, ‘politiche’ e ‘diplomatiche’. Si pensi anche ai ‘blog’ ed agli ‘account’ per svolgere attività di ‘e-commmerce’.

Tuttavia, l’indagine dogmatica, in questi anni, si è «ulteriomente allargata», in quanto ora abbraccia anche «pretese» di carattere patrimoniale «connesse» al trattamento di «dati personali»: (a) i “diritti connessi al «trattamento» post mortem dei «dati personali»” del defunto a tutela della ‘dignità’ e dell’‘immagine’ di costui, intesi come ‘pretese di carattere patrimoniale’ connesse al trattamento di dati personali; (b) i diritti citati da parte di chi agisca «per interesse proprio», in qualità di «mandatario dell’interessato», ovvero «per ragioni familiari meritevoli di protezione»; (c) i diritti delle persone più vicine al de cuius a tutela della ‘dignità’ e dell’‘immagine’ di costui. Sulla base di quanto detto, si assiste ad una «tendenza», sempre maggiore, ad «estendere» il riconoscimento ai successibili la disciplina di «tutela dei dati delle persone defunte».

La norma che rappresenta in tale ambito una vera e propria pietra angolare è rappresentata nella riserva contenuta nel “considerando” 27 del «Regolamento (Ue) n. 2016/679» del PE [EP] e del CE [EC] del 27/4/2016 in materia di “protezione dei dati personali” delle persone fisiche, nonché di “libera circolazione” di tali dati. Sembra utile rilevare come con l’avvento della rete di internet ‘sono nati diritti’ che possono definirsi appartenenti al cd. “diritto pubblico digitale” e ‘altri diritti’ più specificamente facenti parte del “diritto privato digitale”[3]. I ‘diritti umani’ e la ‘giustizia sociale’ «devono» costituire “il quadro giuridico e normativo fondamentale” su cui internet funziona ed è governato.

Questo deve avvenire in ‘modo trasparente’ e ‘multilaterale’, basato su ‘principi’ di ‘apertura’, di ‘partecipazione inclusiva’ e di ‘responsabilità’. Dalle ‘libertà digitali’ nascono, poi, i «diritti digitali»[4].

 

 

 

  1. Profili ricostruttivi in tema di patrimonio digitale

 

Da tempo si è chiarito come la funzione riservata al testamento non sia limitata al solo aspetto devolutivo-attributivo delle proprie sostanze, ma riguardi la regolamentazione postuma di tutti gli interessi della persona abbiano essi carattere patrimoniale o personale. Ciò in ossequio alla stessa nozione di successione mortis causa, la quale ricomprende tutte le vicende e i rapporti facenti capo al de cuius. In quest’ottica, il testamento rappresenta lo strumento negoziale di carattere generale con funzione polivalente, in quanto diretto alla realizzazione del complessivo assetto di interessi del testatore, potendo contenere anche disposizioni non patrimoniali atipiche. Deve infatti considerarsi ormai superato l’orientamento che riteneva giuridicamente rilevanti le sole disposizioni espressamente previste dalla legge, considerando tutte le altre come mere raccomandazioni o obbligazioni morali non vincolanti per gli eredi[5].

In particolare, si è rilevato che se si considerassero tassative le ipotesi in cui la legge prevede che un determinato atto di natura non patrimoniale potesse essere contenuto in un testamento, la libertà testamentaria risulterebbe compromessa e con essa la funzione stessa del testamento. Per tale ragione, il capoverso dell’art. 587 c.c., viene letto oggi come norma di carattere non limitativo, ma «permissivo», la quale, da un lato, “consente” di inserire nell’atto di ultima volontà anche disposizioni non espressamente previste dalla legge purché lecite e tese a soddisfare interessi meritevoli di tutela; dall’altro, non esclude che dette disposizioni, pur potendo essere contenute in un testamento, siano valide ed efficaci anche se inserite in un atto diverso non soggetto alle formalità testamentarie. Tuttavia, pur là dove dette disposizioni siano contenute in un testamento, esse, avendo una propria giustificazione causale, rimangono soggette alle regole di validità previste dalle “norme sostanziali dettate per i singoli negozi». Si tratta, infatti, di disposizioni che, anche là dove vengano veicolate attraverso il negozio di cui all’art. 587, comma 2, c.c. e ne condividano il regime di efficacia, mantengono comunque la loro autonoma natura, di guisa che gli eventuali vizi formali del negozio testamentario non incidono sulla loro validità., ove risulti comunque rispettato il requisito di forma per previsto per l’atto posto in essere. Come, pure, in ordine alle regole di carattere sostanziale, già la Relazione al Codice civile aveva evidenziato come si trattasse di negozi diversi dal testamento ed avesse messo in luce che la peculiarità degli interessi ad essi sottesi incidesse inevitabilmente sulla loro disciplina, la quale deve tener conto delle norme dettate per ciascun tipo di atto e non solo delle regole dettate per l’istituzione di erede ed i legati. È la natura degli interessi coinvolti in tali disposizioni che esclude infatti il ricorso tout court alle norme previste per i negozi a carattere devolutivo attributivo, dal momento che ciò rischierebbe di vanificare le caratteristiche funzionali e contenutistiche di tali atti[6].

 Ragionando in quest’ottica, può dunque ritenersi che, in assenza di specifiche norme, la regolamentazione di tali fattispecie vada individuata tramite un’attenta analisi degli interessi sottesi al caso concreto, in modo da assicurare la realizzazione dei desiderata del de cuius, nei limiti di ragionevolezza, adeguatezza e compatibilità con i principi fondamentali del nostro sistema. Il che significa, da un lato, abbandonare l’idea che i negozi tra vivi e quelli mortis causa appartengano a settori nettamente distinti e autonomi, che non consentono di attingere a regole proprie dell’una o dell’altra categoria; dall’altro ammettere, in base ai singoli e concreti interessi, il ricorso alle norme dettate in materia di disposizioni mortis causa a carattere patrimoniale.

Le delicate e complesse questioni implicate dalla c.d. successione nel patrimonio digitale[7], da un lato, hanno indotto i legislatori europei a delineare un primo quadro di regole volte a disciplinare, seppur parzialmente, il fenomeno; dall'altro si pongono come uno degli aspetti emergenti del diritto privato attuale[8], inducendo a ripensare sia il ruolo e le potenzialità del testamento e degli strumenti ad esso alternativi, sia il concetto stesso di “patrimonio”, ricomprendendo in esso non soltanto beni e diritti economicamente valutabili, ma anche valori e interessi propri dell'essere persona.
L'espressione “patrimonio digitale[9]”, infatti, in una prima generale accezione, viene normalmente riferita all'insieme di beni di origine informatica che, generati in forma materiale e tangibile, vengono poi convertiti in file e custoditi in appositi account. Si tratta quindi di beni riconducibili all'attività digitale che possono avere rilevanza sia patrimoniale che non patrimoniale, rappresentando le attitudini, i gusti, le preferenze dell'utente, nonché la proiezione della sua personalità in rete. Più precisamente, il termine «beni digitali» – dall'inglese «digital assets» – comprende tutti i documenti espressi in forma digitale che possono essere contenuti sia in dispositivi off line, che in sistemi di archiviazione on line. Mentre, la nozione di digital account indica i sistemi informatici su piattaforme online, dotati di mezzi di protezione e riconoscimento mediante l'utilizzo di credenziali d'accesso, che sono spesso richieste per produrre, conservare, scaricare e condividere dati, notizie, documenti, immagini, e mail, contatti social, (c.d. “beni digitali”), nonché per accedere ai conti on line, agli investimenti o per esercitare determinate professioni come, ad esempio, blogger, influencer, youtuber. Le predette nozioni, sebbene rivestano una diversa rilevanza concettuale, concorrono entrambe a formare il c.d. patrimonio digitale, comprensivo sia degli account   e del contenuto in essi custodito, sia dei file archiviati in dispositivi informatici. Da quanto premesso deriva l'importanza ditali beni anche da un punto di vista successorio, dal momento che essi, pur potendo rimanere in rete oltre la vita del soggetto, possono essere ignoti, in quanto inaccessibili agli eredi, anche se il de cuius avrebbe voluto che si trasmettessero successionis causa. Oppure, viceversa, possono venire a conoscenza di terzi, seppur il soggetto avrebbe voluto mantenerli riservati o renderli conoscibili solo a determinate persone. In quest'ambito, il concetto di «patrimonio» viene inteso quindi in senso ampio, comprensivo sia delle risorse digitali[10] riconducibili a situazioni giuridiche di natura patrimoniale, sia dei dati che attengono alla sfera personale dell'utente, i quali contribuiscono a definire la sua identità digitale, la quale è oggi rappresentata anche dall'insieme di dati personali, notizie, documenti, immagini, video, conversazioni, profili social, blog immessi nel web che spesso inconsapevolmente formano una nuova e, a volte, contraddittoria figura di noi stessi, fornendo un ‘immagine di una persona “elettronica” e “liquida”.

Ed è indubbio che in un mondo sempre più digitalizzato, in cui l'informatica incide sulle nostre attività, relazioni intersoggettive, commerciali, professionali, affettive, amicali, le quali attraverso algoritmi vengono trasformate in dati personali. il diritto ad accedere e operare in rete debba essere riconosciuto e protetto come componente essenziale di un modello di cittadinanza digitale responsabile[11].

  È possibile individuare un patrimonio ereditario digitale classificandolo in tre principali categorie: quella patrimoniale (criptovalute e contenuti protetti da diritti di proprietà intellettuale) e quindi con un valore economico; quella personale (e-mail, chat, profili di ‘social network’, foto)[12], che coinvolge beni e rapporti interferenti con le situazioni della persona non valutabile economicamente, ma che può avere un valore affettivo; i diritti connessi al «trattamento» post mortem dei «dati personali» del defunto a tutela della «dignità e dell’immagine»[13] . 

Si pensi a tutti i documenti e immagini ‘on-line’ archiviati nei vari account (di posta elettronica, ‘social network’, ‘cloud’ di archiviazione, etc.), ovvero i dati memorizzati in ‘hard disk’ interni o esterni al computer personale e protetti da password, dati che potrebbero risultare inaccessibili agli eredi e legatari e rimanere sconosciuti, nonostante il loro titolare avesse voluto lasciarli post mortem ad uno o più soggetti.

Può verificarsi, viceversa, che immagini, filmati, lettere, indirizzi “decisamente personali” possano ‘emergere dopo la morte’ del loro titolare, il quale, se ci avesse pensato in vita, avrebbe preferito la loro distruzione oppure l’affidamento a persona di propria somma fiducia. Bisogna tenere pure presente che il proprio patrimonio digitale «riguarda» un «numero rilevantissimo» di soggetti, ‘destinati’ in futuro a ‘crescere’ in ‘modo esponenziale’. Nel passato, invece, il patrimonio digitale si limitava a qualche documento e a poche foto. Oggi – ma soprattutto in futuro – il valore dei cd. digital assets, oltre ad essere ‘molto più rilevanti’ dal ‘punto di vista personale e affettivo’, sono e saranno assai «più significativi dal punto di vista economico», sia a causa degli ‘investimenti finanziari e assicurativi’ conclusi sempre più frequentemente on line archiviati in file, sia – come visto – per la presenza di ‘digital wallet’ che possono e «potranno» sempre di più «custodire importanti somme di danaro». Si pensi agli ‘account PayPal’, che contengono un sistema di pagamento on-line e che operano attraverso indirizzi mail con le relative password, account che consentono l’‘e-commerce’ senza condividere dati finanziari con il venditore. Altri aspetti rilevanti da considerare: (a) il patrimonio digitale presente nel web è sottoposto ai «contratti imposti» dai provider, le cui condizioni contrattuali sono ‘approvate unilateralmente’ dall’utente con un semplice click al momento dell’apertura dell’account; (b) le clausole contrattuali predisposte dai provider di posta elettronica sono “contratti di massa”, contratti che vengono conclusi dal fornitore di servizi di Internet con un gran numero di utenti, caratterizzati da regole uniformi predisposte dai ‘Service Provider’ e che, di norma, l’utente «non» può discutere – o vi aderisce o rifiuta – venendosi a trovare nella posizione di ‘contraente debole’ rispetto al fornitore di servizi[14]; (c) molti provider sono normalmente statunitensi (o altri) e i contratti che gli utenti stipulano via e-mail sono regolati dalle leggi statunitensi (o altre) o dalle leggi dello Stato americano (o altri) dove hanno sede legale i singoli provider e sottoposti alla giurisdizione delle Corti statunitensi (etc.); (d) i provider non si preoccupano di disciplinare con accuratezza le sorti dell’account e del suo contenuto nell’ipotesi di morte del titolare. Se si prevedesse – di ‘default’ – il diritto degli eredi di accedere all’account e di ottenere copia delle e-mail del de cuius, si creerebbero maggiori costi per gli ‘Internet Provider Service’, dovuti alla verifica della documentazione che attesta la morte dell’utente, all’accertamento accurato della legittimazione dei suoi aventi causa ad accedere all’’account e all’adempimento delle richieste per ottenere copia della documentazione digitale; (e) spesso sono previste clausole che possono essere definite come clausole di intrasmissibilità mortis causa della posizione contrattuale ; (f) è prevista la creazione di ‘account commemorativi’ dell’utente (una specie di ‘cimitero privato virtuale’ o di ‘mausoleo virtuale’). A questo riguardo uno dei ‘social network’ più diffusi ha previsto la regola che gli account[15] degli utenti deceduti diventino ‘commemorativi’ e inaccessibili (o quanto meno immodificabili) da parte dei terzi. In realtà gli “amici accettati” in vita dall’utente deceduto possono ‘condividere’ i ricordi su un documento digitale, definito “diario commemorativo”.

 

  • Tra dogmi e natura proteiforme delle disposizioni testamentarie alla luce delle moderne complessità del diritto di internet.

 

Le problematiche relative ai rapporti giuridici sorti in Internet, presentano dei profili del tutto particolari attinenti alla natura dei beni che compongono il patrimonio digitale e, inoltre, al carattere destatualizzato e deterritorializzato, delle questioni giuridiche connesse con l’internet law. Infatti, il bene digitale diffuso nella rete appare generato dal contratto che lo disciplina e che ne stabilisce i contenuti ed i confini.

Qualsiasi account internet viene infatti disciplinato dal contratto tra l’utente e il gestore. Il regolamento contrattuale spesso risulta costituito da condizioni generali di servizio predisposte in via unilaterale[16] dal gestore (spesso con sede estera) attraverso un form on line accettato dall’utente. Un’altra caratteristica fondamentale del bene costituito dai contenuti digitali diffusi in rete, come già accennato, è il suo carattere transnazionale o sovranazionale, per effetto del quale non è semplice per l'interprete individuare la legge ad esso applicabile; tale circostanza rischia di rendere incerti i confini stessi della categoria bene digitale.

Risulta pertanto indispensabile individuare, nel caso concreto, il diritto applicabile, in primo luogo con riferimento al rapporto giuridico inter vivos che ha generato il bene digitale. Su queste basi, dovrà essere analizzata ed individuata la consistenza del bene e ne dovrà essere definita la titolarità; solo successivamente sarà possibile valutare la sua trasmissibilità mortis causa. Il bene digitale diffuso in internet, sebbene tragga origine da un regolamento contrattuale che ne definisce i contenuti ed i limiti, tuttavia non si esaurisce in esso ma costituisce un “nuovo” tipo di bene.

In primo luogo, appare necessario operare una distinzione tra l’account inteso come rapporto contrattuale ed il diritto soggettivo sui contenuti digitali in esso contenuti.

Con riferimento alla successione digitale, il primo profilo oggetto di analisi, riguarda la successione nel rapporto contrattuale esistente tra l’Internet Service Provider e l’utente finale ed il diritto di quest’ultimo, nascente dal contratto, a godere dei servizi forniti dall’intermediario digitale. Secondo la regola generale derivante dal principio dell’universalità della successione, la dottrina prevalente, ritiene trasmissibili mortis causa agli eredi, le posizioni contrattuali di cui è titolare il defunto al momento dell’apertura della successione, ed a tale regola non si sottrarrebbero i contratti aventi ad oggetto la prestazione di servizi digitali. Si estinguerebbero, invece, i rapporti contrattuali fondati sull’intuitus personae.

Sarebbero tuttavia, in astratto, ammissibili le pattuizioni miranti a sancire l’intrasmissibilità della posizione contrattuale dell’utente nel caso di morte dello stesso. Sono di fatto presenti, nei modelli contrattuali unilateralmente predisposti dagli intermediari digitali, clausole che prevedono la totale cessazione del rapporto nonché la chiusura dell’account, nel caso di morte del suo titolare[17]. Altri prestatori del servizio, attribuiscono all’utente il potere di decidere, con riferimento alla sorte del proprio account, per il tempo successivo alla propria morte, se eliminare in modo permanente l’account e tutti i suoi contenuti o renderlo “commemorativo”, potendo, in tal modo, raccogliere e condividere i ricordi del defunto.

In tal caso dovrà essere designato un c.d. «contatto erede» che avrà il compito di gestire il profilo del defunto secondo le modalità definite dal de cuius che dovrà eventualmente decidere se il contatto erede potrà acquisire copia dei contenuti condivisi sul social network. In ogni caso, però, il rapporto che si verrà ad instaurare tra contatto erede e social network sarà differente nei contenuti rispetto a quello di cui era titolare il defunto dal momento che non potranno essere rimossi o modificati i contenuti già esistenti, non saranno accessibili i messaggi privati inviati o ricevuti dall’utente originario, e non sarà possibile eliminare un contatto dal novero degli «amici».

Infatti, al contatto erede verranno fornite credenziali di accesso differenti rispetto a quelle del de cuius. Inoltre, i regolamenti contrattuali che disciplinano il rapporto tra il gestore e l’utente prevedono la scelta di una legge applicabile e l’individuazione di un foro competente. Le suddette disposizioni pongono evidentemente dei significativi limiti alla possibilità di devolvere il patrimonio digitale (account).

Inoltre, le pattuizioni che prevedono l’individuazione del così detto «contatto erede»[18] non possono ritenersi disposizioni attributive a contenuto patrimoniale; se così fosse, infatti, violerebbero i principi inderogabili sanciti dall’ art. 457 c.c. (alla luce del quale la delazione ereditaria può avvenire solo per legge o per testamento) e dall’art 458 c.c. (che vieta i patti successori).

 

  1. Brevi riflessioni conclusive

 

Il problema delle sorti del patrimonio digitale[19] alla morte del suo titolare è un tema che assume un rilievo pratico destinato ad accrescersi rapidamente. Nell’ambito delle problematiche digitali, la dottrina italiana ha approfondito particolarmente l’analisi degli aspetti relativi al concetto di privacy nell'era di internet e le tematiche del commercio elettronico, ma scarsa attenzione ha riservato alla successione mortis causa del patrimonio digitale. Il patrimonio ereditario può definirsi come «la complessa situazione giuridica, composta da una pluralità unificata di rapporti attivi e passivi e nella quale subentra, in tutto o in parte, il successore a titolo universale. In tale ottica, stante l’eterogeneità e la rilevanza degli interessi – patrimoniali e non patrimoniali – coinvolti, l’interprete e in particolare il Notaio, in particolare, quando quest’ultimo sia chiamato a ricevere atti aventi ad oggetto beni di provenienza successoria e la cui amministrazione è affidata dal testatore ad un esecutore testamentario.

La funzione del giurista, in tale prospettiva, non può più limitarsi ad una vuota interpretazione della disciplina in materia, ma deve, necessariamente, farsi carico della moderna concezione di “bene” in senso “immateriale”. In conclusione, le precedenti precisazioni servono ad argomentare come, seppur i dati digitali a carattere personale (e non patrimoniale) siano oggetto di un contratto di natura fiduciaria, intrasmissibile e perciò non disponibile mortis causa dall’utente che ne è parte; e sebbene tali dati non abbiano la natura certa di beni giuridici di proprietà dell’utente defunto, ciononostante non può negarsi la capacità dell’utente di disporre in vita della sorte di questi dati, e il diritto perciò di dare istruzioni ad un fiduciario o agli eredi sugli atti da compiere dopo la sua morte per amministrare la sua identità quale formatasi in rete. In altre parole, pur se il contratto si chiude, e in relazione alle modalità con le quali le relative clausole prevedono la chiusura del rapporto, si può e si deve tener conto della volontà del de cuius eventualmente espressa prima della morte in ordine alla sorte dei dati personali immessi nella piattaforma[20].

Ciò in ordine al “se” dell’esercizio dell’autonomia mortis causa. Quanto al “come”, l’utente può lasciare istruzioni (conformi al contratto) su come gestire il profilo e i relativi dati che lo compongono: cancellarli in tutto o in parte, consegnarli ai parenti stretti o ad alcuni eredi, lasciarli in rete accettando una certa modalità di permanenza come il profilo commemorativo di Facebook, chiudere l’account, ecc. Non è difficile nemmeno individuare, almeno nel diritto italiano, le forme che tali disposizioni di ultima volontà possono assumere. In primo luogo il testamento, rispettandone le forme e nominando o meno un esecutore testamentario ad hoc; in tal caso potendosi avvalere della facoltà garantita nel 2° comma dell’art. 587. In secondo luogo, attraverso il mandato post mortem exequendum, per l’uso del quale questa volta, trattandosi di dati personali e non di risorse patrimoniali, non dovrebbero porsi problemi di sorta, né dal punto di vista della disciplina del mandato, né da quello del diritto successorio. Ciò potrebbe avvenire anche al momento della conclusione del contratto di servizio, qualora il provider avesse previsto una clausola che permette all’utente di indicare un fiduciario o di stabilire la sorte dei dati per dopo la propria morte, incaricando di ciò una persona determinata[21]. In tal caso, anche il provider potrebbe svolgere le funzioni di mandatario post mortem. In ogni caso, in ragione di tutto quanto fin qui argomentato con riferimento alla stretta attinenza dei dati creati nelle piattaforme alla personalità del de cuius, la sua volontà sulla sorte dei dati dovrebbe prevalere su quella eventualmente manifestata dai parenti o eredi, ad esempio attraverso l’esercizio delle facoltà di cui all’art. 9 del Codice della privacy[22], a meno che il contrario interesse da questi opposto non imponga un diverso bilanciamento (es. interesse alla loro reputazione). Dunque, dal momento che il digitale ri-ontologizza il reale-fisico, con conseguenti ripercussioni sull’agire, in una realtà non soltanto descritta ma soprattutto costruita dal digitale stesso, il fenomeno ereditario non si limita a regolare i soli interessi patrimoniali della persona, ma si estende sempre con maggiore attenzione a tutte le situazioni esistenziali (artt. 2 e 42, ultimo comma, cost.). Alla luce di tali considerazioni, un profilo sistematico deve essere tenuto fermo: la natura delle situazioni giuridiche soggettive coinvolte impone un sindacato secondo meritevolezza del regolamento negoziale, frutto di sintesi equilibrata e funzionale tra autoregolamentazione ed etero-regolamentazione, alla luce del bilanciamento secondo ragionevolezza degli interessi sia dei soggetti agenti sia del de cuius, con conseguente rivalutazione per effetto della conformazione degli apporti dell’autonomia negoziale in questo ambito.

 

 

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[1] A. Magnani, La figura di erede e la qualità ereditaria, comprendenti sia rapporti e diritti patrimoniali sia qualità personali, morali, ideali. Conseguenze ed applicazioni, in Riv. not., V, Milano, 1998, pp. 1044 ss. Fin dalle sue origini storiche prevaleva nella figura di erede addirittura l’aspetto personale rispetto all’aspetto patrimoniale: piuttosto che acquirente di un patrimonio, l’erede era «persona investita di una qualità personale».

La «qualità di erede», come qualità personale, era ed è «intrasmissibile». Una volta acquistata «non si cancella» nella persona, è «perpetua» e «imprescrittibile», non si riesce a spogliarsi di essa «neppure cedendo l’eredità» (memento la regola iuris “semel heres semper heres” [Ulpiano, Digesto, 4, 4,7,10: “sine dubio heres manebit, qui semel extitit”]. Fin dall’antichità il succedere al defunto era concepito come il «prendere» il suo posto. La successione era intesa come «subentro nella posizione giuridica» del defunto, come «continuazione» nei «rapporti giuridici trasmissibili», non solo nei ‘diritti’, ma anche negli ‘obblighi’ e nel ‘possesso’, tanto da ritenere applicabile all’erede la definizione di “successore a titolo universale” e di “continuatore della personalità” del ‘defunto’. Tale concetto, ‘proprio’ del ‘diritto romano’, è frequente anche nella ‘dottrina attuale’: l’erede è investito di una «qualità personale», tanto che si parla di “status di erede”. A riprova, ancora, che nella qualità di erede vi sono ‘contenuti personalissimi’, si ricordi che nella vendita di eredità tra i beni venduti «non» si intendono inclusi quelli oggetto di ‘diritti aventi carattere strettamente familiare’, come la proprietà di ‘carte di famiglia’, ‘ritratti’, ‘ricordi storici’, etc. e così «anche» i «beni digitali» di «natura non patrimoniale».

Ed ancora si ricordi il «diritto dell’erede» di «difendere la memoria e il nome del defunto» e il «diritto di sepolcro». L’eredità, inoltre, può non avere immediatamente un contenuto economico, ma «lo può avere in futuro. Lo stato di erede non è “un diritto patrimoniale”, ma un bene e un diritto di natura strettamente personale, che l’esercizio dei diritti ereditari implica una valutazione squisitamente personale del soggetto e presuppone la valutazione di un interesse precipuamente morale, che “risulta difficile non riconoscere al diritto di accettare o meno l’eredità una connotazione anche extrapatrimoniale, fondata su considerazioni di natura personalissima che implicano scelte e valutazioni di natura morale» in relazione alla personalità del de cuius, che l’acquisto della «qualifica di erede è personale e coinvolge anche «valutazioni di carattere morale che l’ordinamento intende salvaguardare.

[2] M. Cinque, L'eredità digitale, cit., p. 72, che sottolinea come sia l'espressione “patrimonio digitale”, sia le altre locuzioni utilizzate in dottrina vadano intese in senso atecnico. Esse infatti non sempre esprimono compiutamente il fenomeno in esame poiché la prima espressione ricomprende anche gli account a contenuto non patrimoniale, mentre la formula “successione nei rapporti digitali”, include anche i casi in cui, in forza di determinate clausole contrattuali, gli eredi ottengano l'accesso ai dati degli account senza succedere nel rapporto facente capo al de cuius. Come pure la locuzione “eredità digitale”, vada riferita non solo alle attribuzioni dei contenuti digitali a titolo universale, ma anche a quelle a titolo particolare.

L’accesso ai beni digitali è spesso condizionato infatti dalla conoscenza dell’username e della password, il cui trasferimento a terzi è necessario per operare sui contenuti dell’account.

Cosicché occorre tener distinte le disposizioni dirette a comunicare a terzi le credenziali di accesso per consentire la cura, conservazione, gestione o cancellazione dei digital asset, dagli atti nei quali la trasmissione delle credenziali sia strumentale per l’attribuzione a terzi delle utilità economiche che dalla commercializzazione dei beni digitali possono derivare.

È la polifunzionalità della password che richiede di accertare quale sia l’effettiva volontà del testatore, dal momento che è da tale valutazione che deriva la qualificazione, la disciplina e la validità della disposizione.

Limitando l’esame alle disposizioni riguardanti le credenziali di accesso, è dato osservare che un primo problema che si pone riguarda la qualificazione e la disciplina delle disposizioni che le contengono e, cioè, se esse possano configurarsi come legati ed essere soggette alle regole dettate per le attribuzioni mortis causa a titolo particolare.

Quesito al quale deve però darsi risposta negativa, dal momento che là dove la disposizione abbia ad oggetto soltanto le username e le password, sganciate dai contenuti che ad esse normalmente si accompagnano, si è in presenza di un atto privo del requisito di patrimonialità, tipico delle attribuzioni a titolo particolare.

Questo accade perché le credenziali, in sé e per sé considerate, esauriscono la loro funzione nell’autenticazione informatica dell’utente e, come tali, non hanno alcun valore economico, acquistando importanza solo quali elementi strumentali e indispensabili per l’esercizio delle attività e dei diritti sui beni digitali che il de cuius intende trasferire ai beneficiari.

Esse, pertanto, non sono qualificabili come «beni immateriali» rientranti nella sfera patrimoniale del disponente, né si identificano con le utilità economiche che le risorse alle quali si accede possono produrre, ma costituiscono soltanto dei media necessari ai fini dell’esercizio di determinati diritti sui beni digitali. Tant’è vero che, anche allorquando l’account al quale le credenziali danno accesso abbia un valore economico, la loro comunicazione a un determinato soggetto mediante un atto mortis causa legittima il terzo a gestire l’account ed a conservare i dati in esso contenuti, ma non anche a trarre le utilità economiche che dalla commercializzazione dei dati possono derivare, le quali possono con un autonomo atto essere attribuite agli eredi o legatari.

In questo senso, può dirsi che il valore delle password si determina soltanto attraverso la relatio con l’oggetto mediato della disposizione, ossia con i diritti sui beni digitali che le stesse custodiscono. Relatio che ha natura meramente formale e non sostanziale, visto che l’individuazione dell’oggetto del lascito non è rimessa (né in ordine all’an, né al quantum) alla volontà di un terzo, bensì a quella personale del testatore.

[3] Per il testo del citato reg. da GUCE vedasi. www.federprivacy.it. Le fasi di arrivo del menzionato ‘considerando’ e del suo testo legislativo Ue possono essere individuate in: (i) art. 13, co. 3, l. 31.12.1996, n. 675 (Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali), che riconosceva l’esercizio dei diritti riferiti a persone decedute a «chiunque vi avesse interesse» (art. 13, co. 3, secondo cui “I diritti (…) riferiti ai dati personali concernenti persone decedute possono essere esercitati da chiunque vi abbia interesse”); (ii) nell’abrogato art. 9, co. 3, d.lg. 30.6.2003, n. 196 (cod. per la protezione dei dati personali, cd. “cod. della privacy”) circoscriveva l’esercizio dei diritti di cui all’art. 7 (accesso, aggiornamento, rettifica, integrazione, cancellazione, etc.), riferiti a dati di persone decedute, a «chi» avesse «un interesse proprio», non ulteriormente aggettivato in termini patrimoniali o personali; (iii) la formulazione attuale riprende quasi letteralmente quella precedente, ma è la clausola di salvaguardia contenuta nell’ult. co. dell’art. 2-terdecies a far propendere per la «natura anche patrimoniale» dei ‘diritti’, connessi al ‘trattamento dei dati personali’, che derivano dalla morte dell’interessato, posto che sono patrimoniali i diritti, conseguenti al decesso, sui quali non può produrre effetti pregiudizievoli la dichiarazione ante mortem che quell’esercizio vietasse. La conclusione si rafforza ove si noti che distinta ulteriore e salvezza la medesima disposizione riconosce al «diritto di difendere in giudizio i propri interessi», nel cui ambito si ricomprende generalmente l’azione dei familiari volta a proteggere, in uno con la reputazione e la dignità del defunto, quella propria mediata o riflessa; (iv) del resto i diritti fondamentali della persona «non si trasmettono» ai successibili, estinguendosi alla morte del titolare solo con riguardo alla loro “componente morale”, mentre «si acquisiscono» all’asse ereditario le ‘utilità’ conseguenti al loro sfruttamento economico.

[4] Non si dimentichino anche tra i “diritti informatici”: (1) le «password» [dall’ingl. contrassegno, parola, chiave, parola d’ordine o di accesso], ‘sequenza’ di ‘caratteri alfanumerici’ per accedere in modo esclusivo ad una risorsa informatica (sportello bancomat, computer, connessione internet, casella e-mail, reti, programmi, basi dati, etc.) o per effettuare operazioni di cifratura, anche se fin dal 2004 Bill Gates già affermava, in merito all’utilizzo della password, che “non c’è dubbio che con il tempo le persone vi faranno ‘sempre meno’ affidamento”; (2) la «username» [in inform. nome utente], con il quale l’utilizzatore viene riconosciuto da un computer, da un programma o da un server. È un ‘identificativo’ che, insieme alla password, rappresenta le ‘credenziali’ [account, in ingl., registrazione, conto, account=password+username] per entrare nelle risorse o in un sistema; (3) le «proprietà digitali industriali e intellettuali», in sostanza, la ‘brevettabilità’ del software [s. ingl. da soft, molle, morbido, e ware, merce], inteso, però, ‘in senso ampio’ come ‘idee nuove’ con ‘linguaggi diversi’ – dai tradizionali e ‘solo’ in ‘senso lato’ informatici – scritti, immagini, suoni, dipinti, libri di testo, romanzi, saggi, biblioteche on line, insomma le opere intellettuali, etc. – e non solo la ‘mera’ gestione di dati; recte, concludendo, il «diritto d’autore»; (4) il «contratto informatico» (in generale): sul punto assumeranno sicura rilevanza le varie tipologie di contratti informatici, la loro disciplina, i conseguenti regimi di responsabilità, il controllo delle informazioni digitali, la consumer protection, gli adempimenti relativi alla privacy, la licenza, in particolare i contatti aventi ad oggetto l’hardware e il software, le aste on line; (5) il «documento informatico», le «firme elettroniche» e «firma digitale»: la ‘validità’ e ‘efficacia probatoria’ del documento informatico, la corrispondenza informatica via e-mail, i profili privatistici del Codice dell’Amministrazione Digitale; (6) la «protezione dei consumatori» nel commercio elettronico; (7) le «garanzie nella vendita di beni di consumo»; (8) i «contratti digitali a distanza»; (9) i «contratti turistici on line»; (10) il diritto e la disciplina del «commercio elettronico»; (11) i «contratti con gli internet providers» e la loro responsabilità, le ‘clausole di esonero’ e di ‘limitazione della responsabilità’ nei contratti telematici; (12) la «tutela dei diritti della personalità in internet» e la «tutela della privacy in internet»; (13) gli «strumenti alternativi di risoluzione delle controversie on line» (cd. A.D.R.).

[5] V. Barba, Ragionevolezza e proporzionalità nel diritto delle successioni, in Riv. dir. priv., 2018, pp. 515 ss

[6] Si pensi, ad esempio, alla disposizione concernente il riconoscimento del figlio naturale ex art. 256 c.c. la cui irrevocabilità si giustifica proprio in funzione della rilevanza degli interessi che vengono in gioco, quali la tutela del diritto allo status, all’identità personale, oltre che alla certezza dei rapporti familiari, che, essendo ritenute prevalenti rispetto alla facoltà di autodeterminazione del testatore, giustificano la deroga al principio di libera revocabilità del testamento (S. Delle Monache, Testamento, Disposizioni generali, Artt. 587-590, in Il Codice civile. Commentario, fondato da P. Schlesinger, diretto da F.D. Busnelli, Milano, 2005, p. 342). G. Perlingieri, La revocazione delle disposizioni testamentarie e la modernità del pensiero di Mario Allara. Natura della revoca, disciplina applicabile e criterio di incompatibilità oggettiva, in Rass. dir. civ., 2013, p. 763, il quale rileva che «i criteri di compatibilità, adeguatezza e congruenza [...] non consentono al giurista di rimanere ingessato alla distinzione tra atto inter vivos e mortis causa e tra atto unilaterale e bilaterale, ma, al contrario, devono indurlo ad individuare la disciplina applicabile attraverso un attento esame delle singole e specifiche peculiarità che presentano le diverse fattispecie concrete» e non già tramite astratte e acritiche trasposizioni normative tratte soltanto dal diritto contrattuale.

[7] F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, vol. 6°, Milano, 1962, pp. 15 ss., 41 ss, 384, 651; L. Gardani Contursi Lisi, Le Successioni (Disposizioni Generali), Torino, 1981, pp. 104 e 115; R. Ambrosini, in Studia et documenta historiae et iuris, 1945, p. 65 ss.; A. Cicu, Successioni per causa di morte, Parte Generale, Milano, 1961, p. 10 ss., 254, 328; E. Betti e F. De Martino, in Studi in onore di Siro Solazzi, 1948, pp. 568 ss. e pp. 594 ss.; G. Scherillo, in Scritti per Carnelutti, IV, pp. 255 ss.; P. Belloni Peressuti, Commento sub art. 816 c.c., in Commentario breve al Codice Civile a cura di G. Cian, A. Trabucchi, Padova, 1997, pp. 758 - 759; A. Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, Padova, 1977, pp. 400 ss. e 849; B. Biondi, Oggetto dell’antica hereditas, in Iura, I, 1950, pp. 150 ss.; B. Albanese, La successione ereditaria nel diritto romano antico, in Annali dell’Università di Palermo, vol. XX, 1949, pp. 127 ss.; F. Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1959, n. 18, p. 85 e Vocazione legale e vocazione testamentaria, in Riv. dir. civ., 1942, pp. 194 ss.; L. Coviello J., Lezioni di diritto successorio, Bari, 1958, p.11; C. Vocino, Contributo alla dottrina del beneficio di inventario, Milano, 1942, pp. 44 ss.

[8] M. Palazzo, La successione nei rapporti digitali cit., p. 1311, che sottolinea come la successione nel patrimonio digitale rifletta la complessità del fenomeno giuridico contemporaneo e richieda da parte degli interpreti sensibilità e attenzione insieme ad un consapevole utilizzo degli strumenti giuridici.

[9] A. Zaccaria, Diritti extrapatrimoniali e successione: dall'unità al pluralismo nelle trasmissioni per causa di morte, Padova, 1988, definiva i beni digitali diffusi in internet, nella maggior parte dei casi come “personal-patrimoniali” proprio perché caratterizzati da connotati sia patrimoniali che personali; G. Marino, La successione digitale, cit., p. 186, parla di «ibridazione del patrimoniale nel personale e del personale nel patrimoniale» dal momento che nell’information society si assiste ad una «metamorfosi dei dati personali da oggetto di un diritto fondamentale dell’individuo a fondamentali assets delle attività degli operatori economici digitali, a beni negoziabili sul mercato virtuale, a possibile controprestazione nei contratti di fornitura di contenuti digitali che non prevedano altro corrispettivo da parte dell’utente (…).

Nell’ambito della successione digitale, pertanto, la scissione concettuale e normativa in senso forte del momento personale da quello patrimoniale si rivela allora artificiosa e controfattuale rispetto a figure complesse nelle quali questi momenti appaiono commisti». In senso analogo P. Rescigno, Disciplina dei beni e situazioni della persona, in Quaderni Fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 1977, II, p. 871; V. Zeno Zencovich, voce Personalità, in Digesto delle Discipline Privatistiche, Sez. civile, vol. XIII, 1995, p. 441; A. Zoppini, Le «nuove proprietà» nella trasmissione ereditaria della ricchezza (note a margine della teoria dei beni), in Riv. dir. civ., 2000, p. 237.

[10] I. Garaci, Lo statuto giuridico dei «nuovi beni» immateriali: fra proprietà privata e beni comuni. riflessioni su recenti interventi giurisprudenziali e normativi, in Rassegna di diritto civile, 2015, p. 434 ss.; nonché nel volume a cura di G. Resta, Diritti esclusivi e nuovi beni immateriali, Torino, 2011.

[11] D. Corapi, Successione, la trasmissione ereditaria delle c.d. «nuove proprietà» in Fam. pers. succ., 2011, p. 379 ss.; A. Zoppini, «Le nuove proprietà» nella trasmissione ereditaria della ricchezza (note a margine della teoria dei beni), cit., pp. 185 ss.; M. Martino, Le nuove proprietà, in Trattato di diritto delle successioni e donazioni, Milano, 2009, pp. 355 ss.; B. Inzitari, Le New-Properties nella società postindustriale in Dalla res alle new properties, a cura di G. De Nova e B. Inzitari, Milano, 1991, pp. 53 ss. 19 Definito appunto un «non luogo», N. Irti, Norme e luoghi, problemi di geodiritto, Roma-Bari, 2001, pp. 65 ss.; in senso analogo, G. Finocchiaro, Lex mercatoria e commercio elettronico: il diritto applicabile ai contratti conclusi su internet, in Contr. Impr. 2001 pp. 571 ss., che considera Internet non come luogo ma come un mezzo di comunicazione, che per sua natura rende particolarmente difficile la collocazione geografica dei soggetti che comunicano attraverso di esso; sul punto è stato inoltre osservato che «l’Internet law o è transnazionale, o è destinato al fallimento», così, testualmente, G. Comandè, S. Sica, Il commercio elettronico. Profili giuridici, Torino, 2001, p. 220.

[12] I servizi Web più frequenti sono chiamati “servizi 2.0”. Il ‘Web 2.0’ è un termine utilizzato per indicare uno stato di evoluzione del ‘World Wide Web’. Il ‘Web 2.0’ è l’insieme di tutte quelle applicazioni online che permettono un elevato livello di interazione tra il sito web e l’utente, come i ‘blog’, i ‘forum’, le ‘chat’, i ‘wiki’, le piattaforme di condivisione di media come ‘Flickr’, ‘YouTube’, i ‘social network’ come ‘Facebook’, ‘Myspace’, ‘Twitter’, ‘Google+’, ‘Linkedin’, ‘Foursquare’, etc., ottenute attraverso opportune tecniche di programmazione Web e relative applicazioni Web afferenti al paradigma del Web dinamico in contrapposizione al cd. Web statico o ‘Web 1.0’. Il termine 2.0 è ‘mutuato’ direttamente dallo ‘sviluppo’ software, locuzione che pone l’accento sulle differenze rispetto al cd. ‘Web 1.0’, diffuso fino agli anni novanta e composto prevalentemente da siti web statici, senza alcuna possibilità di interazione con l’utente eccetto la normale navigazione ipertestuale tra le pagine, l’uso delle e-mail e dei motori di ricerca. Si stanno ora diffondendo le etichette “3.0”, “3.5”, “4.0” e così via, che hanno la funzione di “fotografare” in maniera non univoca un certo momento.

[13] M. Cinque, cit., p. 645, ricorda di un parente che teneva un ‘blog’, dove ospitava propri scritti e discussioni con “amici digitali”. Dopo la sua morte il suo sito web rimaneva nella rete ‘ancora accessibile’ ai terzi ed i suoi amici del web si chiedevano, senza risposta, che fine avesse fatto il loro amico ‘blogger’. Si ricorda che nella terminologia di internet il ‘blog’ è un particolare sito web, gestito da uno o più ‘blogger’ che pubblicano periodicamente testi o contenuti multimediali. Molti ‘blog’ danno la possibilità di intervenire sul sito dall’esterno per commentare quanto pubblicato sul ‘blog’, i cui contenuti vengono visualizzati spesso in forma cronologica.

[14] V. Barba, Ragionevolezza e proporzionalità nel diritto delle successioni, in Riv. dir. priv., 2018, pp. 515 ss. 32 G. D’Amico, La revocazione della disposizioni testamentarie, in E. Gabrielli (diretto da), Commentario al codice civile, V. Cuffaro - F. Delfini, (a cura di), Delle Successioni, Torino, 2010, p. 816; vedasi anche G. Perlingieri, Il ruolo del giurista nella modernizzazione del diritto successorio tra autonomia ed eteronomia, in Dir. succ. fam., 2018, p. 2, secondo il quale la distinzione tra contenuto c.d. tipico – patrimoniale-attributivo – e atipico (non patrimoniale) del testamento non ha valenza determinante, giacché nel nostro ordinamento, semmai, è tipico solo ciò che riceve una precisa ed espressa disciplina di legge. In questo senso, l’Autore precisa che la tipicità (sia nel senso di «patrimonialità», sia nel senso di espressa previsione legislativa) non è di per sé idonea a garantire la liceità e la meritevolezza di tutela dell’operazione negoziale; così come la mancanza di una previsione legislativa non determina per ciò solo l’illiceità della disposizione. L’A. prospetta, infatti, l’assunzione di un diverso metro di valutazione, che sia fondato esclusivamente sulla liceità e meritevolezza di tutela del negozio e non sulla sua tipicità o atipicità.

[15] In particolare, l’Uniform Fiduciary Access to Digital Assets Act definisce l’account come «an arrangement under a terms-of-service agreement in which a custodian carries, maintains, processes, receives, or stores a digital asset of the user or provides goods or services to the user». Si veda, sul tema. A. Cicu, Le successioni per causa di morte. Parte generale, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A. Cicu, F. Messineo, Milano, 1961, p. 71 ss.; F. Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, Milano, 1990, anche per una ricostruzione storica e comparatistica; Id., Le posizioni contrattuali, in Trattato di diritto delle successioni e donazioni, a cura di G. BONILINI, La successione ereditaria, I, Milano, 2009, p. 525; L. FERRI, Successioni in generale, in Commentario al codice civile, a cura di A. Scialoja, G. Branca (artt. 456 -511), Bologna-Roma, 1997, pp. 27 ss.; C. Caccavalle, Contratto e successioni, in Trattato del contratto, diretto da V. ROPPO, VI, Milano, 2006, pp. 405 ss

[16] B. Biondi, Oggetto dell’antica hereditas, in Iura, I, 1950, p. 150 ss.; B. Albanese, La successione ereditaria nel diritto romano antico, in Annali dell’Università di Palermo, vol. XX, 1949, pp. 127 ss.; F. Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1959, n. 18, p. 85 e Vocazione legale e vocazione testamentaria, in Riv. dir. civ., 1942, pp. 194 ss.; L. Coviello J., Lezioni di diritto successorio, Bari, 1958, p. 11; C. Vocino, Contributo alla dottrina del beneficio di inventario, Milano, 1942, pp. 44 ss.; U. Natoli, L’amministrazione dei beni ereditari, L’amministrazione durante il periodo antecedente l’accettazione, II, L’amministrazione nel periodo successivo all’accettazione, I, Milano, 1947-1949 (ed. 1°), 1968-1969 (ed. 2° riv. e agg.), pp. 75 ss.; F. S. Azzariti, G. Martinez, G. Azzariti, Successioni per cause di morte e donazione, Padova, 1979, pp. 3 ss.; A. Palazzo, Le Successioni, in Trattato di diritto privato a cura di G. Iudica e  P. Zatti, Milano, 1996, p. 416; A. Proto Pisani, Petizione di eredità e mero accertamento della qualità di erede, in Foro Italiano, 1961, pp. 1999 ss; A. Palazzo, Commento sub. art. 533 c.c., in Commentario al codice civile a cura di P. Cendon, Torino, 1991, p. 106; L. Cariota Ferrara, Le successioni per causa di morte. Parte generale, tt. I e II, Napoli, 1959, p. 593; W. D’Avanzo, Delle successioni, Firenze, 1941, p. 161; L. Barassi, Le successioni per causa di morte, Milano, 1944, p. 21; L. Ferri, Disposizioni generali sulle successioni, in Comm. al cod. civ. a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1980, p. 204; A. Magnani, La figura di erede e la qualità ereditaria etc ; S. Stefanelli, Destinazione post mortem dei diritti sui propri dati personali, cit., 1, p. 137. In giurisprudenza: Trib. Cuneo, 27.2.1953, in Giust. civ., 1953, p. 1895; Trib. Roma, 11.8.1961, in Foro pad., 1962, 1°, p. 695; Cass., 13. 5.1969, n. 1628, in Giust. civ., 1969, p. 1207

[17] Conseguentemente, perché si possa individuare un legato di password è necessario che la disposizione si configuri come un’attribuzione ad oggetto complesso, caratterizzata dalla comunicazione delle credenziali di accesso e dalla devoluzione al beneficiario dei beni custoditi in rete. Infatti, nonostante la molteplicità di contenuti che il legato può avere 55, è solo in presenza di un atto a contenuto patrimoniale, capace di realizzare un arricchimento per il beneficiario che la disposizione potrà qualificarsi come attribuzione a titolo particolare ed essere regolata dalle norme per essa previste. Diversamente, là dove la comunicazione dell’username e della password sia disgiunta da una volontà attributiva di un’utilità economica e sia finalizzata ad accedere ai dati digitali per svolgere esclusivamente attività di natura non patrimoniale si sarà in presenza di una disposizione testamentaria atipica ex art. 587, secondo comma, c.c., qualificabile come mandato testamentario.

[18] G. Perlingieri, Il ruolo del giurista nella modernizzazione del diritto successorio tra autonomia ed eteronomia, in Dir. succ. fam., 2018, p. 2, secondo il quale la distinzione tra contenuto c.d. tipico – patrimoniale-attributivo – e atipico (non patrimoniale) del testamento non ha valenza determinante, giacché nel nostro ordinamento, semmai, è tipico solo ciò che riceve una precisa ed espressa disciplina di legge. In questo senso, l'Autore precisa che la tipicità (sia nel senso di «patrimonialità», sia nel senso di espressa previsione legislativa) non è di per sé idonea a garantire la liceità e la meritevolezza di tutela dell'operazione negoziale; così come la mancanza di una previsione legislativa non determina per ciò solo l'illiceità della disposizione. L'A. prospetta, infatti, l'assunzione di un diverso metro di valutazione, che sia fondato esclusivamente sulla liceità e meritevolezza di tutela del negozio e non sulla sua tipicità o atipicità.

[19] In merito ai «diritti dell’oblio»: S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, Roma-Bari, 2012, p. 398 ss.; M. Bianca, La filter bubble e il problema dell’identità digitale, in Riv. dir. media, 2019, 1, pp. 39-53; T.E. Frosini, Google e il diritto all’oblio preso sul serio, in Dir. inf., 4-5, 2014, pp. 563 ss.; F. Pizzetti, Le autorità garanti per la protezione dei dati personali e la sentenza della Corte di giustizia sul caso Google Spain: è tempo di far cadere il velo di Maya, in Dir. inf., 2014, pp. 805 ss.; G. Sartor, M. Viola De Azevedo Cunha, Il caso Google e i rapporti regolatori USA/EU, in Dir. inf., 2014, pp. 658 ss.; A. Azurmendi, Por un «derecho al olvido» para los europeos: aportaciones jurisprudenciales de la Sentencia del Tribunal de Justicia europeo del caso Google Spain y su recepción por la Sentencia de la Audiencia Nacional española de 29 de diciembre de 2014, in Rev. de Derecho Político, 92, 2015, pp. 273 ss.

[20] D’altronde, l’art. 2-terdecies prevede l’estensione del novero dei diritti suscettibili di esercizio post-mortale includendo anche il diritto alla portabilità dei dati, che a sua volta rappresenta una delle piú importanti novità del Reg. 679 del 2016 (art. 20). In proposito, l’approccio della giurisprudenza statunitense e quello della giurisprudenza tedesca mettono in evidenza come l’accesso ai dati digitali del defunto sia oggetto di un diritto esercitabile dagli eredi iure hereditatis, segnatamente per effetto diretto del procedimento successorio. Nel caso Apple, deciso dalla corte meneghina, la gestione dei beni virtuali del de cuius, secondo l’art. 2-terdecies novellato del d.lgs. n. 101 del 2018, deve ricomprendersi fra i diritti attribuiti ai successibili quale legittimazione ad agire iure proprio. Nel mondo digitale, la gran parte dei beni che assumono giuridica rilevanza sono inseriti in contratto e, piú in generale, in un fascio di rapporti originati dal contratto medesimo. Infatti dalla fonte contrattuale nascono i rapporti che hanno quale punto di riferimento oggettivo i “beni virtuali”; e sempre nel contratto si rinvengono lo statuto di appartenenza (o di fruizione) e il regime di circolazione dei beni stessi. Si pensi, ad esempio, agli avatar utilizzati su Second life, a un profilo Facebook, o agli stessi file musicali “scaricati” da ITunes in base ad un contratto di licenza d’uso. Il loro trasferimento è possibile soltanto nei limiti consentiti dal regolamento negoziale: la disponibilità di tali risorse risiede, di fatto e di diritto, non tanto nella sfera giuridica degli utenti, quanto in quella degli intermediari digitali, quali Google, Facebook, eBay, Twitter, Vimeo o Hotmail.

[21] In dottrina si sottolinea come “le credenziali servano ad accedere a beni di natura patrimoniale (si pensi alle chiavi segrete di un conto corrente online). Qui la messa a disposizione della password è “rappresentativa del trasferimento del bene”, assumendo “connotati lato sensu simili alla traditio symbolica romana”. Il legato di password, in questi termini, “è concepibile (fermo il valore descrittivo che comunque l’espressione mantiene), configurandosi l’attribuzione delle credenziali, fatta per testamento, come un modo per ordinare un lascito a titolo particolare costruito in base ad una relatio”: S. Delle Monache, Successione mortis causa e patrimonio digitale, cit., p. 468. Vedasi sul legato di password e di credenziali generiche: A. Vesto, Successione digitale e circolazione dei beni online, cit., pp. 171 ss.

[22] Vedasi anche art. 2-terdecies, commi 2 e 3. Il rapporto con le piattaforme è caratterizzato da ontologiche asimmetrie informative e dal conseguente potere negoziale rispetto al quale l’esercizio dell’autonomia negoziale deve essere sottoposto al controllo dall’ordinamento. Sul punto, ancora G. Resta, La successione nei rapporti digitali e la tutela post-mortale dei dati personali, cit., 103. Infine, il quarto comma dell’art. 2-terdecies precisa che la volontà dichiarata dall’interessato è sempre suscettibile di revoca o modifica; il quinto comma dell’art. cit. chiarisce che il divieto in oggetto “non può produrre effetti pregiudizievoli per l’esercizio da parte dei terzi dei diritti patrimoniali che derivano dalla morte dell’interessato nonché del diritto di difendere in giudizio i propri interessi”. Dall’impianto normativo e dalla relativa interpretazione applicativa emerge la prospettiva di un ragionevole bilanciamento delle posizioni coinvolte nei rapporti digitali