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Anno XVI - n. 07 - Luglio 2024

  Giurisprudenza Amministrativa



Legittimo affidamento e riparto di giurisdizione. Ammissibilità della legittima aspettativa in assenza di un provvedimento amministrativo.

Di Jacopo Sportoletti
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NOTA A CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONI UNITE CIVILI,

SENTENZA 28 aprile 2020, n. 8236

 

Legittimo affidamento e riparto di giurisdizione. Ammissibilità della legittima aspettativa in assenza di un provvedimento amministrativo

 

Di JACOPO SPORTOLETTI

 

Sommario: 1. Il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e amministrativo 2. Il fatto  3. Le motivazioni delle Sezioni Unite

 

  1. Il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e amministrativo.

 

L'individuazione dei criteri di riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e amministrativo costituisce una problematica conseguente all'istituzione, da parte della L.n. 5992/1889 (Legge Crispi), della IV sezione del Consiglio di Stato, alla quale fu attribuita la funzione di decidere i ricorsi sui provvedimenti amministrativi inerenti "interesse d'individui o di enti morali giuridici". A tale sezione fu riconosciuto un ruolo giurisdizionale in modo espresso dal legislatore con la Legge 7 marzo 1907 n.62, la quale istituì anche la sezione V, oltre a prevedere le sezioni riunite per dirimere i contrasti tra le due sezioni.

Il suesposto quadro legislativo è il prodotto di una serie di interventi legislativi che si sono succeduti a partire dall'Editto di Racconogi del 18 agosto 1831, con il quale veniva istituito il Consiglio di Stato con funzioni prevalentemente consultive, delle regie patenti del 1842 e del regio editto del 1847 i quali avevano delineato il sistema del contenzioso amministrativo[1].

Quest'ultimo riservava ai cittadini una sorta di tutela "amministrativa" e non giudiziaria, essendo gli organi consultivi inseriti all'interno dell'amministrazione, la quale si divideva in "attiva" e "contenziosa".

La Legge 20 marzo 1865 n. 2248 all.E abolì il suesposto sistema, individuando nel giudice ordinario l'organo competente a dirimere le controversie inerenti una "questione d'un diritto civile o politico"  e riservando all'amministrazione gli altri "affari".

La norma introduceva limiti interni alla cognizione del giudice ordinario, che avrebbe potuto decidere su tutte le controversie vertenti su diritti soggettivi ove era coinvolta l'amministrazione, senza poter annullare o revocare e modificare i provvedimenti amministrativi salvo disapplicarli se illegittimi ex artt.4,5.

Il privato, espunto dall'Ordinamento la tutela contenziosa, non aveva nei confronti della pubblica amministrazione nemmeno una forma di tutela in sede giurisdizionale, non estendendosi la cognizione del giudice ordinario agli atti d'imperio in base alla lettura restrittiva che la giurisprudenza ordinaria diede dei poteri attribuiti dalla LAC.

La normativa inerente la giustizia amministrativa è stata coordinata dal regio decreto del 26 giugno 1924 n.1054 che introdusse il Testo Unico delle leggi sul Consiglio di Stato ed è proseguita con l'entrata in vigore della Costituzione e della L.n.1034/1971 che ha introdotto i Tribunali amministrativi regionali.

Il quadro è stato completato con l'adozione del Codice del processo amministrativo, introdotto dal D.lgs.n.104/2010.

Ricostruito brevemente il panorama legislativo relativo alla giustizia amministrativa, si evidenzia che la dottrina e la giurisprudenza hanno a lungo dibattuto sulla sussistenza di un criterio unanimemente condiviso che ripartisse la giurisdizione sulle controversie tra il giudice amministrativo e quello ordinario.

Due erano le tesi che sin dalla fine del XIX secolo erano state individuate quali criteri risolutori della giurisdizione. Si tratta della tesi del "petitum" e della "causa petendi"[2].

In base al primo la giurisdizione si radicherebbe in relazione al tipo di domanda presentata dall'attore. Infatti, nell'eventualità che quest'ultimo invochi l'annullamento di un provvedimento amministrativo si riconoscerà la cognizione del giudice amministrativo, concretandosi una richiesta di tutela amministrativa. Qualora si invochi il riconoscimento del risarcimento del danno, la cognizione spetterà al giudice ordinario.

Questo orientamento fu oggetto di ampie critiche da parte della giurisprudenza della Corte di Cassazione[3], la quale sosteneva l'irragionevolezza di un sistema che non permetteva di distinguere le posizioni giuridiche soggettive, di interesse legittimo e di diritto soggettivo, in modo certo, rimettendone l'individuazione in base alla tipologia di tutela invocata dal ricorrente, consentendosi, in tale modo, lo spostamento della giurisdizione in relazione alla mera volontà soggettiva dell'attore.

La Cassazione ha dunque condiviso il criterio della causa petendi, per il quale al fine di individuare il giudice munito della giurisdizione occorre esaminare, da un punto di vista oggettivo, l'effettiva consistenza della posizione giuridica soggettiva azionata.

Occorre verificare se sussiste un diritto soggettivo, con conseguente giurisdizione ordinaria, o un interesse legittimo, con affermazione della cognizione del giudice amministrativo.

Questa tesi fu ufficialmente accolta dall'accordo "Romano-D'Amelio", sancito dalla sentenza delle Sezioni unite del 15 luglio 1930 e dalla pronuncia dell'Adunanza plenaria del 14 giugno 1930 n.1,2[4].

Risolta la questione dell'individuazione dei criteri di riparto della giurisdizione, ulteriore problematica, inestricabilmente connessa alla prima, è quella relativa all'individuazione delle posizioni soggettive di interesse legittimo e diritto soggettivo, stante la previsione dell'art.7 comma 1 Cpa in base al quale "sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l'esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all'esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni".

Dalla lettura della suesposta norma si evince che i diritti soggettivi possono essere oggetto di cognizione innanzi al giudice amministrativo solo in presenza di una legge che attribuisca a quest'ultimo il potere di sindacarli. Si tratta dei casi di giurisdizione esclusiva di cui all'art.133 Cpa.

La diversità della consistenza di siffatte posizioni giuridiche ne giustifica il differente riparto di giurisdizione.

Il diritto soggettivo è stato definito da attenta dottrina come "la fondamentale posizione di vantaggio fatta ad un soggetto dall'ordinamento in ordine ad un bene e consistente nell'attribuzione al medesimo soggetto di una forza concretantesi nella disposizione di strumenti atti a realizzare in modo pieno l'interesse al bene"[5].

Esso si differenzia dalla situazione giuridica di interesse legittimo, definita come "posizione di vantaggio riservata ad un soggetto in relazione ad un bene della vita interessato dall'esercizio del potere pubblicistico, che si compendia nell'attribuzione a tale soggetto di poteri idonei ad influire sul corretto esercizio del potere, in modo da rendere possibile la realizzazione o la difesa dell'interesse al bene"[6].

Tuttavia, nonostante siffatte differenze, è opportuno far notare che gli interventi legislativi e giurisprudenziali succedutisi nel tempo, a partire dalla sentenza n.500 /1999 delle Sezioni unite della Cassazione, fino ad arrivare all'operatività del Codice del processo amministrativo, hanno segnato l'avvicinamento delle tutele del diritto soggettivo e dell'interesse legittimo.

Si è assistito al passaggio dallo "Stato di diritto amministrativo allo Stato costituzionale di diritto amministrativo"[7] mediante la giustiziabilità delle posizioni soggettive coinvolte dall'agere pubblico.

Il codice del processo amministrativo, infatti, ha determinato il passaggio del diritto amministrativo dallo status di specialità, alla piena tutela delle posizioni giuridiche ex artt. 24, 113 Cost[8].

Tuttavia, nonostante la piena tutela dell'interesse legittimo, dal punto di vista strutturale, differentemente dal diritto soggettivo, nel diritto amministrativo si registra la presenza di un rapporto giuridico pubblico, costituito dalla presenza di un potere pubblico dell'amministrazione e dalla sussistenza di una posizione di interesse legittimo sulla quale insiste il predetto potere.

Questa particolare relazione non può non differenziare il diritto soggettivo dall'interesse legittimo.

Lungo è stato il percorso volto al riconoscimento e alla giustiziabilità piena dell'interesse legittimo. Inizialmente l'interesse legittimo era declinato quale "interesse occasionalmente protetto". Per tale accezione quest'ultimo poteva ricevere protezione esclusivamente nel caso in cui sussisteva una norma che tutelava l'interesse pubblico. Solo in presenza di siffatta coincidenza di interessi l'interesse del privato poteva essere oggetto di tutela da parte dal giudice[9].

Una successiva tesi, non più accolta, attribuiva al predetto interesse esclusivamente una dimensione processuale, estrinsecandosi in una reazione giudiziale, in quanto interesse di fatto, ad una lesione della posizione soggettiva. Veniva negata la sua essenza sostanziale[10].

Ulteriore orientamento individuava l'interesse legittimo nella "pretesa alla legalità dell'azione amministrativa".

In base a siffatta tesi il titolare dell'interesse legittimo avrebbe visto soddisfatta la sua pretesa nel semplice rispetto delle regole ex lege poste dall'amministrazione. Siffatta conclusione è stata respinta in quanto svaluta l'interesse del privato all'ottenimento del bene della vita sotteso al predetto interesse a cui anela. Il cittadino non è interessato a che l'amministrazione rispetti le regole ed operi nella legalità se non nell'eventualità che siffatto modus operandi porti alla soddisfazione dell'interesse stesso.

Superate le suesposte tesi, l'orientamento consolidato della giurisprudenza ha ritenuto che l'indagine dei criteri risolutivi della giurisdizione su una data controversia dovessero essere individuati sulla base della sussistenza o meno del potere pubblico, stante il riferimento "all'esercizio o al mancato esercizio del potere pubblico" contenuto nel predetto art. 7 Cpa.

Occorre, dunque, distinguere le ipotesi in cui l'amministrazione operi come un soggetto privato la cui attività è sottoposta alle regole privatistiche ex art. 1 comma 1-bis L.n.241/1990, come ad esempio nell'esecuzione dei contratti pubblici o nell'assunzione di comportamenti materiali, da quella in cui essa operi nella veste autoritativa assumendo provvedimenti in grado di incidere unilateralmente nella sfera giuridica del privato.

Nella prima ipotesi il potere manca in astratto, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario. Nella seconda, discutendosi sulle modalità di estrinsecazione del potere pubblico, nella sussistenza di un rapporto di diritto pubblico, si rinviene la giurisdizione amministrativa.

L'aspetto rilevante è capire quando sussiste il potere pubblico[11].

L'individuazione del predetto potere ha condotto una parte della giurisprudenza a distinguere l'attività vincolata da quella discrezionale[12]. In base a siffatta divisio solo in presenza di un'attività discrezionale dovrebbe ricorrere la cognizione del giudice amministrativo, stante la presenza dell'interesse legittimo.

Diversamente, ricorrendo l'attività vincolata, verrebbe in rilievo la posizione di diritto soggettivo in quanto il legislatore disciplina ogni aspetto dell'attività amministrativa, senza lasciare spazio ad alcuna valutazione discrezionale dell'amministrazione.

Tale orientamento è stato oggetto di critica da parte della dottrina e della giurisprudenza[13] che hanno messo in luce come non sempre la presenza di un'attività vincolata postuli la sussistenza di un diritto soggettivo, dovendo effettuarsi una duplice distinzione.

Infatti, qualora il vincolo sia funzionalizzato al perseguimento di un interesse pubblico precostituito ex lege, ricorrendo un potere amministrativo il cui fine precipuo è l'interesse pubblico stesso, sussiste la giurisdizione amministrativa.

Se il vincolo all'esercizio del potere investe l'interesse del singolo, invece, dovrà affermarsi la giurisdizione ordinaria non potendo il potere degradare la posizione di diritto soggettivo ad interesse legittimo. Si pensi al diritto all'iscrizione in albi professionali da parte di quei soggetti che con il superamento dell'esame hanno acquisito il diritto all'iscrizione, in quanto muniti dei requisiti oggettivi richiesti dalla legge.

Principale criterio, accolto dalla prevalente dottrina e dalla giurisprudenza, individua la giurisdizione amministrativa in base alla dicotomia "carenza di potere-cattivo uso di potere"[14].

Qualora il ricorrente contesti la sussistenza della norma attributiva del potere, e dunque si versi in una situazione di carenza "in astratto", l'eventuale provvedimento emanato in assenza della copertura legislativa legittimante determinerebbe l'impossibilità di incidere la posizione di diritto soggettivo, con conseguente sussistenza della giurisdizione ordinaria. L'orientamento, accolto in presenza dell'operatività della tesi della "degradazione" del diritto ad interesse legittimo inciso dal provvedimento, determinava, nel caso di atto viziato da illegittimità, la riacquisizione del connotato soggettivo precedentemente degradato dal provvedimento annullato.

La tesi è oggi confermata dalla presenza dell'art.21septies ex L.n.241/1990 che annovera tra i casi di nullità il difetto assoluto di attribuzione e l'incompetenza assoluta dell'organo e dal prevalente orientamento della giurisprudenza[15].

Qualora il ricorrente contesti le modalità dell'esercizio del potere pubblico, invece, ricorre l'ipotesi del "cattivo uso del potere",  ovvero della carenza di potere "in concreto" con conseguente sindacato del giudice amministrativo sulla legittimità dell'atto amministrativo ex art.21octies L.n.241/1990[16].

La soluzione prospettata è stata oggetto di critica da parte di certa dottrina la quale ritiene di far rientrare nel concetto di nullità del provvedimento amministrativo non solo l'ipotesi di carenza "in astratto" del potere, ma anche quella di carenza "in concreto", estendendovi la giurisdizione ordinaria.

Può verificarsi il caso in cui l'individuo sia destinatario di un provvedimento limitativo della sua sfera giuridica viziato da nullità per assenza della norma attributiva del potere. In questa evenienza si radica la giurisdizione ordinaria per l'impossibilità dell'atto pubblico di conculcare la posizione soggettiva incisa.

Se il destinatario dell'atto è titolare di un interesse legittimo pretensivo, per tale tesi, la giurisdizione spetta sempre al giudice ordinario, in quanto, in presenza di qualsiasi forma di carenza di potere, non rilevano interessi pretensivi bensì semplici interessi sostanziali.

In altri termini se il potere non esiste non può individuarsi alcuno spazio per la competenza del giudice amministrativo.

Tale orientamento ritiene che la carenza di potere "in astratto" e carenza di potere "in concreto" sono termini che mostrano una diversa prospettiva dalla quale si osserva il fenomeno della nullità. In base alla prima è sufficiente che il potere esista in una norma alla quale l'amministrazione possa ricollegare la sua attività provvedimentale; per la seconda, invece, è indefettibile che l’azione concreta della pubblica amministrazione trovi "corrispondenza nella norma attributiva del potere"[17].

L'analisi del difetto assoluto di attribuzione andrebbe condotto da entrambe le prospettive. Se dovesse registrarsi una carenza di potere "in concreto" non è detto che il difetto di attribuzione non sia assoluto o sia, diversamente, meno assoluto, essendo necessario un'indagine in concreto sull'esistenza del potere[18].

 

 

  1. Il fatto

 

Una società aveva presentato un progetto preliminare volto alla realizzazione di una struttura alberghiera su un terreno di proprietà di un Comune.

Dopo intense interlocuzioni tra le parti, dalle quali emergeva il parere favorevole dell'amministrazione alla edificazione del complesso alberghiero suddetto, quest'ultima decideva di non consentire la realizzazione delle opere, procrastinando la dovuta decisione relativa alla richiesta concessoria, chiedendo ulteriori documenti e rimanendo inerte con aggravio di spese per la società richiedente.

La società citava in giudizio, in sede civile, l'amministrazione, chiedendo il ristoro dei danni patiti e generati dall'affidamento insorto in seguito alle raccomandazioni fornite dall'amministrazione stessa.

L'amministrazione proponeva regolamento di giurisdizione ritenendo che dovesse dichiararsi la giurisdizione del giudice amministrativo in quanto mancava un provvedimento volto alla soddisfazione dell'interesse legittimo pretensivo, oltre alla sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, rientrando la controversia, infatti, nella materia di edilizia e urbanistica.

 

  1. Le motivazioni delle Sezioni Unite

                                                                              

La Corte di Cassazione ha affrontato la questione dell'ammissibilità della giurisdizione ordinaria in presenza di una domanda di risarcimento del danno da lesione del legittimo affidamento derivante non dalla emanazione di un provvedimento amministrativo, poi annullato, bensì dall'affidamento ingenerato da un mero comportamento dell'autorità pubblica.

Si tratterebbe di un affidamento qualificabile non come verifica della legittimità degli "atti formali", bensì quale "aspettativa di coerenza e non contraddittorietà del comportamento dell’amministrazione".

Qualora alla questione si debba dare una risposta negativa, come peraltro evidenziato dall'amministrazione resistente, mancando il provvedimento l'affidamento riposto dal privato nella sua futura concessione sarebbe giuridicamente irrilevante in termini di giurisdizione in quanto "mero riflesso di un'azione amministrativa".

Sulla tematica de quo si sono contrapposte due tesi.

La pubblica amministrazione proponente il regolamento di giurisdizione ritiene che mancando un provvedimento espresso o implicito non possa giustificarsi alcun legittimo affidamento.

L'attore, invece, contestando le argomentazioni dell'autorità pubblica, ritiene che dovrebbe affermarsi la giurisdizione del giudice ordinario, versando la controversia sulla risarcibilità dei danni generati dal mancato rispetto dell'affidamento ingenerato dalle raccomandazioni favorevoli dell'amministrazione stessa.

Prima di individuare i caratteri precipui del legittimo affidamento si deve ricostruire il suo fondamento[19].

Due sono le principali tesi elaborate dalla dottrina.

Un orientamento rinviene nel fondamento della "legittima aspettativa" il principio di buona fede in senso oggettivo e anche soggettivo. In tale situazione occorre verificare la condotta del destinatario del provvedimento nel rapporto intersoggettivo che si è creato con l'amministrazione.

Una seconda tesi, invece, sostiene che elemento precipuo del legittimo affidamento sia costituito dalla "certezza dei rapporti giuridici".

La condivisione dell'uno o dell'altro orientamento determina una differente modalità di attuazione del principio.

Se si ritiene che la buona fede sia un elemento essenziale la sua assenza sarà ostativa alla costituzione dell'affidamento, differentemente dalla condivisione della seconda tesi, per la quale, anche in assenza dell'elemento soggettivo, potrà operare il suddetto principio.

Effettuate tali premesse si evidenzia che il legittimo affidamento è un principio che rientra all'interno dei principi generali del diritto europeo, nello specifico in quelli generali "comuni" a quelli accolti nei vari Stati membri, ed è stato elaborato dall'attività interpretativa della Corte di Giustizia dell'Unione europea[20].

Si tratta di un principio che trova applicazione in molti settori dell'Ordinamento. In materia di "fonti del diritto", relativamente all'ammissibilità della legge retroattiva; nell'ambito dell'organizzazione della pubblica amministrazione, in presenza dell'istituto del funzionario di fatto; con riferimento all'attività amministrativa, in merito all'interpretazione dei provvedimenti o all'adozione di atti di secondo grado, o retroattivi.

In materia di responsabilità esso rinviene un suo spazio operativo in presenza della responsabilità precontrattuale dell'amministrazione o del provvedimento favorevole annullato in via giudiziale o di autotutela perchè illegittimo[21].

E' opportuno ripercorre i tratti[22] delineati dalla giurisprudenza per la configurabilità di un  legittimo affidamento da parte del privato coinvolto dall'agere dei pubblici poteri.

E' richiesta la sussistenza di un provvedimento favorevole che soddisfi l'interesse pretensivo ingenerando l'affidamento del privato, che costituisce l'elemento oggettivo dell'affidamento stesso. Occorre la buona fede del destinatario dell'atto, il quale non deve essere a conoscenza dell'illegittimità dello stesso, rappresentando esso l'elemento soggettivo. Terzo requisito è costituito dal fattore "tempo", ovvero deve essere trascorso un lasso temporale significativo, idoneo ad ingenerare la convinzione della stabilità dell'attribuzione positiva.

Infine è necessaria la rimozione del provvedimento mediante atto in autotutela dell'amministrazione o tramite l'annullamento giurisdizionale dello stesso.

Dunque il privato, in base al principio suddetto, destinatario del provvedimento favorevole ma illegittimo, dovrebbe essere risarcito per la lesione subita confidando nella legittimità dell'atto di cui è destinatario.

Il riconoscimento della risarcibilità del danno ha determinato un vivace dibattito sul giudice competente a decidere la domanda risarcitoria.

Un orientamento della giurisprudenza ha ritenuto di dover affermare la sussistenza della giurisdizione amministrativa sull'assunto per cui la lesione di un interesse legittimo si configura sia in presenza di un provvedimento negativo che illegittimamente non riconosca al privato un dato bene della vita, sia in presenza di un provvedimento positivo ma invalido in quanto affetto da illegittimità.

Altro orientamento, invece, ritiene che la lesione dell'affidamento ingenerato da un provvedimento favorevole ma illegittimo vada ricompreso nella giurisdizione ordinaria in quanto avrebbe ad oggetto la lesione di un diritto soggettivo, qualificabile come "diritto all'integrità patrimoniale", leso da scelte assunte in base alla vigenza dell'atto favorevole e non di un interesse legittimo.

Infatti, annullato il provvedimento, residuerebbe solo un comportamento materiale che non presenta legami con il potere pubblicistico.

Condizione perché possa affermarsi la giurisdizione amministrativa è la sussistenza di una stretta connessione tra il danno e il provvedimento, ove la causa petendi deve essere rappresentata dall’illegittimità. Se la causa petendi la si identifica nella lesione dell’affidamento generato da un atto ampliativo illegittimo e correttamente annullato, ci si trova al di fuori della cognizione del giudice amministrativo[23].

Il danno conseguenza si individuerebbe nelle perdite e nei mancati guadagni patiti a causa dell'agire provvedimentale illegittimo.

Siffatta tesi è stata sostenuta anche dalla successiva giurisprudenza della Cassazione la quale ha evidenziato che nell'ipotesi in cui un provvedimento, seppur illegittimo, sia satisfattivo dell'interesse pretensivo del richiedente, non può sussistere alcun danno ingiusto. Il provvedimento, infatti, è stato rilasciato "in modo ingiusto, ma non dal punto di vista del privato che lo aveva richiesto, nei cui riguardi nessun danno evento si è verificato"[24]. Sembrerebbe che oggetto dell'interesse legittimo sia il comportamento della pubblica amministrazione.

Un orientamento mediano, sostenuto dalla giurisprudenza amministrativa, attribuisce la giurisdizione al giudice amministrativo nei casi in cui, sussistendo un potere pubblico, si rinvenga una materia attribuibile alla giurisdizione esclusiva.

Nella controversia in oggetto l'amministrazione ha negato la giurisdizione ordinaria, sostenendo che si versasse in un'ipotesi di violazione dei termini procedimentali ex art.2-bis L.n. 241/1990, riservata alla giurisdizione esclusiva ex art. 133 lett. a) n. 1 Cpa.

Inoltre, l'amministrazione ha evidenziato l'assenza del presupposto oggettivo fondante il legittimo affidamento, ovvero il rilascio del provvedimento abilitativo richiesto dalla società. In conseguenza alcun affidamento avrebbe potuto essere ingenerato.

Il Procuratore Generale ha ritenuto inapplicabili i principi statuiti dalla giurisprudenza civile nelle Sezioni unite del 2011, sussistendo in quel caso un provvedimento ampliativo della sfera giuridica del destinatario, caducato in via giudiziale o amministrativa.

L'inapplicabilità deriva dall'assenza del provvedimento nel caso concreto, non essendo stato, quest'ultimo, mai emanato.

La Cassazione, dunque, ha ritenuto che la lesione della posizione soggettiva dell’attore non potesse essere ricollegata al provvedimento favorevole annullato per illegittimità, espressione di un potere pubblico, bensì ad una “fattispecie complessa” rappresentata dall’atto illegittimo (ovvero i pareri e le raccomandazioni favorevoli rilasciate nel corso del procedimento), dall’affidamento incolpevole nella sua validità e dalla conseguente sua rimozione.

Si avrebbe una violazione delle regole di condotta di buona fede e correttezza e non di quelle afferenti al diritto pubblico.

La Corte richiama i principi sanciti dalla Corte di Giustizia, per i quali costituiscono atti idonei a ingenerare aspettative anche informazioni precise pervenute da fonti autorevoli, a prescindere dalla forma in cui vengono comunicate[25].

Non vi sarebbe spazio, dunque, per l’applicazione degli artt. 7,30 comma 2 Cpa.

Il primo attribuisce la giurisdizione al giudice amministrativo sul presupposto che il comportamento sia mediatamente riconducibile all’esercizio del potere.

Il secondo attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le domande sul risarcimento dei danni inerenti il diritto soggettivo, qualora si ravvisi uno stretto intreccio tra quest’ultimo e le posizioni di interesse legittimo, sempre che la controversia verta su una situazione in cui è coinvolto l’esercizio del potere pubblico.

Le regole della correttezza e buona fede, dunque, costituirebbero fondamento dell’affidamento al pari delle altre norme che afferiscono al diritto pubblico, legittimando un’attribuzione della controversia alla cognizione del giudice ordinario in quanto viene in rilievo un comportamento dell’amministrazione lesivo dell’affidamento, a prescindere da eventuali indagini sulla legittimità o meno del provvedimento.

L’amministrazione si sarebbe comportata in modo scorretto come un ipotetico contraente in una fase precontrattuale della vicenda negoziale. La responsabilità che discenderebbe da siffatta condotta è stata dalla Cassazione declinata come contrattuale da "contatto sociale" ex art.1173 c.c, rientrando la condotta dell’amministrazione in quegli atti idonei a generare obbligazioni senza obbligo primario di prestazione ma con obblighi informativi e di protezione ex artt. 1175,1176 c.c.

La sentenza, dunque, estende i principi affermati dalle Sezioni unite nn. 6594, 6295, 6596 del 2011 in presenza di una domanda risarcitoria conseguente all’annullamento di un provvedimento favorevole ma illegittimo anche al caso in cui alcun provvedimento sia stato emanato e l’affidamento sia sorto in base al mero comportamento, ovvero nella "dimensione relazionale complessiva tra l’amministrazione e il privato".

La presente pronuncia, oltre ad aver messo in discussione i presupposti tradizionali per l’ammissibilità di un legittimo affidamento ammettendo che anche il comportamento lesivo della buona fede sia idoneo a far sorgere una legittima aspettativa, dà una lettura alternativa della sussistenza del potere pubblico.

La Cassazione, infatti, ritiene che, nonostante sia in atto una procedura amministrativa volta al rilascio di un titolo concessorio, non si debba discutere né di carenza di potere né di cattivo uso di potere, bensì della condotta tenuta dall’amministrazione, quasi come se essa stesse operando in una dimensione privatistica e non pubblicistica.

E’ opportuno ribadire che gli atti amministrativi, ovvero i pareri favorevoli e le raccomandazioni che l’amministrazione ha emanato nel caso di specie, costituiscono atti endoprocedimentali inidonei ad attribuire un bene della vita e non impugnabili salvo ipotesi peculiari[26].

La tesi "funzionale procedimentale" oggi condivisa dell'attività amministrativa distingue, infatti, l'atto dal provvedimento.

Quest'ultimo è l'espressione della volontà tesa a produrre, in via unilaterale, effetti nella sfera giuridica del destinatario[27], emanato al termine di una serie di atti amministrativi procedimentali, funzionali alla sua predisposizione.

 Diversamente l'atto amministrativo non provvedimentale si inserisce tra quegli atti prodromici al provvedimento e inseriti nel procedimento.

Dunque, la Cassazione sembrerebbe affermare che un atto preparatorio del provvedimento possa far nascere un affidamento risarcibile e quindi una posizione soggettiva tutelabile autonomamente, pur nell’assenza di qualsiasi provvedimento positivo o negativo emanato a conclusione dell’iter amministrativo che riconosca o neghi un dato diritto.

Sembrerebbe in realtà sussistere un’ipotesi di cattivo uso del potere, come sostenuto dall’amministrazione proponente il regolamento di giurisdizione, non avendo quest'ultima emanato il provvedimento nei termini previsti ex lege per la conclusione del procedimento ex art.2-bis L.n. 241/1990.

 

 

[1] M.C. Cavallaro, Riflessioni sulle giurisdizioni. Il riparto di giurisdizione e la tutela delle situazioni soggettive dopo il Codice del processo amministrativo, Padova, 2018.

[2] V. Lopilato, Manuale di diritto amministrativo, II ed., Torino 2019, 1567.

[3] Cass. Civ., sez. un., 24 giugno 1897.

[4] R.C.Perin, La giustizia amministrativa ai tempi di Santi Romano presidente del Consiglio di Stato, in, Quaderni del Consiglio di Stato, Torino, 2004, 170.

[5] M. Nigro, Giustizia amministrativa, Bologna, 1983, 116 ss.

[6] M. Nigro, Giustizia amministrativa, op.cit., 127.

[7]Enrico Scoditti, Il riparto di giurisdizione: dalla separazione alla integrazione delle tutele, in, Giustizia amministrativa.it, 2019.

[8] Greco, Le situazioni giuridiche soggettive e il rapporto procedimentale, in, Giustizia amministrativa.it, 2020.

[9] A.M.Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1980, 107 ss.

[10] F.Caringella, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2018, 9.

[11] F.Caringella, Manuale di diritto amministrativo, op.cit., 73.

[12] Cass. Civ., sez. un., 25 luglio 2007, n. 16411.

[13] Cons. Stato, Ad. plen., 24 maggio 2007 n. 8.

[14] F. Urbani, La Cassazione torna ad occuparsi del rapporto tra riparto di giurisdizione e diritti fondamentali, in, Corriere Giur.,2017, 5, 649.

[15] Cass. Civ., sez. un., 5 marzo 2018, n. 5097.

[16] V. Lopilato, Manuale di diritto amministrativo, op.cit., 1570.

[17] A. Lamorgese, Nullità dell'atto amministrativo e giudice ordinario, in, Riv. Dir. Proc., 2009.

[18] Ibidem.

[19] F. Trimarchi Banfi, Affidamento legittimo e affidamento incolpevole nei rapporti con l'amministrazione, in, Dir. Proc. Amm., 2018, 823.

[20] Corte di Giustizia Un. eur., sentenza 3 maggio 1978, Töpfer, in causa 112/77.

[21] V. Lopilato, Manuale di diritto amministrativo, op.cit., 32.

[22] Cass. Civ., sez. un., 4 settembre 2015, n. 17586.

[23] Cass. Civ., sez. un., 23 marzo 2011, nn. 6594, 6295, 6596.

[24] Cass. Civ., sez. un., 4 settembre 2015 n. 17586.

[25] Corte di Giustizia Un. eur., sentenza 14 marzo 2013, Agrargenossenschaft, in causa 545/11.

 

[26] Si pensi ad atti che determinino un arresto procedimentale immediatamente lesivo della sfera giuridica del soggetto, come rilevato da Cons. Stato, sez. IV, 13 febbraio 2017, n. 602, o un atto amministrativo che escluda un concorrente da una procedura di evidenza pubblica.

[27] M. Clarich, Manuale di diritto amministrativo, 2019.