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Anno XVI - n. 10 - Ottobre 2024

  Studi



Legalità amministrativa e trasparenza.

Di Pietro Cucumile
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 Legalità amministrativa e trasparenza

 

Di Pietro Cucumile

 

Abstract.

Il presente lavoro approfondisce la portata del paradigma dell’amministrazione di risultato, nelle declinazioni del buon andamento e dell’imparzialità, e delle modalità con cui lo stesso intercetta il canone della trasparenza. Al riguardo, si cercherà di approfondire il fondamento positivo del canone di legalità, nelle varie interpretazioni della dottrina, fino ad arrivare all’accezione di tale principio come modalità mediante cui traguardare e massimizzare l’interesse pubblico attribuito alle singole pubbliche amministrazioni. Questo approfondimento mira, quindi, a dimostrare come l’amministrazione di risultato e l’imperativo dell’efficienza e dell’efficacia dell’azione amministrativa appaiano in linea con la dinamica della legalità sostanziale.

This paper delves into the scope of the paradigm of results administration, in the declinations of good performance and impartiality, and the ways in which the same intercepts the canon of transparency. In this regard, an attempt will be made to delve into the positive foundation of the canon of legality, in the various interpretations of the doctrine, up to the meaning of this principle as a way by which to target and maximize the public interest attributed to individual public administrations. This in-depth study aims, therefore, to show how the administration of results and the imperative of efficiency and effectiveness of administrative action appear to be in line with the dynamics of substantive legality.

 

Sommario

1.1. Dalla legalità formale alla legalità sostanziale; 1.2. L’amministrazione di risultato e i suoi rapporti con il principio della performance; 1.3. La progressiva ascesa del principio di trasparenza; 1.4. (Segue) Lo strumentario operativo: programmazione e PIAO

 

1.1 Dalla legalità formale alla legalità sostanziale

 

Confrontando le elaborazioni tradizionali e i più recenti contributi prodotti dalla letteratura scientifica in ordine alla concreta consistenza e alla dimensione attuale del principio di legalità emerge chiaramente come lo stesso, nell’ultimo ventennio, abbia attraversato un'evoluzione concettuale di portata dirompente. Da sempre perno fondante dell’azione amministrativa, la moderna legalità risulta infatti sempre più strettamente legata a quella moltitudine di ulteriori assiomi che, allo stato, imbrigliano e ad un tempo orientano verso fini virtuosi l’azione della pubblica Amministrazione, strutturandosi dunque come un principio nuovo che, pur non recidendo i legami con la sua tradizionale radice, appare oggi caratterizzato da una densità contenutistica certamente maggiore.

Tale prospettiva dinamica ed evolutiva, del resto, appare emblematicamente rappresentata dal mutamento dei predicati che hanno accompagnato la legalità. Predicati, questi, che se, originariamente, coincidevano con l’aggettivo “formale” o “debolissima”, generando rispettivamente le note nozioni di legalità formale o di legalità debolissima, oggi appaiono invece rinnovati, favorendo sempre più l’affermazione di una nozione di tale assioma di matrice sostanziale e forte. Ciò, al fine di delineare nel principio di legalità il fondamento e il limite dell’azione della pubblica Amministrazione, operando quale elemento in grado, da un lato, di legittimare l’azione dell’esecutivo e, dall’altro, proprio in ragione di tale primaria funzione, di rappresentare un fondamentale perno per la protezione della sfera giuridica dei destinatari, presidiando correttamente quella dialettica autorità libertà, mediante la ricerca costante di un delicato bilanciamento tra valori ed interessi contrapposti.

Cionondimeno, non agevole, ancor oggi, risulta delineare una concreta nozione definitoria del principio di legalità, così come individuare, con certezza, il suo principale ancoraggio normativo costituzionale. Tali operazioni, tuttavia, appaiono indispensabili per poter illustrare il suo percorso evolutivo, onde comprovarne il moderno legame con gli assiomi che, più di recente, si sono affermati quali canoni egualmente fondamentali dell’azione dei pubblici poteri. Ci si riferisce, nel dettaglio, da un lato, ai principi di trasparenza e, dall’altro, ai principi di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa i quali, condensati nel paradigma operativo dell’amministrazione di risultato, intercettano il canone della performance, generando così, a partire proprio dalla legalità, un mosaico complesso formato da una pluralità di valori tutti complessivamente orientati al perseguimento di un obiettivo duplice: incrementare la qualità dell’azione amministrativa e, più in generale, quel buon andamento costituzionalmente imposto, assicurando al contempo la prevenzione e la lotta contro fenomeni corruttivi e di illegalità che, con intensità sempre maggiore, aleggiano intorno all’attività, in particolare erogativa e di amministrazione attiva, della pubblica Amministrazione.

Alla luce di ciò, allora, essenziale appare procedere con ordine, rintracciando anzitutto il fondamento primario e la concreta nozione del principio in commento, per poi successivamente dare atto dei suoi legami con gli ulteriori assiomi fin qui citati.

Ebbene, con riferimento a tale primo profilo, deve sottolinearsi come non sia possibile rintracciare un decisivo ed esplicito richiamo al principio di legalità nel testo costituzionale. Non decisivo, infatti, quanto meno prima facie, appare il generale riferimento all’art 97 Cost., la cui formulazione, dopo aver scandito il principio del necessario pareggio di bilancio, esplicitamente dispone che “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell'amministrazione[1].

Tale formulazione, apparentemente, ricollega dunque il canone legalistico al meccanismo di allocazione delle competenze, lasciando prima facie sguarnita l’attività di amministrazione attiva dall’osservanza del principio in commento. È chiaro, tuttavia, come una simile soluzione – alla luce della rilevanza che tale assioma assume nella moderna azione amministrativa – non può essere condivisa con conseguente necessità di rintracciare un argomento utile ad estendere, in chiave di intermediazione concettuale, tale declinazione del canone in esame anche alla concreta attività operativa della pubblica Amministrazione.

In quest’ottica, deve invero osservarsi che la più acuta dottrina ha evidenziato come tale obiettivo possa essere raggiunto attraverso una corretta interpretazione del significato della legalità di cui all’art. 97 Cost. In particolare, si è osservato che tale prescrizione, nella parte in cui sottolinea che le competenze devono essere distribuite in base alla legge, evidentemente si riferisce a quella attitudine distributiva del canone legalistico, chiamato ad orientare l'assegnazione, attraverso lo strumento legale, dei diversi interessi in capo ai diversi soggetti pubblici.  In questa prospettiva, si evidenzia, allora, che la prescrizione costituzionale in esame, laddove rievoca l’allocazione legale delle competenze, evidentemente sottolinea la necessità che la ripartizione tra i diversi soggetti pubblici degli interessi che ciascuno di essi è chiamato a perseguire deve essere operata in base alla legge, a sua volta chiamata a perfezionare siffatta operazione in guisa tale da assicurare il raggiungimento di quegli obiettivi di buon andamento e imparzialità indicati nell’art. 97 Cost. In tal modo, allora, la norma in esame, ricollegando tali ultime due finalità allo strumento legale, il quale a sua volta assurge a strumento di intermediazione per l’indicazione del concreto orizzonte assiologico di ciascun soggetto pubblico, chiaramente eleva la legalità a parametro essenziale dell’azione amministrativa, le cui finalità, in maniera non dissimile da quanto indicato altresì nella normativa primaria, devono essere indicate dallo strumento normativo[2].

Ricostruito in tal modo il fondamento costituzionale primario del principio di legalità, va tuttavia precisato come l’art. 97 Cost. non rappresenti l’unico riferimento che la Carta fondamentale opera in favore di tale assioma. Analogamente, infatti, anche l’art. 118 Cost. contiene un eguale richiamo a tale fondamentale valore.

Nel dettaglio, la norma appena citata esplicitamente dispone che “le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza[3]. Disposizione, questa, che, interpretata congiuntamente alla formulazione di cui all’art. 97 Cost. la quale orienta sulla base proprio del canone della legalità l’allocazione delle funzioni amministrative, arricchisce la legalità ammnistrativa di un ulteriore duplice parametro. La stessa, infatti, deve svilupparsi sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, ritenuti, fin dalle c.d. riforme Bassanini, i valori principali alla stregua dei quali configurare l’azione dei soggetti pubblici.

Accanto a tale fondamento costituzionale, il principio di legalità risulta scandito anche dalla normativa primaria. In particolare, esso compare nell’art. 1 della legge 241/1990, la cui formulazione esplicitamente stabilisce che “l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza, secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell'ordinamento comunitario[4].

In quest’ottica, dunque, la norma in esame traduce sul versante della normativa primaria quell’assetto assiologico discendente dal testo costituzionale, confermando come sia dunque esclusivamente lo strumento legale il criterio alla stregua del quale individuare i fini che l’Amministrazione deve perseguire, con ciò assoggettandone la relativa azione al rispetto del principio di cui si discute.

Ciò posto, deve rilevarsi come, in disparte da tale multiforme e al contempo non unitaria declinazione del fondamento positivo del canone di legalità, lo stesso presenti una consistenza differenziata a seconda dell’intensità con la quale, secondo le differenti impostazioni, può in concreto condizionare l’azione della pubblica Amministrazione.

In particolare, la dottrina più autorevole ha declinato tre differenti e possibili configurazioni del canone della legalità, suscettibili di implementare diversamente tale parametro di garanzia e di indirizzo all’interno dell’attività dell’esecutivo.

Una prima declinazione, ormai obsoleta e non più coerente con l’attuale assetto ideologico e positivo retrostante l’azione dei pubblici poteri, definisce questo principio come criterio meramente formale, di matrice debole. In quest’ottica, si evidenzia come tale canone – a dispetto della attuale formulazione positiva, di carattere meramente programmatico e privo di reale attitudine precettiva – si sostanzi semplicemente in un limite negativo, il quale preclude esclusivamente lo svolgimento di attività vietate dalla legge, senza al contempo strutturare un limite positivo all’azione dei pubblici poteri[5].

È chiaro, tuttavia, come una simile configurazione del principio in esame non appaia coerente con la normativa soprariportata, la cui consistenza evidentemente individua, nel principio di legalità, non soltanto un assioma alla cui stregua declinare i divieti a cui l’Amministrazione è, nella sua azione, in concreto assoggettata, rappresentando piuttosto un canone utile a poter rintracciare i valori e gli interessi alla cui massimizzazione l’azione amministrativa è in concreto orientata.

Pertanto, un diverso e più attuale indirizzo dottrinale ritiene opportuno ricostruire il canone di legalità, non in termini di legalità meramente formale o debole, bensì come principio di legalità formalistico forte[6]. In questa diversa ottica, l’assioma in esame assume una diversa e più intensa consistenza, rappresentando un limite positivo che coerentemente con le indicazioni desumibili dall’art. 97 Cost. e dall’art. 118 Cost., oltreché dall’art. 1 della legge generale sul procedimento amministrativo, eleva il parametro legale a strumento funzionale a dettare orientamento, indirizzo e direzione dell’attività della pubblica Amministrazione. In questa prospettiva, dunque, la legalità rappresenta lo strumento alla stregua del quale è possibile stabilire quali siano i fini dell’azione pubblica. Soluzione, questa, che se, da un lato, costituisce un indubbio progresso concettuale rispetto agli approdi sollecitati da una lettura della legalità meramente formale, al contempo non traguarda integralmente quelle esigenze di garanzia che tale principio indubbiamente persegue.

Alla luce di ciò, più di recente, si è affermata una diversa lettura della legalità, funzionale ad elevarne la portata al fine di ricomprendere, nel novero operativo di siffatto parametro di garanzia, non soltanto la determinazione dei fini suscettibili di essere perseguiti da ciascuna Amministrazione, ma altresì l’enucleazione delle modalità mediante cui in concreto traguardare e massimizzare l’interesse pubblico di attribuzione. Ciò, in coerenza, dunque, con una nuova nozione della legalità intesa non più solo quale paradigma formale, destinato a presidiare l’esplicazione dell’azione pubblica sotto il profilo – pur essenziale – della determinazione dei fini da perseguire in concreto, bensì come principio sostanziale che rimetta al precetto normativo l’individuazione della cornice teleologica del potere pubblico, nonché dei parametri inerenti alle modalità e alle tecniche alla stregua dei quali traguardare simili obiettivi determinati dalla legge. Legalità, questa, di matrice sostanziale, la quale costituisce la più elevata forma di applicazione del principio in commento, effettivamente in grado di condensare in un unico assetto assiologico le consistenti contrapposizioni valoriali che, di regola, presidiano l’esplicazione del potere pubblico.

Sotto il profilo pratico applicativo, peraltro, può segnalarsi come tale approdo evolutivo del principio di legalità ha trovato sempre più spazio nella concreta dinamica operativa dell’azione pubblica. Ciò, sia mediante opportuni agganci normativi, sia mediante scelte tecniche compiute dagli stessi soggetti pubblici, sempre più spesso indotti a predefinire anticipatamente le regole alla cui stregua conformare la propria azione, così da assicurare una spendita graduale della discrezionalità nel corso del procedimento, con conseguente massimizzazione della legalità, in uno della prevedibilità e controllabilità, del provvedimento conclusivo dello stesso.

Nel dettaglio, con riferimento alla prima prospettiva, un concreto referente normativo per l’applicazione del principio di legalità sostanziale può essere individuato nella stessa legge generale sul procedimento amministrativo. In particolare, l’art. 12 della legge 241/1990 esplicitamente assoggetta l’esplicazione dell'attività amministrativa di carattere erogativo alla preventiva determinazione da parte della stessa pubblica Amministrazione procedente dei criteri destinati ad orientare le scelte condensate nell’adozione del provvedimento finale. In tal modo, dunque, la portata precettiva della formulazione normativa esorbita quei tradizionali confini, di matrice, come detto, formale, limitati alla semplice determinazione delle finalità pubblicistiche retrostanti l’azione del soggetto pubblico, abbracciando il quomodo dell’esercizio del potere. Ciò, peraltro, senza trascurare il dato, in sé pacifico, dell’impossibilità di strutturare in forma aprioristica simili regole, destinate necessariamente a variare a seconda delle concrete caratteristiche del procedimento. Ne consegue, allora, la scelta di invitare la pubblica Amministrazione alla determinazione preventiva delle stesse, mediante una prefigurazione preventiva della sua azione che, operando una sorta di intermediazione concettuale tra la concreta dinamica dell’attività amministrativa e i principi generali e astratti normativamente fissati, permette una penetrazione del canone legalistico anche nelle maglie sostanziali della decisione amministrativa.[7] Circostanza, dimostrata dalla formulazione della norma appena citata, la quale, come detto, esplicitamente dispone che “la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi[8].

La legalità sostanziale, dunque, si traduce proprio nel principio di prefigurazione dell’azione amministrativa, costituendo entrambi due profili del medesimo elemento valoriale. Elemento, questo, rappresentato dalla necessità di garantire un sempre più rigido controllo, anche normativo, sulle concrete scelte assunte dall’Amministrazione, nell’ottica di assicurare, coerentemente con la rinnovata formulazione dell’art. 1 della legge generale sul procedimento amministrativo, l’osservanza di quei parametri di efficacia ed efficienza su cui, nelle pagine successive, si avrà modo di soffermarsi.

Quanto al secondo profilo, invece, occorre segnalare come la prefigurazione dell’azione dei pubblici poteri e, di conserva, l’attuazione della declinazione sostanziale del principio di legalità ha trovato spazio anche oltre le singole ipotesi in cui la legge radichi tale dovere in capo ai soggetti pubblici. In disparte dalle attività amministrative di aggiudicazione di contratti pubblici, paradigmaticamente conformate, in ragione dell’impulso procedimentale rappresentato dal bando di gara, all’osservanza di un simile principio, è sufficiente richiamare sul punto l’art. 21-octies, co. 2, della legge 241/1990. Questa norma, infatti, dispone, con riferimento all’eventuale torsione patologica dell’azione della pubblica Amministrazione, che “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. La disposizione di cui al secondo periodo non si applica al provvedimento adottato in violazione dell’art. 10-bis[9].

Tale formulazione, dequotando la rilevanza in chiave demolitoria del provvedimento amministrativo, evidentemente si riferisce a singole fattispecie nelle quali la decisione amministrativa appaia conforme sotto il profilo sostanziale al paradigma normativo di riferimento. Ciò, di regola, attraverso una definizione preventiva delle regole destinate ad orientare la decisione, operata alternativamente dalla stessa legge ovvero da un esaurimento progressivo della discrezionalità favorito dall’Amministrazione. In tal modo, dunque, si valorizza la correttezza sostanziale della determinazione provvedimentale a discapito dell’osservanza mera di parametri formalistici, in coerenza con l’evoluzione fin qui evidenziata del principio di legalità che, da canone formale debolissimo, si struttura oggi come principio dotato di sempre maggior vigore, funzionale, non tanto e non solo alla mera determinazioni dei fini dell’azione della pubblica Amministrazione, bensì alla concreta regolazione dei metodi e dei criteri utili ad orientare la decisione della stessa. Ciò, al fine di massimizzare i risultati suscettibili di essere ottenuti, in coerenza con la rinnovata formulazione di cui all’art. 1 della legge 241/1990 che, per la parte che qui interessa, chiaramente sottolinea come l’azione amministrativa sia “retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza, secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai princípi dell'ordinamento comunitario[10].

 

1.2 L’amministrazione di risultato e i suoi rapporti con il principio dell’e-government

 

Come desumibile dalle considerazioni fin qui svolte, il principio dell’amministrazione di risultato trova il suo fondamento normativo in una disposizione invero ormai risalente. In disparte dalle successive evoluzioni che, innovando il quadro positivo in materia di impiego pubblico, hanno coordinato il nuovo principio dell’amministrazione di risultato con i criteri di apprezzamento della prestazione e dell’attività dei dipendenti dell’Amministrazione pubblica, mediante l’introduzione del principio e dei criteri di valutazione della performance individuale, il fondamento dell’amministrazione di risultato risiede proprio in quella formulazione dell’art. 1 della legge 241/90 che, coordinata con l’art. 97 Cost., traduce nella legislazione positiva quel buon andamento imposto nella Carta fondamentale, quale principio guida dell’attività amministrativa.

Come osservato, infatti, questa disposizione sottolinea che l’azione amministrativa si conforma ai parametri di “economicità, efficacia”, richiamando altresì il principio dell’imparzialità, con ciò evidentemente sancendo una stretta correlazione tra tale ultimo canone dell’equidistanza dell’Amministrazione procedente, la legalità dell’attività della pubblica Amministrazione, e la valorizzazione del risultato attesa la necessità di strutturare la dinamica amministrativa in guisa tale da favorire la massimizzazione dei due criteri in premessa indicati.

Più nel dettaglio, appare opportuno rilevare che sulla formula tecnica di amministrazione di risultato e su ciò che la stessa, in concreto, denoti, si è registrato, soprattutto nella prima parte del primo decennio del 2000, un significativo dibattito. A partire da tale periodo, infatti, sviluppatasi tale concettuologia nel tentativo di invertire la tradizionale inefficienza dell’azione pubblica, “il nostro ordinamento ha conosciuto una lunga e quasi inesauribile stagione di riforme, la quale, sul piano squisitamente organizzativo, è stata prevalentemente indirizzata, prima alla promozione e poi all’imposizione dell’efficienza, intesa quale produttività[11]. Pertanto, il concetto di amministrazione di risultato ha rappresentato, nell’analisi delle singole scelte normative e dei moduli prescelti al fine di assicurare una progressiva giuridificazione del canone di efficienza, il “presupposto assiologico di qualsiasi discorso sull’Amministrazione pubblica[12], imponendo oggi all’interprete il dovere di ricostruirne la concreta portata.

Al riguardo, allora, può osservarsi come, secondo un primo indirizzo, la formula citata costituisce semplicemente uno strumento funzionale a vincolare l’Amministrazione ad operare in base ai principi di efficienza, efficacia ed economicità, in modo tale da assicurare il raggiungimento di risultati migliori (in termini di massimizzazione dell’interesse pubblico di attribuzione) a costi minori. In quest’ottica, la formula riportata non costituisce nient’altro che il postulato teorico retrostante la progressiva riformulazione del sostrato assiologico che, in tempi moderni, caratterizza l’azione dell’esecutivo, testimoniata dalle consistenti riforme positive funzionali, come si è visto con riguardo all’art. 1 della legge 241/90, a garantire un sempre più intenso efficientamento dell’attività della pubblica Amministrazione. Efficientamento, questo, garantito, allora, non soltanto dalla mera riformulazione di disposizioni di principio come accaduto con riguardo all’ultima prescrizione citata, ma altresì attraverso l’innovazione di referenti di carattere tecnico. Si pensi, in quest’ultima prospettiva, alla progressiva affermazione del principio di semplificazione e di sussidiarietà dei mezzi giuridici, rispettivamente assicurati – a titolo esemplificativo – dall’istituto del silenzio assenso e dall’istituto della SCIA ed arricchiti altresì dalla generale previsione, ex art. 1, co. 1-bis, della legge 241/90, di preferenza, a fronte dell’adozione di atti non autoritativi, del modulo privatistico quale canale esplicativo dell’azione della pubblica Amministrazione.

A diverse conclusioni, invece, perviene un contrapposto indirizzo[13], incline a ridimensionare tale fenomeno riducendone la portata innovativa. In questa prospettiva, si evidenzia che con il riferimento all’amministrazione di risultato si intende esclusivamente valorizzare l’esigenza di “misurazione del fenomeno amministrativo[14], con conseguente attitudine di simile innovazione ad incidere esclusivamente all’esito della dinamica di amministrazione attiva, senza invece introdurre alcuna innovazione o variante nelle sue concrete modalità esplicative.

Ancora, un ulteriore orientamento dottrinale, invece, respingendo tali ultime considerazioni, sottolinea come dietro il paradigma dell’amministrazione di risultato si celi, invece, “un nuovo modello di Amministrazione che, in termini complessivi leghi l’Amministrazione ad una responsabilità non solo alla legittimità del proprio operato, ma anche al conseguimento di risultati e dunque alla possibilità di adattare le modalità e i contenuti della propria azione alle esigenze, inevitabilmente differenziate, espresse dalla collettività e dai diversi contesti socio-economici e territoriali[15].

In questa prospettiva, si osserva come la semplice traduzione dell’assioma in commento in chiave di misurabilità e misurazione del risultato amministrativo, veicolerebbe il risultato controintuitivo di “riprodurre paradossalmente comportamenti di stampo burocratico a catena, del tutto simili a quelli della vecchia amministrazione basata sul culto della forma[16].

Ne deriva, al contrario, la necessità di rintracciare in tale innovativo principio una valorizzazione della produttività, non in valore assoluto, bensì quale declinazione operativa della funzionalità dell’azione dell’esecutivo, in guisa tale da garantire un’evoluzione del paradigma operativo che caratterizza l’azione della pubblica Amministrazione, non attraverso “l’abbandono della rispondenza al fine che il buon andamento di cui all’art. 97 Cost.  sottende, bensì mediante una caratterizzazione dello stesso sulla base della qualità del prodotto amministrativo[17]. Prodotto, questo, che, per ogni apparato pubblico, non può che coincidere con la cura e la massimizzazione degli interessi della collettività.

Del resto, il criterio dell’efficienza, il quale in varia guisa permea e caratterizza l’azione dell’amministrazione orientata al risultato, si sostanzia in un chiaro rapporto tra strumenti a disposizione dell’azione pubblica ed obiettivi effettivamente traguardati che, arricchito con il più moderno canone dell’efficacia, funzionale a comparare gli obiettivi raggiunti con quelli effettivamente programmati, eleva tale nuovo paradigma concettuale ad assioma potenzialmente in grado di rappresentare “l’innovazione più profonda del modo di concepire giuridicamente l’attività amministrativa[18]. In questa prospettiva, il principio in esame appare, allora, in grado di “mutare il modo stesso dell’amministrare, il modo cioè in cui i funzionari intendono la loro azione[19], assicurando un efficientamento dell’attività della pubblica Amministrazione, non contrastante, bensì complementare rispetto alle esigenze caldeggiate dal paradigma della legalità.

È chiaro, infatti, che, prima facie,  le superiori considerazioni, orientate ad apprezzare la qualità dell’azione della pubblica Amministrazione, non tanto alla luce della conformità al paradigma normativo di riferimento, bensì in relazione alla mole di risultati effettivamente perseguiti, letti nel prisma degli obiettivi programmati e delle risorse economiche e giuridiche investite, indurrebbe a dequotare la rilevanza del principio di legalità e dei relativi corallari. Ciò, in una logica di progressiva e sempre maggiore aziendalizzazione e, simmetricamente, privatizzazione dell’azione dei pubblici poteri. Nondimeno, ad un approccio più approfondito, in grado di coordinare tali ultime osservazioni con i rilievi in precedenza formulati in ordine alla consistenza concreta ed effettiva del principio di legalità moderno, inteso in chiave sostanziale, può evidenziarsi come, al contrario, l’amministrazione di risultato appaia perfettamente in linea con la dinamica della legalità sostanziale. In questa rinnovata prospettiva, infatti, l’obiettivo da conseguire, la soglia qualitativa di performance da erogare, rappresenta “quel principale elemento di conformazione e funzionalizzazione dell’organizzazione e dell’attività della pubblica Amministrazione”, fermo il necessario rispetto dei “limiti legislativamente stabiliti in funzione della tutela di altri profili (garanzia dei diritti dei privati o interessi pubblici indisponibili) considerati specificatamente prevalenti e tali dunque da porsi come limiti da rispettare[20].

Alla luce delle considerazioni svolte, può, dunque, osservarsi che, per effetto dell’affermazione del modello di amministrazione di risultato, “l’imperativo dell’efficienza va determinando un adeguamento dei principi giuridici in ambito amministrativo agli schemi della cultura industriale[21]. Negli ultimi anni, infatti, si è assistito ad una penetrazione consistente della cultura manageriale agli schemi giuridici, sia mediante la ricerca di una maggiore ponderazione dei costi gravanti sulla fiscalità generale, sia mediante la valorizzazione delle esigenze di raggiungimento tempestivo degli obiettivi originariamente fissati. Ciò, può evidenziarsi, ha determinato un mutamento di carattere culturale sia con riferimento all’angolo prospettico mediante cui viene apprezzata la qualità dell’azione dei pubblici poteri, sia in ordine allo strumentario a disposizione dell’apparato pubblico ai fini dell’esaurimento delle funzioni ad essa assegnati.

Con riferimento al primo profilo, è chiaro che la valorizzazione dell’amministrazione di risultato impone una modifica del quadro di valutazione dell’azione della pubblica Amministrazione. Quadro, questo, teso a favorire una traslazione del giudizio, da un approccio improntato sull’analisi del singolo atto realizzato dall’Amministrazione, ad una valutazione inerente alla complessiva attività dalla stessa posta in essere, adoperando un criterio temporale di medio-lungo periodo al fine di apprezzare complessivamente gli obiettivi in concreto raggiunti dall’agente pubblico.

Quanto al secondo profilo, invece, l’importanza assunta dai risultati conseguiti dal soggetto pubblico ha imposto e, tutt’ora, impone una riflessione sulla qualità degli strumenti a disposizione degli operatori per assicurare il rispetto delle aspettative fissate dagli utenti e dai vertici di ciascun plesso amministrativo. Strumenti, questi, i quali, ai fini di un progressivo incremento dell’efficienza dell’azione pubblica, devono essere in linea con il progresso tecnologico, nel tentativo di comprimere le tempistiche dell’azione della pubblica Amministrazione, garantendo una miglior integrazione tra i diversi uffici e, in linea più generale, tra i diversi livelli di governo.

In quest’ottica, allora, si staglia naturalmente il collegamento concettuale tra l’amministrazione di risultato, valorizzata nel rinnovato sistema assiologico implementato da questo canone e un nuovo principio di importanza essenziale nel nuovo sistema organizzativo e funzionale dell’azione della pubblica Amministrazione: il principio dell’e-government.

Espressione, questa, con la quale si definisce l’esigenza di una progressiva informatizzazione dell’attività e dell’organizzazione amministrativa.

Nel dettaglio, si è osservato come la piena comprensione della rilevanza applicativa di questo canone postula una preventiva separazione tra i possibili beneficiari di simili misure. In particolare, devono necessariamente, distinguersi, da un lato i c.d. “servizi in linea”, i quali “interessano gruppi di clienti interni ed esterni alla p.a. e non rivolti principalmente a cittadini e imprese”, nel tentativo di “offrire servizi semplificati e una maggiore vicinanza tra cittadino e pubblica Amministrazione[22] e, dall’altro, i c.d. “servizi di cooperazione governativa”, i quali interessano “gruppi di clienti interni alla pubblica Amministrazione, in particolare per le operazioni quali l’acquisizione elettronica del documento, le forme elettroniche dei moduli e il dialogo tramite reti telematiche[23]. Ciò, peraltro, attraverso non la realizzazione di iniziative indipendenti, bensì mediante l’attuazione di un piano d’azione integrato e complessivo, utile ad implementare a tutti i livelli amministrativi una piena integrazione tra tecnologia digitale ed azione della pubblica Amministrazione.

In questa prospettiva, particolarmente rilevante, ai fini della realizzazione delle esigenze di ammodernamento tecnologico, appare la c.d. Agenda digitale, la quale rappresenta un documento strategico-programmatico che “definisce le strategie di sviluppo, crescita e innovazione abilitate dalle tecnologie digitali sia a livello nazionale che locale[24]. Tale programma persegue l’obiettivo di riformare la pubblica Amministrazione e, grazie al coordinamento dell’AGID (Agenzia per l’Italia Digitale) promuovere l’utilizzo della tecnologia tra cittadini e imprese anche nei rapporti con l’Amministrazione pubblica, al fine di “migliorare i processi democratici e di rafforzare il sostegno alle politiche pubbliche[25].

 

1.3. La progressiva ascesa del principio di trasparenza

 

Ricostruita in tal modo l’evoluzione del quadro assiologico in materia di legalità ed evidenziata la relazione che sussiste tra i nuovi approdi inerenti all’impostazione ideologica retrostante tale principio e l’avvento del paradigma dell’Amministrazione di risultato esaminata anche sotto il profilo delle implicazioni in punto di rinnovazione tecnologica dello strumentario a disposizione del soggetto pubblico, appare ora necessario esaminare, ancorché sinteticamente, l’evoluzione di un diverso principio, essenziale ai fini del buon andamento dell’Amministrazione pubblica.

Ci si riferisce, nel dettaglio, al principio di trasparenza, il cui avvento ha favorito una rivoluzione del modulo operativo e degli strumenti di programmazione della pubblica Amministrazione, incidendo più in generale sulla concreta consistenza della relazione autorità-libertà, implementando in quest’ottica le prerogative informative suscettibili di essere attivate dal singolo cittadino nei riguardi di un soggetto pubblico.

L’evoluzione del principio di trasparenza e la sua progressiva affermazione nell’ambito del rapporto giuridico amministrativo è, anzitutto, frutto di una modificazione del dato positivo. Modificazione, questa, apprezzabile confrontando l’originario riferimento agli istituti principali in materia di trasparenza contenuti nella legge generale sul procedimento amministrativo con i contenuti veicolati dai successivi interventi del legislatore, specificatamente orientati a favorire un più concreto riconoscimento di tale principio.

In particolare, deve evidenziarsi come, nel suo assetto iniziale, la legge 241/1990 prevedeva e, invero, tutt’ora prevede due diversi istituti suscettibili di essere valorizzati quali diretti strumenti applicativi del canone della trasparenza.

Da un lato, può citarsi l’art. 3 della legge 241/1990, la cui formulazione regola il c.d. obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi, sottolineando che “ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l’organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria[26].

Al riguardo, deve osservarsi come, prima facie, non risulti, diversamente da altri istituti che in seguito potranno essere oggetto di breve esame, immediatamente percepibile il legame del disposto appena riportato con il canone assiologico oggetto di analisi. Invero, trattandosi di un adempimento funzionale alla completezza della determinazione provvedimentale, l’obbligo di motivazione non costituisce, ad un esame superficiale, un istituto dotato di un diretto collegamento con il canone di trasparenza, inducendo piuttosto a ravvisarne i principali elementi di relazione con altri principi che compongono l’architettura valoriale dell’azione amministrativa, quali, a titolo esemplificativo, il principio di legalità.

Nondimeno, ad un esame approfondito, può apprezzarsi invece l’intimo legame sussistente tra gli obblighi di motivazione e l’assioma della trasparenza dell’azione amministrativa. Attraverso la parte motiva del provvedimento, infatti, l’organo autore della determinazione provvedimentale rende conoscibile ai singoli privati le ragioni retrostanti l’adozione di una determinata determinazione provvedimentale, con ciò ripercorrendo l’iter procedimentale ed esternando la dinamica della valutazione comparativa degli interessi rilevanti sottesa alla decisione assunta. In tal modo, dunque, la motivazione si rivela quale principale strumento per aprire alla conoscenza dei singoli privati, destinatari o meno della decisione assunta, la concreta dinamica dell’azione amministrativa, con ciò contribuendo a traguardare quelle finalità che il canone di trasparenza mira a massimizzare.

Dall’altro, lato, può richiamarsi, in disparte dall’art. 1 della legge 241/90, la cui formulazione, come si è visto, inserisce anche la trasparenza tra i principi che devono orientare l’azione della pubblica Amministrazione, l’istituto dell’accesso documentale di cui all’art. 22 e seguenti della legge generale sul procedimento amministrativo. Istituto, questo, la cui disciplina presidia il diritto di “tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi”, di “prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi”, a condizione che gli stessi possano vantare “un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutela e collegata al documento al quale” l’accesso è rivolto[27]. Ciò, come chiarito dal secondo comma della norma menzionata, “al fine di favorire la partecipazione” all’attività amministrativa, assicurandone l’imparzialità e, in piena coerenza con le considerazioni fin qui svolte, “la trasparenza”, costituendo l’accesso “un principio generale[28]dell’azione della pubblica Amministrazione.

A fronte di tale iniziale quadro normativo, la valorizzazione positiva del principio in commento è stata, come anticipato, oggetto di una consistente implementazione, la cui evoluzione si è sviluppata simmetricamente alla crescente importanza acquisita nel dibattito pubblico, sociale e politico, delle esigenze di prevenzione della corruzione, di pubblicità, di conoscibilità e controllabilità dei meccanismi di gestione della cosa pubblica.

In questo quadro giuridico-culturale si è comprensibilmente collocata l’adozione del d.lgs. 33/2013, la cui formulazione, integrata dalle innovazioni veicolate dal d.lgs. 97/2016, ha disposto significative novità in punto di perimetrazione e concreta attuazione del canone di trasparenza. Ciò, invero, sia sotto il versante dei principi, i quali hanno subito una più precisa definizione e perimetrazione, utile anche a favorirne una maggiore portata precettiva, oltreché una più vincolante dimensione programmatica, sia sotto il versante degli strumenti in concreto utili al fine di assicurare l’effettivo rispetto di questo canone operativo.

Al riguardo, sotto il primo profilo può richiamarsi l’art. 1 del provvedimento citato, la cui formulazione offre una compiuta definizione del principio di trasparenza, inteso come “accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all'attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche[29].

Quanto al secondo profilo, emblematica appare l’istituzione di due nuove forme di accesso, rispettivamente note come accesso civico e accesso generalizzato. Forme, queste, contemplate dall’art. 5 del d.lgs. 33/2013, la cui formulazione sottolinea, da un lato, che “l'obbligo previsto dalla normativa vigente in capo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare documenti, informazioni o dati comporta il diritto di chiunque di richiedere i medesimi, nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione” e, dall’altro, con riferimento alla declinazione generalizzata della prerogativa di accesso che “allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto”, ciò fermo il rispetto dei “limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti[30] indicati nell’art. 5-bis del medesimo provvedimento normativo.

Così ricostruita l’evoluzione, sotto il profilo dello strumentario applicativo del canone della trasparenza, deve osservarsi come la progressiva implementazione dello stesso ha determinato significative innovazioni anche sul versante degli strumenti di programmazione. Ciò, in ossequio all’intrinseco legame sussistente tra tale valore e il principio, di rango gerarchico equiordinato, della prevenzione della corruzione, comprovato, a tacer d’altro, dalla circostanza che il d.lgs. 33/2013 costituisce esercizio di una delega legislativa conferita al governo proprio attraverso la legge 6 novembre 2012, n. 190, recante “disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”.

Del resto, su un piano più generale, appare evidente come l’incremento del grado di controllabilità e di conoscibilità dell’azione della pubblica Amministrazione e delle dinamiche retrostanti le decisioni organizzative, erogative e di amministrazione attiva, costituisca un indubbio disincentivo rispetto all’integrazione di pratiche corruttive, tendenzialmente suscettibili di diffusione in contesti caratterizzati da una ridotta informazione e accessibilità da parte dei singoli cittadini e utenti. Ne deriva, allora, come trasparenza e anticorruzione si ergano quali valor complementari, con conseguente estensione dell’evoluzione della disciplina della trasparenza anche agli strumenti confezionati al fine di assicurare la prevenzione e la lotta dei meccanismi corruttivi all’interno dell’Amministrazione pubblica.

 

1.4. (Segue) Lo strumentario operativo: programmazione e PIAO

 

Le considerazioni fin qui svolte, se reciprocamente coordinate, attestano la generale tendenza dell’ultimo ventennio a ricondurre la dinamica organizzativa del soggetto pubblico all’interno di un paradigma operativo di matrice aziendalistica e manageriale.

È chiaro come una simile impostazione influenzi anche la concreta attività di programmazione, sicché, accanto a quei fattori eziologici correlati all’esigenze di trasparenza e di prevenzione della corruzione, la rinnovazione dello strumentario di programmazione da parte della pubblica Amministrazione può essere giustificato anche in ragione del tendenziale tentativo di informarne la dinamica operativa a modelli aziendalistici e imprenditoriali. Ne è conseguita una consistente stratificazione normativa, orientata ad aggiornare periodicamente i diversi strumenti di programmazione periodica della relativa attività amministrativa, nel tentativo di condensare, in una logica di semplificazione e di razionalizzazione, le diverse finalità, legalistiche, di trasparenza e di valorizzazione del risultato, che le funzioni di programmazione devono massimizzare. In disparte dalle diverse evoluzioni, di cui non occorre in questa sede dare atto, preme qui osservare come il più significativo strumento di programmazione allo stato previsto dalla normativa vigente coincide con il Piano Integrato di Attività e Organizzazione (PIAO). Piano, questo, di cui in questa sede occorre evidenziare il fondamento e la struttura e su cui, nel prosieguo, si avrà modo di soffermarsi al fine di dare atto dell’attitudine dello stesso, condensando le dinamiche di prevenzione della corruzione e di trasparenza e il rapporto con la misurazione della performance individuale e complessiva, a delineare l’intrinseco legame sussistente tra il principio del risultato e la concreta massimizzazione dell’esigenze di trasparenza, trattandosi di elementi complementari in funzione del buon andamento dell’attività amministrativa.

Nel dettaglio, il PIAO è stato introdotto mediante il d.l. 80/2021, la cui formulazione all’art. 6, co. 5, ha stabilito che “per assicurare la qualità e la trasparenza dell'attività amministrativa e migliorare la qualità dei servizi ai cittadini e alle imprese e procedere alla costante e progressiva semplificazione e reingegnerizzazione dei processi anche in materia di diritto di accesso, le pubbliche amministrazioni, con esclusione delle scuole di ogni ordine e grado e delle istituzioni educative, di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, con più di cinquanta dipendenti, entro il 31 gennaio di ogni anno adottano il Piano integrato di attività e organizzazione, di seguito denominato Piano, nel rispetto delle vigenti discipline di settore e, in particolare, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 e della legge 6 novembre 2012, n. 190[31].

Sotto il profilo contenutistico, si stabilisce come, ferma la durata triennale,  il PIAO, annualmente aggiornato, delinea e definisce “gli obiettivi programmatici e strategici della performance secondo i principi e criteri direttivi di cui all'articolo 10 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, stabilendo il necessario collegamento della performance individuale ai risultati della performance organizzativa; b) la strategia di gestione del capitale umano e di sviluppo organizzativo, anche mediante il ricorso al lavoro agile, e gli obiettivi formativi annuali e pluriennali, finalizzati ai processi di pianificazione secondo le logiche del project management, al raggiungimento della completa alfabetizzazione digitale, allo sviluppo delle conoscenze tecniche e delle competenze trasversali e manageriali e all'accrescimento culturale e dei titoli di studio del personale, correlati all'ambito d'impiego e alla progressione di carriera del personale; c) compatibilmente con le risorse finanziarie riconducibili al piano triennale dei fabbisogni di personale, di cui all'articolo 6 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, gli strumenti e gli obiettivi del reclutamento di nuove risorse e della valorizzazione delle risorse interne, prevedendo, oltre alle forme di reclutamento ordinario, la percentuale di posizioni disponibili nei limiti stabiliti dalla legge destinata alle progressioni di carriera del personale, anche tra aree diverse, e le modalità di valorizzazione a tal fine dell'esperienza professionale maturata e dell'accrescimento culturale conseguito anche attraverso le attività poste in essere ai sensi della lettera b), assicurando adeguata informazione alle organizzazioni sindacali; d) gli strumenti e le fasi per giungere alla piena trasparenza dei risultati dell'attività e dell'organizzazione amministrativa nonché per raggiungere gli obiettivi in materia di contrasto alla corruzione, secondo quanto previsto dalla normativa vigente in materia e in conformità agli indirizzi adottati dall'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) con il Piano nazionale anticorruzione; e) l'elenco delle procedure da semplificare e reingegnerizzare ogni anno, anche mediante il ricorso alla tecnologia e sulla base della consultazione degli utenti, nonché la pianificazione delle attività inclusa la graduale misurazione dei tempi effettivi di completamento delle procedure effettuata attraverso strumenti automatizzati […]”[32]. In questo modo, è stato possibile condensare in un uno strumento unitario la pluralità di programmi mediante cui, separatamente, ciascuna pubblica Amministrazione, provvedeva alla prefigurazione del ciclo della performance e delle misure suscettibili di essere adottate al fine di implementare la lotta alla corruzione anche attraverso la valorizzazione degli strumenti di trasparenza, con ciò segnando, anche sotto il profilo normativo, l’intimo collegamento sussistente tra tali figure.

In quest’ottica, si è rilevato come il PIAO costituisca indubbiamente una “sfida di adeguamento al PNRR per l’azione e l’organizzazione delle pubbliche amministrazioni, sfida che però, dati gli stringenti vincoli previsti per il raggiungimento di milestone e target, deve necessariamente tradursi in un concreto raggiungimento dell’obiettivo[33]. Il PIAO, pertanto, assurge in quest’ottica ad elemento di impulso per l’affermazione di una nuova cultura della programmazione che, coordinando la moltitudine di valori che, come si è visto e si avrà ancora modo di analizzare, si innestano in tale tematica, favorisca, nel rispetto del canone legalistico, la costante tensione dell’azione della pubblica Amministrazione al raggiungimento di risultati e alla produzione di valore.

Ciò detto, l’ANAC, con il Piano Nazionale Anticorruzione (PNA 2019), richiede che l’organo di indirizzo assuma un ruolo proattivo nella definizione delle strategie di gestione del rischio corruttivo, indicando gli obiettivi strategici su cui intervenire e, successivamente, approvando il P.T.P.C.T.

Sempre la sopracitata Legge 190[34] sottolinea la necessità che l’Organismo indipendente di valutazione (OIV) verifichi la coerenza tra gli obiettivi previsti nel P.T.P.C.T. e quelli indicati nel Piano della performance, valutando altresì l’adeguatezza dei relativi indicatori[35].

Inoltre, l’ANAC nel PNA 2019[36] ha rimarcato tale concetto: “Al fine di realizzare un’efficace strategia di prevenzione del rischio di corruzione è, infatti, necessario che i P.T.P.C.T. siano coordinati rispetto al contenuto di tutti gli altri strumenti di programmazione presenti nell’amministrazione”.

In particolare, le attività svolte dall’organizzazione pubblica per la redazione, l’implementazione e la realizzazione del P.T.P.C.T. vanno inserite, così come conferma l’ANAC, sotto forma di obiettivi nel Piano della Performance, sotto la duplice forma di obiettivi di performance organizzativa[37] e di performance individuale[38], aumentandone l’incidenza percentuale.

È dunque obbligatorio, così come conferma l’ANAC nel Piano Nazionale Anticorruzione 2019: “un coordinamento tra il P.T.P.C.T. e gli strumenti già vigenti per il controllo nell’amministrazione nonché quelli individuati dal d.lgs. 150/2009” ovvero rispetto al Sistema di misurazione e valutazione della performance[39], al Piano delle Performance[40] e alla Relazione annuale sulla performance[41].

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bibliografia

 

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Ursi R., La giuridificazione del canone dell’efficienza pubblica, in La Giuridificazione, Firenze, 2016, p. 459 ss

 

 

[1] Cfr. Art. 97 Cost.

[2] Cfr. Garofoli R., Ferrari G., Manuale di diritto amministrativo, 2023, p. 504 ss.

[3] Cfr. Art. 118 Cost.

[4] Cfr. Art. 1, legge 7 agosto 1990, n. 241

[5] Cfr. Garofoli R., Ferrari G., Manuale di diritto amministrativo, 2023, p. 504 ss.

[6] Merusi F., Il principio di legalità nel diritto amministrativo che cambia, in Diritto pubblico, 2007, p. 427 ss.

[7] Cfr. Garofoli R., Ferrari G., Manuale di diritto amministrativo, 2023, p. 504 ss.

[8] Cfr. Art. 12 legge 7 agosto 1990, n. 241.

[9] Cfr. Art. 21-octies legge 7 agosto 1990, n. 241

[10] Cfr. Art. 1 legge 7 agosto 1990, n. 241

[11] Ursi R., La giuridificazione del canone dell’efficienza pubblica, in La Giuridificazione, Firenze, 2016, p. 459 ss.

[12] Ursi R., La giuridificazione del canone dell’efficienza pubblica, in La Giuridificazione, Firenze, 2016, p. 459 ss.

[13] Salvia F., La buona amministrazione ed i suoi miti, in Dir. E soc., 2005, p. 560 ss.

[14] Cassese S., Cosa vuol dire amministrazione di risultati, in Giorn dir. Amministrativo, 2004, p. 941 ss.

[15] Ursi R., La giuridificazione del canone dell’efficienza pubblica, in La Giuridificazione, Firenze, 2016, p. 459 ss.

[16] Ursi R., La giuridificazione del canone dell’efficienza pubblica, in La Giuridificazione, Firenze, 2016, p. 459 ss.

[17] Ursi R., La giuridificazione del canone dell’efficienza pubblica, in La Giuridificazione, Firenze, 2016, p. 459 ss.

[18] Ursi R., La giuridificazione del canone dell’efficienza pubblica, in La Giuridificazione, Firenze, 2016, p. 459 ss; Cfr. Anche Massera A., I criteri di economicità, efficacia ed efficienza, in Sandulli M.A., Codice dell’azione amministrativa, Milano, p. 31 ss.

[19] Ursi R., La giuridificazione del canone dell’efficienza pubblica, in La Giuridificazione, Firenze, 2016, p. 459 ss;

[20] Ursi R., La giuridificazione del canone dell’efficienza pubblica, in La Giuridificazione, Firenze, 2016, p. 459 ss; Cfr. Anche Pioggia A., La managerialità nella gestione amministrativa, in Merloni F., Pioggia A., Segatori R., L’amministrazione sta cambiando? Milano, 2007, p. 117 ss.

[21] Ursi R., La giuridificazione del canone dell’efficienza pubblica, in La Giuridificazione, Firenze, 2016, p. 459 ss.

[22] Miranda M.C., Amministrazione di risultato ed e-government, in Amministrazione in cammino, p. 4.

[23] Ibidem.

[24] Cfr. Garofoli R., Ferrari G., Manuale di diritto amministrativo, 2023, p. 497 ss.

[25] Cfr. Garofoli R., Ferrari G., Manuale di diritto amministrativo, 2023, p. 497 ss.

[26] Cfr. Art. 3 legge 7 agosto 1990, n. 241.

[27] Cfr. Art. 22 legge 7 agosto 1990, n. 241

[28] Ibidem.

[29] Cfr. Art. 1 d.lgs. 33/2013.

[30] Cfr. Art. 5 d.lgs. 33/2013.

[31] Cfr. Art. 6 d.l. 9 giugno 2021, n. 80

[32] Ibidem.

[33] Mattoscio A., Lo schema di regolamento sul Piano integrato di attività e organizzazione, in Amministrazione in cammino, 2022, p. 17 ss.

[34] Art. 1 co. 8 bis, novellato dal D.lgs. n. 97/2016

[35] https://www.riskcompliance.it/news/lanticorruzione-elemento-prioritario-della-performance-organizzativa-e-individuale-nelle-amministrazioni-pubbliche

[36] Delibera 1064 del 13 novembre 2019, PNA 2019, ANAC

[37] Art. 8 del d.lgs. 150/2009 novellato dal D.lgs. n.74/2017

[38] Art. 9 del d.lgs. 150/2009 novellato dal D.lgs. n.74/2017

[39] Art. 7 del d.lgs. 150/2009

[40] Art. 10 del d.lgs. 150/2009

[41] Art. 10 del d.lgs. 150/2009