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Anno XVII - n. 05 - Maggio 2025

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Le nuove prospettive legislative dell’accertamento di conformità nel permesso di costruire in sanatoria.

Di Gianluca Briganti.
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Le nuove prospettive legislative dell’accertamento di conformità

nel permesso di costruire in sanatoria

 

Di GIANLUCA BRIGANTI

 

Abstract: Il permesso di costruire, costituisce il principale titolo edilizio volto ad autorizzare il privato all’esercizio del potere edificatorio (c.d. ius aedificandi) per la realizzazione di interventi di maggiore impatto sul territorio. Diversamente dal permesso di costruire, il permesso di costruire in sanatoria, disciplinato all’art. 36 T.U. Edilizia, consente la sanatoria dei meri abusi formali. Il titolo in sanatoria è fondato sul dogma della “doppia conformità” urbanistico-edilizia del titolo, sia al momento dell’istanza per la sanatoria, sia all’epoca di realizzazione dell’opera. Il requisito della doppia conformità ha subito un tentativo di delegittimazione prima ad opera della c.d. “sanatoria giurisprudenziale” e, successivamente, a livello locale, da parte delle eccentriche scelte legislative del legislatore regionale della Sicilia e dell’Emilia-Romagna. In base alle prime bozze del Decreto-Legge Rilancio, il requisito della doppia conformità potrebbe cadere e si potrebbe quindi ripartire da un “condono perpetuo” camuffato da permesso di costruire in sanatoria. Tuttavia, nel testo definitivo del Decreto-Legge, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, il legislatore sembrerebbe aver fatto un passo indietro rispetto a quanto manifestato nelle prime bozze. Questo revirement potrebbe essere un mero rinvio o un definitivo abbandono delle prime idee di rivoluzione della materia.

 

 

Sommario: 1. Brevi cenni sul permesso di costruire. – 2. Il permesso di costruire in sanatoria e l’accertamento di conformità. – 3. Le “ribellioni” regionali alla disciplina statale dell’accertamento di conformità. – 4. Le nuove prospettive legislative dell’accertamento di conformità nel permesso di costruire in sanatoria.

 

 

 

 

 

 

 

  1. Brevi cenni sul permesso di costruire

 

Nell’ordinamento giuridico italiano, il permesso di costruire, costituisce il principale titolo edilizio volto ad autorizzare il privato all’esercizio del potere edificatorio (c.d. ius aedificandi) per la realizzazione di interventi di maggiore impatto sul territorio[1].

Il legislatore ha disciplinato il permesso di costruire agli artt. 10 e seguenti del D.P.R., 6 giugno 2001, n. 380 (Testo Unico dell’Edilizia).

Il permesso di costruire sostituisce, mutando denominazione, la previgente concessione edilizia, coerentemente con le indicazioni espresse dal Consiglio di Stato in sede consultiva sullo schema del T.U. Edilizia[2].

L’uso della terminologia “permesso”, infatti, si rivelerebbe, più adatta rispetto alla natura dell’atto. Mentre l’originaria “licenza edilizia” (prevista all’art. 31 della Legge, 17 agosto 1942, n. 1150, c.d. Legge Urbanistica) era pressoché qualificata unanimemente come autorizzazione, poiché rimuoveva un limite legale al diritto di ius aedificandi da parte del proprietario del suolo, l’espressione “concessione edilizia” (utilizzata dalla Legge, 28 gennaio 1977, n. 10, c.d. Legge Bucalossi), sino alla sua abrogazione, aveva ingenerato incertezze sulla collocazione sistematica dell’istituto[3].

Nell’attuale regime, il permesso di costruire è un provvedimento formale della pubblica amministrazione di natura vincolata, essendo lo stesso, vincolato nell’an e nel quid.

Tale istituto non è attributivo o ampliativo di interessi in capo ad un soggetto, in quanto il soggetto richiedente, a monte, deve essere già titolare del diritto di ius aedificandi.

La funzione essenziale del permesso di costruire, come sostenuto da autorevole dottrina[4], è di mero controllo di legittimità privo di alcuna funzione conformativa della proprietà, salvo nell’ipotesi eccezionale del “permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici” (art. 14 T.U. Edilizia)[5].

Coerentemente con tale dottrina, la giurisprudenza costituzionale[6] e amministrativa[7], si sono storicamente orientate ad escludere che nel procedimento di rilascio del permesso di costruire vi siano presenti profili di discrezionalità amministrativa[8].

Il Testo Unico dell’Edilizia, prevede chiaramente i presupposti per il rilascio del titolo che, non può essere negato, in presenza di un intervento perfettamente conforme alle norme urbanistico-edilizie. La normativa urbanistico-edilizia è stabilita a monte dal legislatore e, quindi, non residuerebbe, in capo all’amministrazione comunale, alcun margine di discrezionalità amministrativa, in merito alla possibile valutazione, anche in senso negativo, di presupposti già valutati positivamente in sede di pianificazione.

A supporto della tesi sull’assenza di discrezionalità nel rilascio del titolo, l’art. 12 T.U. Edilizia, che disciplina i presupposti per il rilascio del permesso di costruire, dispone che il permesso “è rilasciato”, previo versamento di un contributo di urbanizzazione[9], in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente. L’uso della locuzione “è rilasciato” diversamente dall’uso del condizionale “può essere rilasciato” sembrerebbe essere un ulteriore argomento a supporto della tesi - divenuta ormai pacificamente condivisa - circa la natura vincolata del provvedimento amministrativo.

Con riferimento all’efficacia temporale del titolo, l’art. 15 T.U. Edilizia, prevede una validità di tre anni dalla data di inizio dei lavori, i quali devono essere incominciati entro un anno dalla data di rilascio del titolo. Decorsi tali termini, si verifica la decadenza del titolo per la parte non eseguita, salvo nell’ipotesi in cui anteriormente alla scadenza ne venga richiesta una proroga[10].

Il permesso di costruire non può essere revocato, ma è suscettibile di annullamento d’ufficio[11] da parte dell’amministrazione regionale e dell’amministrazione locale, oltreché di caducazione per effetto di una pronuncia del giudice amministrativo.

Definitivamente, sebbene il permesso di costruire trovi il suo necessario fondamento nelle scelte discrezionali che confluiscono nella pianificazione urbanistica, l’attività svolta dall’amministrazione in sede di rilascio del è pacificamente di tipo vincolato, in quanto la discrezionalità amministrativa, nella materia urbanistica, si esplica pienamente solo in sede di pianificazione urbanistico-edilizia.

 

  1. Il permesso di costruire in sanatoria e l’accertamento di conformità

Al fine di poter regolarizzare la realizzazione di immobili senza l’opportuno titolo edilizio, l’art. 36 T.U. Edilizia prevede la possibilità di richiedere il rilascio del permesso di costruire in sanatoria[12].

La norma dispone che, in caso di interventi realizzati in assenza del permesso di costruire o in difformità da esso, oppure in assenza di segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), nelle ipotesi di cui all’art. 23, comma 1 T.U. Edilizia, il responsabile dell’abuso edilizio, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria qualora l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento di presentazione della domanda per il rilascio del titolo (c.d. doppia conformità).

È necessario evidenziare come, l’art. 36 T.U. Edilizia, non sia stata la prima norma a prevedere tale sistema sanante. Infatti, già l’art. 13 della Legge, 28 febbraio 1985, n. 47, prevedeva espressamente la possibilità di sanare opere realizzate in assenza del titolo formale richiesto per la loro esecuzione oppure nei casi di variazioni essenziali e di difformità totale o parziale[13].

La ratio di tale istituto è quella di consentire la sanatoria degli abusi meramente formali, cioè delle opere per le quali, sussistendo ogni altro requisito di legge e regolamento, manchi solo il titolo edilizio indicativo dell’assenso dell’amministrazione.

Malgrado nella nuova disciplina, non sia più contenuto il riferimento espresso alle variazioni essenziali (presente, diversamente, nel testo dell’art. 13 della L. n. 47/1985), sarebbe necessariamente illogico non consentire per esse l’accertamento sanante[14].

Dunque, come sostenuto in precedenza, per il rilascio del permesso in sanatoria è richiesto - quale presupposto fondamentale ed assolutamente inderogabile - che l’opera abusiva sia conforme alla disciplina urbanistico-edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell’intervento sia al momento della presentazione della domanda[15].

Inoltre, il rilascio del titolo in sanatoria è subordinato al pagamento di una somma di denaro determinata, per le opere soggette a permesso oneroso, in misura doppia al contributo di costruzione dovuto per il rilascio del titolo in via ordinaria.

È fondamentale segnalare un orientamento giurisprudenziale minoritario che ha cercato di mitigare gli effetti della rigorosa applicazione del requisito della doppia conformità di cui all’art. 36 T.U. Edilizia coniando l’istituto pretorio della c.d. sanatoria giurisprudenziale. In virtù di questa interpretazione, si ammetterebbe la sanabilità di un’opera, anche se abusivamente realizzata, qualora ne risulti la conformità alla disciplina urbanistico-edilizia vigente al solo momento del rilascio del titolo abilitativo[16].

Secondo i primi commentatori[17], il presente orientamento, ispirato da principi di buon andamento ed economia dell’azione amministrativa, trova la sua ratio nell’esigenza di non imporre la gravosa demolizione di un’opera prima di ottenere il titolo per realizzarla nuovamente.

Tuttavia, siffatta costruzione giurisprudenziale, svuoterebbe di significato la previsione e la ratio genitrice della norma sull’accertamento di conformità e, conseguentemente, del requisito, previsto dalla legge statale, della doppia conformità delle opere.

La sanatoria giurisprudenziale, differentemente dal permesso di costruire in sanatoria, si differenzia nella misura in cui non comporterebbe, in nessun caso, l’estinzione del reato urbanistico, perché carente dei presupposti di cui all’art. 45 T.U. Edilizia, di cui difettano i presupposti[18].

L’orientamento maggioritario, criticando l’impostazione concettuale della sanatoria giurisprudenziale, riafferma la necessaria e imprescindibile operatività del requisito della doppia conformità.

Secondo questo orientamento si creerebbe sorta di insuperabile antinomia con l’esplicita previsione nell’art. 36 T.U. Edilizia che lederebbe i principi di legalità e di buon andamento della pubblica amministrazione.

Difatti, l’agire della pubblica amministrazione deve essere, in ogni momento, rispettoso del principio di legalità, inteso quale regola fondamentale dell’agere amministrativo che trova un autonomo fondamento positivo negli artt. 23, 24, 97, 101 e 113 della Costituzione.

È estremamente rilevante il dato che la sanatoria giurisprudenziale, non ha trovato conferma, come sovente accade con gli istituti di creazione giurisprudenziale, nella vigente legislazione statale, essendo il requisito della doppia conformità esplicitamente richiesto dall’art. 36 del T.U. Edilizia tutt’ora vigente.

Il mancato recepimento della sanatoria giurisprudenziale nel T.U. Edilizia, nonostante il parere del 29 marzo 2001 della Adunanza generale del Consiglio di Stato che ne auspicava l’introduzione, non consente ampliamenti in via interpretativa dell’art. 36 del T.U. Edilizia. La disposizione in questione appare chiara ed il principio della doppia conformità insuperabile da qualsivoglia interpretazione della norma volto ad escluderlo.

A conferma dell’inapplicabilità della sanatoria giurisprudenziale, la stessa giurisprudenza amministrativa ha invertito la rotta, confermando che l’istituto in esame, in assenza di una specifica previsione legislativa, debba ritenersi normativamente superato[19].

Definitivamente, l’istituto della sanatoria giurisprudenziale, oggi inapplicabile, verrebbe in rilievo quale atto atipico con effetti provvedimentali praeter legem, il quale si andrebbe a collocare al di fuori di ogni previsione normativa[20].

È necessario, dunque, al fine del corretto rilascio del titolo, il verificarsi del requisito della doppia conformità.

 

 

 

  1. Le “ribellioni” regionali alla disciplina statale dell’accertamento di conformità

 

La legislazione regionale, in materia di permesso di costruire in sanatoria ha, solitamente, riprodotto la disciplina statale dell’art. 36 T.U. Edilizia, prevendendo il requisito della doppia conformità.

Tuttavia, non sono mancate regioni che hanno aderito all’istituto giurisprudenziale della c.d. “sanatoria giurisprudenziale”, recependolo all’interno della propria normativa regionale[21].

Emblematico è il caso della regione Sicilia che, nel recepire con modifiche l’art. 36 del T.U. Edilizia, ha espressamente stabilito la possibilità di ottenere il permesso in sanatoria “se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione della domanda” (art. 14, comma 1, della Legge regionale, 10 agosto 2016, n. 16). Attraverso tale disposizione, quindi, l’intento del legislatore regionale era quello di far cadere il dogma del requisito della doppia conformità urbanistico-edilizia.

I primi commentatori[22] di questa rivoluzione normativa si sono dimostrati particolarmente critici e, concordemente a tali critiche, la Corte Costituzionale, nella sentenza 26 settembre 2017, n. 232, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcuni articoli della legge regionale, tra cui l’art. 14, comma 1, nella parte in cui, prevedeva che “il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione della domanda” e non anche a quella vigente al momento della realizzazione dell’intervento.

Il Giudice delle leggi, ha perentoriamente e correttamente sostenuto che la doppia conformità di cui all’art. 36 del T.U. Edilizia è da considerarsi principio della legislazione statale non derogabile dalla normativa regionale.

Differentemente, ma sulla medesima linea della Sicilia, la regione Emilia-Romagna sembrerebbe aver risolto normativamente il problema applicando, correttamente, il principio della legislazione concorrente e riconoscendo, nella propria normativa regionale, la legittimità alla sanatoria giurisprudenziale.

L’articolo 17, comma 2 della Legge regionale dell’Emilia-Romagna, 21 ottobre 2004, n. 23[23], rubricato “Accertamento di conformità”, dispone che “Fatti salvi gli effetti penali dell’illecito, il permesso e la SCIA in sanatoria possono essere altresì ottenuti, ai soli fini amministrativi, qualora l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione della domanda”.

Diversamente dal recepimento operato dalla regione Sicilia, l’Emilia-Romagna non consente l’estinzione del reato in presenza di sanatoria per titoli conformi al solo momento di presentazione della domanda. Infatti, la legge regionale dell’Emilia-Romagna, all’art. 17, comma 1, recepisce integralmente l’articolo 36 del T.U. Edilizia disponendo che “In caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire o in difformità da esso, ovvero in assenza di SCIA, o in difformità da essa, fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 13, comma 3, e 14, comma 1, e comunque fino all'irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell'abuso o l'attuale proprietario dell'immobile può richiedere il rilascio del permesso in sanatoria o presentare una SCIA in sanatoria, rispettivamente nel caso di interventi soggetti a permesso di costruire ovvero a SCIA, se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente, sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda” con effetti estintivi del reato edilizio[24].

Quindi, il comma 2 non avrebbe effetti estintivi ma, meramente amministrativi; diversamente, il comma 1, consentirebbe al soggetto richiedente, accertato il requisito della doppia conformità, anche l’estinzione del reato edilizio.

La formulazione del recepimento della regione Emilia-Romagna sembrerebbe risolvere i potenziali ipotizzati conflitti di competenza, consentendo, in assenza del requisito della doppia conformità, la sanatoria dei soli profili amministrativi, che conformemente all’art. 117, comma 3 della Costituzione rientrano nella sfera di competenza concorrente delle Regioni.

Nel recepimento operato dalla regione Emilia-Romagna, quindi, in ossequio ai principi di buon andamento, efficienza ed economicità della Pubblica Amministrazione, il legislatore regionale, nel silenzio di quello statale, sembrerebbe aver condiviso l’invito del parere del Consiglio di Stato[25], integrando la norma nazionale coerentemente al dettato costituzionale che consente il proliferare di normativa regionale in materia di “governo del territorio”.

Questa avanguardistica scelta, che sembrerebbe partire dalle ceneri della sanatoria giurisprudenziale, potrebbe rivelarsi anticipatrice delle future normative politiche del legislatore nazionale.

 

  1. Le nuove prospettive legislative dell’accertamento di conformità nel permesso di costruire in sanatoria

 

In base alle considerazioni svolte, malgrado la prima “spinta” giurisprudenziale e le “ribellioni” regionali, l’art. 36 del T.U. Edilizia prevede, ad oggi, l’indefettibile requisito della doppia conformità urbanistico-edilizia per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria.

Il tentativo della regione Sicilia e l’attuale normativa della regione Emilia-Romagna possono essere interpretati come una pioneristica rivoluzione o, diversamente, come un conflitto con il legislatore nazionale.

Nella rinnovata ottica giurisprudenziale, che riaffermerebbe il dogma della doppia conformità, questi tentativi andrebbero letti come un indebito conflitto con la normativa nazionale in grado di creare una forte incertezza per i privati e per gli operatori economici che, come sovente accade nell’urbanistica, si ritroverebbero a dover operare nel labirinto delle leggi locali.

Tuttavia, non si può negare come ultimamente il “modello Emilia-Romagna” sembrerebbe affascinare il legislatore.

Da ultimo, nelle prime bozze del Decreto-Legge, 19 maggio 2020, n. 34[26] (c.d. Decreto-Legge Rilancio), potrebbe intravedersi un cambio di rotta del legislatore nazionale intenzionato ad eliminare il requisito della doppia conformità riformando l’art. 36 T.U. Edilizia sulla base del modello Emilia-Romagna. Inoltre, una forma di sanatoria edilizia sembrerebbe essere ipotizzata, nella misura in cui il nuovo Decreto-Legge prevedrebbe che “I Comuni, sentite le Regioni e le Soprintendenze territorialmente competenti - si legge nel testo - predispongono ed approvano appositi Piani Attuativi di Riqualificazione Urbana con specifica attenzione ai valori paesaggistici” proseguendo “Gli interventi edilizi già presenti sui territori interessati possono ottenere il permesso di costruire in sanatoria, se conformi ai predetti Piani[27]

Entrambe le intenzioni - volte a demolire l’ormai giurisprudenzialmente ponderato dogma della doppia conformità apportando una vera e propria rivoluzione al sistema urbanistico-edilizio – non sono state confermate in sede di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del testo definitivo del Decreto-Legge Rilancio.

Il legislatore, dunque, avrebbe cambiato rotta in merito ai primi pensieri volti a rivoluzionare la materia. Sebbene non sia chiaro se tale revirement sia definitivo o se le modifiche potranno confluire in future scelte legislative.

A parere di chi scrive, sembra condivisibile la scelta di non emendare il testo dell’art. 36 T.U. Edilizia.

Nella disciplina del permesso di costruire in sanatoria, il punto di equilibrio tra il rispetto del principio di legalità e il principio di efficienza dell’azione amministrativa, sembra essere quello di consentire unicamente la sanatoria dei soli abusi formali, negando la demolizione delle opere che risultino conformi alla disciplina del territorio vigente sia al momento dell’istanza di sanatoria, sia all’epoca della loro realizzazione.

Tale meccanismo, eviterebbe il sacrificio degli interessi dei privati che abbiano violato meramente le norme che disciplinano il procedimento da rispettare nell’attività edificatoria.

Il requisito della doppia conformità sembra essere, ad oggi, fondamentale per la tutela del territorio italiano.

Costituirebbe ictu oculi la violazione del principio buon andamento negare l’applicazione del presupposto della doppia conformità.

In questo modo, si creerebbe - con il solo scopo di favorire le esigenze economiche di un paese duramente colpito dalla pandemia - un fenomeno volto ad incoraggiare, anziché impedire, gli abusi. Il privato, si sentirebbe confortato (rectius incitato) alla realizzazione di manufatti non conformi alla disciplina, contando sulla loro futura e possibile acquisizione di conformità, mediante le successive modifiche della normativa urbanistico-edilizia di quel dato territorio.

Questo potrebbe portare, con ragionevole probabilità, ad un’esponenziale crescita del fenomeno degli abusi edilizi.

Ammettere qualsivoglia forma di “sanatoria giurisprudenziale” equivarrebbe ad introdurre una forma di condono atipico, o meglio un “condono perpetuo”; mentre, sarebbe corretto, applicare unicamente la specifica disciplina legislativa condonistica.

Infatti, la sanatoria degli abusi sostanziali deve essere consentita unicamente con tale istituto nei limiti previsti dalla legge e non mediante l’accertamento di conformità ex. art. 36 T.U. Edilizia, la cui ratio genitrice deve essere (e rimanere) quella della sanatoria degli abusi meramente formali.

Diversamente, il legislatore, sentite le esigenze delle varie entità locali del territorio, potrebbe scegliere di emanare - esclusivamente per comprovate esigenze economiche - un nuovo e straordinario condono edilizio. Un provvedimento in questo senso, malgrado possa creare un pericoloso precedente (non si verificherebbe dal 2003), stante la sua straordinarietà, non inciterebbe i privati a futuri abusi come potrebbe verificarsi nel caso dell’abrogazione del requisito della doppia conformità.

NOTE:

[1] Quali interventi di nuova costruzione, interventi di ristrutturazione urbanistica, interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee, comportino mutamenti della destinazione d’uso.

[2] Cfr. Cons. Stato, Ad. Gen., 29 marzo 2001, parere n. 3/2001.

[3] Per un approfondimento si veda G. Corso, V. Lopilato, Il diritto amministrativo dopo le riforme costituzionali, Milano, Giuffrè, 2006, p. 470 ss. La sostituzione della licenza edilizia con la nuova concessione edilizia aveva fatto sorgere l’interrogativo sulla questione della natura giuridica di questo nuovo istituto. Il legislatore, con l’uso del termine “concessione” avrebbe sostituito un’autorizzazione con una concessione in senso tecnico. Il Giudice delle Leggi (Corte Cost., 25 gennaio 1980, n. 5) ed il Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. V, 19 febbraio 1982, n. 122) hanno risolto la questione confermando che la Legge 10/1977 non ha operato alcun distacco della facoltà di edificare dalla proprietà del suolo, continuando tale facoltà, sia pure subordinatamente ad un provvedimento amministrativo impropriamente denominato “concessione”, a far parte integrante della sfera giuridica del proprietario del terreno che si intende destinare alla costruzione, in relazione al riconoscimento ed alla garanzia del diritto di proprietà assicurati dall’art. 42, comma 2, Cost.

[4] Cfr. P. Stella Richter, Profili funzionali dell’urbanistica, Milano, Giuffrè, 1984.

[5] Il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali ha un ambito oggettivo di applicazione ristretto. Tale titolo, può essere rilasciato esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio comunale e nel rispetto delle disposizioni contenute nel D.lgs., 29 ottobre 1999, n. 490, e delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia.

[6] Cfr. Corte Cost., 5 maggio 1983, n. 127, che, pronunciandosi sulla natura della concessione edilizia, ne ha perentoriamente affermato la sua natura di atto vincolato confermata dell’espressa previsione di irrevocabilità della stessa.

[7] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 20 dicembre 2005, n. 7263; TAR Lazio, Roma, sez. II, 10 aprile 2001, n. 3092.

[8] Per una breve analisi ricognitiva sul tema si veda, P. Urbani, Diritto urbanistico, Torino, Giappichelli, 2017, p. 342 ss.

[9] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 21 aprile 2006, n. 2258, il quale correttamente sostiene che il contributo per oneri di urbanizzazione non ha natura tributaria e costituisce corrispettivo di diritto pubblico posto a carico del costruttore, connesso al rilascio della concessione edilizia, a titolo di partecipazione del concessionario ai costi delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione ne ritrae. Per approfondimenti si veda G. Morbidelli., Il contributo di urbanizzazione (aspetti giuridici), in Rivista Giuridica dell’Edilizia, Milano, Giuffrè, 1979, p. 141 ss.

[10] L’art. 15, comma 2, T.U. Edilizia, specifica che la proroga può essere accordata, con motivato provvedimento, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del titolo, oppure con riguardo alla ingente mole dell’opera da realizzare, delle sue caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all’inizio dei lavori, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari. Il comma 2 bis ha introdotto l’ulteriore ipotesi di proroga in presenza di iniziative dell’amministrazione o dell’autorità giudiziaria rivelatesi poi infondate.

[11] Sui presupposti dell’annullamento d’ufficio, si veda Cons. Stato, sez. IV, 7 settembre 2018, n. 5277, il quale ha statuito che “i presupposti dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio dei titoli edilizi sono costituiti dall’originaria illegittimità del provvedimento, dall’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione (diverso dal mero ripristino della legalità violata), tenuto conto anche delle posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai destinatari; l’esercizio del potere di autotutela è dunque espressione di una rilevante discrezionalità che non esime, tuttavia, l’Amministrazione dal dare conto, sia pure sinteticamente, della sussistenza dei menzionati presupposti e l’ambito di motivazione esigibile è integrato dall’allegazione del vizio che inficia il titolo edilizio, dovendosi tenere conto, per il resto, del particolare atteggiarsi dell’interesse pubblico in materia di tutela del territorio e dei valori che su di esso insistono, che possono indubbiamente essere prevalenti, se spiegati, rispetto a quelli contrapposti dei privati, nonché dall’eventuale negligenza o malafede del privato che ha indotto in errore l’Amministrazione”.

[12] Cfr. Corte Cost., 6 novembre 2009, n. 290, ha affermato che rientra nell’ambito del “governo del territorio”, di competenza concorrente delle regioni, anche la materia relativa alla sanatoria delle opere abusive.

[13] Cfr. P. Tanda, I reati urbanistico-edilizi, Padova, Cedam, 2019, p. 725 ss.

[14] Come confermato da Cass. Pen, sez. III, 5 marzo 2009, n. 9922.

[15] Cfr. Cass. Pen., sez. III, 21 settembre 2009, n. 36350 e Cass. Pen., sez. III, 18 febbraio 2009, n. 6910, nel delineare le caratteristiche della doppia conformità, hanno altresì confermato la titolarità attiva del responsabile dell’abuso o del proprietario.

[16] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 19 aprile 2005, n. 1796 il quale avrebbe ammesso addirittura la sanatoria anche, solamente, in presenza di conformità con la disciplina applicabile al momento della presentazione dell’istanza.

[17] A. Crosetti, in M.A. Sandulli (a cura di), Testo unico sull’edilizia, Milano, Giuffrè, 2004, p. 442, il quale riteneva che la sanatoria giurisprudenziale trovi effettivamente la sua legittimazione nei principi di efficacia e di economicità dell’attività amministrativa, che si collegherebbero al principio costituzionale di buon andamento, nonché nei principi di ragionevolezza e di logicità, intesi come applicazione di razionalità, ed in quello di proporzionalità, a fronte dei quali apparirebbe difficile ritenere che tale indirizzo giurisprudenziale, basandosi su elementi di considerazione non meramente esegetici ma di logica e di ragionevolezza, possa ritenersi recessivo rispetto alla dizione contenuta nel TU Edilizia.

[18] Il quale prevede tassativamente, ai fini dell’estinzione del reato, il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria.

[19] Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 11 settembre 2018, n. 5319; TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 5 giugno 2019, n. 546; TAR Puglia, Lecce, sez. I, 5 giugno 2019, n. 940; TAR Sardegna, Cagliari, sez. II, 9 febbraio 2019, n. 105.

[20] Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 9 settembre 2019, n. 6107.

[21] F. Pozzolini, L’attività edilizia, M. Carrà, W. Gasparri, C. Marzuoli (a cura di), Diritto per il governo del territorio, Bologna, Il mulino, 2012, p. 297 - 298, il quale evidenzia come alcuni comuni, ad esempio, il Comune di Firenze, abbiano disciplinato questa fattispecie nel loro regolamento edilizio, prevedendo persino la possibilità di sanare interventi edilizi per i quali si sia provveduto a realizzare opere di adeguamento alla normativa urbanistico-edilizia vigente.

[22] Cfr. F. Saitta, Permesso di costruire in sanatoria: in Sicilia non è più necessaria la “doppia conformità” (prime considerazioni a margine dell’art. 14, comma 1, della legge regionale siciliana n. 16 del 2016), in Lexitalia.it, 2016.

[23] Modificata lett. a) comma 3 da art. 43 L.R., 23 dicembre 2004 n. 27, in seguito sostituito comma 4 da art. 59 L.R. 6 luglio 2009 n. 6 infine modificati commi 1, 2, 4 bis., alinea e lett. a) comma 3 da art. 45 L.R. 30 luglio 2013 n. 15.

[24] Sui problemi relativi all’art. 17 si veda B. Graziosi, La repressione degli abusi edilizi in Emilia-Romagna, Milano, Ipsoa, 2008, p. 139 ss.

[25] Cfr. Cons. Stato, Ad. Gen., 29 marzo 2001, parere n. 3/2001.

[26] Rubricato “Decreto-Legge recante misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali, connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19”.

[27] La relazione tecnica allegata alle prime bozze del Decreto-Legge Rilancio, spiegava che “la norma in questione ha come obiettivo principale quello di sbloccare, con una maggiore incisività per le regioni del mezzogiorno, lo stallo del settore unendo gli interventi di riqualificazione edilizia del patrimonio privato all’attuazione di specifici Piani di Riqualificazione, redatti ed approvati dalla Pubblica Amministrazione, che dovranno dettare precisi indirizzi per l’adeguamento del patrimonio esistente alle esigenze di qualità urbana sottesa all’interesse pubblico”.