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Anno XVI - n. 10 - Ottobre 2024

  Studi



Le modifiche al contratto in corso di esecuzione.

Di Francesco Rossetti
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Le modifiche al contratto in corso di esecuzione

Di FRANCESCO ROSSETTI

 

Sommario: 1. Introduzione; 2. Definizione di modifica sostanziale; 3. Il quinto d’obbligo; 4. La proroga tecnica; 5. Le varianti in corso d’opera nel settore dei beni culturali; 6. Differenze tra proposte migliorative e varianti in corso d’opera; 7. La cessione dei crediti.

L’art. 106 del Codice dei contratti pubblici disciplina le modifiche oggettive e soggettive che possono verificarsi nei contratti in corso di esecuzione, quanto nei settori ordinari tanto nei settori speciali, come previsto dall’art. 114, comma 8. Poiché tali modifiche sono poste in deroga al principio, prioritario per l’ordinamento nazionale come per quello comunitario, di tutela della concorrenza tramite le procedure ad evidenza pubblica, il legislatore ha previsto che esse possano essere adottate solo nei casi tassativamente previsti. In particolare, ai sensi del comma 1, i contratti posso essere modificati quanto al contenuto della prestazione, previa autorizzazione del RUP, senza necessità di una nuova procedura:

  1. Se le modifiche, a prescindere dal loro valore monetario, sono state previste nei documenti di gara iniziali in clausole chiare, precise e inequivocabili, che non abbiano l’effetto di alterare la natura generale del contratto. Tali clausole possono comprendere clausole di revisione dei prezzi configurandosi in tal modo la clausola di revisione, da inserirsi negli atti di gara e poi nel contratto, come una facoltà della stazione appaltante.
  2. Per i lavori, i servizi o forniture, supplementari da parte del contraente originale che si sono resi necessari e non erano inclusi nell’appalto iniziale, ove un cambiamento del contraente risulti impraticabile per motivi economici o tecnici e comporti notevoli disguidi o una consistente duplicazione dei costi.
  3. Qualora la necessità di modifica è determinata da circostanze impreviste e imprevedibili per l’amministrazione aggiudicatrice o per l’ente aggiudicatore. In tali casi le modifiche all’oggetto del contratto assumono la denominazione di varianti in corso d’opera. Tra le predette circostanze può rientrare anche la sopravvenienza di nuove disposizioni legislative o regolamentari o provvedimenti di autorità od enti preposti alla tutela di interessi rilevanti. In ogni caso la modifica non deve alterare la natura generale del contratto;
  4. se un nuovo contraente sostituisce quello a cui la stazione appaltante aveva inizialmente aggiudicato l’appalto a causa di una delle seguenti circostanze:
    1. una clausola di revisione inequivocabile in conformità alle disposizioni di cui alla lettera a);
    2. all’aggiudicatario iniziale succede, per causa di morte o a seguito di ristrutturazioni societarie, comprese rilevazioni, fusioni, scissioni, acquisizione o insolvenza, un altro operatore economico che soddisfi i criteri di selezione qualitativa stabiliti inizialmente, purché ciò non implichi altre modifiche sostanziali al contratto e non sia finalizzato ad eludere l’applicazione del presente codice;
  • nel caso in cui l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore si assuma gli obblighi del contraente principale nei confronti dei suoi subappaltatori;
  1. se le modifiche non sono sostanziali ai sensi del comma 4. Le stazioni appaltanti possono stabilire nei documenti di gara soglie di importi per consentire le modifiche.

In primo luogo, con riferimento all’istituto della revisione dei prezzi, il previgente art. 115 del D. Lgs 163/2006 prevedeva l’inserimento obbligatorio nei contratti della clausola di revisione periodica dei prezzi. Per converso, alla lett. a), dell’art 106 il nuovo Codice dei contratti pubblici configura la clausola di revisione, da inserirsi negli atti di gara e poi nel contratto, come una facoltà della stazione appaltante. Ciò ha comportato l’inapplicabilità della previgente giurisprudenza sulla natura imperativa e l’inserimento automatico delle clausole di revisione dei prezzi o la sostituzione in caso di clausole difformi (cfr. Consiglio di Stato, 19 giugno 2018, n. 3768). Come ulteriore differenza rispetto alla previgente disciplina, l’istituto della revisione dei prezzi è stato esteso anche ai settori speciali.

In caso di modifiche comportanti prestazioni supplementari, comma 1, lett. b), o varianti in corso d’opera, comma 1, lett. c), esse risultano consentite, per i settori ordinari, qualora l’eventuale aumento di prezzo non ecceda il 50% del valore del contratto iniziale. Qualora le modifiche siano poste in successione fra loro, tale limitazione si applica al valore di ciascuna modifica. Come ribadito nel Comunicato ANAC del 23 marzo 2021, il limite si applica solo ai settori ordinari. Dunque, per i settori speciali sembra possibile ritenere che il limite non trovi applicazione.

Ulteriori ipotesi di modifica all’oggetto del contratto in ragione del valore della stessa sono disciplinate al comma 2 dell’articolo in esame. I contratti possono essere parimenti modificati in corso di esecuzione, senza necessità di una nuova procedura di gara, se il valore della modifica è al di sotto:

  1. delle soglie fissate dall’art. 35 del Codice;
  2. del 10% del valore iniziale del contratto per i contratti di servizi e fornitura sia nei settori ordinari che speciali ovvero il 15% del valore iniziale del contratto per i contratti di lavori sia nei settori ordinari che speciali anche qualora la necessità di modificare il contratto derivi da errori o da omissioni nel progetto esecutivo.

Anche qui vige il limite per cui la modifica non può alterare la natura complessiva del contratto o dell’accordo quadro. Diversamente, in questa ipotesi, in caso di più modifiche successive il valore è accertato sulla base del valore complessivo netto delle successive modifiche.

Occorre a questo punto una specificazione. Infatti, non tutte le modifiche del contratto in corso d’opera assumono la veste di varianti in corso d’opera. Propriamente, sono varianti in corso d’opera solo quelle modifiche dettate da circostanze impreviste o imprevedibili, di cui al comma 1, lett. c), e quelle modifiche sorte dalla necessità di rimediare ad errori o ad omissioni nel progetto esecutivo, nei limiti quantitativi previsti dal comma 2.

Tale distinzione rileva quanto al regime di pubblicità e trasmissione. Infatti, al comma 14 dell’articolo in esame si prevedono obblighi di comunicazione e trasmissione solo per le varianti in corso d’opera. Dunque, le modifiche ex art. 106 comma 1, lett. a), b) ed e), non devono essere trasmesse all’autorità. Tuttavia, come chiarito dall’Anac nelle FAQ sulle varianti in corso d’opera aggiornate al 26 marzo 2021, possono essere indicate all’interno del modulo di trasmissione delle varianti in corso d’opera. Trattandosi di mera informativa, le modifiche non vanno documentate con atti da allegare al modulo: se mai le esigenze istruttorie lo richiedessero, l’ufficio competente ne farà esplicita richiesta. L’inadempimento degli obblighi di comunicazione e trasmissione delle varianti nei tempi previsti comporta l’avvio d’ufficio del procedimento di applicazione delle sanzioni pecuniarie di cui all’art. 213, co. 13 D. Lgs. 50/2016. 

Un ulteriore, nonché unico per i lavori, i servizi o forniture supplementari, obbligo di comunicazione è previsto per le modifiche al contratto di cui al comma 2, e a quelle rientranti nel comma 1, lett. b). Esse devono essere comunicate entro trenta giorni dal loro perfezionamento all’Anac; la mancata o tardiva comunicazione comporta l’irrogazione di una pena pecuniaria alla stazione appaltante. Il termine di trasmissione inizia a decorrere dalla data di perfezionamento della variante in corso d’opera da parte della stazione appaltante, così come disposto dall’art. 106, comma 8 del D. Lgs. n. 50/2016. Il termine “perfezionamento” va riferito al provvedimento di approvazione della variante da parte dell’organo decisorio deputato a ciò dalla stazione appaltante.

È bene specificare che l’autorizzazione da parte del RUP di cui al comma 1, si distingue dall’approvazione da parte dell’organo decisorio della stazione appaltante, a decorrere dal quale scatta l’obbligo di comunicazione all’Anac. In mancanza di un regolamento specifico della stazione appaltante o di indicazioni dell’Anac, per “autorizzate” si deve intendere l’atto tramite il quale il RUP, dopo aver valutato le circostanze per le quali si intende modificare il contratto, rilascia il suo nulla osta al direttore dei lavori per l’elaborazione della modifica. Tale informazione deve essere inserita nel modulo di trasmissione all’Anac delle varianti in corso d’opera.

  1. Definizione di modifica sostanziale

La modifica di un contratto o di un accordo quadro durante il periodo della sua efficacia è considerata sostanziale ai sensi dell’art. 106, comma 1, lett. e), quando altera considerevolmente gli elementi essenziali del contratto originariamente pattuiti. Fatti salvi i commi 1 e 2, in ogni caso, una modifica è considerata sostanziale se sono soddisfatte una o più delle seguenti condizioni:

  1. la modifica introduce condizioni che, se fossero state contenute nella procedura d'appalto iniziale, avrebbero consentito l'ammissione di candidati diversi da quelli inizialmente selezionati o l’accettazione di un’offerta diversa da quella inizialmente accettata, oppure avrebbero attirato ulteriori partecipanti alla procedura di aggiudicazione;
  2. la modifica cambia l'equilibrio economico del contratto o dell'accordo quadro a favore dell'aggiudicatario in modo non previsto nel contratto iniziale;
  3. la modifica estende notevolmente l’ambito di applicazione del contratto;
  4. se un nuovo contraente sostituisce quello cui l’amministrazione aggiudicatrice o l'ente aggiudicatore aveva inizialmente aggiudicato l'appalto in casi diversi da quelli previsti al comma 1, lettera d).

Tali principi sono stati recentemente ribaditi anche dall’Anac (“Richiesta di parere del 03 febbraio 2017 presentata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Segretario Generale), che ha richiamato, in particolare, il contenuto della sentenza della Corte di Giustizia del 13 aprile 2010 nella causa C-91/08, in base alla quale “Al fine di assicurare la trasparenza delle procedure e la parità di trattamento degli offerenti, le modifiche sostanziali […] costituiscono una nuova aggiudicazione di appalto, quando presentino caratteristiche sostanzialmente diverse rispetto a quelle del contratto […] iniziale e siano, di conseguenza, atte a dimostrare la volontà delle parti di rinegoziare i termini essenziali di tale appalto”. Un criterio di identificazione delle nuove aggiudicazioni tramite modifiche sostanziali di cui la giurisprudenza comunitaria ha fatto applicazione anche di recente (cfr. Corte giustizia UE, Sez. IV, 14 maggio 2020, n. 263).

Da tale definizione di modifiche essenziali è possibile, a contrario, definire anche le modifiche che, in assenza delle predette caratteristiche, devono essere considerate non sostanziali e quindi consentite. Si tratta di una valutazione che il legislatore rimette alla discrezionalità della stazione appaltante, chiamata a decidere sulla base del dato normativo e delle diverse circostanze del caso concreto, con le note conseguenze sul piano del giudizio di spettanza e della riedizione del potere in caso di impugnazione del provvedimento.

Le stazioni appaltanti possono anche stabilire nei documenti di gara le soglie degli importi entro le quali le modifiche non si devono considerare sostanziali, nel rispetto ovviamente dei limiti indicati dai commi 1 e 2 dell’art 106 in esame. In ogni caso, le modifiche essenziali attribuiscono alla stazione appaltante un diritto alla risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 108, comma 1, lett. a).

  1. Il quinto d’obbligo

Ai sensi del comma 12 dell’articolo 106 del Codice, resta ferma anche nella nuova disciplina la potestà della stazione appaltante di imporre all’appaltatore un aumento o una diminuzione delle prestazioni fino a concorrenza del quinto dell’importo del contratto.

Rispetto alla disciplina previgente, contenuta nell’art. 161, comma 2 del D.P.R. n. 207/2010, che consentiva il ricorso a tale istituto solo in presenza delle condizioni che permettevano le varianti, la nuova previsione sembrerebbe ammetterlo in maniera generalizzata. Per tanto, secondo un’interpretazione letterale, essa parrebbe superare tutti i limiti e le condizioni di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 106 in esame, con la conseguenza che la stazione appaltante potrebbe affidare prestazioni fino ad un quinto in più dell’importo del contratto senza dover rispettare alcun limite o vincolo. Ciò alla sola condizione che la modifica intervenga in corso di esecuzione e quindi prima del verbale di ultimazione dei lavori.

Diversamente accadrebbe qualora si aderisse ad un’interpretazione sistematica della norma in materia di quinto d’obbligo. Ciò comporterebbe che il ricorso a tale istituto risulterebbe limitato ai soli casi in cui sussistono, di volta in volta, anche le altre condizioni previste dalle norme sopra richiamate. Tale orientamento restrittivo sembra trovare maggior adesione. Con nota del 2 luglio 2018, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha affermato che, “attesa la necessaria lettura sistematica della disposizione, si ritiene ammissibile la modifica dell’importo contrattuale di un quinto solo qualora la fattispecie sia inclusa in una delle ipotesi di modifica dell’oggetto del contratto o di variante consentita ai sensi dell’art. 106, commi 1 e 2, D. Lgs. 50/2016”. Alla stessa tesi ha aderito l’Anac con il Comunicato ANAC del 23 marzo 2021.

La soluzione al contrasto interpretativo sarebbe allora quella di ritenere che le modifiche in corso di esecuzione sono consentite solo al ricorrere delle condizioni indicate di volta in volta nell’ambito dell’art. 106; e che, in ogni caso, pur in presenza delle condizioni di legge, la stazione appaltante avrebbe il potere di imporle e l’appaltatore l’obbligo di eseguirle alle medesime condizioni dell’appalto iniziale solo se esse sono contenute nei limiti del quinto dell’importo contrattuale. Altresì, tale potere verrebbe meno qualora la variazione ecceda il quinto d’obbligo. In tal caso, “sempre purché ricorrano le altre condizioni di cui all’art. 106, commi 1 e 2, D. Lgs. 50/2016, l’appaltatore potrà esigere una rinegoziazione delle condizioni contrattuali e, in caso di esito negativo, il diritto alla risoluzione del contratto” (nota del 2 luglio 2018 MIT). Come conseguenza, troverebbero anche in questo caso applicazione gli obblighi in tema di pubblicità previsti dall’art. 106, comma 14, D. Lgs. 50/2016.

Nell’indagine sull’istituto viene in rilievo una differenza sostanziale con le varianti in corso d’opera di cui al comma 1, lett. c). Mentre nel caso della lett. c) è necessario comunque un accordo delle parti per modificare l’oggetto del contratto (fermo restando che la modifica non deve alterare “la natura generale del contratto”), l’applicazione del comma 12, con l’aumento o la diminuzione delle prestazioni fino a concorrenza del quinto dell'importo del contratto, è la conseguenza dell’esercizio di un diritto potestativo dell’Amministrazione, che può infatti “imporre all'appaltatore l'esecuzione alle stesse condizioni previste nel contratto originario”; per cui “in tal caso l'appaltatore non può far valere il diritto alla risoluzione del contratto” (Tar Lazio, Sez. Terza Quater, sent. n. 13539/2020). Diversamente, gli aumenti dei lavori o le variazioni richieste dalla stazione appaltante, che superino il quinto dell'importo delle opere inizialmente pattuite, attribuiscono all'appaltatore, che non intenda assoggettarvisi, un diritto soggettivo perfetto alla risoluzione del contratto. Ciò non esclude categoricamente uno ius variandi per importi superiori al quinto, ma questo richiederebbe il necessario consenso dell’appaltatore oltre che della stessa stazione appaltante, mediante la redazione e approvazione di un negozio aggiuntivo al contratto d’appalto (Cassazione civile sez. I, 18/05/2016, n.10165).

  1. La proroga tecnica

Costituisce una modifica dell’oggetto del contratto anche la proroga che implica un’ipertrofia della prestazione contrattuale. Negli appalti di lavori, servizi, forniture aventi ad oggetto una prestazione determinata, la proroga comporta una modifica della sola clausola del termine di adempimento, lasciando invariata la prestazione originaria. Tale ipotesi trova disciplina nell’art. 107, comma 5, del Codice. Per converso nei contratti a esecuzione continuata e periodica (compresi i contratti aperti aventi ad oggetto lavori di manutenzione), la proroga implica una modifica della prestazione contrattuale, che viene fornita per maggior tempo con percezione di ulteriore compenso da parte dell’appaltatore.

In questo secondo caso, con la proroga del contratto, si ha un vero a proprio nuovo affidamento senza gara all’originario contraente. Perciò, ai sensi dell’art. 106, comma 11, la proroga ha carattere eccezionale ed è ammessa solo per i contratti in corso di esecuzione se prevista nel bando e nei documenti di gara un’opzione in tal senso e deve essere limitata al solo tempo necessario alla conclusione delle procedure necessarie all’individuazione di un nuovo contraente. Tale è l’istituto della proroga tecnica.

Il legislatore ha chiarito in modo inequivocabile che in caso di proroga del contratto per il tempo necessario a concludere la procedura di gara ad evidenza pubblica il contraente è tenuto a espletare il servizio alle stesse condizioni stabilite nel contratto originario ovvero in quelle più favorevoli per la stazione appaltante. Nessun tipo di modifica del contratto è quindi ammessa, se non in termini di estensione temporale della sua durata per il tempo strettamente necessario.

La giurisprudenza elaborata nel vigore del D. Lgs. n. 163/2006 aveva peraltro già chiarito che, nell’ipotesi di proroga tecnica, non vi è spazio per alcuna ridefinizione dei termini del contratto: “è noto che in materia di […] proroga dei contratti pubblici di appalto di servizi non vi è alcuno spazio per l’autonomia contrattuale delle parti in quanto vige il principio inderogabile, fissato dal legislatore per ragioni di interesse pubblico, in forza del quale, salve espresse previsioni dettate dalla legge in conformità della normativa comunitaria, l’Amministrazione una volta scaduto il contratto deve, qualora abbia ancora la necessità di avvalersi dello stesso tipo di prestazioni, effettuare una nuova gara” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 20 agosto 2013, n. 4192; nello stesso senso, Sez. V, 2 febbraio 2010, n. 445; Sez. V, 8 luglio 2008, n. 3391).

L’istituto della proroga tecnica si differenzia dal rinnovo del contratto pubblico proprio perché mentre la proroga ha come solo effetto il differimento del termine finale del rapporto, che rimane per il resto regolato dall’atto originario, il rinnovo comporta una nuova negoziazione con il medesimo soggetto, che può concludersi con l’integrale conferma delle precedenti condizioni o con la modifica di alcune di esse in quanto non più attuali (ex pluribus, Consiglio di Stato, Sez. III, 18 ottobre 2019, n. 7077; Sez. III, 22 gennaio 2016, n. 209; Tar Campania, Napoli, Sez. V, 2 aprile 2020, n. 1312).

Ai fini di una corretta qualificazione della tipologia contrattuale (rinnovo o proroga) “non è rilevante il nomen iuris formalmente attribuito dalle parti, bensì l’esistenza in concreto, per il rinnovo di una nuova negoziazione e per la proroga del solo effetto del differimento del termine finale del rapporto, il quale rimane per il resto regolato dall’atto originario, con la precisazione che la nuova negoziazione può anche concludersi con la conferma delle precedenti condizioni” (Tar Basilicata, Potenza, Sez. I, 26 marzo 2020, n. 215).

Dunque, l’istituto della proroga tecnica, in base al vigente Codice dei contratti pubblici e in linea di continuità con previgente, “si caratterizza proprio per la non modificabilità delle condizioni contrattuali stabilite per il contraente, in considerazione del limitato tempo della proroga” (Tar Trentino Alto Adige, Bolzano, 12 maggio 2021, n. 0141).

Infine, la proroga tecnica deve ritenersi diversa dal cosiddetto “termine suppletivo”, disciplinato dall’ormai abrogato art. 159, comma 9, del D.P.R. n. 207/2010, che consisteva in uno slittamento del termine di ultimazione dei lavori nei casi in cui l’imputabilità della maggiore durata del contratto non dipendesse dall’appaltatore.

  1. Le varianti in corso d’opera nel settore dei beni culturali

In tema di appalti nei settori di beni culturali, l’art 149 del D. Lgs n. 50/2016 ci fornisce una definizione negativa di varianti in corso d’opera.  Non sono varianti in corso d’opera gli interventi disposti dal direttore dei lavori per risolvere aspetti di dettaglio, finalizzati a prevenire e ridurre pericoli di danneggiamento o deterioramento dei beni tutelati, che non modificano qualitativamente l'opera e che non comportino una variazione in aumento o in diminuzione superiore al 20% del valore di ogni singola categoria di lavorazione, nel limite del 10% dell’importo complessivo contrattuale. Questa previsione si giustifica in ragione del fatto che il direttore dei lavori non risulta titolare di un potere negoziale per conto della stazione appaltante. Sarà dunque, solo il RUP a poter disporre varianti in aumento rispetto a all’importo contrattuale originario e nel limite del 10%.

In analogia con l’abrogato art. 205, comma 4 del d.lgs. 163/2006, il comma 2 dell’art. 149 del Codice in vigore ammette, nel limite del 20% in più dell'importo contrattuale, le varianti in corso d'opera rese necessarie, posta la natura e la specificità dei beni sui quali si interviene, per fatti verificatisi in corso d'opera, per rinvenimenti imprevisti o imprevedibili nella fase progettuale, per adeguare l’impostazione progettuale qualora ciò sia reso necessario per la salvaguardia del bene e per il perseguimento degli obiettivi dell’intervento, nonché le varianti giustificate dalla evoluzione dei criteri della disciplina del restauro.

  1. Differenze tra proposte migliorative e varianti in corso d’opera.

Preso atto del regime di adozione nonché di pubblicità delle varianti in corso d’opera senza previa indizione di una gara, occorre evidenziare che non tutte le modifiche suscettibili di rientrare nell’alveo delle varianti, per come tracciato dal legislatore, sono poi effettivamente sottoposte al regime per esse previsto. Sussistono infatti non trascurabili differenze tra le proposte migliorative e le varianti in corso d’opera. La giurisprudenza è pacifica nel ritenere che “le soluzioni migliorative possono liberamente esplicarsi in tutti gli aspetti tecnici lasciati aperti a diverse soluzioni sulla base del progetto posto a base di gara ed oggetto di valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico, rimanendo comunque preclusa la modificabilità delle caratteristiche progettuali già stabilite dall'Amministrazione, mentre le seconde si sostanziano in modifiche del progetto dal punto di vista tipologico, strutturale e funzionale, per la cui ammissibilità è necessaria una previa manifestazione di volontà della stazione appaltante” (Consiglio di Stato, Sez. V, 05 febbraio 2021, n.1080; Consiglio di Stato, Sez. V, 08 gennaio 2021, n.282).

Così che in definitiva le proposte migliorative consistono in soluzioni tecniche che, senza incidere sulla struttura, sulla funzione e sulla tipologia del progetto a base di gara, investono singole lavorazioni o singoli aspetti tecnici dell’opera, lasciati aperti a diverse soluzioni, configurandosi come integrazioni, precisazioni e migliorie che rendono il progetto meglio corrispondente alle esigenze della stazione appaltante, senza tuttavia alterare i  caratteri essenziali delle prestazioni richieste. Pertanto, “[…] la valutazione delle offerte tecniche come pure delle ragioni che giustificano la soluzione migliorativa proposta quanto alla sua efficienza e alla rispondenza alle esigenze della stazione appaltante costituisce espressione di un'ampia discrezionalità tecnica” (Consiglio di Stato, Sez. V, 14 maggio 2018, n. 2853), “con conseguente insindacabilità nel merito delle valutazioni e dei punteggi attribuiti dalla commissione, ove non inficiate da macroscopici errori di fatto, da illogicità o da irragionevolezza manifesta” (Consiglio di Stato, Sez. V, 08/10/2019, n. 6793; Consiglio di Stato, Sez. III, 7 marzo 2014, n. 1072).

  1. La cessione dei crediti

Quanto alla modifica del contratto sul piano soggettivo del rapporto giuridico viene in rilievo il comma 13 dell’art. 106 in esame. La cessione dei crediti da corrispettivo di appalto, concessione, concorso di progettazione è efficace ed opponibile alle stazioni appaltanti previo consenso di queste ultime da notificarsi al cedente e al cessionario. Inoltre, le amministrazioni pubbliche possono preventivamente accettare la cessione da parte dell’esecutore di tutti o di parte dei crediti che devono venire a maturazione. La regola posta in deroga all’ordinaria disciplina sulla cessione dei crediti di cui agli artt. 1260 e ss. Codice civile, risulta coerente con il previgente art. 117 del D. Lgs n. 163/2006 nonché con un’impostazione risalente della cedibilità dei crediti nei confronti della PA, come testimonia l’art. 9, Allegato E della L. n. 2248/1865 (“Legge sul contezioso amministrativo”), il quale recita: “Sul prezzo dei contratti in corso non potrà avere effetto alcun sequestro, né convenirsi cessione, se non vi aderisca l’amministrazione interessata”. Una delle ragioni di questa limitazione alla cedibilità del rapporto obbligatorio sul lato attivo, oltre che per ragioni pratiche di contabilità e organizzazione interna, si può intuitivamente rinvenire nell’esigenza dell’Amministrazione di selezionare, anche a valle della procedura di evidenza pubblica, i destinatari delle commesse pubbliche per evitare il rischio, garantito a monte della procedura d’appalto o di concessione dall’art. 80 del D. Lgs. n. 50/2016, di foraggiare operatori economici sprovvisti dei necessari requisiti morali.