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Anno XVI - n. 03 - Marzo 2024

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Le condizioni per l'annullamento d'ufficio dell'aggiudicazione di una gara d'appalto.

Dì Roberto Lorusso.
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Le condizioni per l'annullamento d'ufficio dell'aggiudicazione di una gara d'appalto

ROBERTO LORUSSO

Abstract: Al fine di indagare le caratteristiche dell'istituto dell'annullamento d'ufficio dell'aggiudicazione di una gara d'appalto è necessaria una preliminare disamina generale del potere amministrativo di riesaminare in autotutela i precedenti provvedimenti, che si estrinseca attraverso gli istituti della revoca e dell'annullamento d'ufficio, codificati rispettivamente agli artt. 21-quinquies e 21-nonies della Legge n.241/90.

1.L'ANNULLAMENTO D'UFFICIO COME ESPRESSIONE DEL POTERE DI AUTOTUTELA PUBBLICISTICA (ART. 21-NONIES, D. LGS. 241/90)

L'art. 21-nonies in particolare stabilisce che in caso di provvedimento illegittimo ai sensi dell'art. 21-octies (ovvero viziato da violazione di legge, eccesso di potere o incompetenza), questo può essere annullato d'ufficio in presenza di determinate condizioni, quali:

2. ragioni di interesse pubblico specifico, concreto ed attuale, tale da prevalere sull'interesse del destinatario alla conservazione);

3. esercizio del potere entro un termine ragionevole;

4. comparazione con gli interessi dei destinatari dei provvedimento e degli eventuali controinteressati.

La norma in questione disciplina il potere di annullamento in autotutela della Pubblica Amministrazione, esercitabile in presenza dei requisiti di verifica dell'illegittimità del provvedimento, e della ponderazione dell'interesse pubblico alla rimozione dell'atto viziato. È d'uopo sottolineare che l'utilizzo da parte del Legislatore del termine “può”, indica chiaramente che l'amministrazione può decidere anche la sopravvivenza di un provvedimento illegittimo, pur nella piena consapevolezza dei vizi che lo affliggono, qualora lo richieda il rispetto dell'interesse pubblico. È quindi l'interesse pubblico il fulcro del potere di annullamento d'ufficio. Bisogna infatti rimarcare che l'annullamento d'ufficio non è un potere a tutela della legittimità degli atti amministrativi (v. Cons. St. - Sez. V, sent. n.1265/14).

Inoltre, la necessaria presenza di un provvedimento viziato, distingue l'autotutela dalla revoca ex art. 21-quinquies, attivabile in ipotesi di mera opportunità. Con riferimento all'individuazione del soggetto titolare del potere di autotutela, la norma riconosce la facoltà di annullare l'atto in autotutela, oltre che alla stessa P.A. Emanante, anche ad altro organo ne abbia facoltà per espressa previsione di legge. Infine, l'ultima parte dell'articolo in commento, positivizza la responsabilità della P.A. per il caso di mancato esercizio del potere di annullamento in autotutela, senza però stabilire la natura di tale responsabilità, né tanto meno le conseguenze della stessa (sembra in ogni caso rinvenibile un riferimento alla responsabilità aquiliana della Pubblica Amministrazione per il danno provocato al destinatario di un atto illegittimo). La ricerca della natura e dell'ampiezza dell'interesse pubblico all'annullamento è stato terreno d'indagine per dottrina e giurisprudenza. La giurisprudenza ha individuato come criteri imprescindibili per la sua individuazione, quelli della concretezza, intesa quale interesse ulteriore rispetto alla mera garanzia della legalità, ma rinvenibile nella sfera pubblica in via sostanziale, e dell'attualità, intesa come interesse sussistente al momento dell'annullamento. Si sono però riconosciute delle possibilità di annullamento in cui l'interesse pubblico sussista in re ipsa, senza necessaria dimostrazione delle componenti di concretezza ed attualità, come nel caso di provvedimenti che siano il risultato di un'attività vincolata dell'amministrazione, sia nell'an sia nel quomodo, o quelli derivanti dall'attuazione di un giudizio di ottemperanza. La giurisprudenza amministrativa ha inoltre confermato la necessità della presenza di un interesse pubblico “ulteriore” rispetto al mero ripristino della legalità violata. Si chiede quindi alla P.A. una comparazione tra l'interesse pubblico e gli interessi dei destinatari e dei controinteressati. L'interesse pubblico all'annullamento d'ufficio è quindi il risultato di una valutazione discrezionale dell'amministrazione. Con la Legge delega “Madia” n. 124/15, si è poi modificato l'art. 21-nonies, introducendo un puntuale limite temporale, “comunque non superiore a 18 mesi dal momento dell'adozione”. In mancanza di tale specificazione, la giurisprudenza precendente alla novella aveva ritenuto che il 21-nonies, prevedendo solo il rispetto di un termine ragionevole, facesse riferimento ad un parametro indeterminato ed elastico individuabile discrezionalmente dall'interprete. La nuova disciplina introdotta dalla L. n. 124/15 ha fissato un nuovo termine di decadenza per l'annullamento d'ufficio, espresso e rigido. La P.A. non è però tenuta al rispetto di detto termine nel 3 caso in cui il privato non abbia posto il soggetto pubblico in condizione di condurre un'istruttoria adeguata, avendo dichiarato il falso per avvantaggiarsi del provvedimento favorevole. Alla luce di quanto esposto, è utile osservare come la P.A. sia titolare, oltre che dei poteri di autotutela pubblicistica di cui agli artt. 21-quinquies e 21-nonies, tipici della fase procedimentale precedente alla stipula del contratto, altresì di poteri di autotutela lato sensu contrattuale, quindi privatistici.

3. L'AUTOTUTELA NEL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI: L'INTERPRETAZIONE DELL'ART. 108

Descritto il quadro generale relativo all'annullamento d'ufficio, può quindi procedersi all'analisi dello stesso, con specifico riferimento all'aggiudicazione di una gara d'appalto. Prima di analizzare la nuova disciplina introdotta dal d.lgs. n. 50 del 2016, è necessaria una breve premessa in ordine alla procedura di evidenza pubblica che, in materia di appalti pubblici, precede la stipula del contratto. Tale procedura è necessaria per addivenire alla stipula di ogni contratto di appalto, e consiste in una vera e propria procedura amministrativa, necessaria per garantire l'interesse pubblico all'imparzialità e alla tutela della concorrenza.

Prima della stipula del contratto, pur sorgendo in capo alla P.A. l'obbligo di conclusione del contratto, è pacifico il riconoscimento della possibilità per la stessa P.A., di annullare l'aggiudicazione ritenuta illegittima, in base a quanto previsto dall'art. 32, co. 8, D. Lgs. 50/16. Nel caso invece in cui sia già intervenuta la stipulazione del contratto, ci si chiede se la stazione appaltante possa intervenire in autotutela sull'aggiudicazione. Richiamando quando sopra esposto a proposito dell'autotutela procedimentale pubblicistica ex art. 21-nonies, L. n. 241/90, l'indagine si concentra principalmente sulle forme di autotutela previste dal Titolo V del D. Lgs. 50/16, relativo all’ “esecuzione” del contratto, ed in particolare sul testo degli artt. 108 e 109. Ai fini dell'odierno esame, bisogna ricordare che, la sorte del contratto a seguito dell'annullamento dell'aggiudicazione rappresenta uno dei temi più dibattuti della storia recente del diritto amministrativo. Va però sottolineato che l'esame di questa tematica è stato tradizionalmente perseguito solo in ottica giudiziale, lasciando in disparte l'altrettanto interessante fattispecie dell'annullamento d'ufficio. 4 Tale tematica ha tuttavia suscitato l'attenzione degli operatori giuridici in tempi recenti, sulla base di novità normative introdotte dal D. Lgs. 50/16, oltre che del crescente contenzioso. Si è conseguentemente proceduto, in dottrina ed in giurisprudenza, su un doppio filone di indagine sulle questioni fondamentali della preliminare ammissibilità di un annullamento in autotutela dell'aggiudicazione in caso di contratto già stipulato, e dell'effettiva incidenza di questa sul vincolo negoziale. L'art. 108 disciplina le ipotesi di risoluzione, prevedendo al comma I che, fatti i salvi i poteri di sospensione di cui al precedente art. 107, “le stazioni appaltanti possono risolvere un contratto pubblico durante il periodo di sua efficacia”, al ricorrere di una o più delle circostanze di seguito elencate. Il comma II d'altro canto, disciplina le ipotesi di risoluzione “obbligatoria”, in cui le stazioni appaltanti “devono risolvere un contratto pubblico durante il periodo di efficacia dello stesso”. Qui la risoluzione si realizza ope legis al verificarsi delle ipotesi di:  decadenza dell'attestazione di qualificazione per aver prodotto falsa documentazione o dichiarazioni mendaci;  provvedimento definitivo che dispone l'applicazione di una o più misure di prevenzione di cui al c.d. Codice Antimafia. In tutte le ipotesi contemplate ai sensi dell'art. 108, la Stazione appaltante può agire in autotutela per provocare lo scioglimento del vincolo contrattuale, senza necessità di adire l'autorità giudizaria. Al quinto comma si precisa poi che, in caso di risoluzione del contratto, l'appaltatore avrà diritto solo al pagamento delle prestazioni relative ai lavori, servizi o forniture regolarmente eseguiti, a cui verranno sottratti gli oneri aggiuntivi relativi allo scioglimento del contratto. L'art. 109 disciplina invece l'istituto del recesso, accordando alla stazione appaltante, in attuazione della previsione di cui all'art. 21-sexies L.n. 241/90, la possibilità, previa formale comunicazione, di recedere dal contratto in qualunque momento, corrispondendo all'appaltatore il pagamento dei lavori, dei servizi e delle forniture eseguite, oltre eventualmente al decimo dell'importo delle opere, servizi o forniture non eseguite. 5 Sul tema si innesta poi la dibattuta questione giurisprudenziale inerente alla relazione intercorrente tra il rimedio della revoca, frutto dei poteri di autotutela pubblicistica, ed il rimedio del recesso, previsto dalla disciplina della contrattualistica pubblica. Il Consiglio di Stato, proseguendo nel solco dell'orientamento inaugurato in vigenza dell'abrogato D. Lgs. 163/06, ha sottolineato che “nelle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici, mentre la revoca resta impraticabile dopo la stipula del contratto d'appalto, dovendo utilizzarsi, in quella fase, il diverso strumento del recesso, prima del perfezionamento del documento contrattuale, al contrario, l'aggiudicazione è pacificamente revocabile” (Cons. St., sent. n. 5026/16). Le norme in commento non chiariscono tuttavia cosa debba intendersi per risoluzione (e recesso), insinuando nell'interprete il dubbio che si sia voluto definitivamente escludere l'annullamento d'ufficio ex artt. 21-quinquies e 21-nonies dall'alveo dell'autotutela in tema di appalti. Secondo una prima tesi dottrinale, con il D. Lgs. 50/16 sarebbero stati riconosciuti poteri privatistici in capo alla stazione appaltante (risoluzione e recesso ex artt. 108 e 109), con la conseguenza che, dopo la stipula del contratto, la stazione appaltante dismetterebbe la sua qualifica pubblicistica, per indossare i panni del contraente privato. Così operando, la P.A. non potrebbe ricorre all'autotutela pubblicistica, ma dovrebbe far ricorso agli strumenti del recesso e della risoluzione, appositamente previsti dal Codice. A tale impostazione si è è però obiettato che in tal modo si limiterebbe in maniera sproporzionata la libertà di azione della P.A., che secondo la giurisprudenza europea, è libera di sciogliersi in via unilaterale dal vincolo contrattuale. Per altra dottrina infatti, l'art. 108 completerebbe invece le ipotesi di annullamento d'ufficio. Allo stato, va quindi riconosciuta la mancanza di una chiara disciplina normativa in materia, e nemmeno l'adozione del nuovo Codice dei contratti sembra aver eliminato l'equivoco giuridico circa la mancanza di una chiara interpretazione dei rapporti tra autotutela pubblicistica ed autonomia negoziale. Le norme attualmente vigenti in materia sembrano anzi meno chiare delle precedenti, riproponendo interrogativi ormai superati. Già sotto la vigenza de d.lgs. n. 163 del 2006 si registravano, del resto, in dottrina, opinioni dissonanti. Da un lato vi erano quanti ritenevano che l’annullamento d’ufficio fosse rimasto 6 eliminato della riforma del 2010, e dall'altro, vi erano i sostenitori dell’opposta tesi, maggioritaria, che propendeva per sua ammissibilità. La giurisprudenza, d'altro canto, era risultata compatta nel sostenere l’ammissibilità dell’annullamento d’ufficio. A tal fine si faceva riferimento non solo sul dettato dell’art. 11 del vecchio d.lgs. n. 163 del 2006, ma soprattutto sulla natura generale dei poteri di autotutela, sulla loro inesauribilità e sull’assenza di limiti formali al loro esercizio. Anche l’adunanza plenaria aveva offerto, seppur indirettamente, il proprio avallo a detta impostazione (ex multis, v. Cons. St., Ad. Plen. n.14/14; Cons. St., sent., n. 14/2014). Il nuovo codice degli appalti sembra, invece, aver messo in discussione tale certezza, riproponendo l'interrogativo circa la possibilità, per la P.A., di disporre l’annullamento dell’aggiudicazione in sede di esecuzione del contratto.

È all'uopo necessario far riferimento alle fonti di formazione del D. Lgs. 50/16, ovvero le direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE.

Le direttive in questione hanno attribuito nuova centralità al carattere negoziale del rapporto. In particolare, l’art.73 della direttiva 2014/24/UE fa salva la possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici, “alle condizioni stabilite dal diritto nazionale applicabile”, di “risolvere un contratto pubblico durante il periodo di validità dello stesso”. Il legislatore europeo intende riservare alla stazione appaltante il potere di liberarsi unilateralmente dal vincolo contrattuale al ricorrere di alcune specifiche situazioni, in cui risulta intollerabile il mantenimento dello stesso, ovvero:  il caso in cui “il contratto ha subito una modifica sostanziale che avrebbe richiesto una nuova procedura di appalto”;  l’ipotesi in cui l’aggiudicatario avrebbe dovuto “essere escluso dalla procedura di appalto”;  e quello in cui “l’appalto non avrebbe dovuto essere aggiudicato all’aggiudicatario in considerazione di una grave violazione degli obblighi derivanti dai trattati e dalla presente direttiva come riconosciuto dalla Corte di giustizia dell’Unione europea in un procedimento ai sensi dell’articolo 258 TFUE”. La norma in questione è stata, dunque, progettata come una garanzia per le prerogative della stazione appaltante. Inoltre la direttiva non impone un modello unico, ponendosi come obiettivo, unicamente quello di consentire alla stazione appaltante di sciogliersi dal vincolo. Se ne deduce che non ci sono ostacoli ad una interpretazione dell’art. 73 della direttiva riferibile anche al caso dell’annullamento in via di autotutela, atteso che esso si traduce nello scioglimento del contratto medio tempore stipulato.

L'equivoco giuridico si quindi manifestato in sede di recepimento, dove il legislatore nazionale ha optato per una speculare riproposizione di alcuni passi della direttiva, i quali, non coordinati con la disciplina del rinnovato Codice dei contratti pubblici, ha portato ad una contraddizione interna. Stante l'innegabile eterogeneità tra le fattispecie di risoluzione contemplate all'interno dell'art. 108, ci si chiede quale sia la disciplina ad esse applicabile.

Ad una lettura attenta emerge come tali fattispecie contemplino dei vizi di legittimità afferenti la fase ad evidenza pubblica, meno evidente però con riferimento alle lettere a) e b) della norma, le quali sembrano afferire alla sfera privatistica. Entra qui in gioco il c.d. divieto di rinegoziazione del contratto, facente capo alla Pubblica Amministrazione, secondo cui una modifica ex post del contenuto del contratto determini non soltanto un’alterazione del sinallagma contrattuale, ma generi altresì uno svilimento della fase ad evidenza pubblica che precede il contratto stesso. Se si ammettesse infatti un illimitato potere di modifica successivo, la fase pubblicistica sarebbe di fatto svuotata nel suo contenuto, con un significativo danno rispetto alla trasparenza ed imparzialità della Pubblica Amministrazione, realizzando inoltre una lesione della libera concorrenza tra gli operatori economici.

Tale affermazione costituisce dunque la concretizzazione del c.d. “scope of the competition test”, per cui una modifica contrattuale risulta, in altri termini, essenziale e quindi non ammissibile se, secondo un giudizio di prognosi postuma, la sua adozione risulti incompatibile con i termini dell’aggiudicazione del contratto originario. Una volta dato atto del fatto che le ipotesi di cui al primo comma dell’art. 108 costituiscono dei vizi di illegittimità riconducibili alla fase ad evidenza pubblica e rilevanti nella fase successiva alla stipula del contratto, può dunque concludersi che le ipotesi celate sotto l’atecnico nomen iuris di “Risoluzione”, costituiscono in realtà ipotesi di Annullamento d’ufficio ex art. 21-nonies L. 241/1990, ammesso anche successivamente alla stipula del contratto di appalto. Non sembra dunque essere condivisibile quella ricostruzione che vede nella Risoluzione uno strumento privatistico alternativo rispetto all’Annullamento d’ufficio, idoneo ad escludere l’applicazione di quest’ultimo una volta concluso il contratto di appalto.

Tale teoria pare smentita, in primo luogo, dal permanere di un riferimento espresso ai poteri di autotutela in seno all’art. 32. Inoltre va detto che il potere di annullamento d’ufficio conserva i propri caratteri di generalità ed inesauribilità. conseguentemente sarebbe azzardato concludere che la semplice previsione di un 8 rimedio di diritto privato possa determinarne l’esaurimento. Un altro elemento distonico è rappresentato dalla disciplina specifica di cui all’art. 176 del nuovo codice in tema di concessione. In detto articolo si stabilisce che la concessione “cessa” in talune ipotesi tassativamente elencate, che ricalcano in buona sostanza, i casi di cui all’art. 108. In tale articolo viene chiarito che la cessazione passa per un annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione, attraverso il richiamo all’articolo 21 nonies della l. n. 241 del 1990. In maniera ancora più esplicita il comma II dell’art. 176 prevede un regime specifico per il caso in cui “l’annullamento d’ufficio dipenda da vizio non imputabile al concessionario”.

Si ritiene quindi che, se per le concessioni il fenomeno della “cessazione” è certamente conseguente all’annullamento d’ufficio, tale disciplina operi anche per i casi sostanzialmente identici in tema di appalti, di cui all’art. 108. Invero non vi sarebbe alcuna plausibile ragione per operare una simile discriminazione, dal momento che, nell’impostazione del Codice, appalti e concessioni condividono la medesima natura negoziale.

Infine, la novella legislativa inserita dal D. Lgs. 56/17 ha aggiunto il comma 1-bis all’art. 108, prevedendo espressamente come per le ipotesi di cui al primo comma non si applicano i termini previsti dall’art. 21-nonies L. 241/1990, ossia proprio quella norma che fonda il potere di intervento in autotutela, sotto forma di annullamento d’ufficio. Trova così conferma la ricostruzione per cui le ipotesi di cui al primo comma dell’art. 108 costituiscono ipotesi di annullamento d’ufficio del provvedimento di aggiudicazione ammesse anche a seguito della stipula del contratto di appalto. Solo per il comma 3 dell'art. 108 potrà in astratto ipotizzarsi un riferimento alla disciplina privatistica ex artt. 1453 e 1455 c.c., stante il riferimento espresso ad un “grave inadempimento alle obbligazioni contrattuali da parte dell’appaltatore, tale da comprometterne la buona riuscita delle prestazioni”. Sembra quindi potersi concludere nel senso di un recepimento, da parte del Legislatore, delle direttive comunitarie, al fine di creare una disciplina speciale per l'autotutela in tema di appalti, che non per questo comporti una deriva di stampo privatistico, o ancor peggio un “concorso apparente” di norme (per usare la terminologia penalistica). Le norme di cui agli artt. 108 e 109 D. Lgs. 50/16 rientrano nell'alveo della più generale autotutela pubblicistica ex art. 21-nonies, non escludendone in ogni caso l'operatività.

3. I RECENTI APPRODIMENTI GIURISPRUDENZIALI

Si riporta sul tema, l'interessante pronuncia del Consiglio di stato n.1320/17, che ha statuito sulla quaestio iuris relativa alla sorte del contratto di appalto nel caso di annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione definitiva. I giudici di Palazzo Spada, hanno preso le mosse dalle argomentazioni sviluppate in materia nella sentenza dell’Adunanza plenaria n. 14 del 20 giugno 2016.

Tale pronuncia ha escluso che l’Amministrazione possa, dopo la stipula del contratto di appalto, ricorrere allo strumento pubblicistico della revoca dell’aggiudicazione ex art. 21-quinquies della l. n. 241/1990, dovendo privilegiare lo strumento codicistico del recesso, ma ha lasciato impregiudicata la possibilità di annullare d’ufficio l’aggiudicazione definitiva (ex art. 21-nonies della l. n. 241/1990) anche dopo aver stipulato il contratto. Questo principio trova oggi un solido fondamento normativo, atteso che l’art. 21-nonies della l. n. 241/1990, così come modificato dalla l. n. 124/2015 (cd. “legge Madia”), consente espressamente di annullare in autotutela anche i «provvedimenti attributivi di vantaggi economici», nel cui novero deve senz’altro ricomprendersi l’aggiudicazione di un appalto pubblico. Mancando in materia disposizioni normative circa gli effetti sul contratto nel caso in cui l’aggiudicazione venga annullata dall’Amministrazione procedente in autotutela, ex art. 21-nonies della legge n. 241/1990, la sentenza annotata ha ritenuto di conformarsi, all'orientamento giurisprudenziale dominante, autorevolmente accreditato dalla sentenza dell’Adunanza plenaria n. 14 del 20 giugno 2016, secondo cui il provvedimento di autoannullamento dell’aggiudicazione definitiva adottato dall’Amministrazione comporterebbe, a differenza dell’annullamento giurisdizionale, la caducazione dell’eventuale contratto già stipulato con l’aggiudicatario.

La ragione dell’automatica e immediata perdita di efficacia del contratto risiederebbe nella stretta consequenzialità funzionale intercorrente tra il contratto medesimo e l’aggiudicazione, che del contratto costituisce l’indefettibile presupposto, tale che “simul stabunt, simul cadent”. Va da ultimo ricordata, la recentissima sentenza del T.A.R. Emilia Romagna, Bologna – Sez.II, n.181/19 che, statuendo sull'ambito temporale di applicazione del potere di autotutela della stazione appaltante rispetto al provvedimento di aggiudicazione di una gara, ha disposto che “in linea generale, il ragionevole termine di annullamento e in specie quello di diciotto mesi inserito all’art. 21 – nonies della L. n. 241/1990 dalla L. n. 124/2015 è contemplato dalla norma solo relativamente ai “provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici” e vige “per 10 l’annullamento d’ufficio di atti autorizzatori o attributivi di vantaggi economici” (cfr., Cons. di Stato, Sez. VI, 27.1.2017 n. 341), concludendo all'uopo che “la stazione appaltante in ogni momento può procedere all’annullamento in autotutela, ai sensi dell’art. 21-nonies l. n. 241 del 1990, del provvedimento di aggiudicazione definitiva per un vizio originario dell’atto, ed è legittimo l’intervento in autotutela della stazione appaltante, anche se il fatto che lo abbia giustificato sia imputabile alla stessa, non essendo a questa inibito l’utilizzo di tali poteri, che le sono riconosciuti dall’ordinamento non solo ai sensi dell’art. 21 nonies l. n. 241 del 1990 bensì, più in generale, alla luce dei principi di legalità, imparzialità e buon andamento”.

Se ne deduce quindi l'orientamento della giurisprudenza maggioritaria, volto ad ammettere l'esercizio del potere di annullamento anche a distanza di tempo, se questo soddisfi la tutela del preminente interesse pubblico. Si spiega così anche la specificazione portata dalla Legge delega Madia, che fissa il termine per l'esercizio del potere di annullamento solo relativamente ai provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici.