Giurisprudenza Amministrativa
La cooptazione tra imprese alla luce dei princìpi del risultato e dell’accesso al mercato nel vigente Codice dei contratti pubblici
Di Giacomo Semenzato
Nota a Sentenza del T.A.R. Campania – Salerno, Sezione Prima, n. 1267 dell’11 giugno 2024
La cooptazione tra imprese alla luce dei princìpi del risultato e dell’accesso al mercato nel vigente Codice dei contratti pubblici
Di Giacomo Semenzato
Abstract
La Sentenza annotata esamina l'istituto della cooptazione tra imprese nel contesto del vigente Codice dei contratti pubblici. La controversia, scaturita dall'esclusione di un consorzio stabile dalla procedura negoziata, ha permesso al Tribunale di chiarire che l’articolo 68, comma 12, del D.lgs. n. 36 del 2023 non limita l’uso della cooptazione ai soli consorzi ordinari e ai raggruppamenti temporanei. Per giungere a tale interpretazione normativa, il Tribunale si è avvalso dei princìpi nomogenetici del risultato e dell’accesso al mercato, evidenziando come l’istituto della cooptazione favorisca la partecipazione di operatori economici meno qualificati, promuovendo lo sviluppo imprenditoriale e intensificando la concorrenza. In virtù di tali premesse – ha precisato il Tribunale – eventuali restrizioni all’applicazione dell’istituto devono essere giustificate da ragioni sostanziali, legate alla tutela degli interessi pubblici e alla corretta esecuzione del contratto; in assenza di tali ragioni, qualsivoglia restrizione applicata deve essere considerata sproporzionata e discriminatoria. La pronuncia fornisce, dunque, un'interpretazione chiara e coerente per l’applicazione dell’istituto in conformità ai princìpi fondanti del Codice dei contratti pubblici.
The annotated judgment examines the institution of co-optation between companies in the context of the current Public Contracts Code. The dispute, which arose from the exclusion of a stable consortium from the negotiated procedure, allowed the Tribunal to clarify that Article 68, paragraph 12, of Legislative Decree No. 36 of 2023 does not limit the use of co-optation to ordinary consortia and temporary groupings. To arrive at this normative interpretation, the Tribunal made use of the nomogenetic principles of result and market access, highlighting how the institution of co-optation encourages the participation of less qualified economic operators, promoting business development and intensifying competition. By virtue of these premises, the Tribunal pointed out that any restrictions on the application of the institute must be justified by substantive reasons related to the protection of public interests and the proper execution of the contract; in the absence of such reasons, any restriction applied must be considered disproportionate and discriminatory. The ruling thus provides a clear and consistent interpretation for the application of the institute in accordance with the founding principles of the Public Contracts Code.
Sommario: 1. La vicenda processuale e la decisione del Giudice amministrativo campano. 2. Il contesto normativo e giurisprudenziale: natura giuridica e presupposti applicativi della cooptazione tra imprese. 3. La valorizzazione dei princìpi fondamentali del Codice dei contratti pubblici nell’ermeneutica dell’istituto cooptativo secondo il T.A.R. Campania. 4. Riflessioni conclusive ed implicazioni sistematiche della pronuncia annotata.
- La vicenda processuale e la decisione del Giudice amministrativo campano.
Il presente contributo si propone di esaminare la pronuncia in epigrafe, emessa dal Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sezione distaccata di Salerno, riguardante il ricorso promosso da un operatore economico – avente natura giuridica di consorzio stabile – contro la Provincia di “OMISSIS”.
La controversia trae origine dall'esclusione del suddetto operatore dalla procedura negoziata, indetta per l’affidamento della realizzazione di alcune opere riconducibili alla categoria OG8 classifica VIII, per aver fatto ricorso, nella propria offerta, all’istituto della “cooptazione”, coinvolgendo un'impresa qualificata nella categoria OG1 classifica II per l’esecuzione del venti per cento della prestazione. Ad avviso dell’Amministrazione aggiudicatrice, infatti, il comma 12 dell'articolo 68 del D.lgs. n. 36 del 2023 circoscriverebbe i presupposti applicativi del menzionato istituto sul piano soggettivo esclusivamente ai consorzi ordinari e ai raggruppamenti temporanei di imprese, in virtù della collocazione topografica della fattispecie nel seno dell’articolo 68 menzionato, recante – per l’appunto – la disciplina dei “Raggruppamenti temporanei e consorzi ordinari di operatori economici”[1].
Inoltre, la Stazione appaltante rilevava – quale ulteriore causa di esclusione del concorrente – che l'impresa cooptata non aveva presentato la dichiarazione circa il possesso dei requisiti previsti dall'articolo 28 comma 1 dell'allegato II.12 del medesimo Decreto, a mente del quale gli operatori economici possono partecipare agli appalti di lavori pubblici di importo pari o inferiore a 150.000 euro solo se in possesso dei requisiti di ordine tecnico-organizzativo prescritti dalla norma stessa: requisiti che – secondo la disposizione citata – devono essere “dichiarati in sede di domanda di partecipazione o di offerta con le modalità di cui all'articolo 91, comma 3, del codice” da parte dell’operatore economico per attestarne la sussistenza.
Il consorzio ha quindi impugnato il provvedimento di esclusione, sostenendo che l'istituto della cooptazione dovrebbe trovare applicazione anche nei confronti dei consorzi stabili, configurandosi quale strumento di cooperazione che consente alle imprese di minori dimensioni di sviluppare capacità tecniche e accedere al mercato delle commesse pubbliche.
Con riferimento al secondo motivo di esclusione, il concorrente estromesso ha denunciato la violazione del principio di tassatività delle cause di esclusione, evidenziando che l'impresa cooptata era in possesso dell'attestazione SOA per la categoria OG1 classifica II. Tale attestazione, a parere del ricorrente, era pienamente idonea per l'esecuzione della parte di lavori ad esso assegnata, rendendo pertanto infondata l’obiezione sollevata dalla Stazione appaltante.
Nel merito, il ricorso è stato accolto. Come verrà ulteriormente approfondito nel prosieguo, il Tribunale ha stabilito che l’articolo 68, comma 12, del D.lgs. n. 36 del 2023 – contrariamente a quanto sostenuto dall’Amministrazione resistente – non preclude l’applicabilità dell’istituto della cooptazione ai consorzi stabili; anzi, non pone alcuna restrizione all’applicazione dell’istituto cooptativo in ragione della natura giuridica del soggetto cooptante. Inoltre, la Sentenza ha chiarito che, essendo l'impresa cooptata una mera esecutrice del contratto e collocandosi quindi al di fuori del perimetro procedimentale di evidenza pubblica, non è tenuta a dimostrare il possesso dei requisiti speciali previsti per la partecipazione alla procedura, a condizione che sia qualificata in altra categoria per un importo almeno pari alla propria quota di lavori.
La Sentenza annotata è meritevole di interesse per due principali ragioni. In primo luogo, il Giudice amministrativo, accogliendo il ricorso, si è avvalso dei princìpi interpretativi del vigente Codice dei contratti pubblici non solo per ricostruire sistematicamente il fondamento sostanziale della fattispecie cooptativa, ma altresì per fugare qualsivoglia dubbio interpretativo in merito alla sua applicazione, promuovendo un’interpretazione inclusiva e conforme ai princìpi di accesso al mercato e di risultato. Inoltre, la controversia evidenzia le incertezze interpretative che caratterizzano l’istituto in esame, le quali hanno generato prassi applicative e orientamenti giurisprudenziali disomogenei; tali aspetti, sebbene trattati in maniera sintetica, non possono essere omessi nella presente analisi. Attraverso l’ausilio dei princìpi generali di recente codificazione, il Tribunale è riuscito a dirimere la vertenza, offrendo un quadro chiaro e coerente su come tali precetti possano essere applicati per risolvere – anche in una prospettiva più generale – le incertezze legate all’interpretazione e all’applicazione delle singole fattispecie tipizzate nel Codice dei contratti pubblici.
- Il contesto normativo e giurisprudenziale: natura giuridica e presupposti applicativi della cooptazione tra imprese.
Non appare opportuno introdurre la descrizione della fattispecie in esame cercando di chiarirne i contorni mediante una definizione, poiché, nel contesto normativo e giurisprudenziale afferente i contratti pubblici, non si rinviene una definizione univoca di “cooptazione”. Ci si può limitare a precisare, infatti, che si tratta di un fenomeno giuridico che implica una peculiare forma di “cooperazione” – più che di “cooptazione”[2] –nell'esecuzione delle prestazioni contrattuali, la cui qualificazione giuridica rimane ancor oggi, a diversi lustri dall’introduzione della fattispecie, oggetto di vivace e articolato dibattito.
Il contesto normativo inerente la “cooptazione” tra imprese nel sistema dei contratti pubblici si caratterizza per una notevole continuità normativa. Introdotto nel mondo dei lavori pubblici in virtù dell’interpretazione pretoria dell’articolo 23, comma 6, del D.lgs. n. 406 del 1991, la cosiddetta associazione per cooptazione veniva concepita allo scopo di far accedere al sistema degli appalti pubblici imprese di modeste dimensioni che altrimenti non vi avrebbero potuto partecipare per mancanza dei requisiti prescritti per costituire un’associazione ordinaria.
La piena positivizzazione dell’istituto trova luce, in prima battuta, nell’ambito dell’articolo 95 – rubricato “Requisiti dell’impresa singola e di quelle riunite” – comma 4 del D.P.R. 554 del 1999[3]. Successivamente, nel 2010, il legislatore – apportandovi marginali alterazioni lessicali – ha confermato la fattispecie con l’articolo 92, comma 5, del D.P.R. 207. La formulazione testuale è stata ulteriormente confermata con l'inclusione dell’istituto nel D.lgs. n. 50 del 2016[4] e, infine, ribadita – mantenendo ancora una volta la propria fisionomia originaria – con il vigente Codice dei contratti pubblici.
Attualmente l’istituto è disciplinato dall’articolo 68, comma 12, del D.lgs n. 36 del 2023, in virtù del quale: “il singolo concorrente, o i concorrenti che intendano costituirsi in raggruppamento temporaneo”, qualora siano in possesso dei requisiti specificati nell'articolo medesimo, hanno la facoltà di “raggruppare altre imprese qualificate anche per categorie e importi diversi da quelli richiesti dal bando”. Tale facoltà è subordinata a due condizioni: in primo luogo, i lavori eseguiti dalle imprese cooptate non devono superare “il venti per cento dell’importo complessivo dei lavori”; in secondo luogo, “l’ammontare complessivo delle qualificazioni possedute da ciascuna deve essere almeno pari all'importo dei lavori che le verranno affidati”.
Orbene, l’intellegibilità della citata normativa svela di per sé la radice del problema interpretativo ad essa sotteso. La prima questione concerne l’ambiguità relativa alla natura giuridica dell'istituto e, nello specifico, resta incerto se la cooptazione configuri una – seppure speciale – fattispecie associativa, in cui l'impresa cooptata – in qualità di mandataria – assume rilevanza già nella fase di partecipazione alla gara, o se, al contrario, essa rilevi esclusivamente nella fase di esecuzione delle prestazioni contrattuali.
Come osservato in dottrina[5], vi sono validi argomenti – sia sotto il profilo letterale che sistematico – a sostegno di entrambe le tesi. Da un lato, si può considerare l'impresa cooptata come partecipante al raggruppamento alla stessa stregua dei partecipanti ordinari, poiché la norma impiega il termine “raggruppare”[6] altre imprese nel descrivere la dinamica del fenomeno in oggetto. Dall'altro lato, valorizzando le prescrizioni recate dalla norma in merito alla fase di esecuzione delle prestazioni contrattuali, l’impresa cooptata sembra configurarsi come una mera esecutrice del contratto, non coinvolta nel processo di aggiudicazione.
È peraltro evidente che accogliere l’una piuttosto che l’altra soluzione determina conseguenze assai rilevanti in punto di sottoscrizione dell’offerta[7], verifica del possesso dei requisiti di partecipazione – di ordine generale[8] e speciale[9] – in capo al concorrente, oltreché in termini di responsabilità[10] dello stesso nell’esecuzione della prestazione affidata. Tale complicazione si riflette nella prassi applicativa e nell’esperienza giurisprudenziale, ove emergono i contrastanti orientamenti interpretativi di seguito sintetizzati.
Secondo un primo e più risalente orientamento giurisprudenziale, la cooptazione costituisce una particolare figura di associazione temporanea di imprese, finalizzata a consentire l’ingresso nel mercato degli appalti pubblici di soggetti di modeste dimensioni. Sicché, come precisato in alcune pronunce, l'impresa cooptata una volta designata nella fase dell’offerta, diverrebbe “parte integrante del raggruppamento temporaneo d’imprese, anche ai fini dell’assolvimento degli oneri di compilazione dell’offerta imposti dal bando di gara e dell’assoggettamento alla verifica del possesso dei requisiti morali”[11]. Trattandosi di una – seppur speciale – forma associativa, non vi sarebbe ragione alcuna “perché l’indicazione, espressa in forma di cooptazione, possa sottrarsi al carattere di predeterminazione e inderogabilità degli elementi costitutivi dell’associazione di imprese ed alle conseguenti dirette assunzioni di impegni, da parte delle imprese stesse, nei confronti della stazione appaltante; così come le prestazioni, che si annunciano affidate alla ditta cooptata, non possono non concorrere al punteggio assegnabile all’offerta tecnica”[12].
In virtù delle descritte premesse concettuali, si è altresì osservato che l’impresa cooptata, pur potendo essere sprovvista dei requisiti speciali richiesti dalla legge di gara, deve comunque avere i requisiti necessari ad eseguire le prestazioni che le vengono affidate, poiché “il diverso ruolo assunto nell’ambito dell’associazione per cooptazione non esonera […] la mandante cooptata dall’obbligo di qualificarsi per la parte di lavori assunta in proprio”[13].
Di contro, ad avviso di un differente indirizzo giurisprudenziale, l'impresa cooptata non partecipa alla gara come parte del raggruppamento temporaneo di imprese, ma interviene soltanto nella fase esecutiva, una volta che il contratto è stato aggiudicato. Pertanto – e “coerentemente con la sua finalità che si colloca al di fuori del vincolo associativo di partecipazione”[14] – il soggetto cooptato non “acquista lo status di concorrente, non assume quote di partecipazione all’appalto, non riveste la posizione di offerente (prima) e di contraente (dopo)”[15], così come – per le enunciate ragioni – “non deve dimostrare il possesso dei requisiti generali”, essendo la commessa di “responsabilità esclusiva del concorrente cooptante, senza alcuna responsabilità della cooptata nei confronti della Stazione appaltante"[16]. L’eventuale clausola di bando che richiedesse all'impresa cooptata di sottoscrivere gli atti di gara, di dimostrare i requisiti generali e di porre in essere tutti gli adempimenti ordinariamente richiesti agli altri componenti del raggruppamento dovrebbe considerarsi illegittima[17]. Per le ragioni di cui dianzi, non sarebbe neppure necessario che il cooptante disponga di una qualifica corrispondente alla propria quota di lavori: essendo un soggetto estraneo alla commessa, sarebbe sufficiente il possesso di un’attestazione SOA, anche diversa per categorie e classifiche da quella richiesta dal bando di gara, purché l'ammontare complessivo sia pari alla quota di lavori affidata[18].
È manifesto, dunque, che la questione non si limita a una dimensione teorica, ma comporta rilevanti implicazioni pratiche: la corretta interpretazione dell'istituto incide non solo sulla verifica dei requisiti in capo ai concorrenti e sulle loro responsabilità nell’esecuzione delle prestazioni affidate, ma anche, più in generale, sulle possibilità di applicazione, più o meno estese, della fattispecie.
La pronuncia annotata, sebbene con specifico riferimento al dibattuto tema dei presupposti soggettivi di applicazione, ha messo in luce un percorso interpretativo funzionale a dirimere il contrasto giurisprudenziale precedentemente delineato. Tale decisione – come preannunciato – individua nei princìpi nomofilattici del “risultato” e dell’“accesso al mercato”, sanciti dal vigente Codice dei contratti pubblici, gli strumenti ermeneutici idonei e necessari a risolvere le incertezze interpretative e a garantire un'applicazione uniforme e coerente delle norme sulla cooptazione.
- La valorizzazione dei princìpi fondamentali del Codice dei contratti pubblici nell’ermeneutica dell’istituto cooptativo secondo il T.A.R. Campania.
Con il D.lgs. n. 36 del 2023, il legislatore ha positivizzato alcuni princìpi fondamentali nel sistema dei contratti pubblici, conferendo loro – come si legge nella Relazione illustrativa al Codice – una “funzione ordinante e nomofilattica” [19]. Questi includono il principio del risultato, il principio della fiducia e il principio dell’accesso al mercato.
Il principio del risultato[20] è declinato come l’interesse pubblico primario del Codice, coincidente non “solo con la legalità indirizzo ma si completa con riferimento al bene della vita al quale si “correla” l’interesse pubblico perseguito dall’amministrazione”[21]. Il principio della fiducia[22] è inteso quale valorizzazione dell’azione legittima, trasparente e corretta delle pubbliche amministrazioni, dei suoi funzionari e degli operatori economici. Il principio dell’accesso al mercato[23] impone alle stazioni appaltanti e agli enti concedenti di garantire pari opportunità di partecipazione agli operatori economici, rispettando i princìpi di correttezza, imparzialità, non discriminazione, pubblicità, trasparenza e proporzionalità.
L’immanenza di tali princìpi[24] emerge nitidamente dall’articolo 4 del predetto corpus normativo – intitolato “Criterio interpretativo e applicativo” – in cui il legislatore ha chiarito che, in caso di incertezze interpretative e applicative, le disposizioni del Codice devono essere interpretate secondo i princìpi di fiducia, risultato e accesso al mercato. Sicché, in caso di dubbio, le soluzioni da privilegiare sono quelle che realizzano il risultato, sono coerenti con la fiducia nell’amministrazione e favoriscono il più ampio accesso al mercato[25].
Come evidenziato in premessa, il Tribunale, chiamato a chiarire se l'istituto della cooptazione possa essere applicato ai consorzi stabili e se l'impresa cooptata sia tenuta a dichiarare il possesso dei requisiti tecnici al pari degli altri partecipanti alla gara, si è avvalso del paradigma pocanzi delineato.
In primo luogo, è stato chiarito che si tratta di “una forma speciale di cooperazione nell’appalto” in cui si consente di coinvolgere imprese già operanti nel settore dei lavori pubblici non nella partecipazione alla procedura di gara, ma nella successiva esecuzione del contratto. Questo coinvolgimento permette alle imprese di ampliare l'ambito categoriale della propria qualificazione e di accedere a sotto-settori di mercato diversi, aumentando così il loro grado di concorrenzialità e la complessiva apertura del mercato.
Il Tribunale ha sottolineato che tale modalità operativa non pregiudica l'esecuzione del contratto e non contrasta con il principio del risultato. Infatti, l'esecuzione “è e resta affidata alla responsabilità esclusiva del concorrente cooptante, senza alcuna responsabilità della cooptata nei confronti della Stazione appaltante”. Questo assicura che l'impresa cooptante mantenga il controllo e la responsabilità completa dell'esecuzione contrattuale, garantendo così l'efficienza e l'efficacia dell'esecuzione stessa. Inoltre, l’impresa cooptata deve comunque possedere una qualificazione “adeguata” alla quota di lavori ad essa affidata. Anche se tale qualificazione non corrisponde esattamente per categoria e classifica a quella richiesta per l'intero appalto, essa risulta comunque conforme al principio del risultato. Questo principio, infatti, richiede che le prestazioni contrattuali siano eseguite in modo efficiente, e la qualificazione adeguata della cooptata assicura che questa condizione sia soddisfatta.
Tale meccanismo – si precisa nella pronuncia – avvantaggia gli operatori economici, i quali, attraverso la cooptazione, possono acquisire una qualificazione aggiuntiva che consentirà loro di partecipare a un maggior numero di procedure. Allo stesso tempo, le stazioni appaltanti potranno beneficiare di un ventaglio più ampio di concorrenti nelle future procedure, “realizzando così un corretto bilanciamento tra il principio del risultato e il principio di accesso al mercato”.
In virtù di tali premesse il Tribunale ha precisato che “non vi sono ragioni per limitare il ricorso alla cooptazione unicamente ai consorzi ordinari e ai raggruppamenti temporanei di imprese”. Vi sarebbero invece solidi motivi per ammettere il ricorso alla cooptazione anche da parte dei consorzi stabili e di ogni concorrente, indipendentemente dalla forma di partecipazione scelta. Infatti, qualora l’ambito di applicazione delle citate disposizioni fosse limitato ai concorrenti che rivestono determinate forme di partecipazione, risulterebbe “irragionevolmente circoscritta l’opportunità di maturare ulteriore qualificazione e altrettanto irragionevolmente compresso l’effetto espansivo del mercato e delle sue opportunità”. Questo risultato sarebbe, peraltro, discriminatorio e sproporzionato: “discriminatorio in quanto volto a distinguere irragionevolmente imprese poste nella medesima condizione unicamente in ragione della natura del concorrente cooptante; sproporzionato in quanto idoneo a precludere l’accesso alla qualificazione per una diversa categoria e quindi a un diverso sotto-settore di mercato, in totale assenza di ragioni di tutela della posizione della Stazione appaltante in termini di corretta esecuzione del contratto”.
Oltre alla delineata operazione ermeneutica, ad avviso del Collegio risulta altresì dirimente considerare l’analisi delle disposizioni riferite alla cooptazione. L'articolo 68, comma 12, citato, e l'articolo 30 dell'allegato II.12 al medesimo testo normativo consentono infatti la cooptazione sia al “concorrente singolo” sia ai “concorrenti che intendono riunirsi in raggruppamento temporaneo”. Ciò implica – ad avviso del Giudice – che possano ricorrere a tale istituto non solo i raggruppamenti temporanei o i consorzi ordinari, come potrebbe suggerire la collocazione sistematica dell'articolo 68 – rubricato “Raggruppamenti temporanei e consorzi ordinari di operatori economici” –, ma anche il “singolo concorrente” tra cui andrebbero annoverati i consorzi stabili[26].
Il riferimento al “singolo concorrente” nel D.lgs. n. 36 del 2023, analogamente alla previgente disciplina, non intende indicare semplicemente l'operatore economico che partecipa individualmente. Piuttosto – puntualizza il Giudice – si riferisce a qualsiasi concorrente “che partecipa in una forma diversa dal raggruppamento temporaneo, non specificata infatti nell’ambito della medesima disposizione”.
Inoltre, l’articolo 68 citato fa costante ed esplicito riferimento, nei singoli commi, ai raggruppamenti e ai consorzi, limitando così chiaramente il campo di applicazione di queste entità. Sicché anche la formulazione generica del comma 12 – recante, per l’appunto, la locuzione “concorrente singolo” – confermerebbe l’ampio ambito di applicazione dell'istituto della cooptazione.
Per tali ragioni – conclude il Tribunale –, se la ragion d’essere dell’articolo 68, comma 12 citato, è quella di “favorire una maggiore presenza di operatori qualificati nei singoli segmenti del mercato dei lavori, si deve ritenere allora che la norma sia focalizzata sull’operatore economico cooptato e sulla sua esigenza di ampliamento delle categorie di qualificazione”. Di conseguenza, risulta indifferente la “natura monosoggettiva o plurisoggettiva del concorrente cooptante”, in quanto estranea al meccanismo articolato dal legislatore in relazione all’obiettivo e non incidente sulla realizzazione dello stesso.
Confermando infine il ruolo meramente “collaborativo” e non “partecipativo” dell’impresa cooptata – la quale non partecipa alla gara come parte di un raggruppamento temporaneo di imprese, ma interviene soltanto nella fase esecutiva – il Giudice ha precisato che la medesima “non era tenuta a dimostrare la sussistenza dei requisiti previsti ai fini della partecipazione, ma solo di quelli riferibili, per ammontare, all’esecuzione della parte di lavori ad essa assegnata (quota di importo sicuramente inferiore a euro 150.000,00)”, censurando in tal senso anche il secondo motivo di esclusione.
- Riflessioni conclusive ed implicazioni sistematiche della pronuncia annotata.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, con la pronuncia annotata, ha messo in luce la funzione nomofilattica dei princìpi di risultato e di accesso al mercato stabiliti dal vigente Codice dei contratti pubblici, precisando come l'istituto della cooptazione debba essere interpretato e applicato. Ciò che assume maggiore importanza, infatti, non è il decisum del Tribunale, quanto il principio di diritto espresso e il percorso argomentativo che ha condotto a tale esito. Su tali aspetti, pertanto, è opportuno formulare alcune considerazioni.
Come dianzi evidenziato, il fulcro della decisione risiede nella seguente statuizione: l’istituto della cooptazione non deve essere limitato esclusivamente ai consorzi ordinari e ai raggruppamenti temporanei di imprese, ma deve trovare applicazione indipendentemente dalla forma di partecipazione adottata dall’operatore economico cooptante. Sul piano soggettivo, quindi, non si debbono ravvisare ostacoli all’estensione della fattispecie in virtù della veste giuridica dell’impresa cooptante.
Dalle premesse di cui pocanzi, il Giudice ha dedotto “che la norma sia focalizzata sull’operatore economico cooptato e sulla sua esigenza di ampliamento delle categorie di qualificazione”; pertanto, il primo postulato rilevante nell'analisi della motivazione della Sentenza è che l’evidenziata ratio della disciplina porta ad affermare che la medesima debba essere interpretata e applicata con riferimento all’esigenza di massima apertura e promozione del mercato.
Con riferimento al principio di cui dianzi, un ulteriore passaggio nella rassegnata motivazione assume preminente interesse. Il Giudice ha precisato infatti che ogni limitazione delle potenzialità applicative dell’istituto debba ritenersi “sproporzionata” in quanto idonea “a precludere l’accesso alla qualificazione per una diversa categoria e quindi a un diverso sotto-settore di mercato, in totale assenza di ragioni di tutela della posizione della Stazione appaltante in termini di corretta esecuzione del contratto”.
Il riferimento al concetto di “proporzionalità” assume un ruolo centrale nella disamina della motivazione. Il Giudice sottende, infatti, che nella valutazione delle suddette disposizioni normative, ogni restrizione all’applicazione dell’istituto debba essere giustificata da ragioni di ordine sostanziale. Ciò si traduce nel seguente postulato: le restrizioni alla massima apertura del mercato nell’applicazione della fattispecie devono trovare fondamento in motivazioni strettamente connesse alla tutela di interessi superiori e alla salvaguardia della corretta esecuzione del contratto.
Come in precedenza evidenziato, infatti, nell’ordinamento dei contratti pubblici il principio di concorrenzialità del mercato – seppure di indubbia rilevanza – non rappresenta una prerogativa esclusiva o assoluta da perseguire attraverso le procedure competitive di selezione del contraente. Come efficacemente affermato, “la concorrenza è uno strumento il cui fine è realizzare al meglio l’obiettivo di un appalto aggiudicato ed eseguito in funzione del preminente interesse della committenza (e della collettività)”[27].
È infatti il “risultato”, declinato nell’interesse pubblico sotteso alla procedura, a rappresentare il fine ultimo perseguito dall’amministrazione con la procedura concorsuale e con l’affidamento del contratto[28]; è dunque solo laddove l’apertura del mercato rechi pregiudizio al “risultato” perseguito, che eventuali limitazioni al principio di concorrenzialità trovano giustificazione.
Su questo punto, il Giudice ha offerto una chiara indicazione, affermando che l’istituto della cooptazione – di per sé – incarna una sintesi equilibrata di tale bilanciamento.
Secondo il Tribunale, sebbene l’istituto della cooptazione deroghi al sistema di certificazione obbligatoria per la partecipazione alle procedure di evidenza pubblica e per l’esecuzione di appalti pubblici, esso non contrasta con il principio del risultato. L’impresa cooptante, che può eseguire fino al venti per cento delle prestazioni contrattuali, deve comunque essere qualificata per legge in una categoria e classifica adeguata, garantendo così il risultato della commessa. Inoltre, il risultato è assicurato dalla posizione di garanzia assunta dal cooptante, che rimane sempre responsabile dell’esecuzione delle prestazioni.
In altri termini, il secondo postulato rilevante nell'analisi della motivazione della Sentenza è che, sebbene l’istituto della cooptazione deroghi al sistema di qualificazione, esso non pregiudica di per sé il risultato perseguito dall’amministrazione e, quindi, non legittima – salvo quanto si dirà appresso – interpretazioni restrittive dei suoi presupposti applicativi.
In virtù di tali premesse, il Giudice ha osservato infatti che la deroga al sistema di attestazione pocanzi descritto risulta in ogni caso proporzionalmente bilanciata dai benefici sottesi all’apertura e alla promozione del mercato. L'istituto della cooptazione permette infatti a operatori economici non qualificati di acquisire titoli utili per qualificarsi e accedere a nuovi settori del mercato come concorrenti principali. In questo modo, viene promosso e incentivato lo sviluppo del tessuto economico-imprenditoriale, incrementando l’intensità della competizione nelle procedure di evidenza pubblica, con conseguenti indubbi benefici per il benessere sociale ed economico derivanti dalla maggiore concorrenza nel settore, realizzando così un corretto bilanciamento tra il principio del risultato e il principio di accesso al mercato.
Posto che l’estensione massima dei presupposti soggettivi e oggettivi di applicazione dell’istituto cooptativo risulta coerente e funzionale alla realizzazione del risultato amministrativo, permettendo al contempo di favorire il più ampio accesso al mercato degli operatori economici, è d’uopo rassegnare alcune riflessioni conclusive evidenziando quando eventuali restrizioni applicative possano dirsi legittime e proporzionate.
Come chiarito, si rammenta a tal proposito che “la concorrenza non è un fine, ma uno strumento, che può [rectius: deve] essere sacrificato se ci sono interessi superiori da realizzare”[29]. Tale principio, positivizzato nel D.lgs. n. 36 del 2023[30], trova evidenza anche nella prassi applicativa e nell’orientamento giurisprudenziale formatosi sotto il regime del previgente Codice, ove sono stati correttamente evidenziati i limiti all’applicazione dell’istituto cooptativo – e quindi alla massima concorrenza nel mercato – proprio nella necessità di garantire interessi superiori da salvaguardare.
Si considerino infatti le decisioni riguardanti le operazioni nei settori ambientali, ove la Magistratura amministrativa ha precisato che il requisito dell’iscrizione all’Albo Nazionale Gestori Ambientali “ha natura strettamente soggettiva e dunque deve essere posseduto personalmente dall’impresa che esegue i lavori, e non può essere sostituito dall’iscrizione dell’impresa cooptante”[31]. Analogamente, l’Autorità Nazionale Anticorruzione ha affermato che “appare difficilmente prospettabile l’applicazione della cooptazione al fine di demandare lavori afferenti ai beni culturali ad imprese prive della necessaria qualificazione”[32], al fine di assicurare la protezione e la salvaguardia dei beni oggetto dell’intervento.
Guidati dai princìpi del vigente Codice dei contratti pubblici, queste considerazioni forniscono le coordinate interpretative entro cui si colloca la Sentenza annotata, e attraverso le quali è possibile ricostruire i presupposti applicativi della controversa fattispecie in esame. In virtù di tali princìpi, appare corretto affermare – riprendendo l’espressione del Tribunale – che qualsiasi restrizione all’ambito applicativo della cooptazione deve essere considerata “discriminatoria” e “sproporzionata” se non giustificata dall’esigenza di garantire il risultato amministrativo, inteso come l’interesse pubblico che costituisce il fine ultimo della procedura di affidamento del contratto.
[1] È d’uopo da subito evidenziare che la disciplina afferente i Raggruppamenti Temporanei di Imprese si applica anche ai consorzi ordinari di concorrenti costituiti ai sensi degli articoli 2602 ss. c.c. poiché questi ultimi, similmente ai RTI, “sono caratterizzati da finalità aggregative occasionali tra più imprese per un’unica gara; per questo motivo, i due strumenti vengono sostanzialmente equiparati ed ai secondi viene estesa la medesima disciplina prevista per le associazioni temporanee di imprese, con la precisazione che, agendo il consorzio attraverso i propri organi istituzionali, a tale istituto non si applica la normativa sul conferimento del mandato collettivo con rappresentanza alla mandataria capogruppo che è, invece, elemento centrale della disciplina del RTI”. Così A. Codari, Requisiti di partecipazione, in Codice dei contratti pubblici, a cura di L. R. Perfetti, IPSOA, 2023, pag. 495.
[2] In dottrina si è osservato che “il termine “cooptazione”: nel senso generalmente attribuito al termine, ossia quello di “eleggere un nuovo membro” di un corpo collegiale, si ha […] che il cooptato viene attratto nella medesima dimensione ontologica del cooptante”. Così S. Dettori, La cooptazione nel sistema degli appalti pubblici: qualche punto critico di riflessione, Il Diritto Amministrativo, 2018.
[3] Il comma 4 del D.P.R. n. 554 del 1999 disponeva che: “Se l'impresa singola o le imprese che intendano riunirsi in associazione temporanea hanno i requisiti di cui al presente articolo, possono associare altre imprese qualificate anche per categorie ed importi diversi da quelli richiesti nel bando, a condizione che i lavori eseguiti da queste ultime non superino il 20 per cento dell'importo complessivo dei lavori e che l'ammontare complessivo delle qualificazioni possedute da ciascuna sia almeno pari all'importo dei lavori che saranno ad essa affidati”
[4] Cfr. articolo 216, comma 14, del D.lgs n. 50 del 2016.
[5] Cfr. S. Dettori, La cooptazione nel sistema degli appalti pubblici: qualche punto critico di riflessione, op. cit.; P. Carbone, L’impresa cooptata alla ricerca di una identità (considerazioni su una giurisprudenza ondivaga), Rivista Trimestrale degli Appalti, fasc. 3/2015, pag. 445.
[6] Nel contesto del sistema dei contratti pubblici il raggruppamento può essere inteso come l’insieme degli operatori economici che, pur potendo mantenere le proprie peculiarità, decidono di presentare un’unica offerta e si impegnano in caso di aggiudicazione ad eseguire congiuntamente l’appalto. In dottrina G. Giovannini, I soggetti del contratto d’appalto: l’appaltatore, in L’appalto di opere pubbliche, a cura di A. Cianflone – V. Lopilato, XIII Edizione, 2018, Tomo I, pag. 521.
[7] Sui vizi di sottoscrizione dell’offerta, specie nei costituendi RTI, non si riscontra un orientamento giurisprudenziale univoco. Si delineano due indirizzi: il primo sostiene che la sottoscrizione, essendo strumento di certificazione della provenienza e fonte di vincolo per il proponente, se mancante, comporta l’invalidità e l’irricevibilità dell’offerta, non sanabile tramite soccorso istruttorio (cfr. Cons. Stato, Sez. V, Sent. n. 11091 del 2022; Cons. Stato, Sez. IV, Sent. n. 9165 del 2022; TAR Lazio, Sez. III, Sent. n. 648 del 2022). Il secondo orientamento afferma che i vizi di sottoscrizione rilevano solo se generano incertezza assoluta sul contenuto o la provenienza dell’offerta; altrimenti, un’esclusione risulterebbe illegittima (cfr. TAR Piemonte, Sez. I, Sent. n. 651 del 2023; Cons. Stato, Sez. V, Sent. n. 3973 del 2020; cfr. altresì il parere di precontenzioso approvato dall’ANAC con Deliberazione n. 420 del 2019).
[8] L’articolo 68, comma 13, del D.lgs. n. 36 del 2023, in continuità con il regime disposto dal previgente D.lgs. n. 50 del 2016, prescrive che i partecipanti al raggruppamento debbano possedere i requisiti generali di cui agli articoli 94 e 95 del medesimo Codice. In dottrina cfr. R. Greco, Requisiti generali, in Trattato sui contratti pubblici, diretto da Sandulli – De Nictolis, Edizione II, Giuffrè, 2019, pag. 755.
[9] L’articolo 68, comma 11, del D.lgs. n. 36 del 2023 stabilisce che i raggruppamenti temporanei sono ammessi se gli imprenditori partecipanti al raggruppamento abbiano complessivamente i requisiti relativi alla capacità economica e finanziaria e alle capacità tecniche e professionali, ferma restando la necessità che l’esecutore sia in possesso dei requisiti prescritti per l’esecuzione.
[10] Se ai sensi dell’articolo 48 del D.lgs. n. 50 del 2016 la responsabilità nei confronti della stazione appaltante era limitata alla quota di lavori posseduta da ciascuna impresa raggruppata, l’assetto normativo vigente delinea invece una responsabilità generale. Infatti, ai sensi del comma 9 dell’articolo 68 del D.lgs. n. 36 del 2023 “l’offerta degli operatori raggruppati […] determina la lora responsabilità solidale nei confronti della stazione appaltante, nonché nei confronti del subappaltatore o dei fornitori”.
[11] T.A.R. Puglia, Bari, Sent. n. 1812 del 2012; in senso analogo Cons. Stato, Sez. VI, n. 5626 del 2009.
[12] T.A.R. Campania, Salerno, Sent. n. 2517 del 2013.
[13] Cons. Stato, Sez. V, Sent. n. 1328 del 2020.
[14] Cons. Stato, Sez. V, Sent. n. 742 del 2024. Cfr. inoltre Cons. Stato, Sez. V, Sent. n. 3623 del 2018.
[15] Cons. Stato, Sez. V, Sent. n. 1492 del 2016. Cfr. in senso analogo T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, Sent. n. 6922 del 2016.
[16] T.A.R. Campania – Salerno, Sezione Prima, Sent. n. 1267 del 2024. In senso contrario in dottrina G. Giovannini, I soggetti del contratto d’appalto: l’appaltatore, in L’appalto di opere pubbliche, a cura di A. Cianflone – G. Giovannini, XIV Edizione, 2021, Tomo I, pag. 556. L’Autore osserva che: “Pur nel silenzio delle norme è da ritenere che sull’impresa associata faccia carico la responsabilità dei soli lavori da essa assunti, ferma la responsabilità solidale dell’impresa singola ovvero di tutte le imprese riunite in caso di riunione orizzontale o della capogruppo in caso di riunione verticale […]”.
[17] Cfr. T.A.R. Bolzano, Sent. n. 354 del 2016.
[18] Cfr. Cons. Stato, Sez. V, Sent. n. 742 del 2024; Cons. Stato, Sez. V, Sent. n. 1328 del 2020; Cons. Stato, Sez. V, Sent. n. 6636 del 2018; Cons. Stato, Sez. V, Sent. n. 3036 del 2017.
[19] Relazione illustrativa al Codice dei contratti pubblici del Consiglio di Stato, Roma, 7 dicembre 2022, pag. 11.
[20] Cfr. articolo 1, D.lgs. n. 36 del 2023.
[21] V. Lopilato, Manuale di diritto amministrativo, Volume II, Giappichelli, 2024, pag. 1109.
[22] Cfr. articolo 2, D.lgs. n. 36 del 2023.
[23] Cfr. articolo 3, D.lgs. n. 36 del 2023.
[24] Come precisato nella Relazione illustrativa al Codice dei contratti pubblici, tali princìpi esprimono valori e criteri di valutazione immanenti all'ordine giuridico, fungendo da “memoria del tutto” che le singole disposizioni non possono cogliere appieno. Essi prevalgono per contenuto deontologico rispetto alle singole norme, costituendo il fondamento giuridico della disciplina e avendo una funzione “nomogenetica” rispetto ad esse.
[25] Leggesi nella Relazione illustrativa al Codice dei contratti pubblici, pag. 15, che la disposizione “stabilisce un chiaro criterio interpretativo e applicativo, in forza del quale […] le disposizioni del codice si interpretano e si applicano in base ai principi della fiducia, del risultato e dell’accesso al mercato”. “Nel dubbio, quindi, la soluzione ermeneutica da privilegiare è quella che sia funzionale a realizzare il risultato amministrativo, che sia coerente con la fiducia nell’amministrazione, sui suoi funzionari e sugli operatori economici e che permetta di favorire il più ampio accesso al mercato degli operatori economici”.
[26] L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la Sentenza del 18 marzo 2021, n. 5, ha chiarito la differenza tra il consorzio ordinario e il consorzio stabile. Il consorzio ordinario coordina le azioni degli imprenditori riuniti senza assorbirli in un organismo unitario costituente un’impresa collettiva. Nei consorzi con attività esterna, l’organizzazione svolge in comune alcune funzioni (es. acquisto di beni, distribuzione, pubblicità) senza avere una propria realtà aziendale. Ai fini della disciplina dei contratti pubblici, il consorzio ordinario è un soggetto con identità plurisoggettiva, operando come mandatario delle imprese consorziate e qualificandosi attraverso di esse. Sicché il consorzio stabile, dotato di personalità giuridica, costituisce un’autonoma struttura consortile e il rapporto con le consorziate è simile a quello tra società commerciale e socio, con una completa autonomia. Più di recente in giurisprudenza cfr. Cons. Stato, Sez. V, Sent. n. 8866 del 2022; Cons. Stato, Sez. V, Sent. n. 11439 del 2022.
[27] Relazione illustrativa al Codice dei contratti pubblici del Consiglio di Stato, op. cit., pag. 11.
[28] Come osservato in dottrina, pare corretto correlare il principiodi risultato con l’interesse pubblico sotteso all’affidamento del contratto in quanto “dall’analisi della nuova normativa sembra che il risultato non coincida “solo con la legalità indirizzo ma si completa con riferimento al bene della vita al quale si “correla” l’interesse pubblico perseguito dall’amministrazione”. Così V. Lopilato, Manuale di diritto amministrativo, op. cit. p. 1109. Di recente il T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. III, Sent. n. 2096 del 2024 ha precisato che: “il principio del risultato, in base al quale la tutela della concorrenza e del mercato non deve trasmodare in un pregiudizio per la causa finale e per l’oggetto diretto e principale della tutela approntata dalla disciplina di settore, è stato reso esplicito dal nuovo codice dei contratti pubblici ma costituisce un principio già immanente nel sistema, suscettibile di trovare piena applicazione anche con riguardo alle procedure di gara anteriori all’entrata in vigore del d.lgs. 36 del 2023”.
[29] Relazione illustrativa al Codice dei contratti pubblici del Consiglio di Stato, op. cit., pag. 12. In dottrina, tra gli altri, F. Trimarchi Banfi, Lezioni di diritto pubblico dell’economia, Giappichelli, Torino, 2021, pag. 3. L’Autrice ha precisato che: “Nel caso del principio di concorrenza la coesistenza con altri principi si pone in termini differenti da quelli usuali, poiché il principio in questione è principio di procedura: esso riguarda la modalità dell’azione, non gli scopi ultimi di questa; […] Questo particolare rapporto – che si ricava sul piano logico, anche in assenza di espressi enunciati normativi – è esplicitato dal trattato dell’Unione Europea che, pur impegnando gli Stati a realizzare un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza, ammette che alle regole che derivano si possa derogare quando ciò sia necessario per realizzare scopi di interesse generale (art. 106 TFUE). […] Si può quindi concludere che il principio (procedurale-strumentale) di concorrenza trova attuazione subordinatamente ai principi (sostanziali) che riguardano la promozione e la difesa della salute, della sicurezza e della dignità della persona, la conservazione dell’ambiente e, in generale, gli interessi dei singoli e della collettività che sono protetti dalla Costituzione e dal diritto dell’Unione Europea”. Nel senso di considerare la concorrenza come un “bene giuridico strumentale” si veda inoltre M. Libertini, Diritto della concorrenza dell’Unione Europea, Giuffrè, 2014, pag. 511 e sg.
[30] Il comma 2 dell’articolo 1 del D.lgs. n. 36 del 2023 esprime chiaramente che “La concorrenza tra gli operatori economici è funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell’affidare ed eseguire il contratto.”
[31] T.A.R. Veneto, Sez. I, Sent. n. 910 del 2023. Orientamento confermato in appello da Cons. Stato, Sez. V, Sent. n. 742 del 2024.
[32] Delibera ANAC n. 844 del 21 ottobre 2020.