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Anno XVI - n. 11 - Novembre 2024

  Giurisprudenza Amministrativa



La compatibilità urbanistica ed edilizia dell’intervento quale presupposto della PAS.

Di Laura Pergolizzi
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NOTA A CONSIGLIO DI STATO - SEZIONE SECONDA

SENTENZA 3 novembre 2021, n. 7357

 

La compatibilità urbanistica ed edilizia dell’intervento quale presupposto della PAS

 

Di LAURA PERGOLIZZI

 

Il Consiglio di Stato con la sentenza in commento ha affermato che presupposto indispensabile per l’assentibilità dell’impianto a mezzo procedura abilitativa semplificata “PAS” è la compatibilità urbanistica ed edilizia dell’intervento, la cui verifica in concreto è demandata al Comune che è titolare di poteri di controllo, di poteri inibitori e di poteri conformativi.

 

  1. La questione 2. Le procedure autorizzative per la realizzazione degli impianti a fonti rinnovabili. I principi fondamentali della materia dell'energia.  3. La Procedura Abilitativa Semplificata “PAS” 4. Le novità introdotte dal Decreto Semplificazioni bis  5. La compatibilità urbanistica ed edilizia dell’intervento.

 

  1. La questione

La questione esaminata ha ad oggetto il diniego da parte del Comune di Terranuova Bracciolini di una procedura abilitativa semplificata “PAS” per la realizzazione di un impianto per la produzione di energia da fonti rinnovabili a biomassa in assetto cogenerativo.

Gli appellanti avevano presentato richiesta di PAS per sostituire un impianto termico alimentato a olio combustibile, funzionale al riscaldamento delle serre di proprietà dell'azienda agricola Nocentini Mario, con quattro impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili che avrebbero prodotto calore ed energia termica per il riscaldamento e il funzionamento delle serre, oltre ad ulteriore energia elettrica che sarebbe stata ceduta a ENEL. Con tale intervento, l'azienda agricola avrebbe potuto azzerare i costi per la produzione di calore e le imprese costruttrici degli impianti, grazie ai contributi statali previsti, avrebbero potuto recuperare gli investimenti effettuati e conseguire un profitto.

L’intervento ricadeva nella sottozona FAC1 per la quale il Regolamento urbanistico del Comune (art 73) sancisce che ogni nuovo intervento edificatorio sia subordinato alla preventiva approvazione di un accordo di pianificazione tra Regione, Provincia e Comune, mentre per gli edifici già compresi all'interno dell'area sono ammessi esclusivamente interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria e di restauro conservativo.

La richiesta di PAS veniva presentata sul presupposto di ammissibilità dell’intervento perché l’art 7.3.2 del Regolamento edilizio qualifica espressamente come manutenzione straordinaria "l'installazione di impianti relativi alle fonti rinnovabili di energia".

Il Comune, all’esito della conferenza di servizi all’uopo convocata, ordinava di non procedere all'intervento, in quanto non riconducibile né assimilabile alla manutenzione straordinaria, comportando una alterazione di volumi e superfici della singola unità immobiliare.

Avverso il provvedimento di diniego il Sig. NXXXXX e le società costruttrici dell’impianto proponevano ricorso al TAR Toscana che, con sentenza n. 26/2014, lo respingeva, con compensazione delle spese, rilevando l’impossibilità di qualificare l’intervento come manutenzione straordinaria, non determinando la creazione di un mero volume tecnico.

Il Consiglio di Stato con la sentenza in commento ha respinto l’appello avverso la sentenza del TAR Toscana n. 26/2014 che aveva riconosciuto legittimo il diniego, affermando che l’accesso alla procedura semplificata è condizionata dalla conformità urbanistica del progetto che fonda e giustifica la duplice semplificazione, sia procedimentale, a mezzo di conferenza di servizi, sia provvedimentale con la formazione del silenzio assenso.

Ha chiarito, altresì, il Collegio che la compatibilità urbanistica dell’intervento da realizzare non può essere desunta in via automatica e presuntiva dall’individuazione regionale di siti non idonei agli impianti, sulla base della previsione dell’art. 17 D.M. 17.09.2010.

 

  1. Le procedure autorizzative per la realizzazione degli impianti da fonti rinnovabili. I principi fondamentali della materia dell'energia.  

La produzione di energia da fonti rinnovabili è un'attività libera, soggetta ad una procedura autorizzativa.

In Italia in materia di energia, sulla base della legge costituzionale n. 3/2001, che ha modificato il Titolo V della Costituzione, Stato e Regioni concorrono nell’elaborazione della normativa di riferimento. Nello specifico, lo Stato determina i principi fondamentali, le Regioni e le Province Autonome legiferano nel rispetto degli indirizzi statali.

Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale, la disciplina del regime abilitativo degli impianti di energia da fonti rinnovabili rientra, oltre che nella materia “tutela dell'ambiente”[1] anche nella competenza legislativa concorrente, in quanto riconducibile a “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia”[2]  di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. i cui principi fondamentali sono contenuti nelle norme del D.lgs n. 387 del 2003, nelle “Linee guida” di cui al D.M. 10 settembre 2010 e nel D.lgs. n. 28/2011.

Gli evocati principi fondamentali sarebbero desumibili innanzitutto dalle previsioni dell'art. 12, comma 10, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, che demanda la disciplina tecnica per l'autorizzazione degli impianti da fonti rinnovabili a «linee guida» da approvare in sede di Conferenza unificata e da adottare con decreto ministeriale, prescrivendo che esse siano «volte, in particolare, ad assicurare un corretto inserimento degli impianti, con specifico riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio», e che le regioni, dandovi attuazione, possano procedere «alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti»

Le Linee Guida di cui al D.M. 10 settembre 2010 [3], emanate in attuazione dell'art. 12, comma 10, del D.lgs. n. 387/2003, sono finalizzate ad armonizzare gli iter procedurali regionali per l'autorizzazione degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti energetiche rinnovabili (FER). La loro vincolatività è confermata anche dal fatto che esse sono state adottate in sede di Conferenza unificata, in ragione degli ambiti materiali che vengono in rilievo, e quindi nel rispetto del principio di leale collaborazione tra Stato e regioni [4].

Pertanto, il legislatore statale attraverso la disciplina delle procedure per l'autorizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, ha introdotto princìpi che non tollerano eccezioni sull'intero territorio nazionale e il cui rispetto si impone anche al legislatore regionale[5].

Da tali imprescindibili premesse prende le mosse la sentenza in commento.

Preliminarmente all’esame delle conclusioni cui è pervenuto il Consiglio di Stato appare opportuna una disamina della normativa di riferimento.

Con il D.lgs 387 del 2003, che ha fissato le principali misure nazionali per promuovere l’aumento del consumo di elettricità da fonti rinnovabili, l’ordinamento nazionale ha recepito la Direttiva europea 2001/77/CE che aveva affermato il principio di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili [6].

Con il successivo Decreto Legislativo 28/2011 è stata recepita la Direttiva europea 2009/28/CE - recante modifica e abrogazione della Direttiva 2001/77/CE -  che al fine di favorire lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili, ha richiesto agli Stati Membri di far sì che le procedure autorizzative siano proporzionate e necessarie, nonché semplificate e accelerate al livello amministrativo adeguato.

Il Decreto Legislativo 28/2011 coerentemente all’intento della Direttiva ha ridefinito l'intero quadro delle autorizzazioni in Italia, introducendo misure di semplificazione e razionalizzazione dei procedimenti amministrativi per la realizzazione degli impianti da fonti rinnovabili, sia per la produzione di energia elettrica che per la produzione di energia termica.

L’articolo 4, al fine di promuovere procedure autorizzative proporzionate e semplificate, stabilisce che al fine di favorire lo sviluppo delle fonti rinnovabili e il conseguimento, nel rispetto del principio di leale collaborazione fra Stato e Regioni, degli obiettivi di cui all'articolo 3[7], la costruzione e l'esercizio di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili sono disciplinati secondo speciali procedure amministrative semplificate, accelerate, proporzionate e adeguate, sulla base delle specifiche caratteristiche di ogni singola applicazione.

Dunque l'attività di costruzione ed esercizio di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili è regolata, secondo un criterio di proporzionalità:

  1. dall'autorizzazione unica (AU) di cui all'articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, come modificato dall'articolo 5 del Dlgs 28/2011, per la realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da FER, al di sopra di prefissate soglie di potenza indicate nell’Allegato A di cui al D.lgs 387/2003.[8] 
  2. dalla Procedura Abilitativa Semplificata (PAS) introdotta dall’articolo 6 del D.Lgs. del 3 marzo 2011 n. 28 in sostituzione della Denuncia di Inizio Attività (DIA) utilizzabile per la realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da FER al di sotto di prefissate soglie di potenza indicate nell’Allegato A di cui al D.lgs 387/2003.
  3. dalla Comunicazione al Comune quale adempimento previsto per semplificare l'iter autorizzativo di alcune tipologie di piccoli impianti per la produzione di energia elettrica, calore e freddo da FER, assimilabili ad attività edilizia libera.[9]

 

  1. La Procedura Abilitativa Semplificata “PAS”

La PAS, letteralmente “Procedura Abilitativa Semplificata”, è disciplinata dall’articolo 6 del dal D.Lgs. 28/2011.

Il proprietario dell'immobile o chi abbia la disponibilità sugli immobili interessati dall'impianto e dalle opere connesse presenta al Comune, mediante mezzo cartaceo o in via telematica, almeno trenta giorni prima dell'effettivo inizio dei lavori, una dichiarazione accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che attesti la compatibilità del progetto con gli strumenti urbanistici approvati e i regolamenti edilizi vigenti e la non contrarietà agli strumenti urbanistici adottati, nonche' il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie. Alla dichiarazione sono allegati gli elaborati tecnici per la connessione redatti dal gestore della rete.

Il Comune, ove entro il termine indicato al comma 2, abbia riscontrato l'assenza di una o più delle condizioni stabilite al medesimo comma, notifica all'interessato l'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento. E’ comunque salva la facoltà dell’interessato di ripresentare la dichiarazione, con le modifiche o le integrazioni necessarie per renderla conforme alla normativa urbanistica ed edilizia.

La celerità della procedura per la PAS è garantita dal meccanismo del silenzio assenso.

Se il Comune non procede al diniego per l’assenza delle condizioni previste, decorso il termine di trenta giorni dalla data di ricezione della dichiarazione di cui comma 2, l'attività di costruzione deve ritenersi assentita.

In altri termini trascorso il termine di 30 giorni dalla presentazione della PAS senza riscontri o notifiche da parte del Comune è possibile iniziare i lavori.

L’applicazione della procedura semplificata attiene alla realizzazione di impianti eolici e fotovoltaici solo se l'impianto produce una potenza nominale complessiva non superiore a 1 MW (potenza ora elevata a 10 MW dal decreto semplificazioni bis di cui si dirà appresso).

Possono essere inoltre sottoposte a PAS gli interventi di modifica diversi dalla modifica sostanziale, anche relativi a progetti autorizzati e non ancora realizzati[10].

L’estensione di tale procedura anche alle modifiche non sostanziali ha ingenerato un acceso dibattito in ordine alla facoltà delle Regioni di introdurre delle deroghe nel ricorso alla PAS.

La giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che ai sensi dell'art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2011, per le modifiche sostanziali, occorre l'AU; per le modifiche non sostanziali, è sufficiente la PAS. Le modifiche non sostanziali degli impianti assentiti con procedure semplificate non possono sottoporsi alla PAS se, come effetto dell'intervento, si ottiene un impianto di potenza superiore a 1 MW.  Ciò in quanto ai sensi dell'art. 6 d.lgs. n. 28 del 2011, le Regioni possono assentire alla realizzazione di impianti eolici e fotovoltaici con PAS solo se l'impianto produce una potenza nominale complessiva non superiore a 1 MW[11].

 

  1. Le novità introdotte dal Decreto Semplificazioni bis

Il recentissimo Decreto Legge 77/2021 “c.d. Decreto Semplificazione bis”, come convertito con Legge 108/2021, ha introdotto alcune modifiche all’art 6 del Dlgs 28/2011 al dichiarato scopo di garantire “l’accelerazione” delle procedure autorizzative per le fonti rinnovabili”.

In particolare l’art. 31 del DL 77/2021 ha previsto l’applicazione della procedura abilitativa semplificata (PAS) agli impianti fotovoltaici di potenza fino a 10 MW, contestualmente elevando da 1 MW a 10 MW la soglia di non assoggettabilità a VIA regionale per gli impianti che non ricadono nelle aree elencate e individuate dall’Allegato 3, lettera f) del D.M. 10 settembre 2010.

La legge 108/2021 di conversione del Decreto Semplificazione bis ha inoltre esteso la procedura abilitativa semplificata innalzando ulteriormente la soglia di potenza degli impianti fotovoltaici da 10 MW a 20 MW.

E precisamente il comma 2 dell’art 31 testualmente dispone: viene inserito nell’ambito dell’art. 6 d.lgs. n. 28 del 2011 il comma 9-bis che prevede che si applichino le disposizioni del comma 1 – cioè la Procedura Abilitativa Semplificata (PAS) – anche per “l’attività di costruzione ed esercizio di impianti fotovoltaici di potenza sino a 20 MW connessi alla rete elettrica di media tensione. Tali impianti devono essere localizzati in area a destinazione industriale, produttiva o commerciale nonché in discariche o lotti di discarica chiusi e ripristinati ovvero in cave o lotti di cave non suscettibili di ulteriore sfruttamento, per i quali l’autorità competente al rilascio dell’autorizzazione abbia attestato l’avvenuto completamento delle attività di recupero e di ripristino ambientale previste nel titolo autorizzatorio nel rispetto delle norme regionali vigenti”.

La norma ha previsto tuttavia una differenziazione a seconda della potenza dell’impianto (10 MW o 20 MW) in ordine alle autorizzazioni ambientali.

L’art 31 del DL 77/2021 ha infatti introdotto con il comma 6 una modifica all’Allegato II alla Parte Seconda del d.lgs. 152/2006, stabilendo che gli impianti fotovoltaici di potenza superiore a 10MW sono assoggettati alla VIA di competenza statale, come già gli impianti eolici di potenza superiore a 30MW. Gli impianti fotovoltaici di potenza compresa fra 1 e 10MW (ad eccezione di quelli ubicati in aree produttive, industriali o commerciali) restano assoggettati a verifica di assoggettabilità di competenza regionale[12]

In altri termini alla luce delle modifiche intervenute solo gli impianti di potenza fino a 10MW ubicati in aree produttive, industriali o commerciali sono esclusi dalle verifiche di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale.

La procedura abilitativa semplificata di cui all’articolo 6 del D.lgs. n. 28/2011 si applica anche alle varianti non sostanziali da apportare a progetti ancora non realizzati (oltre a quelli esistenti), fatta salva l’acquisizione degli eventuali e necessari atti di assenso da parte delle amministrazioni interessate e gli adempimenti procedurali in materia di verifica di esclusione da VIA o VIA, come prescritti dal D.lgs. n. 152/2006. E’ stata infatti innovata complessivamente la disciplina autorizzativa in materia di varianti ad impianti esistenti e a progetto, attraverso la sostituzione del comma 3 dell’articolo 5 e l’introduzione di un nuovo articolo, il 6 -bis intitolato “Dichiarazione di inizio lavori asseverata”. Per effetto delle innovazioni complessivamente introdotte, agli strumenti autorizzativi già esistenti in materia di varianti (Autorizzazione Unica per le varianti sostanziali e Procedura Abilitativa Semplificata per le varianti non sostanziali), si aggiungono (i) la comunicazione di attività di edilizia libera limitatamente a taluni interventi di carattere non sostanziale su impianti fotovoltaici e idroelettrici e (ii) la dichiarazione di inizio lavori asseverata, mutuata dalla disciplina edilizia in materia di CILA, utilizzabile per assentire alcuni circoscritti interventi di modifica ritenuti a bassissimo o nullo impatto ambientale e senza effetti di natura urbanistica, nonché per autorizzare ex novo impianti fotovoltaici su edifici a uso produttivo e comunque al di fuori dei centri storici.

Di tali novità normative non si occupa la sentenza in esame ma le stesse completano ed esauriscono la premessa ricognitiva.

 

  1. Il presupposto della compatibilità urbanistica ed edilizia dell’intervento

La sentenza del Consiglio di Stato muove dalle pronunce della Corte Costituzionale che, come argomentato, in molteplici occasioni hanno sancito e ribadito l’inderogabilità delle norme statali che fissano i principi applicabili alle procedure autorizzative per la realizzazione degli impianti da fonti rinnovabili. 

La Corte Costituzione con recentissima pronuncia[13] ha confermato l’orientamento consolidato secondo cui i princìpi statali non tollerano eccezioni sull'intero territorio nazionale e non potrebbero subire deroghe ad opera delle leggi regionali «per il necessario rispetto dei canoni di proporzionalità e di adeguatezza (art. 4 d.lgs. 28/2011) nonché di esigenze di celerità e soprattutto di omogeneità sull'intero territorio nazionale». I regimi abilitativi per la costruzione degli impianti di energia da fonti rinnovabili, dunque, non potrebbero che essere gli stessi in tutto il Paese, anche perché, altrimenti, si produrrebbe una ingiustificata discriminazione tra le iniziative economiche nelle diverse Regioni.

Il Consiglio di Stato afferma che la definizione delle categorie di interventi edilizi a cui si collega il regime dei titoli abilitativi, costituisce principio fondamentale della materia concorrente del «governo del territorio» e vincola la legislazione regionale di dettaglio.

Ne deriva che, pur non essendo precluso al legislatore regionale di esemplificare gli interventi edilizi che rientrano nelle definizioni statali, tale esemplificazione, per essere costituzionalmente legittima, deve essere coerente con le definizioni contenute nel testo unico dell’edilizia.

Tale esigenza di uniformità sarebbe - avviso del Consiglio di Stato - gravemente pregiudicata laddove fosse consentito al regolamento edilizio comunale disciplinare le categorie di intervento in contrasto sia con la legge regionale che con quella nazionale.

La circostanza che il Regolamento edilizio del Comune di Terranova Bracciolini qualifichi  espressamente come manutenzione straordinaria "l'installazione di impianti relativi alle fonti rinnovabili di energia" non può che essere intesa quale mera specificazione di una particolare tipologia di interventi (impianti da fonti rinnovabili), riconducibili alla manutenzione straordinaria disciplinata dall’art. 3, comma 1, lett b) d.p.r. 380.

La norma individua infatti quali "interventi di manutenzione straordinaria", le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino mutamenti urbanisticamente rilevanti delle destinazioni d’uso implicanti incremento del carico urbanistico[14].

In applicazione di tali prescrizioni il Consiglio di Stato ritiene che la realizzazione di centrali alimentate a biomasse costituisce un intervento di manutenzione straordinaria a condizione che non alteri i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comporti modifiche delle destinazioni di uso.

Accertato invece che l’impianto in questione presenta caratteristiche strutturali e funzionali incompatibili con le specifiche previsioni dell’art 3, comma 1, lett b) d.p.r. 380/2001, il Consiglio di Stato afferma la legittimità del diniego del Comune al ricorso alla PAS. Rilevando a tal fine che l’effetto della PAS non può essere quello di consentire l’intervento in deroga agli strumenti urbanistici, perchè è proprio la compatibilità urbanistico-edilizia del progetto a costituire il presupposto per la legittima realizzazione a mezzo di procedura semplificata.

Sottolinea inoltre la indiscutibile distinzione della PAS dall’autorizzazione unica, prevista dall’art 12 d. lgs 29/12/2003, n. 387, alla quale non può essere assimilata in quanto solo quest’ultima può costituire, ove occorra, variante allo strumento urbanistico.

Il Consiglio di Stato si pronuncia infine, escludendola, sulla possibilità di una compatibilità urbanistica dell’intervento, in via presuntiva, in ragione della facoltà delle Regioni di procedere all’indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di impianti da fonti rinnovabili.

Sull’intervento del legislatore regionale previsto dall’art 17 delle Linee Guida di cui al D.M del 10 settembre 2010, il Collegio aderisce all’orientamento della giurisprudenza costituzionale.

La Corte costituzionale aveva chiarito che le citate Linee Guida sono atti di normazione secondaria che, in settori squisitamente tecnici, completano la normativa primaria, sicché «rappresentano un corpo unico con la disposizione legislativa che li prevede e che ad essi affida il compito di individuare le specifiche tecniche che mal si conciliano con il contenuto di un atto legislativo e che necessitano di applicazione uniforme in tutto il territorio nazionale»[15].

Alle Regioni è consentito soltanto di individuare, caso per caso, aree e siti non idonei, avendo specifico riguardo alle diverse fonti e alle diverse taglie di impianto, in via di eccezione e solo qualora ciò sia necessario per proteggere interessi costituzionalmente rilevanti[16], all'esito di un procedimento amministrativo nel cui ambito deve avvenire la valutazione sincronica di tutti gli interessi pubblici coinvolti e meritevoli di tutela, come prevede il paragrafo 17.1 delle Linee guida[17].

Il margine di intervento riconosciuto al legislatore regionale per individuare le aree e i siti non idonei non permette invece che le Regioni prescrivano limiti generali inderogabili, valevoli sull'intero territorio regionale, perché ciò contrasterebbe con il principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, stabilito dal legislatore statale in conformità alla normativa dell'Unione europea[18].

Sulla base di tali argomentazioni il Consiglio di Stato precisa che l’individuazione regionale di siti non idonei agli impianti, sulla base della previsione dell’art. 17 d.m. 17.09.2010, non ha l’effetto di determinare, in via automatica e presuntiva, la compatibilità urbanistica dell’intervento da realizzare nei siti esclusi dal piano regionale.

La funzione del piano regionale, infatti, non è quella di predeterminare l’idoneità, sul piano generale e a prescindere dalla compatibilità urbanistico-edilizia, di tutti i siti non esclusi, ma è quella, più limitata, di offrire agli operatori un quadro certo e chiaro di riferimento e orientamento per la localizzazione dei progetti.

In definitiva il legislatore nazionale ha introdotto la procedura abilitativa semplificata di cui all’art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011, collocando la potestà amministrativa in capo al Comune, anziché alla Regione, ed esigendo che la dichiarazione del privato attesti la compatibilità urbanistica del progetto.

L’obiettivo di dare vita ad un largo numero di impianti da fonti rinnovabili, posto dal D.lgs all’atto del recepimento della Direttiva e da ultimo ribadito nel Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima [19], che è essenziale per raggiungere la quota assegnata dalla UE a ciascun Stato membro, non deroga ai principi fondamentali in materia di energia e non  assorbe ogni altro interesse costituzionalmente rilevante, sicché la stessa procedura semplificata esige che l’impatto sul territorio sia compatibile con il valore primario della tutela ambientale e paesaggistica in conformità alle indicazioni del diritto dell’Unione.

 

 

 

 

[1] Sul punto Corte cost., sentenze nn. 14 e 177/2018.  Sulla potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente, ai sensi dell'art. 117, comma 2, lett. s), Corte Cost., sentenza. n. 63 del 2020, cfr. sentt. nn. 88, 106, 117, 130, 134, 138, 144, 178, 187 e 214 del 2020.

[2] Sul riparto di competenze tra Stato e Regione in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia» cfr. decc. nn. 307, 308 e 324 del 2003; 6 e 7 del 2004; 336 e 383 del 2005; 248 e 364 del 2006; 166, 282 e 382 del 2009; 119, 120, 124 del 2010, 192, 205 e 275 e 308 del 2011.

[3] Sulla natura delle Linee guida statali, come atti di normazione secondaria, costituenti completamento della normativa primaria di settore, si vedano Corte cost., n. 99/2012 e n. 275/2011.

[4] Corte Cost. sentenza n. 308 del 2011

[5] Corte cost., sentenza n. 69 del 2018

[6] Sulla valenza applicativa del principio comunitario della massima diffusione delle fonti di energia rinnovabile e sui suoi limiti,  ex plurimis, Corte cost., n. 13/2014, n. 224/2012. In dottrina, v. S. Amorosino, Impianti di energia rinnovabile e tutela dell'ambiente e del paesaggio, in Riv. giur. amb., 2011, 753 ss.

La direttiva 2001/77/CE all’ art 3, paragrafo 2 prevedeva che entro il  27 ottobre 2002, e successivamente ogni cinque  anni,  gli  Stati  membri adottano e pubblicano una relazione  che  stabilisce  per i dieci anni successivi gli  obiettivi   indicativi  nazionali  di  consumo  futuro  di  elettricita'  prodotta  da fonti energetiche rinnovabili in termini  di  percentuale  del consumo di elettricita'. Tale relazione  delinea  inoltre le misure adottate o previste a  livello   nazionale  per  conseguire  tali  obiettivi

In attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità l’Italia adottava il Dlgs 387 del 2003

[7] Art. 3. Obiettivi nazionali

  1. La quota complessiva di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia da conseguire nel 2020 è pari al 17 per cento.
  2. Nell'ambito dell'obiettivo di cui al comma 1, la quota di energia da fonti rinnovabili in tutte le forme di trasporto dovrà essere nel 2020 pari almeno al 10 per cento del consumo finale di energia nel settore dei trasporti nel medesimo anno.
  3. Gli obiettivi di cui ai commi 1 e 2 sono perseguiti con una progressione temporale coerente con le indicazioni dei Piani di azione nazionali per le energie rinnovabili predisposti ai sensi dell'articolo 4 della direttiva 2009/28/CE.
  4. Le modalità di calcolo degli obiettivi di cui ai commi 1, 2 e 3 sono indicate nell'allegato 1.

[8] L'AU, rilasciata al termine di un procedimento unico svolto nell'ambito della Conferenza dei Servizi alla quale partecipano tutte le amministrazioni interessate, costituisce titolo a costruire e a esercire l'impianto e, ove necessario, diventa variante allo strumento urbanistico. Il procedimento unico ha durata massima pari a 90 giorni al netto dei tempi previsti per la procedura di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), laddove necessaria. La competenza per il rilascio dell'Autorizzazione Unica è in capo alle Regioni o alle Province da esse delegate.

[9] La comunicazione di inizio lavori deve essere accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato. Non è necessario attendere 30 giorni prima di iniziare i lavori.

[10] Recita infatti l’articolo 5, comma 3: “non sono considerati sostanziali e sono sottoposti alla disciplina di cui all'articolo 6 gli interventi da realizzare sugli impianti fotovoltaici, idroelettrici ed eolici esistenti, a prescindere dalla potenza nominale, che non comportano variazioni delle dimensioni fisiche degli apparecchi, della volumetria delle strutture e dell'area destinata ad ospitare gli impianti stessi, né delle opere connesse. Restano ferme, laddove previste, le procedure di verifica di assoggettabilità e valutazione di impatto ambientale di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”.

[11] Corte Cost. sentenze n. 106 del 2020, n. 286 del 2019, n. 69 del 2018 e n. 99 del 2012.

[12] Il decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 104 (Attuazione della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, ai sensi degli articoli 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n. 114), che ha ridisegnato le procedure di VIA statale e regionale in attuazione della direttiva 2014/52/UE, introducendo la procedura di pre-screening e prevedendo, nell’Allegato III alla Parte II del d.lgs. n. 152 del 2006, che l’esonero dalle verifiche d’impatto ambientale operi esclusivamente per impianti eolici che generino potenza non superiore a 1 MW.

[13] Corte Costituzionale, sentenza n.258 del 02/12/2020, La Corte ha ritenuto infondata la q.l.c. dell'art. 11, L.R. Puglia n. 34/2019 che disciplina il regime abilitativo delle modifiche sostanziali e non sostanziali di impianti eolici e fotovoltaici esistenti, per contrasto con il principio fondamentale in materia di energia contenuto nell'art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2011, che individua gli interventi sottoponibili a procedura abilitativa semplificata (PAS).

[14] L’art. 3, comma 1, lett b) d.p.r. 380 stabilisce inoltre che nell'ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono ricompresi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l'originaria destinazione d'uso. Nell’ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono comprese anche le modifiche ai prospetti degli edifici legittimamente realizzati necessarie per mantenere o acquisire l’agibilità dell’edificio ovvero per l’accesso allo stesso, che non pregiudichino il decoro architettonico dell’edificio, purché l’intervento risulti conforme alla vigente disciplina urbanistica ed edilizia e non abbia ad oggetto immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.

[15] Corte Cost. sentenza n. 69 del 2018

[16] Il paragrafo 1.2 prevede che «[l]e sole Regioni e le Province autonome possono porre limitazioni e divieti in atti di tipo programmatorio o pianificatorio per l'installazione di specifiche tipologie di impianti alimentati a fonti rinnovabili ed esclusivamente nell'ambito e con le modalità di cui al paragrafo 17

[17] Il paragrafo 17.1, nel disciplinare tali modalità, subordina l'individuazione da parte delle regioni dell'inidoneità delle aree a «un'apposita istruttoria avente ad oggetto la ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell'ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale che identificano obiettivi di protezione non compatibili con l'insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, i quali determinerebbero, pertanto, una elevata probabilità di esito negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione», prescrivendo, altresì, che gli esiti dell'istruttoria «dovranno contenere, in relazione a ciascuna area individuata come non idonea in relazione a specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, la descrizione delle incompatibilità riscontrate con gli obiettivi di protezione individuati nelle disposizioni esaminate»

[18] Corte Cost. sentenza n. 308 del 2011

[19] Il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) prevede che l’Italia ne promuoverà l’ulteriore  sviluppo  insieme  alla tutela  e  al potenziamento  delle  produzioni  esistenti,  se  possibile  superando  l’obiettivo  del  30%,  che comunque  è  da assumere  come  contributo  che  si fornisce  per il raggiungimento  dell’obiettivo comunitario dell’ abolizione dell’impiego di carbone entro il 2050 (carbon neutrality).