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Anno XVI - n. 04 - Aprile 2024

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Il sindacato della Corte Costituzionale sulla ragionevolezza delle norme

Di Giulia De Russis
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Il sindacato della Corte Costituzionale sulla ragionevolezza delle norme

 

Di Giulia De Russis

 

Abstract

Questo contributo si pone l’obiettivo di analizzare il sindacato svolto dalla Corte Costituzionale sulla ragionevolezza della legge. Passa in rassegna le varie fasi evolutive del sindacato suddetto, nonché le sue origini, collocabili nello Stato di polizia e nell’Illuminismo.

La ricerca dei suoi contenuti è operata sulla base del confronto con istituti simili, delle sentenze della Corte, e di autorevoli contributi dottrinari.

Inoltre si giunge ad esaminare la compatibilità del controllo costituzionale di ragionevolezza con il principio di separazione dei poteri.

La ragionevolezza è in definitiva un carattere indefettibile delle norme e va analizzata sulla base di criteri non puramente formalistici o di pura coerenza logica e sillogistica, ma sulla base di criteri valoriali, come è tipico dei giudizi della Corte costituzionale, rispetto ai quali dunque il sindacato de   quo non costituisce una discrasia ma anzi la regola (in ogni sindacato costituzionale c’è una componente rivolta a saggiare la ragionevolezza della norma, anche se siano invocati altri parametri).

 

This paper aims to analize the path taken by Costitutional Court on reasonabless of the law. It examines the evolutionary phases of said judicial scrutiny, and its origins, pleaceble in the Police State in the age of Enlightenment.

The search of its contents is conducted by the comparison with similar institutions, the Court sentences and authoritative doctrinal contributions.

Furthermore we arrive to examine the compatibility of this kind of constitutional review with the principle of separation of powers.

Reasonableness is definitely an indefectible characteristic of norms and must be analised on the basis of value criteria instead of formalistic and pure logical and syllogistic coherence based criteria, as is typical of Constitutional Court judgments, in which therefore the judicial review in question is not a discrepancy but rather the rule (in every constitutional review there is a component aimed at testing the reasonableness of the rule, even if other parameters are invoked).

 

Sommario: 1. I principi generali quale ipostasi dell’ordinamento giuridico. 1.2. Cenni. 1.3. Le radici illuministe e prussiane. 1.4. La prima fase nel costituzionalismo italiano: le origini “interne” al giudizio triadico di uguaglianza. 2. Ragionevolezza e analogia: percorsi ermeneutici complanari. 3. La seconda fase: la c.d. ragionevolezza intrinseca e il rapporto diretto tra principi e norma. 4. Contenuti e sembianti formali e sostanziali. 5. Ragionevolezza e proporzionalità: i rapporti. 6. Nella tradizione inglese e americana. 7. Nel bilanciamento dei diritti. 8. In materia penale. 9. Nelle Leggi provvedimento. 10. La “non raggiungibile varietà del concreto”. 11. Ragionevolezza e divisione dei poteri.

 

  1. I principi generali quale ipostasi dell’ordinamento giuridico.

I c.d. principi generali dell’ordinamento, per lo più rinvenibili in Costituzione, hanno tre diverse funzioni:

  1. funzione integrativa (rinvenibile nell’art. 12 delle Preleggi);
  2. funzione di guida interpretativa per gli operatori del diritto;
  3. funzione programmatica, che si esprime non nell’ermeneusi come le altre due, ma nel momento produttivo del diritto, nell'emanazione degli atti legislativi necessari a perfezionare l'ordinamento giuridico.

C’è un’ulteriore importante funzione ben individuata da autorevole dottrina: quella unificante e razionalizzatrice. Di questa ulteriore funzione unificatrice e normalizzatrice (ulteriore rispetto alle tre tradizionali), il principio di ragionevolezza è la forma per eccellenza ([1]).

 

1.2. Cenni.

È controverso se i principi di ragionevolezza([2]) e proporzionalità, siano o no esplicitati in norme.  Secondo certa dottrina, sono impliciti nel sistema in quanto frutto di ermeneusi (di origine giurisprudenziale), difettando invece un’espressa previsione normativa ([3]).

Non è possibile (per brevità) in questa sede soffermarsi sulla questione della dibattuta natura dei principi generali dell’ordinamento, del se (appunto) siano o no espressi, del se abbiano natura prescrittiva o solo direttiva ([4]), e del come si distinguano dai principi politici ([5]).

Spesso applicati congiuntamente, i principi in discorso sono comunque diversi ([6]).

Sebbene il presente scritto rivolga la sua analisi alla loro applicazione ad opera della Corte Costituzionale, è bene precisare che essi governano il potere pubblico in genere, posto che l’atto provvedimentale caratterizzato dall’eccesso di potere risulta anch’esso viziato e quindi annullabile.

La pervasività del principio comporta che il potere, a prescindere che si configuri quale amministrativo o legislativo, deve essere sempre ragionevole nelle sue estrinsecazioni. ([7]).

Se il giudice dell’atto amministrativo irragionevole è il giudice amministrativo, il giudice dell’atto legislativo irragionevole è la Corte Costituzionale.

L’eccesso di potere legislativo (secondo la ricostruzione qui preferita, non certo l’unica) è ciò di cui la Corte Costituzionale decreta l’esistenza nel momento in cui esplica il controllo di ragionevolezza, il cui ubi consistam è il raffronto tra il bilanciamento di valori sottesi alla scelta legislativa e il bilanciamento di essi in Costituzione.

Da questo angolo prospettico si potrebbe ben dire che l’atto politico e l’atto amministrativo, pur nei diversi moduli di giudizio che connotano i rispettivi sindacati giudiziali, si incontrano quanto all’estremo limite di legittimità che non possono mai oltrepassare (per discrezionali che siano): la ragionevolezza ([8]).

Secondo questa pregevole tesi (che accosta atto amministrativo e quello politico), la discrezionalità legislativa non è affatto diversa da quella amministrativa, perché il suo nucleo duro è la ragionevolezza del bilanciamento di antitetici e contrapposti interessi.

Il sillogismo che concreta il giudizio della Corte è il seguente: se la norma rispecchia lo stesso bilanciamento dei contrapposti valori presente in Costituzione, allora è ragionevole.

Occorre dar conto di quell’opinione che rinviene nel controllo in discorso un certo indebolimento del carattere rigido della Costituzione italiana ([9]).

Mandatorio sottolineare che i principi de quibus sono il lavoro quotidiano della Corte Costituzionale, perché si ritrovano nella maggior parte dei giudizi, come affermato da dottrina autorevole ([10]).

 

1.3. Le radici illuministe e prussiane.

Come già accennato il legame tra ragionevolezza e proporzionalità del potere (legislativo o amministrativo), è genetico.

Non stupisce allora che le radici (profonde) del principio di proporzionalità si trovino nel secolo dei Lumi.

Nelle opere di Montesquieu, Beccaria, Filangeri, Pagano e Bentham la proporzionalità era evocata a tutela del reo contro gli abusi del potere, pretendendo che la pena comminata fosse commisurata alla gravità del delitto commesso.

Il risalto del richiamato principio emerge dal fatto che esso si trova nel più importante e rappresentativo manifesto giuridico-politico di quell’epoca, id est la Déclaration des droit de l’homme et du citoyen del 26 agosto del 1789, che all’articolo 8 proibisce al legislatore di introdurre pene che non siano «strettamente ed evidentemente necessarie» ([11]).

Più tardi, nelle monarchie prussiane dell’800 il controllo di proporzionalità (Verhältnismäßigkeit) trova una sua prima applicazione giurisprudenziale, come principio proprio dello Stato di polizia.

Questo primo approccio giurisprudenziale limitava tuttavia il suo scrutinio ai soli atti amministrativi, mentre era esclusa ogni valutazione da parte del giudice sulle opzioni assiologiche effettuate dall'autorità pubblica. In sostanza il giudice poteva solo scrutinare la ragionevolezza dei mezzi impiegati rispetto ai fini perseguiti. Il sindacato si esprimeva quale «divieto di eccessi di misura (Übermaßverbot)»([12])

Beninteso: il giudizio aveva un connotato minimale, nient’affatto simile a quello che assume nel costituzionalismo moderno, come detto implicando un mero controllo di legalità dell’atto amministrativo ([13]).

Si poneva come limite estremo all’esercizio del potere pubblico, mentre solo poi, con lo Stato costituzionale, assumerà il significato di render sempre necessaria una valutazione comparativa tra l’interesse pubblico perseguito e quello privato sacrificato, quindi la giustizia dell’ an dell’episodio di esercizio del potere.

Solo il costituzionalismo lo trasformerà in un giudizio di valore.

La prima decisione che attribuisce al principio di proporzionalità una funzione di sistema (Grundsatz der Verhältnismäßigkeitsprinzips) è la celebre Apothekenurteil (Bundesverfassungsgericht, sentenza 11 giugno 1958, in BVerfGE 7, 377 ss.) con la quale il giudice costituzionale teutonico «dette rilievo costituzionale al principio, consegnandogli tutti i campi del diritto. […] Da questo momento il principio irruppe nella giurisprudenza e nella letteratura scientifica tedesche, completando una “carriera” che lo aveva visto partire dal diritto di polizia, passare al diritto amministrativo come principio generale e approdare al diritto costituzionale» (E. BUOSO, Proporzionalità, efficienza e accordi nell’attività amministrativa, Padova, 2012, p. 39-40).

 

1.4. La prima fase nel costituzionalismo italiano: le origini “interne” al giudizio triadico di uguaglianza.

Il sindacato di ragionevolezza nasce, nella giurisprudenza della Corte italiana, nel seno del sindacato costituzionale sul rispetto del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., quest’ultimo necessariamente e strutturalmente triadico, siccome fondato sul tertium comparationis, ovvero sul confronto tra la disciplina di una fattispecie simile e quella scrutinata. Tale confronto ha il fine di verificare la ragionevolezza delle differenze disciplinatorie tra le fattispecie.

Il giudizio di uguaglianza si manifesta dapprima come divieto di discriminazioni in relazione alle differenziazioni soggettive di cui al primo comma dell’art. 3 Cost. (sesso, razza, lingua religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali). Successivamente, con la sentenza n. 53 del 1958, la Corte oltrepassa il limite delle differenziazioni soggettive e censura l’omogeneizzazione ingiustificata di situazioni oggettivamente diverse ([14]).

In questa prima fase il giudizio di ragionevolezza, come quello di uguaglianza, ha carattere strutturalmente triadico.

Secondo l’opinione espressa già risalentemente in un convegno organizzato dalla Corte Costituzionale ([15]), dallo schema di giudizio tipico della ragionevolezza sub specie di uguaglianza, successivamente si autonomizza, per inglobare un significato di ragionevolezza intrinseca, declinata come sensatezza, fondatezza logica della norma ([16]).

Come detto l’origine comune dei due principi lascia dunque spazio a una successiva separazione dogmatica e di ermeneusi giudiziale, anche se non è agevole una ricostruzione precisa dei contorni, delle metodologie, dei paradigmi giuridici del test di ragionevolezza, esistendo in dottrina consistenti incertezze.

 

  1. Ragionevolezza e analogia: percorsi ermeneutici complanari.

Si è più sopra accennato al carattere trilatero del giudizio di uguaglianza([17]) inveratosi nella giurisprudenza della Corte pragmaticamente, ma classificato dogmaticamente dalla dottrina.

In sostanza, come detto, prendendo a paragone una norma simile a quella scrutinata, in quanto avente medesima ratio, si verifica se le differenziazioni di disciplina o le analogie siano giustificate.

È controverso se il punto di riferimento di questa operazione di raffronto sia la ratio legis ([18]) o lo stesso principio di uguaglianza, essendosi sostenute entrambi le tesi.

Condivisibile dottrina sottolinea che analogia e scrutinio di ragionevolezza condividono le proprie formule strutturali: sarebbero entrambe operazioni ermeneutiche che si basano sul principio di uguaglianza ([19]): “Il fondamento dell'analogia nel diritto è il nucleo razionale dell'idea della giustizia distributiva, cioè l'eguaglianza, che non soccorre solo nell'applicazione delle regole… ma anche nella loro produzione… Il materiale giurisprudenziale più interessante ai fini di una ricostruzione della struttura del ragionamento per analogia in diritto [è] oggi prodotto, in Italia, dalla Corte Costituzionale nelle motivazioni in cui discute una denunciata violazione dell'art. 3 Cost.”([20]).

 

  1. La seconda fase: la c.d. ragionevolezza intrinseca e il rapporto diretto tra principi e norma.

La seconda - e più moderna – fase del giudizio di ragionevolezza è quella della ragionevolezza intrinseca. È questa - “intrinseca”- la terminologia utilizzata dalla dottrina per indicare la fase evolutiva in cui la ragionevolezza inizia ad affrancarsi dal giudizio ternario di uguaglianza per essere invece ancorata a qualsiasi parametro costituzionale.

A parte la promiscuità terminologica del linguaggio della Corte, che fa uso fungibile di termini come razionalità, ragionevolezza, proporzionalità ([21]), è possibile tracciare una linea evolutiva tendenziale, all’interno di questo secondo segmento.

Dapprima la Corte costituzionale invoca il profilo della disparità di trattamento e della ragionevolezza attraverso l’art. 3, argomentando distintamente per ciascuno dei due profili. Successivamente, il profilo della ragionevolezza assume un suo rilievo autonomo, fungendo da limite alla discrezionalità legislativa.

Ciò avviene dapprima in relazione alle cosiddette clausole elastiche impiegate dalla Costituzione  per stabilire i fini che la legge ordinaria deve perseguire: l’utilità sociale, i fini di interesse generale, il buon  andamento e l’imparzialità. Dietro la verifica dell’adeguatezza delle scelte legislative, la Corte esprime una valutazione di ragionevolezza. La sentenza n. 14 del 1964 sull’espropriazione delle imprese elettriche costituisce il primo esempio di questo secondo significato della ragionevolezza.

Con la sentenza n. 108 del 1964 la Corte mette in relazione la ragionevolezza e il bilanciamento di interessi sottesi alla scelta del legislatore, affermando l’impossibilità di sottrarre alla Corte un sindacato sulla ragionevolezza di tale bilanciamento.

La teorizzazione esplicita del sindacato di ragionevolezza quale canone generale del giudizio di costituzionalità è ricondotta alla sentenza n. 1130 del 1988.

È dalla motivazione di questa sentenza che conviene prendere le mosse per stabilire il contenuto del controllo de quo.

 

  1. Contenuti e sembianti.

Nella sentenza enunciata si leggono preziose indicazioni sul controllo di ragionevolezza : “il giudizio di ragionevolezza, lungi dal comportare il ricorso a criteri di valutazione assoluti e astrattamente prefissati, si svolge attraverso ponderazioni relative alla proporzionalità dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalità rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalità che si intende perseguire”.

Come è stato dottrinariamente affermato, talvolta la Corte si è spinta fino a definire il sindacato costituzionale come eccesso di potere legislativo, anche se la bontà di tale parallelismo è stata messa in discussione, affermando che questo volesse più che altro avere un significato suggestivo, per la non sovrapponibilità dei parametri di riferimento nel primo e nel secondo caso (la legge nel caso del potere amministrativo, l’assetto valoriale costituzionale nel caso della legge).

Tuttavia che il parallelismo, sebbene negato precedentemente dalla stessa Corte, non sia meramente retorico, ma invece contenutistico, si evince dal passaggio motivazionale della seguente sentenza in cui la Corte afferma: “uno scrutinio che direttamente investa il merito delle scelte del legislatore, è possibile soltanto ove l’opzione normativa contrasti in modo manifesto con il canone della ragionevolezza, vale a dire si appalesi, in concreto, come espressione di un uso distorto della discrezionalità, che raggiunga una sorta di evidenza tale da atteggiarsi alla stregua di una figura, per così dire, sintomatica dell’eccesso di potere e dunque, di sviamento rispetto alle attribuzioni che l’ordinamento assegna alla funzione legislativa.” (s. n. 313  del 1995). 

Ma il significato di conformità all’assetto di valori presenti in Costituzione, non è l’unico che il controllo di ragionevolezza assume.

Infatti, in talune sentenze la ragionevolezza è declinata come coerenza, congruenza, congruità, proporzionalità, necessità, misura, pertinenza del potere legislativo.

La coerenza è intesa quale rispondenza logica rispetto al fine perseguito dalla legge ovvero alla sua ratio. Non ogni imprecisione è rilevante ai fini del test di ragionevolezza, ma solo quella tale che riveli un’incoerenza o una contradditorietà rispetto all’obiettivo della legge (s. n. 434 del 2002).

Talvolta il parametro di riferimento del test di coerenza non è la ratio legis ma il sistema, i principi generali, il quadro normativo.

Infatti si legge nella sentenza n.84 del 1997 : “La semplice constatazione che le due norme poste a raffronto facciano parte di sistemi distinti ed autonomi non basta ad escludere che sia irragionevole il risultato normativo : il canone di ragionevolezza deve trovare applicazione non solo all’interno dei singoli comparti normativi, ma anche con riguardo all’intero sistema” (sentenze n. 3 e 26 del 2007).

In certi casi il sindacato si manifesta con un significato più blando, come non arbitrarietà ovvero come tollerabilità costituzionale (sentenza n. 206 del 1999): si tratta di pronunce in cui prevale il rispetto della discrezionalità legislativa.

Il sindacato di ragionevolezza consiste talora in una valutazione circa la proporzionalità, congruità, adeguatezza, eccessività, equilibrio del mezzo rispetto al fine.

 

  1. Ragionevolezza e proporzionalità: i rapporti.

L’indagine sul rapporto tra ragionevolezza e proporzionalità merita cenni ulteriori.

La stretta connessione esistente tra i due principi è rimarcata da attenta dottrina, che afferma: “La stretta relazione tra ragionevolezza e proporzionalità è evidente nella sentenza n. 227 del 2010, in cui i due termini si presentano in rapporto invertito: ovverosia il difetto di ragionevole giustificazione rende non proporzionata la norma impugnata ([22]).”

Si trattava di una sentenza riguardante la legge di attuazione della decisione quadro sul MAE.

La proporzionalità, per dire il vero, è un principio generale non esclusivamente di diritto pubblico (per tale intendendo la sfera amministrativo- costituzionale), ma un criterio universale di giustizia, che attraversa trasversalmente tutti i rami del diritto.

Delle origini illuministe e prussiane si è detto. Dal diritto generale tedesco poi la Corte di Giustizia Ue lo proietta, tramite la sua giurisprudenza (che lo rende principio generale del diritto Ue) in tutti gli ordinamenti europei.

L’origine europea non deve infatti ingannare: sebbene estraneo alla nostra tradizione giuridica, viene progressivamente utilizzato anche per fattispecie di rilevanza solo interna, divenendo principio generale dopo il 2005, con la legge di riforma della Legge 241 del 1990, che assegna diretta rilevanza ai principi europei.

L’analisi, comunque, dei rapporti tra ragionevolezza e proporzionalità richiede di tenere su traiettorie diverse il diritto amministrativo e quello costituzionale.

In prospettiva costituzionale, dottrina e giurisprudenza costituzionale ritengono che la proporzionalità sia una species della ragionevolezza, ovvero uno strumento o parametro della ragionevolezza, o parte di essa ([23]).

Invece, nel diritto amministrativo certa dottrina tende a distinguerli sia perché la ragionevolezza opererebbe nel momento procedimentale (in particolare quello istruttorio) e non in quello provvedimentale (come la proporzionalità), e poi perché la proporzionalità sarebbe il nucleo più interno della ragionevolezza, investendo valutazioni ulteriori rispetto alla ragionevolezza mera.

Infatti la proporzionalità riguarderebbe la misura più ragionevole tra tutte quelle astrattamente ragionevoli. Sarebbe inoltre diverso il contenuto perché la ragionevolezza attiene a un principio di logicità congruità, mentre la proporzionalità implica una valutazione di idoneità, necessarietà, adeguatezza ([24]).

 

  1. Nella tradizione inglese e americana.

Nella tradizione inglese il test di costituzionalità è basato su un giudizio minimale, di impatto circoscritto, da usarsi con misura e cautela. Il potere è irragionevole quando, secondo il Wednesbury test, il suo esercizio è “so absurd that no sensible person could ever dream that it lay within the power of the authority”; ovvero “so outrageous in its defiance of logic or accepted moral standards that no sensible person who had applied his mind to the question to be decided could have arrived at it”.  

E si tratta di un carattere di “soluzione estrema” che appartiene anche alla tradizione del costituzionalismo americano. Come in Inghilterra, anche in America il test di costituzionalità assolve una funzione garantistica, per le rare ipotesi in cui il potere abbia manifestato una deriva di abnormità, appalesandosi come arbitrario o inadeguato o incongruo.

Nei giudizi basati sul principio di non discriminazione, esso si articola in tre livelli: ragionevolezza, intermediate scrutiny e strict scrutiny.

Secondo accorta dottrina, il carattere di extrema ratio ne spiega l’operare in modo intuitivo, senza grandi e articolate argomentazioni ([25]).

Il significato de quo – di garanzia ed extrema ratio -  si riscontra frammentariamente in quelle sentenze della Corte Costituzionale italiana in cui si riscontra maggiormente la necessità di preservare la discrezionalità legislativa ([26]).

 

  1. Nel bilanciamento dei diritti.

I diritti antagonisti costituiscono il terreno più congeniale della ragionevolezza e proporzionalità, anche perché, come affermato dalla Corte Costituzionale, in questi casi i percorsi ermeneutici devono aprirsi a “giudizi di valore”(n. 1130 del 1988), e a forme di “razionalità pratica” (n.172 del 1996).

Nella Costituzione pluralista (qual è quella italiana), ispirata alla concezione dignitaria dei diritti, essi sono concepiti non già in termini assoluti (come nella concezione libertaria), ma in funzione degli altri diritti e interessi in cui coesistono ([27]).

“Nella Costituzione italiana, ogni diritto è sempre predicato assieme al suo limite e, in questo ambito, il bilanciamento è una tecnica interpretativa e argomentativa che consente il necessario ragionevole contemperamento di una pluralità di interessi costituzionali concorrenti”([28]).

Tra i molti precedenti, il più rappresentativo rimane quello sul caso I.L.V.A., in cui la Corte si trova nella necessità di mediare tra il diritto alla salute (e al derivato diritto a un ambiente salubre), e il diritto al lavoro e all’esercizio delle attività economiche.

Qui la Corte afferma: “Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre «sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro» (sentenza n. 264 del 2012). Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona. […]”

“La Costituzione italiana, come le altre Costituzioni democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi. La qualificazione come “primari” dei valori dell’ambiente e della salute significa pertanto che gli stessi non possono essere sacrificati ad altri interessi, ancorché costituzionalmente tutelati, non già che gli stessi siano posti alla sommità di un ordine gerarchico assoluto”(s.n. 85 del 2013).

Il perno del bilanciamento è situato in un punto non fisso ma mobile e dipendente dalle circostanze, che salvaguarda il nucleo essenziale dei diritti in bilanciamento ([29]).

 

  1. In materia penale.

In materia penale il sindacato di ragionevolezza assume peculiari connotazioni, perché reagisce all’interazione con altri principi che governano la materia.

Non è men vero che in materia penale l’esigenza di un controllo di ragionevolezza in ordine alle scelte legislative assume una necessità di esistenza ancor più pregnante.

La valorizzazione dell’importanza del controllo di ragionevolezza è stata anche richiamata nelle sentenze della Corte che attengono al rispetto del principio di proporzionalità della pena.

La necessità della commisurazione del trattamento sanzionatorio al disvalore del fatto commesso, affermata dalle Corti Europee (e consacrata nell’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea), è stata dalla Corte affermata partendo dal principio di uguaglianza e dalla funzione rieducativa della pena (perché una pena sproporzionata al disvalore del fatto non può essere percepita come giusta dal condannato).

Ma allo stesso tempo la giurisprudenza della Corte valorizza i limiti che esso controllo di ragionevolezza assume in virtù del carattere assoluto del principio di riserva di legge in diritto penale.

È forte l’esigenza di preservare la legittimazione democratica delle scelte di criminalizzazione.

Si spiega allora il tradizionale atteggiamento di cautela e di self restraint adottato dalla Corte, che si concreta su tre direzioni:

-         la prima, la limitazione dell’affermazione di incostituzionalità ai soli casi di irragionevolezza manifesta, con conseguente scrutinabilità dei soli casi di sconfinamento della discrezionalità nell’arbitrio;

-         la seconda è l’ancoraggio del sindacato allo schema ternario del giudizio di uguaglianza formale di cui all’art. 3 Cost., da cui altrove si è invece autonomizzato([30]);

-         la terza è la tendenziale affermazione della non scrutinabilità della questione di costituzionalità ove una declaratoria di incostituzionalità sortisca degli effetti in malam partem (creando nuove fattispecie, ampliando quelle esistenti, o aggravando il trattamento sanzionatorio)([31]).

La riserva di legge, come giustamente affermato([32]), si lega strettamente al carattere fortemente politico delle valutazioni sottese alle scelte di criminalizzazione.

Si ricordi però che questo tralatizio self restraint è stato rimeditato da quel nuovo orientamento giurisprudenziale costituzionale che ha ammesso in casi sempre più numerosi il sindacato sulle norme di favore, esso orientamento basato sull’argomento per cui l’abrogazione della norma di favore non è di per sé causa del trattamento sanzionatorio deteriore, che sarà invece determinato dal riespandersi della norma generale, applicabile in assenza della norma di favore abrogata (speciale rispetto a quella applicabile). Proprio la preesistenza della norma (generale) approvata dal Parlamento, esclude che l’effetto in malam partem sia da imputare alla sentenza della Corte([33]).

Oltre che per la maggior cautela utilizzata dalla Corte, il sindacato de quo si caratterizza perché viene a somigliare al sindacato sull’eccesso di potere amministrativo, configurandosi come una vera e propria censura dell’eccesso di potere legislativo ([34]).

 

  1. Nelle Leggi provvedimento ([35]).

Si definiscono Leggi provvedimento quelle che “contengono disposizioni dirette a destinatari determinati” (sentenze n. 154 del 2013, n. 137 del 2009 e n. 2 del 1997) ovvero «incidono su un numero determinato e limitato di destinatari» (sentenza n. 94 del 2009)”, che hanno «contenuto particolare e concreto» (sentenze n. 20 del 2012, n. 270 del 2010, n. 137 del 2009, n. 241 del 2008, n. 267 del 2007 e n. 2 del 1997)([36]).

Sebbene la dottrina maggioritaria sia portata ad affermarne l’incostituzionalità, sussistendo un orientamento che ritiene le leggi provvedimento illegittime per la vulnerazione del diritto di difesa dei destinatari del provvedimento legificato (diritto garantito dal procedimento oltre che dal processo)([37]), e un altro che distingue in base alla tipologia([38]), la Corte ha con costanza ritenuto che esse siano pienamente legittime([39]).

Non vi sono infatti indicazioni costituzionali che proscrivano un’attrazione di oggetti normalmente amministrativi nell’atto legislativo, sussistono solo vincoli formali derivanti dalla Costituzione e coincidenti con le indicazioni procedimentali di cui agli articoli 70 e ss.

L’atto legislativo è insomma atipico a livello contenutistico, potendo anche non essere astratto e generale, ma rispondendo solo ad un criterio formale- procedimentale di classificazione.  

L’argomento dell’assenza di tutela nei confronti dei destinatari della legge provvedimento non è ritenuto conferente, perché le varie tipologie di atto seguono un sistema di tutela diverso ([40]), che dipende dalle caratteristiche del giudizio previste per la tipologia di atto in questione (quindi nel caso di leggi provvedimento, il sistema di tutela seguirà le forme del giudizio di costituzionalità) ([41]).

Costituisce un limite alla possibilità di emanare una legge provvedimento l’esistenza di un giudicato sul caso de quo. Il legislatore non può intaccare il giudicato con un successivo intervento legislativo sulla medesima questione, mentre può intervenire se il processo non ha raggiunto il suo esito.

In sostanza il legislatore non può invadere le attribuzioni che le legge riserva al giudice.

Del tutto consentaneo è un altro limite stabilito dalla Corte, costituito dall’inammissibilità delle leggi provvedimento di sanatoria, che mirino a sanare un provvedimento amministrativo annullato.

Altra indicazione proveniente dalla Corte costituzionale è data dalla necessità di sottoporre le leggi de quibus a uno scrutinio più stringente di ragionevolezza, “per il pericolo di disparità di trattamento insito in previsioni di tipo particolare e derogatorio” (sentenze n. 85 del 2013; in senso conforme sentenze n. 20 del 2012 e n. 2 del 1997).

L’applicazione legislativa del canone di ragionevolezza deve essere più stringente qui che altrove e deve essere tanto più rigorosa quanto più marcato è il carattere provvedimentale della legge.

Sulla base di un’analisi contenutistica (sentenze n. 275 del 2013, n. 154 del 2013, n. 270 del 2010), la Corte dovrà verificare la non irragionevolezza ed arbitrarietà della scelta legislativa (s. n. 288 del 2008).

Richiamando la propria dottrina in materia, la Consulta ha ricordato come la legittimità costituzionale delle leggi-provvedimento vada valutata in relazione al loro specifico contenuto e che devono emergere i criteri che ispirano le scelte con esse realizzate, nonché le relative modalità di attuazione (sentenze n. 85 del 2013, n. 137 del 2009, n. 267 del 2007 e n. 492 del 1995), criteri e modalità che è sufficiente siano comunque desumibili dalla norma stessa in base agli ordinari strumenti ermeneutici (sentenze n. 85 del 2013 e n. 270 del 2010).

In altri termini, vengono rigettate analisi di ragionevolezza che siano aspecifiche e che guardino alla norma nel suo insieme.

Più in particolare il penetrante test di ragionevolezza riguarderà: la conformità della legge-provvedimento ai principi di ragionevolezza, uguaglianza, non arbitrarietà e rispetto del legittimo affidamento, al fine di statuire la congruità fra il mezzo utilizzato ed il fine perseguito (investendo quindi anche il profilo della proporzionalità)([42]).

 

  1. La “non raggiungibile varietà del concreto”.

Agli antipodi rispetto al postulato della ragionevolezza del Legislatore esiste la teoria per cui ogni legge è irragionevole, in alcuni casi.

Questi casi sono quelli che il Legislatore non ha preso in considerazione nel momento di posizione della norma, che perciò sono fuori dalla sua ratio

Cioè: la norma, in quanto tale, prende in esame solo dei casi ordinari, la normalità delle ipotesi. Ciò che costituisce paradosso o eterodossia è un ambito in cui quella legge non è ragionevole, perché non è stata pensata per quelle eventualità.

Se è vero che la varietà dei casi è infinita è non completamente preventivabile allora esisterà almeno un caso a cui quella data norma non si adatta e rispetto al quale non è ragionevole. 

Quindi: tutte le leggi saranno irragionevoli, fuori dalla loro ratio.

È questo che la Corte definì, con espressione poi ripresa dalla dottrina ([43]) “non raggiungibile varietà del concreto” (Sent. 2/1956 e 121/1957).

 

  1. Ragionevolezza e divisione dei poteri.

Non è un caso che il discorso dottrinario sul sindacato di ragionevolezza della Corte si intrecci spesso con il problema della compatibilità con il principio di divisione dei poteri.

Si potrebbe infatti pensare che il fatto che il giudice costituzionale possa negare la ragionevolezza di una legge, non garantisca un’autentica riserva di discrezionalità legislativa.

Sì, è vero che il controllo di ragionevolezza non è sempre uguale a sé stesso e che assume contorni diversi a seconda che venga in questione come bilanciamento dei diritti, come giudizio incentrato sul principio di uguaglianza, come congruità del mezzo legislativo rispetto al fine perseguito o come sindacato sulle leggi provvedimento.

È vero però che c’è una costante in tutti questi casi: ha sempre contenuto politico.

Quindi la domanda circa la compatibilità col principio di divisione dei poteri può avere una risposta unitaria.

È affermazione non recente che il principio di divisione dei poteri va inteso in senso tendenziale.

Di questo è prova il sindacato di ragionevolezza della Corte Costituzionale, caratterizzato da un forte grado di politicità, posto che la Corte può (è legittimata) a mettere in dubbio la stessa ragione legislativa espressa nella Legge.

Se la riserva assoluta di legge in materia penale può essere paragonata alle colonne d’Ercole del sindacato giuridico, e se essa non è d’ostacolo (secondo i più recenti orientamenti della corte di legittimità costituzionale) al sindacato della Corte, allora non è possibile revocare in dubbio che il principio di separazione dei poteri non è un effettivo limite ogni qual volta la Corte debba valutare quanto una scelta legislativa sia ragionevole, ovvero rispecchiante un bilanciamento costituzionalmente adeguato di valori.

Si ponga mente alle sentenze della Corte che, confrontando fattispecie penali, coi rispettivi disvalori e le rispettive pene, pervengono a mitigare (di fatto) il trattamento sanzionatorio per renderlo più mite (o più severo, facendo riespandere la norma generale previamente applicabile).

 Il controllo di ragionevolezza costituisce la prova che il principio di separazione dei poteri va inteso soprattutto come reciproco controllo e bilanciamento. Il fatto che il sindacato sia sollevato da un giudice a quo, è un’ applicazione del principio democratico, rendendo la magistratura ordinaria e le parti processuali in qualche modo garanti del principio di non contraddizione dell’ordinamento (riferendoci alla razionalità sub specie di coerenza), e di un principio di giustizia (riferendoci alla razionalità sub specie di adeguato bilanciamento di valori o diritti). 

La ragione di cui parliamo però, è una “ragion pratica” e non “pura”.

Perché infatti il significato assunto dalla ragionevolezza nel linguaggio della Corte è sempre legato al caso concreto. Essa si esprime come razionalità pratica, riferita ad un esame di realtà (intendendo per realtà la realtà applicativa della regola).

“Nel giudizio di ragionevolezza la ragione è aperta dall’impatto che su di essa esplica il caso, il fatto, il dato di realtà e di esperienza viva”([44]).

“Nel giudizio di ragionevolezza la realtà effettuale funge da reagente sulla regola sottoposta al suo esame, illuminandone il significato e permettendo, perciò, alla Corte di valutarne la conformità ai principi costituzionali e di ricomporre i contrasti. Per questo la Corte costituzionale, come si è visto, nei giudizi di bilanciamento dei diritti insiste sull’impossibilità di fissare una volta per tutte un rapporto gerarchicamente predeterminato tra gli elementi in gioco ed esige un bilanciamento dinamico, in concreto, non astrattamente prestabilito”([45]).

Insomma non esiste (sembra) una ragione sola, ma tante plurime ragioni per come suggerite dalla realtà effettuale. Il relativismo delle categorie giuridiche è proprio questo in fondo: il conformarsi continuo dell’ermeneusi ai casi applicativi (fino a che la legge interpretata lo consenta).

In un’ottica che tenga conto del ruolo garantistico della Corte costituzionale([46]) e di quello unificante dei principi generali, l’irragionevolezza sufficiente a fondare una pronuncia ablativa è non tanto quella che tramuti la norma in un’incoerenza rispetto al sistema, quanto quella fondata su un controllo positivo di rispondenza della norma ai precetti costituzionali.

Siamo ben lontani dal sindacato minimo che caratterizzava le origini prussiane.

La forza del sindacato di ragionevolezza è arrivata a mutare i caratteri dell’originario giudizio costituzionale, come autorevolmente sottolineato infatti: “L’assunzione di un ruolo dominante e omnipervasivo del sindacato di ragionevolezza nel giudizio sulle leggi ne ha modificato in profondità l’itinerario argomentativo tipico. La ragionevolezza …omissis… ha reso marginale l’interpretazione deduttiva del parametro costituzionale, lo ha in qualche modo deideologizzato, convertendolo in una serie di regole di ragione pratica, sicché lo scrutinio della Corte, nelle condizioni in cui effettivamente si svolge…omissis…assume non tanto i caratteri di un controllo negativo sull’assenza di contrasto tra legge e Costituzione, quanto, più frequentemente, quelli di un riscontro in positivo circa la sussistenza di quella dose minima di chiarezza, coerenza sistematica, congruenza, proporzionalità, adeguatezza rispetto al fatto regolato che la scelta politica deve incorporare per essere considerata come legittimo esercizio della funzione legislativa.”([47])

Che la Corte sia garante della legalità, in certo senso un “supergarante”, è cosa non nuova e nient’affatto negativa ([48]).

Non è certo l’unico garante: si pensi all’evoluzione in senso contenutistico del controllo di ragionevolezza presidenziale in sede di promulgazione della legge, controllo al quale acuta dottrina attribuisce un ruolo compensativo rispetto agli ambiti in cui il controllo di ragionevolezza della corte costituzionale non può entrare ([49]).

 

 

[1]G. ALPA, I principi generali, in Trattato di diritto privato, a cura di G. IUDICA e P. ZATTI, Milano, II ed., 2006, 87 ss. e 262 ss. individua, oltre alle già  menzionate funzioni dei principi, anche: la funzione costitutiva; la funzione razionalizzatrice; la funzione economica; la funzione garantistica; la funzione  ideologica (od euristica); la funzione connettiva.

[2]R.Bin in Ragionevolezza, eguaglianza e analogia, in https://www.robertobin.it/ARTICOLI/Ragionevolezza%20e%20eguaglianza.pdf 

[3] Tale dottrina li chiama “inespressi”, si veda F. Nicotra in I principi di proporzionalità e ragionevolezza dell’azione amministrativa, in Federalismi.it, 2017,  F. Modugno in La ragionevolezza nella Giustizia Costituzionale, Napoli 2007, M. Cartabia, I principi di ragionevolezza e proporzionalità nella giurisprudenza della Corte Costituzionale italiana, Roma, Palazzo della Consulta 24-26 ottobre 2013, Conferenza trilaterale delle Corti Costituzionali italiana, portoghese e spagnola. 

[4] F. Modugno, I principi generali  dell’ordinamento, in Enc. Giur., Roma, 1991, 3,  9 s, li riconduce alle fonti dell’ordinamento, e in particolare alle fonti fatto, ma si veda anche la celebre opera di N. Bobbio, Principi generali del diritto, , in Nov. Digesto It., vol. XIII, Torino, 1966, 887 ss., 260, che richiama la nota sentenza della Corte costituzionale del 26 giugno 1956, n. 6, la quale nel definire i principi generali, afferma che essi “possono riflettere anche determinati settori per convergere poi in sempre più elevate direttive generali coerenti allo spirito informatore di tutto l'ordinamento”

[5] Su questo si veda R. Bin, Principi generali del diritto e “fatti” : “ Forte era, soprattutto presso i civilisti, la tendenza a svalutare la nozione di principio generale, praticando due strategie. La prima sosteneva che i principi generali erano  per loro natura inespressi (…) ; la seconda portava a negare la stessa natura di principi generali, degradandoli a semplici direttive per l’interpretazione”. Sulla natura integrativa dell’ordinamento dei principi generali, G.A.Ansaldi, Principio di proporzionalità e sistema a diritto amministrativo, 2010,  Tesi di Dottorato in Diritto Amministrativo, p. 1.

[6] In proposito, F. Nicotra in I principi di proporzionalità e ragionevolezza dell’azione amministrativa, in Federalismi.it, 2017, pg. 1: “Pur essendo principi diversi, ragionevolezza e proporzionalità vengono spesso applicati congiuntamente. Sono entrambi di formazione giurisprudenziale e – come si dirà più avanti – il secondo è sancito dall’art. 5 TUE, per cui “l’azione della Comunità non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del presente Trattato”.

Sulla diversità ontologica dei due invece M. Cartabia I principi di ragionevolezza e proporzionalità nella giurisprudenza della Corte Costituzionale italiana, Roma, Palazzo della Consulta 24-26 ottobre 2013, Conferenza trilaterale delle Corti Costituzionali italiana, portoghese e spagnola.

[7] Si veda F. Modugno in La ragionevolezza nella Giustizia Costituzionale, Napoli 2007.

[8] Per la definizione di atto politico, atto amministrativo e atto di straordinaria amministrazione si rimanda a M. De Paolis, Atto di alta amministrazione politico e a movente politico, in Azienditalia 11/2015, pg. 818 e ss, ma anche F. Teoli, Gli atti di alta amministrazione in Diritto.it, 2017, Barile P. voce Atto di Governo (e atto politico), in Enc, dir. Milano 1959, vol. IV, pp. 220 e ss., C. Carbone, L’atto politico e l’art. 113 Costituzione, in Rass. Avv. Stato n. 5/1950, pp. 121 e ss., Carlassare L., Legalità (principio di) in Enc. Giur. XVIII, 1990, Cerri A., voce poteri (divisione dei) in Enc. Giur. vol. XXIII, Roma 1991, Cheli E. Atto politico e funzione d’indirizzo politico, Milano 1968, p. 174, Dell’Acqua G. Atto politico ed esercizio di poteri sovrani. Profili di teoria generale, Padova 1983, pp. 1 e ss.  Si consideri che sul punto v’è stata un’evoluzione dell’orientamento dominante, che non ricorre più a criteri qualificatori soggettivi (autorità emanante) o oggettivi (fine perseguito), quanto al criterio della mancanza del parametro giudiziale di legittimità (non avrebbe il giudice amministrativo alcun parametro legislativo utilizzabile nel caso di impugnativa di un atto legislativo irragionevole).

[9] Così, G. Scaccia in Gli strumenti della ragionevolezza nel giudizio, Torino 2000.

[10] M. Cartabia, I principi di ragionevolezza e proporzionalità nella giurisprudenza della Corte Costituzionale italiana, Roma, Palazzo della Consulta 24-26 ottobre 2013, Conferenza trilaterale delle Corti Costituzionali italiana, portoghese e spagnola; su questo anche F. Nicotra in I principi di proporzionalità e ragionevolezza dell’azione amministrativa, in Federalismi.it, 2017, p.4: “La ragionevolezza rappresenta innanzitutto un principio costante nella giurisprudenza costituzionale. Esso ha assunto nel tempo un connotato conformativo rispetto ad ogni parametro costituzionale, poiché utilizzato come complemento rispetto a qualunque altro principio”.

[11] Se ne riporta il testo per comodità : “ La Loi ne doit établir que des peines strictement et évidemment nécessaires, et nul ne peut être puni qu’en vertu d'une Loi établie et promulguée antérieurement au délit, et légalement appliquée”.

[12] Sul punto, A. Merlo, IL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITÀ IN MATERIA PENALE, 2015, Microsoft Word - tesi merlo definitiva salva.doc (unipa.it)

[13] Cfr., sul punto A.M. SANDULLI, Eccesso di potere e controllo di proporzionalità. Profili comparati, in Riv. Trim. dir. Pubbl., 1995, p. 341

[14] La ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale italiana, a cura di M. Fierro, p. 10, in I principi di proporzionalità e ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale, anche in rapporto alla giurisprudenza delle Corti Europee, Quaderno predisposto in occasione dell’incontro trilaterale tra la Corte Costituzionale italiana, Tribunale costituzionale spagnolo e Corte Costituzionale portoghese, Roma, 25-26 ottobre 2013.

[15] Il principio di ragionevolezza nella Giurisprudenza della Corte costituzionale, Atti del seminario svoltosi in Roma, Palazzo della Consulta, 13-14 ottobre 1992, Milano, Giuffré, 1994.

[16] Secondo altra opinione questa separatezza non esiste, mentre è più corretto ritenere che il principio di ragionevolezza sia complemento e appoggio di qualunque altro principio costituzionale richiamato a parametro di giudizio. Si veda in tal senso M. Cartabia, op.cit. p.1.

[17] La teorizzazione del tertium comparationis si deve a L. PALADIN, Corte costituzionale e principio generale d'eguaglianza: aprile 1979 - dicembre 1983, in Scritti in onore di V. Crisafulli I, Padova, Cedam 1985, I, 605 ss.

[18] Sul concetto di ratio legis si veda R.Bin, cit. “Per cui oggi, quando si parla di ratio legis si fa riferimento essenzialmente all’assetto degli interessi che entrano in gioco e che la norma legislativa cerca di trattare con il dovuto bilanciamento. Le leggi invecchiano con il passar degli anni, però, e non è detto che l’interprete non sia indotto a considerare se la norma di cui si occupa, allontanandosi dall’obiettivo a cui mirava il legislatore, e risultando superato anche l’assetto degli interessi che essa sembra voler affermare, non possa rispondere ad un diverso, più attuale assetto di interessi. Ma questa «eterogenesi dei fini» spesso porta ad un palese contrasto con l’originale ratio legis e conseguente declaratoria di illegittimità”.

[19]Si veda su questo R.Bin in Ragionevolezza, eguaglianza e analogia, in https://www.robertobin.it/ARTICOLI/Ragionevolezza%20e%20eguaglianza.pdf  : “Questo schema trilaterale funziona sia nel ragionamento per analogia che nel giudizio di ragionevolezza: la differenza è che il primo si svolge interamente nell’ambito, e con gli strumenti, dell’interpretazione delle leggi, che spetta al giudice ordinario nello svolgimento del suo compito di ricerca della fattispecie in cui sussumere il caso in esame; mentre il secondo presuppone che l’interpretazione non basti a dare giustizia, perché l’estensione dell’applicazione della norma presa a raffronto al caso in esame è impedita dal chiaro tenore del tertium comparationis, per cui è invocato l’intervento ablatorio della Corte costituzionale. Ma per lunghi tratti il percorso è il medesimo.

[20] L. GIANFORMAGGIO, Analogia, in Dig. disc. civ. I, 325.

[21] M. Cartabia, cit. 2: “La seconda osservazione preliminare riguarda l’incertezza terminologica che si riscontra nella giurisprudenza costituzionale italiana. A differenza di altre corti, che associano al principio uno specifico standard o test di giudizio…omissis… nella giurisprudenza costituzionale italiana si nota un uso promiscuo di termini come razionalità, ragionevolezza, proporzionalità, ma anche adeguatezza, coerenza, congruenza, non arbitrarietà, pertinenza e molti altri, quasi si trattasse di sinonimi…omissis…Basti porre attenzione ad un passaggio tratto dalla sentenza n. 2 del 1999… omissis… Ragionevolezza, proporzionalità, razionalità, ed uguaglianza concorrono, in una medesima proposizione e in un unico passaggio argomentativo, a determinare l’illegittimità della legge impugnata”.

[22] Così, La ragionevolezza nella giurisprudenza della costituzionale italiana, M. Fierro, pg. 14, in I principi di proporzionalità e ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale, anche in rapporto alla giurisprudenza delle corti europee, Corte Costituzionale, Servizio Studi, Roma 2013.

[23] G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite, Torino, 1992, p. 216; G. SALA, Potere amministrativo e principi dell’ordinamento, Milano 1993, pp.179 ss; VIPIANA, Introduzione allo studio del principio di ragionevolezza, cit. pp. 69; G. MORBIDELLI. Il procedimento amministrativo, cit. pp. 1187 ss; G.SCACCIA, Gli strumenti della ragionevolezza nel giudizio costituzionale, Milano 2000, pp. 294 ss, A. RUGGERI, Ragionevolezza e valori, attraverso il prisma della giustizia costituzionale, in Dir. Soc., 2001, pp. 421 ss.; S.CASSESE, Le basi del diritto amministrativo, Bologna 2001, p. 319, V. CERULLI IRELLI, Il procedimento amministrativo, Napoli, 2007, p. 33; F. MERUSI, Ragionevolezza e discrezionalità amministrativa, Napoli, 2011, p. 45.

[24] F. NICOTRA, I principi di proporzionalità e di ragionevolezza dell’azione amministrativa, Federalismi.it, p. 19.

[25] M. Cartabia, cit. 4.

[26] Ex multis, S. 175 del 1997, 416 del 1996, 295 e 188 del 1995, 46 del 1993, 236 del 2008, 81 del 1992, 206 del 1999. 

[27] C.McCrudden, Human dignity and Judicial Interpretation of Human Rights, in The European Journal of International Law, 19, 4, 2008, p. 655 e ss., M. A. Glendon, Rights Babel: The Universal Rights Idea at the Dawn of the Third Millenium, in 79 Gregorianum 611 (1998). 

[28] M. Cartabia, cit.9.

[29] La teoria del "contenuto minimo" o "essenziale" dei diritti (Wesensgehalt), è sistematicamente applicata dalla Corte costituzionale, si veda R. Bin in Ragionevolezza e divisione dei poteri, (robertobin.it).

[30] Così, Avv. Prof. Giuseppe Frigo, I principi di proporzionalità e ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale italiana in materia penale, in Incontro trilaterale con i tribunali costituzionali della Spagna e del Portogallo, pg. 3 : “ In tale chiave, il controllo di ragionevolezza viene quindi collegato precipuamente al parametro dell’uguaglianza formale, di cui all’art. 3, primo comma, della Costituzione, il che implica che la verifica si basi non sull’ordinario schema binario del confronto tra la norma e il principio costituzionale, ma su quello ternario del raffronto con la disciplina stabilita dall’ordinamento per fattispecie analoghe (cosiddetto tertium comparationis).”

[31] Così Avv. Prof. Giuseppe Frigo, I principi di proporzionalità e ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale italiana in materia penale, in Incontro trilaterale con i tribunali costituzionali della Spagna e del Portogallo, pg. 2 “ Sul versante opposto, tuttavia, la Corte ha anche ampiamente evidenziato gli speciali  limiti che il controllo di ragionevolezza incontra nella materia penale. Al fondo di essi si colloca il regime della riserva assoluta di legge, stabilito nell’art 25, secondo comma, della Costituzione. Si tratta di un regime che assume particolare significato di garanzia, evocando l’esigenza della “legittimazione democratica”: il potere di emanare norme penali – in quanto incidente sui diritti fondamentali dell’individuo – viene affidato in via esclusiva all’istituzione che costituisce la massima espressione della rappresentanza politica a livello nazionale, ossia il Parlamento”.

[32] Avv. Prof. Giuseppe Frigo, I principi di proporzionalità e ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale italiana in materia penale, in Incontro trilaterale con i tribunali costituzionali della Spagna e del Portogallo.

[33] Gli spazi del sindacato con possibili effetti di sfavore per così dire sono stati ampliati sovente sulla base della necessità di censurare norme contrastanti con i vincoli procedurali previsti in Costituzione per l’approvazione della legge. Per la prima volta viene affermata la legittimità di tale sindacato nella sentenza n. 394 del 2006. Sul tema C. Cupelli, La riserva di legge in materia penale e gli effetti in malam partem delle pronunce del giudice costituzionale, Nota a sentenza in discrimen.it.

[34] N. Recchia, Le declinazioni della ragionevolezza penale nelle recenti decisioni della Corte costituzionale, in Diritto Penale Contemporaneo, 2015.

[35] Il primo ad avvalersi del termine legge-provvedimento fu Federico Cammeo il quale ne trattò quale categoria atipica alla quale era doveroso prestare attenzione, onde vagliarne la compatibilità con il ruolo del Parlamento quale unico detentore della funzione legislativa, sul punto si veda  F. Nerli in Diritto.it, Maggioli, Leggi provvedimento: natura, rimedi e criticità, in https://www.diritto.it/leggi-provvedimento-natura-rimedi-e-criticita/.

[36] Si richiamano per completezza i seguenti precedenti giurisprudenziali Corte Cost. 241/2008; Corte Cost. 94/2009; Corte Cost. 429/2009; Corte Cost. 270/2010; Corte Cost. 275/2013; Corte Cost.154/2013, sulla tensione delle leggi provvedimento con il principio di separazione dei poteri, si veda S. Sasso, Sistema delle fonti, riserva di amministrazione e leggi-provvedimento, in Diritto. it, Maggioli editore.

 

[38] Sul punto, Rescigno G.U. “Leggi-provvedimento costituzionalmente ammesse e leggi-provvedimento costituzionalmente illegittime” Relazione al 53° convegno degli studi amministrativi, 22 settembre 2007, ma anche C. Mortati “Le leggi provvedimento” Giuffrè, Milano 1969,

[39] Il costante orientamento della Corte, che propende per la legittimità costituzionale delle norme de quo, fa da contraltare alle costanti preoccupazioni della dottrina, che ritiene necessario un intervento regolatorio normativo, si veda sul punto le riflessioni di F. Nerli in Leggi provvedimento: natura, rimedi e criticità in https://www.diritto.it/leggi-provvedimento-natura-rimedi-e-criticita/#_ftn3: “Seppur sia vero che costui ha la strada del ricorso costituzionale per mezzo del giudice a quo, è altrettanto certo che un simile meccanismo impugnatorio comporta termini del processo assai maggiori, nonché una differente tutela ottenibile. Infatti, un giudizio in sede amministrativa gode di più ampi margini di poteri istruttori e cognitivi rispetti allo scrutinio costituzionale, sostanzialmente limitato ad analizzare il rispetto dei canoni di ragionevolezza ed uguaglianza ex art. 3 Cost.; inoltre, nel processo amministrativo è possibile per il ricorrente chiedere la sospensione dell’efficacia della legge-provvedimento. In ragione di tali criticità, sarebbe forse auspicabile un intervento in materia da parte del legislatore, in modo tale da colmare quei vuoti di tutela tutt’oggi presenti in ordine all’aspetto sia procedimentale che processuale.”

[40] Secondo il maggioritario e condivisibile orientamento nel caso intervenga una legge a regolare un rapporto giuridico di diritto pubblico, essa si sostituisce come fonte esclusiva del rapporto all’atto amministrativo, con la conseguente impossibilità di impugnare atti diversi dalla legge/regola del rapporto (da ultimo ribadito da Cons. Stato IV Sez. che con sentenza n.2409/21 ha confermato l’inammissibilità dell’impugnativa davanti al G.A. del provvedimento sostituito dalla legge, essendo possibile, in tal caso, sollevare solo l’incidente di costituzionalità.)

[41] Sentenza n. 62 del 1993; nello stesso senso anche la Sentenza n. 20 del 2012.

[42] Sul punto Corte Cost. sent. n. 60/1957.

[43] Si veda R. Bin Ragionevolezza e divisione dei poteri, https://www.robertobin.it/ARTICOLI/ragionevolezza.htm.

[44] Così, M. Cartabia. Cit. p. 17, si vedano anche L. Mengoni, Il diritto costituzionale come diritto per principi, in Ars interpretandi, 1996, I, p.95 ss.; G. Pino, Diritto e interpretazione. Il ragionamento giuridico nello Stato costituzionale, Bologna, Il Mulino, 2010, p. 51 ss. e p. 201 ss.

[45] Così, M. Cartabia. Cit. p. 18.

[46] Sul ruolo di garante della legalità della Corte si veda, A. Gullo, F. Mazzacuva in Diritto penale Contemporaneo, La dimensione attuale della separazione dei poteri in materia penale: una introduzione, 4/2018

[47]   La funzione presidenziale di controllo sulle leggi e sugli atti equiparati, G.Scaccia in Associazione Italiana dei Costituzionalisti, 1/2011., se ne consiglia la lettura anche per il controllo presidenziale sulla ragionevolezza della legge.

Dello stesso autore, sulla ragionevolezza delle leggi e sindacato costituzionale G. Scaccia, Controllo di ragionevolezza delle leggi e applicazione della Costituzione, in La ragionevolezza nella ricerca scientifica ed il suo ruolo specifico nel sapere giuridico, in Nova juris interpretatio, Roma 2007, 286 ss.; nonché, per maggiori approfondimenti, Idem, Gli “strumenti” della ragionevolezza nel giudizio costituzionale, Milano, 2000.

[48] A. Gullo, F. Mazzacuva in Diritto penale Contemporaneo, La dimensione attuale della separazione dei poteri in materia penale: una introduzione, 4/2018.

[49] La funzione presidenziale di controllo sulle leggi e sugli atti equiparati, G.Scaccia, cit. : “Può dirsi semmai che proprio perché il Capo dello Stato è chiamato ad assicurare la complessiva  funzionalità del sistema e non la puntigliosa osservanza di ogni singola prescrizione costituzionale, il suo scrutinio “politico” può integrare e rinsaldare la complessiva garanzia giuridica della Costituzione. Esso,  infatti, come si è già avuto modo di ricordare incidentalmente, può indirizzarsi verso vizi, come la violazione  dell’obbligo di copertura delle leggi di spesa, che tendono a sfuggire di fatto al controllo della Corte e riesce a coprire aree quali la legislazione elettorale e la normativa penale di favore, rispetto alle quali l’effetto tipico  delle sentenze costituzionali di accoglimento non può dispiegarsi con pienezza, per non pregiudicare,  rispettivamente, la continuità di funzionamento degli organi elettivi e il principio costituzionale di irretroattività  della legge penale. Inoltre, potendo fondarsi su rilievi di merito, il controllo del Capo dello Stato consente di  vincere il limite imposto al giudice costituzionale dall’art. 28 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e offre perciò  l’opportunità di intervenire in positivo in tutti i casi in cui la Corte è costretta a fermarsi dinanzi al riconoscimento della sussistenza di un ambito riservato alla discrezionalità del legislatore”.