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Anno XVII - n. 05 - Maggio 2025

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Il lavoro agile (smart working): brevi riflessioni sul ruolo dei dirigenti pubblici.

Di Giada Antonia Lo Prete
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Il lavoro agile (smart working):

brevi riflessioni sul ruolo dei dirigenti pubblici

Di GIADA ANTONIA LO PRETE

 

Con la Legge 22 maggio 2017, n. 81 (Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato) si favorisce e promuove nel nostro ordinamento la facoltà, per i lavoratori subordinati, di eseguire la prestazione lavorativa in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici, entro i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva. 

Tale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro – denominato comunemente “lavoro agile” – è stato concepito col fine di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, esimendo dunque il prestatore dal rispetto di precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro e, nella sua primigenia versione, ne veniva rimessa l’instaurazione, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, all’accordo tra le parti.

Nell’alveo della nuova connotazione che può essere assunta dalla prestazione di lavoro subordinato, invero, non può non emergere un’altrettanto addizionale congerie di obblighi e prerogative ricadenti in capo al datore di lavoro/dirigente.

Più specificatamente, la suddetta legge sancisce, in primo luogo, la responsabilità del datore/dirigente per la sicurezza e il buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore, utili allo svolgimento della prestazione in tali modalità.

In secondo luogo, sempre ai sensi della L. 81/2017, l’accordo redatto per iscritto, in cui è confermata la volontà di acconsentire all’espletamento dell’attività del prestatore in forma agile, includendone altresì la disciplina – per come si vedrà più avanti, attualmente superato – è teso chiaramente a regolare anche le forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro, gli strumenti utilizzati dal lavoratore, nonché i poteri di controllo del datore medesimo sulla prestazione resa dal lavoratore all’esterno dei locali aziendali (nel rispetto di quanto prescritto dallo Statuto del Lavoratore)[1].

Nondimeno, la Legge 81/2017 non manca di rammentare la sussistenza, sempre in capo al datore/dirigente, di obblighi di garanzia attinenti alla salute e alla sicurezza del lavoratore in smart working, al quale consegna, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta in cui sono enucleati i rischi generali e i rischi specifici collegati alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro.

Il tenore di tali norme, a parere di chi scrive, non solo si pone in un’ottica garantista nei confronti del lavoratore (pur sempre parte contrattualmente più debole), ma ha altresì l’effetto di scongiurare qualsiasi tentativo ermeneutico che, puntando sul carattere apparentemente più “affievolito” di subordinazione (dato, come detto, dalla mancanza di vincoli di orario e di luogo), possa avvicinare tale nuova modalità di espletamento dell’attività lavorativa a forme diverse dalla subordinazione medesima. E invero, a sostegno di tale assunto, si adduce la norma contenuta nella Direttiva n. 3/2017, che verrà successivamente esaminata, ai sensi della quale “la prestazione dell’attività lavorativa in lavoro agile non varia la natura giuridica del rapporto di lavoro subordinato”[2].

Dunque, da quanto argomentato, emerge inoltre, con chiarezza, come il testo della L. 81/2017 sottolinei e riaffermi la centralità del ruolo dirigenziale all’interno della gestione e del controllo delle modalità di smart working, ruolo che probabilmente risulta in una certa misura aggravato da nuove competenze, obblighi ed oneri.

In realtà ancora prima, per quanto riguarda le amministrazioni pubbliche, con l’art. 14 della L. 124/2015 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche) è stata incoraggiata l’adozione misure organizzative volte a fissare obiettivi annuali per l'attuazione del lavoro smart e per la sperimentazione di nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione (tanto al fine di permettere di conciliare, tra l’altro, lavoro e cure parentali), senza alcun pregiudizio ai fini del riconoscimento di professionalità e della progressione di carriera, prefigurando tale possibilità ad almeno il 10 per cento dei dipendenti, in un arco di tempo triennale. Per di più, l’ambito di valutazione all’interno dei cicli di misurazione della performance organizzativa e individuale delle amministrazioni pubbliche, ai sensi della medesima legge delega, comprende parimenti l’adozione delle misure organizzative e il raggiungimento degli obiettivi legati allo svolgimento di lavoro agile.

Di conseguenza – come esplicitato sempre dalla Legge da ultimo citata – le amministrazioni pubbliche sono tenute ad adeguare i propri sistemi di monitoraggio e controllo interno, attraverso l’individuazione di specifici KPI (Key Performance Indicators , “indicatori chiave di performance”) per la verifica dell’impatto sull’efficacia, sull’efficienza dell’azione amministrativa e sulla qualità dei servizi erogati, da parte delle misure organizzative adottate in conseguenza dello svolgimento in smart working dei servizi da parte del lavoratore pubblico (anche con l’ausilio dei feedbacks forniti dai cittadini, sia individualmente, sia nelle loro forme associative).

Ed è proprio il datore/dirigente colui che è preposto al monitoraggio e alla valutazione, dal punto di vista qualitativo e quantitativo, dei risultati relativi al raggiungimento degli obiettivi ottenuti in modalità “agile” di lavoro, legati al “cambiamento della cultura organizzativa” e al passaggio da un’organizzazione del lavoro incentrata sulla presenza fisica del prestatore ad una invece incentrata sui risultati misurabili.

Ciò posto, su tale solco normativo si colloca la successiva Direttiva n. 3/2017 del 26.06.2017 emanata al Presidente del Consiglio dei Ministri, la quale − sempre  alla luce delle nuove modalità di organizzazione flessibile del lavoro, ideate al fine di conciliare tempi di vita e di lavoro − in primis pone sotto la lente di ingrandimento il rilievo che assumono in ciascuna amministrazione, in tale nuovo contesto, le politiche inerenti alla valorizzazione delle risorse umane, alla riprogettazione dello spazio di lavoro, alla razionalizzazione delle risorse strumentali, alla responsabilizzazione del personale dirigente e non e, ca va sans dire, al rafforzamento e dei sistemi di misurazione e valutazione della performance.

Ciò che più rileva, ai fini della presente trattazione, è che le linee guida[3] poste a corredo della menzionata Direttiva qualificano espressamente quale “fondamentale” il ruolo svolto dai dirigenti “quali promotori dell’innovazione dei sistemi organizzativi di gestione delle risorse umane e al contempo garanti contro le discriminazioni”[4].

La delicatezza delle prerogative dirigenziali esercitate in tale contesto, si declina, in particolare, nell’obbligo di provvedere alla formazione e all’aggiornamento dei dipendenti, preordinato all’allineamento alle nuove competenze professionali e digitali richiesti dalle nuove forme flessibili di organizzazione dell’attività subordinata (anche attraverso il supporto della Scuola Nazionale dell’Amministrazione). Non solo. Ai sensi di legge, ai dirigenti è richiesta un’attività di monitoraggio accurata, costante, che involga valutazioni sia in itiniere che ex post delle prestazioni rese dai lavoratori smart, tese a verificare tempistiche e modalità di raggiungimento degli obiettivi prefissati, secondo i canoni di efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa.

Produttività, monitoraggio della performance, valutazione dei risultati di lavoro: tre concetti che senz’altro rappresentano il leitmotiv della normazione attinente alla pubblica amministrazione negli ultimi anni, e che, alla luce dell’evoluzione normativa in corso, risultano ancora più indissolubilmente intrecciati nell’alveo del tessuto di principi che regolano le nuove modalità di lavoro smart svolto dalla P.A.

In tale panorama, risulta ancora una volta “centrale” il ruolo del dirigente[5] a cui è affidata la gestione del personale in smart working, il quale, chiamato ad esercitare il potere di controllo secondo le direttici delineate dalle norme di cui agli artt. 2.086 e 2.104 cod. civ.[6], è tenuto, tra le altre cose, ad individuare le attività da svolgere in lavoro agile definendo per ciascun prestatore le priorità, secondo una organizzazione settimanale-quindicinale degli obiettivi da raggiungere. Conseguentemente, il momento di verifica dei risultati nel breve-medio periodo potrà avvenire, anch’essa, secondo la modalità flessibile ritenuta più opportuna, attraverso la presentazione di report con cadenza concordata tra dirigente e dipendente ovvero attraverso il confronto nei giorni di presenza in sede.

Per di più, sempre per quanto attiene alle prerogative dirigenziali di controllo − fermo restando quanto statuito dallo Statuto dei lavoratori e succ. mod. in materia di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori − viene contemplata altresì la facoltà di prevedere, per il lavoratore smart worker, fasce di reperibilità articolate in relazione all’orario di servizio[7].

Di recente, il decreto legge n. 9/2020 (Misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19) ha modificato il citato art. 14 L. 124/2015, segnando, di fatto, il superamento del carattere sperimentale dell’obbligo delle amministrazioni di adottare modelli organizzativi di  ricorso a nuove modalità spazio-temporali di prestazione della attività lavorativa, rendendo operativo il lavoro smart a pieno regime, secondo il concetto di work-life balance.

Inoltre, la continua progressiva digitalizzazione nonché la situazione emergenziale creatasi a causa della pandemia da COVID -19, hanno portato a una sempre maggiore valorizzazione e promozione del paradigma del lavoro agile, costringendo a un ripensamento generale delle modalità di svolgimento del lavoro, sempre in termini di elasticità e flessibilità.

In questa escalation normativa, si colloca, tra l’altro, la Direttiva del Dipartimento della Funzione pubblica n. 2/2020 (Indicazioni in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 nelle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165) in cui viene ancora una volta chiarito come le amministrazioni pubbliche nell’esercizio dei poteri datoriali assicurino “il ricorso al lavoro agile come modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa”.

In aggiunta, nell’esercizio dei poteri datoriali, per le attività che per la loro natura non possono essere oggetto di lavoro agile, le amministrazioni, sono chiamate ad adottare strumenti alternativi quali, ad es., la rotazione del personale, la fruizione degli istituti di congedo, della banca ore o istituti analoghi, delle ferie pregresse (nel rispetto della disciplina definita dalla contrattazione collettiva nazionale di lavoro). Ciò al fine precipuo di ridurre drasticamente la presenza dei dipendenti pubblici negli uffici ed evitarne lo spostamento, limitando la presenza del personale negli uffici ai soli casi in cui la presenza fisica risulti effettivamente indispensabile, senza alcun pregiudizio per lo svolgimento dell’attività amministrativa. A tal fine, sono previste forme di rotazione dei dipendenti per garantire un contingente minimo di personale da porre a presidio di ciascun ufficio, assicurando prioritariamente la presenza del personale con qualifica dirigenziale in funzione del proprio ruolo di coordinamento[8].

Da ultimo, nel Decreto del Min. Pubblica Amministrazione del 19 ottobre 2020, è stato ancora una volta rimarcato come il lavoro agile costituisca ormai “una delle modalità ordinarie di svolgimento della prestazione lavorativa”, con annessa postilla per la quale almeno fino al 31 dicembre 2020, per accedere al lavoro smart, non sia richiesto l’accordo individuale ex L. 81/2017.

Ciò comporta, senza ombra di dubbio, la “cementificazione” delle nuove prerogative e competenze che convogliano nel ruolo dirigenziale, quali ad esempio: 1) l’organizzazione  del proprio ufficio assicurando, su base giornaliera, settimanale o plurisettimanale, lo svolgimento del lavoro agile almeno al cinquanta per cento del personale preposto alle attività che possono essere svolte secondo tale modalità; 2) l’adozione, nei confronti dei dipendenti di cui all’articolo 21-bis, del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104 e succ. mod., nonché, di norma, nei confronti dei lavoratori fragili, di ogni soluzione utile ad assicurare lo svolgimento di attività in modalità agile anche attraverso l’adibizione a diversa mansione ricompresa nella medesima categoria o area di inquadramento, come definite dai contratti collettivi vigenti e lo svolgimento di specifiche attività di formazione professionale[9]; 3) l’adozione, al proprio livello, delle soluzioni organizzative necessarie per consentire lo svolgimento delle attività di formazione di cui alla lettera b) anche al personale che svolge attività di lavoro in presenza; 4) la promozione della rotazione del personale in smart working tesa ad assicurare, nell’arco temporale settimanale o plurisettimanale, un’equilibrata alternanza nello svolgimento dell’attività in modalità agile e di quella in presenza (tenendo comunque conto delle prescrizioni sanitarie vigenti per il distanziamento interpersonale e adeguando la presenza dei lavoratori negli ambienti di lavoro a quanto stabilito nei protocolli di sicurezza e nei documenti di valutazione dei rischi); 5) il tener conto, nella rotazione del personale in smart working, ove i profili organizzativi lo consentano, delle eventuali disponibilità manifestate dai dipendenti per l’accesso alla modalità di lavoro agile, secondo criteri di priorità che considerino le condizioni di salute del dipendente e dei componenti del nucleo familiare di questi, della presenza nel medesimo nucleo di figli minori di quattordici anni, della distanza tra la zona di residenza o di domicilio e la sede di lavoro, nonché del numero e della tipologia dei mezzi di trasporto utilizzati e dei relativi tempi di percorrenza[10].

In conclusione, dall’excursus normativo che precede, affiorano nuove prerogative dirigenziali che, svincolando la figura datoriale dal remoto mero ruolo di raccordo tra organo politico e parte dipendente, la proiettano un un’ottica maggiormente manageriale/aziendalistica, incentrata nella fissazione e nel raggiungimento di obiettivi in modalità strettamente connesse alle nuove opportunità digitali e tecnologiche che la continua evoluzione storica e sociale offrono.

Il dirigente che si proietta verso il futuro è dotato altresì di competenze trasversali di base, informatiche, digitali, linguistiche attraverso le quali egli è chiamato a trainare l’amministrazione attraverso i nuovi scenari storici e normativi che man mano si presentano, realizzando e contemperando i nuovi interessi e bisogni che medio tempore assumono più pregnanza nella società.

 

 

 

[1]  Inoltre, l’accordo individua i tempi di riposo del lavoratore e le misure tecnico-organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro (art. 19, comma 1) nonché le condotte, connesse all'esecuzione della prestazione lavorativa all'esterno dei locali aziendali, che danno luogo all'applicazione di sanzioni disciplinari (art. 21 comma 2).

[2] (Cfr. Dir. 3/2017 D, lett. b).

[3] Le linee guida, parte integrante della Direttiva n. 3/2017, disciplinano l’organizzazione del lavoro e la gestione del personale al fine di conciliare i tempi di vita e di lavoro dei dipendenti, favorire il benessere organizzativo e assicurare l’esercizio dei diritti da parte dei prestatori di lavoro.

[4] Occorre specificare che i dirigenti, al pari degli altri dipendenti, risultano potenziali fruitori delle misure flessibili di svolgimento della prestazione lavorativa.

 

[5] Cfr. Direttiva n. 3/2017, punto 3, lett. F) n. 3

[6] Le norme de quibus fanno riferimento al potere organizzativo del datore di lavoro e alla diligenza del prestatore.

[7] E’ concesso ad ogni amministrazione individuare autonomamente, nel rispetto dei principi normativi in materia, modalità e tempi di lavoro agile che più ritiene opportuni a soddisfare tutti gli interessi  coinvolti.

[8] Cfr, Dir. Dip. Funz. Pubbl. n. 2/ 2020.

[9] Il Decreto Min. P.A. del 19.10.2020 precisa che, nei casi di quarantena con sorveglianza attiva o di isolamento domiciliare fiduciario, il lavoratore, che non si trovi comunque nella condizione di malattia certificata, svolge la propria attività in modalità agile; mentre nei casi in cui ciò non sia possibile in relazione alla natura della prestazione, è comunque tenuto a svolgere le attività ad uopo assegnategli dal dirigente, ex art. 3, comma 1, lettera b) del decreto medesimo.

[10]  Cfr. art 3  D.M. cit.