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Anno XVI - n. 04 - Aprile 2024

  Temi e Dibattiti



Il contorno delle funzioni di un Capo di Dipartimento.

Di Pietro Cucumile.

 

Il contorno delle funzioni di un Capo di Dipartimento

Di PIETRO CUCUMILE

 

 

  • SOMMARIO.
  • INTRODUZIONE.
  • IL REGIME DEGLI ATTI POLITICI.
  • ATTIVITÀ DI INDIRIZZO POLITICO, POLITICO-AMMINISTRATIVO E DI ALTA AMMINISTRAZIONE.
  • GLI ATTI E LE FUNZIONI DI UN CAPO DI DIPARTIMENTO.
  • IL PUNTO DI VISTO DEL CONTROLLO INTERNO.

 

 

INTRODUZIONE.

E’ noto ai giuristi come un "atto politico" è definibile come quello che, sotto un profilo soggettivo, sia emanato da un organo della pubblica amministrazione preposto in modo funzionale all'indirizzo e alla direzione, al massimo livello, della cosa pubblica e che concerna, per un profilo oggettivo, "la costituzione, la salvaguardia e il funzionamento dei pubblici poteri nella loro organica struttura e nella loro coordinata applicazione"[1]; atti che, in apparenza soggettivamente e formalmente "amministrativi", costituiscono, tuttavia, espressione della fondamentale funzione di direzione e di indirizzo politico del Paese[2] e "coinvolgono i supremi interessi dello Stato e delle sue istituzioni fondamentali", non essendo sufficiente a qualificarlo tale la circostanza che "vi intervenga una valutazione di ordine politico"[3]. In tali casi, che configurano ipotesi eccezionali e di stretta interpretazione, l'atto considerato può sottrarsi ad un controllo giurisdizionale. Allora, la problematica deve necessariamente spostarsi anche sull’individuazione del potere politico.

Occorre richiamare l’elaborazione più attenta che ha cercato di individuare la caratterizzazione della funzione politica per esclusione, ossia per differenza da quella amministrativa; ovvero, posto che il potere esecutivo sia titolare della funzione amministrativa, si dovrà ricercare la funzione politica in tutta quell’attività dell’esecutivo che non può essere qualificata come amministrativa. Queste tecniche di argomentazione per esclusione, per quanto non appaganti da un punto di vista puramente dogmatico, dal punto di vista logico sono valide.

Un criterio casistico consiste nel rintracciare tutte le attività che spettano al potere esecutivo e che non rientrano nella funzione amministrativa.

Il criterio generale è considerare il principio di legalità. Ebbene, la funzione politica è sottratta al principio di legalità, caratteristica principale della funzione amministrativa, in quanto si tratta di produrre atti liberi nel fine e nella causa mentre la funzione amministrativa è “costretta” dal principio di legalità a rispondere ad un fine pubblico e ad una causa del potere.

A ben guardare, il potere amministrativo trova fondamento in una norma di legge ordinaria mentre il potere politico, in realtà, trova fondamento in una norma costituzionale.

Detto in altri termini, il potere politico si sottrae al principio di legalità ma non al principio della fonte formale: in uno Stato di diritto qualsiasi potere deve trovare giustificazione in una norma, anche se costituzionale.

Quindi, secondo l’interpretazione rigorosa della giurisprudenza maggioritaria non basta che un atto abbia una “valenza” politica[4] per definirlo politico, ma deve essere connotato oggettivamente dalla causa politica.

 

IL REGIME DEGLI ATTI POLITICI.

Per gli atti politici, essendo liberi nel fine e nella causa, non può predicarsi il concetto di discrezionalità amministrativa, perché questo indica lo spazio di libertà dell’amministrazione nell’esercizio di un potere comunque governato da una norma di legge[5].

Si afferma che gli atti politici sarebbero un numero chiuso sebbene non direttamente esplicitato: un numero chiuso perché devono trovare un aggancio in una norma della Costituzione; questa riconducibilità alla norma costituzionale non deve però essere necessariamente caratterizzata da determinatezza.

In altre parole, le norme costituzionali hanno, comunque, un carattere elastico e programmatico, sicché si dovrà sempre verificare se alcune attribuzioni possano essere ricondotte all’elenco previsto dalla carta costituzionale.

 

 

ATTIVITÀ DI INDIRIZZO POLITICO, POLITICO-AMMINISTRATIVO E DI ALTA AMMINISTRAZIONE.

 

L’attività di indirizzo politico-amministrativo non si riferisce alla suprema direzione della cosa pubblica in attuazione dei fini costituzionali ma, piuttosto, all'ambito della programmazione dell'azione amministrativa in attuazione delle decisioni politiche ovvero dell'impulso e coordinamento dell'azione amministrativa. E', dunque, una funzione di raccordo tra politica ed amministrazione, posta in essere da organi costituzionali di governo[6], ma non nell’esercizio della funzione politica in senso stretto e, quindi, ad un livello inferiore rispetto all’attività sul piano della “direzione della cosa pubblica”. Una traccia la offre, nell'ambito dell'attività di coordinamento dell'azione di governo, l’art. 95 della Costituzione[7].

Occorre, peraltro, distinguere l'attività di indirizzo politico dall'attività di indirizzo politico-amministrativo. L'attività di indirizzo politico riguarda la programmazione e il coordinamento della politica del Governo e sovrintende ai singoli atti politici. Tuttavia, va segnalato una certa promiscuità nel loro uso, sia da parte della dottrina che del legislatore.

Ebbene, i principali riferimenti normativi sono rinvenibili nel “Testo Unico del pubblico impiego”, D.lgs. n° 165/01, in particolare gli artt. 4 recante “Indirizzo politico-amministrativo. Funzioni e responsabilità” e 14 rubricato “Indirizzo politico-amministrativo”.

Ebbene, l'attività di indirizzo si colloca sulla linea di confine tra funzione politica e quella amministrativa. Si distingue, però, nettamente dall'attività amministrativa e da quella di alta amministrazione perchè non opera il principio di legalità. Secondo la tesi prevalente, infatti, l'attività di indirizzo sarebbe intrinsecamente attività politica, benché non attenga alla suprema direzione della cosa pubblica.

 Le ipotesi di cui all'art. 4, comma 1 lett. a), b) e c) del D.lgs. 165/2001[8] non sono riconducibili al genus amministrativo ma neppure a quello politico in senso stretto.  Al riguardo, non è elemento decisivo per la classificazione come atti amministrativi il loro assoggettamento al controllo preventivo di legittimità della Corte dei Conti dei provvedimenti emanati a seguito della deliberazione del Consiglio dei ministri nonché degli atti del Presidente del Consiglio dei ministri [9] e degli atti dei ministri aventi ad oggetto la dotazione delle dotazioni organiche, il conferimento di incarichi di funzioni dirigenziali, le direttive generali per l’indirizzo e lo svolgimento dell’azione amministrativa; il controllo della Corte dei Conti è previsto dalla Costituzione e lo stesso accerta, in primo luogo, il rispetto delle regole di finanza pubblica.

Invece, indice della natura politica, è la qualificazione, ex art. 2, comma 3 del D.lgs. n° 300/99, degli atti compresi nel catalogo di cui all'art. 4, comma 1 del D.lgs. 165/2001 che esprimano una funzione politica come esercizio di "poteri di indirizzo politico". Altro indice è dato dalla separazione tra politica ed amministrazione, per cui i compiti dell'organo politico devono estraniarsi da quelli di carattere amministrativo.

L’attività di alta amministrazione è, invece, posta in essere dal potere esecutivo nel perseguimento dell'interesse pubblico finalizzato all’attuazione del proprio programma attraverso un apparato amministrativo imparziale e rispettoso delle regole di buon andamento. È attività di raccordo tra politica ed amministrazione puntuale; precisamente, costituisce un’attuazione dell'indirizzo politico attraverso atti amministrativi ad elevato tasso di discrezionalità.

I vizi che possono venire in rilievo sono l' error in procedendo e l'eccesso di potere, perché l’elevato tasso di discrezionalità dipende dallo scolorirsi del principio di legalità, ovvero dalla circostanza che la norma o le norme di legge che disciplinano queste attività sono a maglie larghe e si limitano a delineare la causa e il fine del potere esercitato, ma non ne stabiliscono i presupposti, ovvero l’an, il quid, il quomodo e il quando; quindi, difficilmente sarà ravvisabile, a tal proposito, una violazione di legge mentre si potrà investigare il profilo dell’eccesso di potere, cioè la violazione di principi generali che, poi, sono comunque riconducibili ad uso distorto del potere amministrativo attribuito. 

Indagando ora un diverso e connesso punto di vista, l'attività di organizzazione ha natura strumentale e due possibili oggetti:

  1. la predisposizione di strutture, mezzi e personale; in particolare, l'istituzione di organi ed uffici, la previsione dei modi di conferimento, l'attribuzione delle relative competenze, l'assegnazione delle risorse finanziarie, la previsione di dotazioni organiche e la gestione del personale;
  2. la definizione dei rapporti interorganici. In particolare, qui va rilevato come gli atti di indirizzo e di direttiva sono atti tipici di formule organizzatorie che hanno preso il posto della gerarchia tradizionale sub specie di direzione e controllo.

Ebbene, il rapporto tra attività di organizzazione e attività politica o amministrativa è “orizzontale” e non verticale. Inoltre, l'attività di organizzazione di livello apicale è prossima alla funzione di indirizzo mentre nei livelli successivi si omologa all'attività amministrativa.

Di più. La natura strumentale dell’attività organizzatoria è di tipo materiale, ovvero si riferisce alle procedure, ai mezzi e al personale, con riferimento, poi, al funzionamento della macchina pubblica. Ciò non toglie, però, che l'attività di indirizzo possa avere un contenuto organizzativo in senso stretto. Rientrano, ad esempio, nell'attività di indirizzo sia la determinazione della dotazione organica vuoi la ripartizione delle risorse tra le varie direzioni generali.

Detto in altri termini, la separazione tra politica ed amministrazione si identifica solo tendenzialmente nella distinzione tra funzioni di indirizzo e gestione, come dimostrano l'art. 4, comma 4 del D.lgs. n° 165/2001[10] e l'art. 5 D.lgs. n° 300/99 che prevede compiti di indirizzo per un capo di dipartimento.

Inoltre, tale separazione non va intesa come un taglio netto; i rapporti tra un Ministro e la sua alta dirigenza hanno, infatti, natura circolare, risultando composti da una fase discendente[11] ed una ascendente[12]. Il contatto tra le due sfere giustifica la conservazione di un potere di direzione politica sulla dirigenza generale[13].

L'attività politica si distingue, poi, sotto un profilo teorico, dall'alta amministrazione in virtù del criterio teleologico, libertà dei fini, nonché di quello causale[14]. Meno agevole è la distinzione dell’attività politica con quella di indirizzo politico-amministrativo.

Quindi, l'art. 2, comma 3 del D.lgs. n° 300/99 stabilisce che "Sono in ogni caso attribuiti ai ministri, anche con riferimento alle agenzie dotate di personalità giuridica, la titolarità dei poteri di indirizzo politico di cui agli articoli 3 e 14 del decreto legislativo n. 29 del 1993 e la relativa responsabilità."

Ebbene, il richiamo all'art. 3 del D.lgs. n° 29/93 deve oggi intendersi riferito all'art. 4, comma 1 del D.lgs. n° 165/2001, all'interno del quale sono definite funzioni di indirizzo politico:

  1. le decisioni in materia di atti normativi e l'adozione dei relativi atti di indirizzo interpretativo ed applicativo;
  2. la definizione di obiettivi, priorità, piani, programmi e direttive generali per l'azione amministrativa e per la gestione;
  3. la individuazione delle risorse umane, materiali ed economico-finanziarie da destinare alle diverse finalità e la loro ripartizione tra gli uffici di livello dirigenziale generale.

Diversamente, la funzione di alta amministrazione è quella di cui all'art. 4, comma 1 del D.lgs. n° 165/2001, lettere:

  1. d) la definizione dei criteri generali in materia di ausili finanziari a terzi e di determinazione di tariffe, canoni e analoghi oneri a carico di terzi;
  2. e) le nomine, designazioni ed atti analoghi ad essi attribuiti da specifiche disposizioni;
  3. f) le richieste di pareri alle autorità amministrative indipendenti ed al Consiglio di Stato.

L'attività di organizzazione fa, invece, riferimento all'attività di autoorganizzazione degli uffici alle dirette dipendenze dal Ministro ed a quella di organizzazione degli uffici dirigenziali generali; i riferimenti normativi sono:

  • art. 4, commi 1 del D.lgs. n° 300/99[15]: la fonte è un regolamento di delegificazione;
  • l’art. 4, comma 4, del D.lgs. ° 300/99[16]: la fonte è un decreto ministeriale non regolamentare.

Si tratta di atti formalmente amministrativi ma sostanzialmente normativi, a valenza organizzatoria, ex art. 97 Costituzione, e non funzionale; sono, dunque, estranei all'attività politica e di indirizzo politico-amministrativo.

 

GLI ATTI E LE FUNZIONI DI UN CAPO DI DIPARTIMENTO.

La definizione della natura e del contenuto delle funzioni dei capi di dipartimento apre spesso perplessità e dubbi legati alla necessità di un corretto inquadramento delle loro figure che, a volte, è frutto di un approfondimento superficiale della complessa normativa che li riguarda.

A tal proposito, un primo riferimento normativo sul tema è rintracciabile nell’art. 12 della c.d. “Legge Bassanini”, Legge 15 marzo 1997, n. 59, rubricata "Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa"[17] il quale pone l’esigenza di evitare duplicazioni organizzative e funzionali attraverso il trasferimento, riallocazione o unificazione delle funzioni e degli uffici esistenti, sulla base di criteri di omogeneità, di complementarietà e di organicità.

Successivamente, le funzioni di alta amministrazione ascrivibili ad un capo di Dipartimento sono state compiutamente descritte nell’art. 5 Decreto Legislativo 30 luglio 1999, n. 300, recante la “Riforma dell'organizzazione del Governo, a norma dell'articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59", ove, in particolare, è stato affermato che il capo del dipartimento: determina i programmi per dare attuazione agli indirizzi del Ministro[18].

Ciò che è opportuno mettere in evidenza è come il capo di un dipartimento, essendo al vertice di una struttura organizzata in uffici dirigenziali generali ed a stretto contatto con l'organo politico, assuma funzioni di indirizzo, venendosi a configurare come ponte tra Ministro e dirigente generale. Occorre, allora, stabilire se l'attività di indirizzo del medesimo sia funzione amministrativa o politico-amministrativa.

Ebbene, poiché la funzione politico-amministrativa spetta esclusivamente agli organi politici[19], l'attività di indirizzo del medesimo deve inquadrarsi nell'ambito della funzione amministrativa.

A conferma di tale assunto va rilevato come l’attività dipartimentale sia astretta, quanto al fine ed alla causa, proprio dall'indirizzo politico fissato dal Ministro che riempie di contenuti la norma attributiva del potere; in questo modo è, tra l’altro, possibile affermare l'operatività in materia del principio di legalità.

Ulteriore argomento a sostegno della funzione amministrativa di un capo di Dipartimento riguarda la sua posizione, che è dirigente della struttura di primo livello in cui si articola il Ministero, è a stretto contatto con l’organo politico e, tuttavia, ne è separato.

Ove la funzione di cerniera con l’organo politico spettasse ad un capo di dipartimento, allora ci si troverebbe di fronte a quella attuazione dell’indirizzo politico e sarebbe attività politica essa stessa; diversamente, l’attività di cerniera non spetta ad un capo di dipartimento bensì agli uffici di diretta collaborazione con il Ministro, così come articolato nella lett.a), comma 2) dell’art. 7 Decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300[20].

Ciò detto, dal punto di vista dell’attività di organizzazione di un capo di dipartimento, l’art. 5 D.lgs. n° 300/99 così si esprime:

5. Nell'esercizio dei poteri di cui ai precedenti commi 3 e 4, in particolare, il capo del dipartimento:

  1. b) alloca le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili per l'attuazione dei programmi secondo princìpi di economicità, efficacia ed efficienza, nonché di rispondenza del servizio al pubblico interesse;
  2. c) svolge funzioni di propulsione, di coordinamento, di controllo e di vigilanza nei confronti degli uffici del dipartimento”

La formulazione testuale dell’art. 5, comma 5 lett. b) riguarda, quindi, l’attività di organizzazione che investe gli uffici di livello dirigenziale generale compresi nel suo dipartimento[21]Qui è netta la distinzione dalla funzione di alta amministrazione, poiché un capo di dipartimento, in tali ipotesi, non svolge compiti di indirizzo.

Di più. L’art. 5, comma 3[22] afferisce, invece, all’attività di coordinamento, direzione e controllo degli uffici del dipartimento. In questa ipotesi, la distinzione con la funzione di alta amministrazione è più sfumata poichè un capo di dipartimento svolge compiti di indirizzo degli organi da lui funzionalmente dipendenti. Sono, infatti, compiti rientranti nella sfera dei rapporti organizzatori[23]. A tal proposito, si ricorda che la distinzione tra indirizzo amministrativo e coordinamento organizzativo è in questo: l'indirizzo consiste nell’indicazione di un fine lasciando la libertà nei mezzi, diversamente dal coordinamento che si atteggia come un'attività di armonizzazione che non persegue un interesse proprio ma quello obiettivo del buon andamento.

Sul punto, appare decisiva l’equipollenza della fattispecie di cui all'art. 5, comma 5 lett. b) con la previsione generale di cui all'art. 5, comma 1 del D.lgs. n° 165/2001 con riferimento ai principi di efficienza, efficacia, economicità ed alla rispondenza al pubblico interesse.

Non sfugge ad alcuno, poi, che l'esistenza di una zona grigia nella qualificazione degli atti di organizzazione è dovuta, principalmente, al livello apicale in cui si collocano i capi di un dipartimento; livello, poi, che nell'impianto originario era sottratto alla privatizzazione dei rapporti di pubblico impiego.

La gestione di un dipartimento spetta, poi, ai dirigenti generali, ex art. 16, lett. d, del D.lgs. n° 165/2001. Il Capo di un dipartimento, infatti, svolge un'attività strumentale che si concretizza in atti di alta amministrazione o di organizzazione.

Gli altri atti di micro-organizzazione, tra cui quelli di gestione del personale ex art. 5, comma 5 lett. f), sono invece atti paritetici, ai sensi dell'art. 5, comma 2 del D.lgs. n° 165/2001.

 

IL PUNTO DI VISTO DEL CONTROLLO INTERNO.

Il Decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286 recante il “riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, a norma dell'articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59” rappresenta una delle manifestazioni più evidenti dell’ingresso del modello aziendalistico nella concezione strutturale dell’amministrazione.

Il titolo è già un programma: si tratta della valutazione costi-benefici dell’attività amministrativa. Questo è il programma del nuovo corso della pubblica Amministrazione ammettendo che, nella gestione degli interessi pubblici, sia possibile attuare una valutazione costi-benefici che richieda l’utilizzo di parametri ed indicatori in chiave economica. È chiaro che per affermare come l’attività amministrativa venga letta e valutata in questa chiave, si deve ammettere che nell’attività amministrativa, accanto al principio di legalità, entri un altro principio, quello di buon andamento.

Con riferimento all’articolo 1, “le pubbliche amministrazioni si dotano di strumenti adeguati a:

lett. a) garantire la legittimità, regolarità e correttezza dell’azione amministrativa”; questo è il cosiddetto controllo di regolarità amministrativo-contabile che, a ben vedere, non è un controllo di legittimità; non è un caso che vengano utilizzate le parole “regolarità amministrativa e contabile”

lett. b)verificare l’efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, al fine di ottimizzare il rapporto tra costi e benefici”; in linea di massima qui si hanno riflessi i due principi:

  • a) principio di legalità, perché quando si fa riferimento alla regolarità si intendano regole giuridiche,
  • b) principio di buon andamento, cioè efficacia efficienza ed economicità dell’azione. Non è un caso che si faccia riferimento all’azione e non al singolo atto, perché il controllo di gestione riguarda il complesso dell’attività e la verifica dei risultati e qui si spiega anche l’ulteriore formula che viene utilizzata per definire il nuovo corso della pubblica amministrazione: accanto a quello dell’amministrazione-azienda quello di amministrazione per risultati;

lett. d)valutare l’adeguatezza delle scelte compiute in sede di attuazione dei piani, programmi ed altri strumenti di determinazione dell’indirizzo politico in termini di congruenza tra i risultati conseguiti ed obiettivi predefiniti, valutazione del controllo strategico”; la valutazione del controllo strategico è quella che presiede alla verifica della corrispondenza tra programmazione politica ed attuazione amministrativa, ove la programmazione politica è definita come determinazione dell’indirizzo politico. Qui si ha un altro riflesso dell’ascrivibilità di quell’attività di indirizzo politico amministrativo alla funzione politica latu sensu.

Con riferimento al comma 2 dell’art. 1:

lett. a)l’attività di valutazione e controllo strategico supporta l’attività di programmazione strategica in indirizzo politico amministrativo di cui all’art. 3 lett. b) e c) e 14 del D. Lgs. n. 29/93; il riferimento va oggi inteso agli artt. 4 e 14 del D.lgs. n° 165/2001. La valutazione strategica è “svolta da strutture che rispondono direttamente agli organi di indirizzo politico amministrativo, le strutture stesse svolgono di norma l’attività di valutazione dei dirigenti direttamente destinatari delle direttive emanate dagli organi di indirizzo politico-amministrativo, in particolare dai ministri”: queste strutture che si occupano della valutazione strategica sono gli uffici alle dirette dipendenze del Ministro di cui all’art. 7 del D. lgs. n° 300/1999. Anche se tale Decreto è entrato in vigore prima del D.lgs. n° 286/99 è chiaro che sono stati redatti “congiuntamente”.

Con riferimento al comma 1 dell’art. 1:

lett. a)garantire la legittimita', regolarita' e correttezza dell'azione amministrativa”;

lett. b) il controllo di gestione, fermo restando quanto previsto dalla lett. a) sono svolte da strutture e soggetti che rispondono ai dirigenti posti al vertice dell’unità organizzativa interessata”: sono i capi di un dipartimento o i segretari generali.

Non è, quindi, il Ministro ad effettuare il controllo di gestione; il Ministro effettua il controllo strategico, anche alla luce della distinzione tra politica ed amministrazione.

Queste argomentazioni si ricollegano alla funzione di capo di un dipartimento. Si prenda a riferimento l’art. 5 lett. g) del D.lgs. n° 300/1999 secondo cui “può promuovere al Ministro l’adozione di provvedimenti di revoca…ai sensi dell’art. 19 comma settimo: è il capo di un dipartimento che propone al Ministro, perché a lui rispondono quelle strutture che effettuano il controllo di gestione e l’attività di valutazione dei dirigenti, che sono quei tipi di valutazione rispetto ai quali si può verificare l’attività della dirigenza generale.

lett. c):l’attività di valutazione dei dirigenti utilizza anche i risultati del controllo di gestione, ma è svolta da strutture e soggetti diversi da quelli cui è demandato il controllo di gestione medesimo”: se l’attività di valutazione dei dirigenti era già compresa nella lett. b) ci si chiede come mai ritorni nella formulazione della lett. c). Forse, si potrebbe affermare che quanto viene svolto secondo la lett. b da certe strutture viene poi svolto, secondo la lett. c, da soggetti diversi. Il dubbio ha una soluzione: quando si deve valutare l’attività dei dirigenti, la performance dei dirigenti, non si può, ai sensi della lett. c), prescindere dal verificare l’andamento della gestione. È chiaro, quindi, che i due aspetti debbano integrarsi e da qui si spiega il tenore delle lettere b) e c): però, esistono strutture di tipo diverso.

L’integrazione, però, non opera per le verifiche di regolarità; il controllo di gestione e la valutazione dei dirigenti devono svolgersi in modo integrato ma non con riferimento al controllo di regolarità.

Si noti come la lett b) faccia riferimento ai capi di un dipartimento mentre la lett. c) riguardi i dirigenti generali e sono altre strutture, per il controllo di gestione, che rispondono ad un capo di dipartimento; per la valutazione di dirigenti sono strutture autonome.

Esiste, però, un’integrazione tra valutazione strategica, controllo di gestione, ovvero sul rendimento sull’attività amministrativa, e controllo sul rendimento del dirigente; il controllo di regolarità non lo è e, anzi, deve essere totalmente avulso. Detto in altri termini, il parametro per la lett a) è il principio di legalità e il buon andamento per la lett. b e c).

L’articolo 3 si riferisce ai controlli della Corte dei Conti, che si occupa del controllo di legittimità; è un controllo di tipo esterno perchè si tratta, tra l’altro, di un organo, a rilevanza costituzionale, che svolge un controllo preventivo di legittimità in quei casi tassativamente previsti e, poi, anche un controllo sulla gestione; quindi, naturalmente c’è l’esigenza di creare un coordinamento tra il controllo preventivo di legittimità, che assomiglia a quello di regolarità amministrativa e, poi, il controllo successivo sulla gestione.

Secondo l’articolo 4 il controllo di gestione è il rapporto costi-benefici, il rendimento, i risultati dell’attività e il suo riferimento è il principio di buon andamento in senso rigoroso;

I criteri del controllo di gestione sono indicati all’art. 4, lett. d), e), f), g); chi se ne occupa “ai fini del controllo di gestione ciascuna amministrazione pubblica definisce l’unità responsabile della progettazione e della gestione del controllo di gestione […]. l’insieme dei prodotti e delle finalità dell’azione amministrativa …ancora le modalità di rilevazione e ripartizione dei costi […] gli indicatori specifici per misurare l’efficacia, efficienza ed economicità”; quali siano le unità dedicate va determinato nell’ambito di ciascuna amministrazione, ovvero nell’organizzazione ministeriale, con la precisazione che, nell’ambito del controllo di gestione, queste unità devono, comunque, rispondere ai capi di un dipartimento.

Orbene, nel D. L.gs. n° 300/1999 è un capo di un dipartimento a svolgere funzioni di controllo e vigilanza nei confronti degli uffici del dipartimento, ivi compresi quelli addetti al controllo di gestione: quindi, vi è rispondenza tra le due norme.

 Il D. Lgs. n° 300/99 non si occupa, però, di istituire tali organi preposti al controllo di gestione, per la semplice ragione per cui la previsione di questi organi non deve essere effettuata con lo strumento della legge: la legge si occupa di istituire i dipartimenti. Le strutture di primo livello, come già la “legge Bassanini” prevedeva, sono i dipartimenti e, al loro interno, si interviene con un decreto ministeriale non normativo.

Secondo il primo comma dell’art. 4: “ciascuna amministrazione definisce..”; quindi, sarà un atto di organizzazione non normativo ad individuare queste unità responsabili del controllo di gestione e tutto quanto è previsto dalle lett. b), d), e ss..

Orbene, il controllo di gestione è effettuato da strutture costituite ad hoc, nell’ambito di un dipartimento, con la veicolazione di un decreto ministeriale, ovvero l’atto previsto dall’art. 4; si ribadisce, ancora, che le strutture di cui all’art. 4 rientrano nel dipartimento, sottoposte alla vigilanza, al controllo del capo di un dipartimento;

Secondo l’articolo 5, la valutazione della performance si annoda oltre che ai risultati dell’attività, anche all’attuazione dell’indirizzo politico-amministrativo ed anche ad un altro profilo del buon andamento in chiave organizzatoria, ovvero alla capacità di utilizzazione delle risorse a lui assegnate.

In punto di valutazione del dirigente, ex art. 5 comma 4:la procedura di valutazione di cui al comma 3 costituisce presupposto per l’applicazione delle misure di cui all’art. 21  … in particolare le misure di cui al comma 1 del predetto articolo si applicano allorché i risultati negativi dell’attività amministrativa e della gestione  – controllo di gestione –  o il mancato raggiungimento degli obiettivi – controllo strategico –  emergono dalle ordinarie annuali procedure di valutazione”.

Ebbene, i risultati negativi dell’attività amministrativa e della gestione attengono al controllo di gestione; il mancato raggiungimento degli obiettivi ricade, invece, nella valutazione del controllo strategico. Detto in altri termini, un conto è l’efficienza dell’attività, altro è l’attuazione degli obiettivi, ma entrambi vanno valutati.

A valle del ciclo della performance, il controllo di valutazione sul dirigente viene svolto, per i capi di dipartimento, dal Ministro per il tramite degli “uffici di staff”, per i dirigenti generali dal capo di dipartimento e per i dirigenti dal dirigente generale[24].

Quindi, preposti alla valutazione della performance dell’attività e della performance del dirigente sono: per il primo aspetto organi ad hoc nell’ambito del dipartimento; per l’altro saranno nella scala del dipartimento, ma non organi ad hoc, bensì gli stessi soggetti investiti delle funzioni dirigenziali[25].

Si ponga attenzione alla circostanza che la valutazione della performance dell’attività è controllo di gestione mentre la valutazione della performance del dirigente è valutazione della dirigenza.

Il controllo di gestione sul rendimento dell’attività viene svolto da strutture ad hoc che rispondono al capo di un dipartimento e il controllo sulla dirigenza viene, invece, imputato al vertice dirigenziale dell’ufficio cui si riferisce il dirigente controllato; sul capo di dipartimento, che non ha alcun vertice amministrativo, il controllo è svolto dall’organo politico perchè comunque svolge la stessa valutazione strategica[26].

Per quanto riguarda il controllo di valutazione, il comma 3 dell’art. 5 recita: “per le amministrazioni dello Stato la valutazione è adottata dal responsabile dell’ufficio dirigenziale generale interessato, su proposta del dirigente eventualmente diverso preposto all’ufficio cui è assegnato il dirigente valutato”.

Qui si riscontra un problema interpretativo: “il responsabile dell’ufficio dirigenziale generale, su proposta del dirigente non generale preposto all’ufficio cui è assegnato il dirigente valutato”; per i dirigenti preposti all’ufficio di livello dirigenziale generale la valutazione è adottata dal Capo dirigente o altro dirigente generale sovraordinato”. Per i dirigenti preposti ai centri di responsabilità delle rispettive amministrazioni ai quali si riferisce l’art. 14, comma 1, lett. b) la valutazione è effettuata dal Ministro sulla base degli elementi forniti dall’organo di valutazione e controllo strategico”. Ebbene, per i dirigenti preposti ai centri di responsabilità delle rispettive amministrazioni, occorre prendere in considerazione il primo comma dell’art. 14, lett. b) del D.lgs. n° 165/2001[27].

Come di consueto, il comma 3 delinea questa valutazione del personale a struttura piramidale, come quella dell’organizzazione ministeriale, partendo dal basso:

  • per i dirigenti è il dirigente generale;
  • per il dirigente generale è il capo di un dipartimento;
  • per il capo del dipartimento è il Ministro[28].

L’articolo 6 si occupa del controllo strategico e ritorna sulla natura dell’attività dell’indirizzo politico amministrativo, attività di controllo strategico, ovvero del controllo sull’attuazione dell’indirizzo politico-amministrativo ministeriale che è effettuato dagli uffici alle dirette dipendenze del Ministro; queste strutture svolgono anche la valutazione dei capi di un dipartimento: “l’attività di valutazione e controllo mira a verificare l’effettiva attuazione delle scelte contenute nelle direttive ed altri atti di indirizzo politico. L’attività stessa consiste nell’analisi della congruenza e/o degli eventuali scostamenti tra le missioni affidate dalle norme e gli obiettivi operativi prescelti, le scelte operative effettuate, le risorse umane finanziarie materiali assegnate, nonché l’identificazione di eventuali fattori ostativi”.

Orbene, la congruenza è tra missioni affidate dalle norme, obiettivi operativi prescelti e scelte operative effettuate da un lato e i mezzi che sono stati assegnati alle risorse umane, finanziarie e materiali. I risultati, quindi, vanno verificati nei termini della possibilità: se il dirigente è messo in condizione di realizzare quei risultati allora è possibile imputargli un’eventuale e deficitaria realizzazione del risultato.

Si veda, ora, l’art. 8 che è il culmine del discorso perché finalmente si riesce a chiuderlo: si sta parlando degli atti ministeriali presenti anche nel primo comma dell’art. 4, lett. b) del D.lgs. n° 165/2001:la definizione di obiettivi, priorità, piani, programmi e direttive generali per l’azione amministrativa e per la gestione”. L’art. 8[29] si riferisce alla direttiva annuale del Ministro di cui al primo comma dell’art. 14 del D. Lgs. n. 29, lett. a):definisce obiettivi, priorità, piani e programmi da attuare, emana le conseguenti direttive generali”.

In relazione alla direttiva annuale del Ministro da cui, poi, dipende tutta l’attività ministeriale la norma di riferimento così si esprime: “la direttiva annuale del Ministro ..costituisce il documento – neanche atto –  base per la programmazione e la definizione degli obiettivi delle unità dirigenziali di primo  livello [30]in coerenza ad eventuali indirizzi del Presidente del Consiglio dei Ministri … la direttiva identifica i principali risultati da realizzare in relazione anche agli indicatori stabiliti dalla documentazione di bilancio per centri di responsabilità e per funzioni-obiettivo.

Interessante è, poi, il primo comma dell’art. 14 del D.lgs. n° 165/2001: “.. a tal fine periodicamente e comunque ogni anno entro 10 giorni dalla pubblicazione della legge di bilancio…”; non a caso quest’ultima è legge di finanza pubblica, atto politico per eccellenza che ripartisce le spese per i vari ministeri.

Le spese sono ripartite in base agli obiettivi dell’azione governativa; allora, questa stretta contiguità temporale e funzionale con la legge di bilancio la dice lunga come la Direttiva ministeriale sia un atto attuativo della suprema direzione della cosa pubblica e, quindi, atto di natura lato sensu politico.

La centralità del tema qui trattato è testimoniata dal fatto che la quasi totalità delle azioni di riforma amministrativa poste in essere negli anni novanta si presta ad essere letta in chiave di introduzione di una cultura della valutazione nel mondo delle amministrazioni pubbliche che tendono a farsi servizio a favore della collettività.

 Qui ci si riferisce all’amministrazione di servizi cioè volta a recare utilità al cittadino; è la rivitalizzazione della nozione di ben pubblico, da cui dipende, poi, l’adeguamento della mission pubblica.

 

 

NOTE:

[1] Cfr. Cons. di Stato, Sez. IV, 12/3/2001, n. 1397

[2] Cfr. Cons. di Stato, Sez. IV, 29/2/96, n. 217; T.A.R. Puglia, Sez. I, 19/12/98, n. 930

[3] Cfr. Cons. di Stato Sez. IV, 17/1/86, n. 30

[4] La valenza politica può colorare anche, ad esempio, atti di alta amministrazione

[5] Dalla norma attributiva del potere medesimo e da una serie di altre norme che concorrono ad delimitarne l’esercizio sostanziale o procedimentale

[6] Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministri

[7]Il Presidente del Consiglio dei Ministri dirige la politica generale del Governo e mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo”.

[8] Art. 4. Indirizzo politico-amministrativo. Funzioni e responsabilità

  1. Gli organi di governo esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e verificano la rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti. Ad essi spettano, in particolare:
  2. a) le decisioni in materia di atti normativi e l'adozione dei relativi atti di indirizzo interpretativo ed applicativo;
  3. b) la definizione di obiettivi, priorità, piani, programmi e direttive generali per l'azione amministrativa e per la gestione;
  4. c) la individuazione delle risorse umane, materiali ed economico-fmanziarie da destinare alle diverse finalità e la loro ripartizione tra gli uffici di livello dirigenziale generale..

[9] Art. 2 legge 23 agosto 1988 n. 400

[10] Che prevede tale distinzione anche lì dove manchi l'organo politico

[11] I dirigenti generali attuano l'indirizzo ed i programmi ministeriali

[12] I dirigenti generali formulano proposte e pareri all'esercizio delle le funzioni ministeriali

[13] Art. 14, comma 3, sui poteri di sostituzione in ipotesi di inerzia e di annullamento per vizi di legittimità

[14] La funzione politica realizza una sintesi di tutti gli interessi generali, la funzione amministrativa persegue interessi di carattere settoriale

[15] Organizzazione, dotazione organica, individuazione degli uffici di livello dirigenziale generale, relative funzioni, individuazione di dipartimenti

[16] Individuazione degli uffici di livello dirigenziale non generale e definizione dei relativi compiti

[17] Art. 12 della c.d. “Legge Bassanini”, Legge 15 marzo 1997, n. 59, rubricata "Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa 1. Nell'attuazione della delega di cui alla lettera a) del comma 1 dell'articolo 11 il Governo si atterrà, oltreché ai princìpi generali desumibili dalla legge 23 agosto 1988, n. 400, dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e dal decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni ed integrazioni, ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

Omissis

  1. g) eliminare le duplicazioni organizzative e funzionali, sia all'interno di ciascuna amministrazione, sia fra di esse, sia tra organi amministrativi e organi tecnici, con eventuale trasferimento, riallocazione o unificazione delle funzioni e degli uffici esistenti, e ridisegnare le strutture di primo livello, anche mediante istituzione di dipartimenti o di amministrazioni ad ordinamento autonomo o di agenzie e aziende, anche risultanti dalla aggregazione di uffici di diverse amministrazioni, sulla base di criteri di omogeneità, di complementarietà e di organicità;

[18] Art. 5 D.lgs. n° 300/99

  1. I dipartimenti sono costituiti per assicurare l'esercizio organico ed integrato delle funzioni del ministero. Ai dipartimenti sono attribuiti compiti finali concernenti grandi aree di materie omogenee e i relativi compiti strumentali ivi compresi quelli di indirizzo e coordinamento delle unità di gestione in cui si articolano i dipartimenti stessi, quelli di organizzazione e quelli di gestione delle risorse strumentali, finanziarie ed umane ad essi attribuite.
  2. L'incarico di capo del dipartimento viene conferito in conformità alle disposizioni, di cui all'articolo 19 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 e successive modificazioni ed integrazioni.
  3. Il capo del dipartimento svolge compiti di coordinamento, direzione e controllo degli uffici di livello dirigenziale generale compresi nel dipartimento stesso, al fine di assicurare la continuità delle funzioni dell'amministrazione ed è responsabile dei risultati complessivamente raggiunti dagli uffici da esso dipendenti, in attuazione degli indirizzi del Ministro.
  4. Dal capo del dipartimento dipendono funzionalmente gli uffici di livello dirigenziale generale compresi nel dipartimento stesso.
  5. Nell'esercizio dei poteri di cui ai precedenti commi 3 e 4, in particolare, il capo del dipartimento:
  6. a) determina i programmi per dare attuazione agli indirizzi del Ministro..

[19] Tale non è il Capo di un Dipartimento

[20] Articolo 7 Uffici di diretta collaborazione con il Ministro.

  1. La costituzione e la disciplina degli uffici di diretta collaborazione del Ministro, per l'esercizio delle funzioni ad esso attribuite dagli articoli 3 e 14 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 e successive modificazioni ed integrazioni, l'assegnazione di personale a tali uffici e il relativo trattamento economico, il riordino delle segreterie particolari dei sottosegretari di Stato, sono regolati dall'articolo 14, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29.
  2. I regolamenti di cui al suddetto articolo 14, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, si attengono, tra l'altro, ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
  3. a) attribuzione dei compiti di diretta collaborazione secondo criteri che consentano l'efficace e funzionale svolgimento dei compiti di definizione degli obiettivi, di elaborazione delle politiche pubbliche e di valutazione della relativa attuazione e delle connesse attività di comunicazione, nel rispetto del principio di distinzione tra funzioni di indirizzo e compiti di gestione;

[21] Quelli di livello dirigenziale non generale sono organizzati dal direttore dell'ufficio di livello dirigenziale generale

[22] 3. “Il capo del dipartimento svolge compiti di coordinamento, direzione e controllo degli uffici di livello dirigenziale generale compresi nel dipartimento stesso, al fine di assicurare la continuita' delle funzioni dell'amministrazione ed e' responsabile dei risultati complessivamente raggiunti dagli uffici da esso dipendenti, in attuazione degli indirizzi del Ministro”. Vedi anche l’art. 16, comma 5 del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165

[23] Di direzione ed indirizzo

[24] In questo lavoro non si prendono in considerazione le competenze dell’OIV

[25] organo politico per il tramite degli uffici di staff, capo di dipartimento e dirigente generale

[26] In questo lavoro non si prendono in considerazione le competenze dell’OIV

[27] Art. 14. Indirizzo politico-amministrativo

  1. Il Ministro esercita le funzioni di cui all'articolo 4, comma 1. A tal fine periodicamente, e comunque ogni anno entro dieci giorni dalla pubblicazione della legge di bilancio, anche sulla base delle proposte dei dirigenti di cui all'articolo 16:
  2. a) definisce obiettivi, priorità, piani e programmi da attuare ed emana le conseguenti direttive generali per l'attività amministrativa e per la gestione;
  3. b) effettua, ai fini dell'adempimento dei compiti definiti ai sensi della lettera a), l'assegnazione ai dirigenti preposti ai centri di responsabilità delle rispettive amministrazioni delle risorse di cui all'articolo 4, comma 1, lettera e), del presente decreto, ivi comprese quelle di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279, e successive modificazioni ed integrazioni, ad esclusione delle risorse necessarie per il funzionamento degli uffici di cui al comma 2; provvede alle variazioni delle assegnazioni con le modalità previste dal medesimo decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279, tenendo altresì conto dei procedimenti e subprocedimenti attribuiti ed adotta gli altri provvedimenti ivi previsti.

[28] In questo lavoro non si prendono in considerazione le competenze dell’OIV

[29] Art. 8. Direttiva annuale del Ministro

  1. La direttiva annuale del Ministro di cui all'articolo 14, del decreto n. 29, costituisce il documento base per la programmazione e la definizione degli obiettivi delle unita' dirigenziali di primo livello. In coerenza ad eventuali indirizzi del Presidente del Consiglio dei Ministri, e nel quadro degli obiettivi generali di parita' e pari opportunita' previsti dalla legge, la direttiva identifica i principali risultati da realizzare, in relazione anche agli indicatori stabilitidalla documentazione di bilancio per centri di responsabilita' e per funzioni obiettivo, e determina, in relazione alle risorse assegnate, gli obiettivi di miglioramento, eventualmente indicando progetti speciali e scadenze intermedie. La direttiva, avvalendosi del supporto dei servizi di controllo interno di cui all'articolo 6, definisce altresi' i meccanismi e gli strumenti di monitoraggio e valutazione dell'attuazione. 2. Il personale che svolge incarichi dirigenziali ai sensi dell'articolo 19, commi 3 e 4, del decreto n. 29, eventualmente costituito in conferenza permanente, fornisce elementi per l'elaborazione della direttiva annuale.

 [30] Capi di dipartimento o segretari generali