Giurisprudenza Amministrativa
Gestione Fiscalità contro Regione Campania, nei confronti di ACI – Automobile Club d’Italia
Di Daniela Sciacchitano
NOTA A CORTE DI GIUSTIZIA UE, SEX. IX, ORDINANZA DEL 30 giugno 2020, C-618/19
Gestione Fiscalità contro Regione Campania, nei confronti di ACI – Automobile Club d’Italia
Di Daniela Sciacchitano
L’articolo 12, paragrafo 4, della direttiva 2014/24/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, dev’essere interpretato nel senso che esso osta a una disposizione nazionale che consente l’affidamento diretto, senza gara, dell’appalto dei servizi relativi alla gestione della tassa automobilistica a un ente pubblico non economico che ha il compito di gestire il pubblico registro automobilistico
Sommario: 1. Premessa – 2. La vicenda – 3. La decisione della Corte di Giustizia – 4. L’influenza del precedente nella causa C-429/19 – 5. Rilievi critici e soluzioni avanzate dalla giurisprudenza nazionale – 6. Conclusioni
- Premessa
L’articolo 12, comma 4, della direttiva 26 febbraio 2014, n.2014/24/UE relativa agli appalti nei settori ordinari prevede l’esplicita esclusione dall’applicazione della normativa nazionale in materia di appalti al verificarsi di determinate condizioni, che sono state trasposte nell’articolo 5, comma 6, del d.lgs 18 aprile 2016, n. 50 (c.d. “Codice dei Contratti Pubblici”).
Tale esclusione si verifica nel caso in cui un accordo concluso esclusivamente tra amministrazioni aggiudicatrici – che, di fatto, potrebbe costituire un appalto pubblico –, soddisfa cumulativamente le seguenti condizioni:
- L’accordo stabilisce o realizza una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti, finalizzata a garantire che i servizi pubblici che essi sono tenuti a svolgere siano prestati nell’ottica di conseguire obiettivi che essi hanno in comune;
- L’attuazione di tale cooperazione è retta esclusivamente da considerazioni inerenti all’interesse pubblico;
- Le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti svolgono sul mercato aperto meno del 20 % delle attività interessate dalla cooperazione.
Il fondamento di tale previsione risiede nella volontà di promuovere forme di collaborazione tra soggetti pubblici, che permettano alla P.A. di organizzarsi in piena autonomia e che disincentivino la frammentarietà di funzioni che, da tempo, permea l’apparato amministrativo. A ciò si aggiunga che la facoltà riconosciuta alle P.A. di stipulare gli accordi di cui sopra è da ritenersi conforme all’attuazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97, comma 2, Cost.[1]
Pertanto, non potendosi far riferimento alla disciplina in materia di appalti pubblici, si ritiene che gli accordi di cooperazione di cui sopra possano rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 15 della L. 241/1990.
Il precitato articolo 15 tratta, infatti, di accordi tra pubbliche amministrazioni finalizzati allo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune. Tale interesse comune non può che ravvisarsi nell’interesse pubblico perseguito dai due enti, che collaborano al fine di una migliore realizzazione dello stesso.
Un accordo di questo tipo è, dunque, inevitabilmente sinallagmatico e improntato ad una concezione bilaterale del rapporto, ove le parti definiscono congiuntamente le esigenze da soddisfare e le soluzioni da adottare. Una siffatta dimensione collaborativa non è certamente rinvenibile nelle ipotesi di appalto pubblico stipulato mediante gara, dal momento che, in tale occasione, la P.A. individua un soggetto cui affidare integralmente la gestione di un’attività di pubblico interesse.
- La vicenda
Tanto premesso in via preliminare, l’ordinanza in commento prende le mosse dal rinvio pregiudiziale operato dal Consiglio di Stato sull’interpretazione dell’articolo 12, paragrafo 4, della direttiva 2014/24/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici.
Tale richiesta è stata avanzata nell’ambito della controversia intercorrente tra Ge. Fi. L. (Gestione Fiscalità Locale SpA) e Regione Campania relativa all’affidamento diretto del servizio di assistenza alla gestione della tassa automobilistica operato dalla Regione nei confronti dell’ente pubblico non economico ACI (Automobile Club d’Italia).
Più nel dettaglio, la Ge. Fi. L. – società che opera nel settore dei servizi di assistenza alla gestione delle tasse automobilistiche – adiva il Tar Campania proponendo un ricorso, per annullamento diretto, avverso la decisione della Giunta regionale della Campania, del 28 dicembre 2017, recante l’approvazione di uno “schema di convenzione tra la Regione Campania e l’ACI in materia di tasse automobilistiche regionali” ai sensi dell’art. 15 della L. 241/1990. Tale accordo, della durata di tre anni e rinnovabile per altrettanti tre, prevedeva il versamento di un corrispettivo forfettario pari a € 10.485.000,00 oltre a corrispettivi a fronte di specifiche prestazioni, con una rivalutazione basata sugli indici stabiliti dall’Istat e, eventualmente, all’imposta sul valore aggiunto.
Ciò posto, a detta della ricorrente, una simile convenzione mancava dei requisiti necessari per essere configurata quale partenariato tra amministrazioni aggiudicatrici di cui all’articolo 5, comma 6, del codice dei contratti pubblici e dell’articolo 12, paragrafo 4, della direttiva 2014/24. Pertanto, la Ge. Fi. L. riteneva necessario pubblicare un bando di gara al fine dell’attribuzione di un appalto in condizioni di concorrenza.
Il ricorso della prefata società veniva, tuttavia, respinto dal giudice di prime cure in virtù del disposto di cui all’articolo 17, comma 10, della legge 27 dicembre 1997, n.449, che attribuisce alle regioni, competenti in materia di accertamento e riscossione delle tasse automobilistiche locali, la facoltà di esercitare tale attività direttamente ovvero sfruttando, se necessario, le strutture e il personale di altri enti pubblici senza trasferire loro l’onere della funzione di pubblico servizio. A sostegno della legittimità della convenzione di cooperazione in essere, il Tar Campania adduceva la previsione di cui all’articolo 1, comma 121, della legge regionale n. 16/2014, che autorizza la Giunta regionale a negoziare con l’ACI, nella sua qualità di ente pubblico non economico preposto a servizi di interesse generale, una specifica convenzione, di durata triennale, per la gestione della tassa automobilistica. Il Tribunale Amministrativo campano aggiungeva, altresì, che tale attività gestoria non avrebbe potuto portare né la Regione né l’ente ACI ad esercitare alcuna minima attività concorrenziale in grado di distorcere la concorrenza sul mercato.
Preso atto della sentenza sopra esplicata, la Ge. Fi. L. riteneva doveroso procedere alla relativa impugnazione contestando nuovamente la legittimità della convenzione in essere e adducendo che in altre regioni il servizio in questione le sarebbe stato attribuito mediante regolare gara di appalto.
Così adito, il Consiglio di Stato reputava che la cooperazione tra le due amministrazioni aggiudicatrici mancava del requisito essenziale dell’interesse generale comune alle amministrazioni contraenti per poter essere considerata un accordo di partenariato pubblico ai sensi dell’art. 5, comma 6, del d.lgs 50/2016. In conseguenza di tali considerazioni, l’ACI avrebbe dovuto essere assimilato a un semplice operatore economico, dal momento che, in tale occasione, operava al di fuori della funzione di pubblico servizio ad esso incombente. Nella stessa sede, si rilevava che il predetto ente avrebbe beneficiato di pagamenti ampiamente superiori ai livelli di prezzo praticati sul mercato e ciò avrebbe significato, inoltre, che questi ultimi sarebbero stati previsti e stabiliti a priori nel contratto nonché dovuti all’ACI in qualunque caso; circostanza, quest’ultima, da sola in grado di escludere espressamente un qualsivoglia controllo dei costi e delle spese affrontati.
Alla luce di ciò, il Consiglio di Stato rimetteva alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la seguente questione pregiudiziale: “se osta al diritto dell’Unione, e, in particolare, ai principi di libera circolazione dei servizi e di massima apertura della concorrenza nell’ambito degli appalti pubblici di servizi, una norma regionale come l’articolo 1, comma 121, della legge regionale n. 16/2014, che consente l’affidamento diretto, senza gara, dei servizi relativi alla gestione della tassa automobilistica della Regione Campania all’ACI”.
- La decisione della Corte di Giustizia dell’Unione
Alla questione pregiudiziale proposta, la Corte di Giustizia rispondeva enunciando il seguente principio di diritto: “l’articolo 12, paragrafo 4, della direttiva 2014/24/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, dev’essere interpretato nel senso che esso osta a una disposizione nazionale che consente l’affidamento diretto, senza gara, dell’appalto dei servizi relativi alla gestione della tassa automobilistica a un ente pubblico non economico che ha il compito di gestire il pubblico registro automobilistico”.
Ebbene, la Corte di Giustizia, nel caso di specie, ha rilevato l’assenza di una vera e propria cooperazione tra Regione Campania e ACI, da sola idonea a giustificare l’applicazione della normativa nazionale in materia di appalti in luogo dell’esclusione di cui all’art. 12, paragrafo 4, della direttiva 2014/24/UE. A ciò, la stessa ha aggiunto che la convenzione tra le due amministrazioni non costituisce nemmeno il compimento di un iter di cooperazione tra le due amministrazioni aggiudicatrici.
Quanto alle osservazioni dell’ACI circa il fatto che l’attività oggetto della convenzione debba rientrare tra le cosiddette “attività accessorie” collegate alla gestione del pubblico registro automobilistico dalla stessa gestito, la Corte di Giustizia dell’Unione rinvia al Consiglio di Stato la valutazione in merito all’effettiva accessorietà di tale gestione al servizio pubblico offerto dall’ente.
Da ultimo, l’ordinanza in commento specifica, altresì, che i pagamenti previsti dalla contestata convenzione superano ampiamente il mero rimborso delle spese sostenute e si pongono quale corrispettivo elevato rispetto ai livelli di mercato[2].
- L’influenza del precedente nella causa C-429/19
La pronuncia in commento risente, inevitabilmente, della forte eco della precedente sentenza della Corte di Giustizia emessa in data 4.06.2020 nella causa C-429/19, tanto da farne esplicito riferimento in diversi passaggi.
In particolare, i dettami richiamati vertono sull’assenza e la definizione del requisito di cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici. A tale riguardo, infatti, la Corte torna a rilevare che la partecipazione congiunta di tutte le parti dell’accordo di cooperazione è indispensabile per garantire che i servizi pubblici di cui essi devono garantire la prestazione vengano realizzati. E, sul punto, precisa che questa condizione non può essere considerata soddisfatta quando l’unico contributo di taluni contraenti si limita a un mero rimborso delle spese sostenute da un altro dei contraenti. Invero, se un siffatto rimborso fosse sufficiente a caratterizzare una “cooperazione”, ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 4, della direttiva 2014/24, non potrebbe stabilirsi nessuna distinzione tra tale cooperazione e un appalto pubblico non rientrante nell’esclusione prevista da detta disposizione.
La descrizione apparentemente tautologica operata dalla precitata norma circa la nozione di cooperazione che fa riferimento al “concetto cooperativistico” sul quale la stessa deve fondarsi ai sensi dell’articolo 33 della medesima direttiva, vuole, in realtà, esplicitare che la sussistenza del requisito in questione è da ritenersi preordinata all’esistenza di un’effettiva cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici.
Tale effettività non può rinvenirsi nell’ipotesi in cui le due amministrazioni non partecipino entrambe allo svolgimento del servizio pubblico di interesse comune, ma, al contrario, una delle stesse si limiti a incaricare l’altra dello svolgimento dell’attività, corrispondendo in cambio di una tale prestazione un corrispettivo adeguato all’inca
Nella specie, infatti, è inevitabile ritenere che una cooperazione di tal guisa dia luogo a una distorsione della concorrenza nei confronti di operatori economici privati[3].
- Rilievi critici e soluzioni avanzate dalla giurisprudenza nazionale
Preso atto del forte valore attribuito dalla Corte di Giustizia dell’Unione al requisito della cooperazione orizzontale tra le due amministrazioni aggiudicatrici, non può tacersi che il riferimento al concetto cooperativistico di cui all’articolo 33 della direttiva 2014/24 non appare sufficiente a fornire una definizione puntuale della nozione di cooperazione necessario ad escludere l’applicazione della normativa nazionale in materia di appalti.
Sebbene, infatti, possa risultare agevole l’individuazione dell’interesse pubblico comune alle parti e l’obiettivo della collaborazione tra le stesse, non è altrettanto semplice l’identificazione degli elementi concreti che permettono di includere od escludere l’esistenza di un rapporto effettivamente collaborativo.
Tuttavia, tali evidenze sono necessarie al fine di tutelare la libera concorrenza sul mercato, posto che la ratio dell’esclusione di cui alla predetta direttiva è quella di rendere più fluida l’autonomia organizzativa della P.A. e non quella di porre un soggetto in una posizione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti.
Di talché, la giurisprudenza nazionale, già dal 2015, ha cercato di circoscrivere l’ambito di applicazione di tale esclusione. In particolare, non si ritiene debba applicarsi la normativa prevista in materia di appalti pubblici e, quindi, gli accordi tra le amministrazioni aggiudicatrici vengono considerati questioni di organizzazione interna dello Stato Membro interessato quando gli accordi tra pubbliche amministrazioni disciplinano i trasferimenti di competenze e responsabilità per la realizzazione di compiti pubblici tra amministrazioni aggiudicatrici o associazioni di amministrazioni aggiudicatrici e non prevedono una remunerazione in cambio di una prestazione[4].
Il “mero rimborso spese” – sebbene non da solo idoneo ad escludere l’applicazione della normativa in tema di appalti pubblici – diviene, dunque, un carattere fondamentale per poter definire quale contratto sia un accordo tra amministrazioni ex articolo 15 della L. 241/1990 e quale, invece, costituisca un appalto pubblico. In particolare, tale elemento diviene rilevante nel momento in cui non si limita alla semplice derubricazione del “corrispettivo” quale “rimborso spese”, ma si estende alla quantificazione dello stesso. In altri termini, come espresso dalla Corte di Giustizia nell’ordinanza in commento, un rimborso non può superare i livelli di mercato per poter essere considerato tale.
La presenza di un onere economico rende, invero, complesso testimoniare il perseguimento dell’interesse pubblico comune alle parti, effettuato in regime di collaborazione e volto a funzionalizzare la gestione dell’attività in modo tale da ridurre la frammentarietà dell’agire della pubblica amministrazione senza subire l’influenza di particolari condizioni economiche.
Altro aspetto pregnante che emerge dalle considerazioni del Consiglio di Stato è dato dal fatto che l’assenza della remunerazione a fronte di una prestazione contrattuale ben comunica l’intento di non realizzare accordi unilaterali, in cui una parte corrisponde ad un’altra un quantum a fronte dell’adempimento di un obbligo contrattualmente previsto. Ciò, infatti, osterebbe a qualsivoglia carattere cooperativo dell’accordo tra le amministrazioni aggiudicatrici.
Sul punto, si è espressa in passato anche l’ANAC, la quale ha esplicitato che “i movimenti finanziari tra i soggetti che sottoscrivono l’accordo devono configurarsi solo come ristoro delle spese sostenute, essendo escluso il pagamento di un vero e proprio corrispettivo, comprensivo di un margine di guadagno”[5].
Pertanto, le autorità nazionali appaiono concordi nel ritenere che “la collaborazione tra amministrazioni non può trasformarsi in una costruzione di puro artificio”[6] preordinata all’elusione delle norme in materia di appalti nonché nell’evidenziare che gli atti che approvano l’accordo devono dar conto di ciò.
- Conclusioni
In virtù di quanto sopra argomentato, è possibile ritenere che la Corte di Giustizia dell’Unione, lungi dal dettare precipuamente gli elementi concreti a fondamento del rapporto di cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici che stipulano un accordo ai sensi dell’art. 12 della direttiva 2014/24, ha espresso delle considerazioni di indirizzo tali da guidare i giudici nazionali nella definizione di tali accordi nonché nella valutazione dell’esclusione degli stessi dall’applicazione della normativa di cui al d.lgs. 50/2016.
Preme, a tal riguardo, rappresentare che innalzando a caposaldo dei fondamenti di tale esclusione il concetto di cooperazione, quale necessaria collaborazione concreta e operativa tra le due amministrazioni coinvolte, la Corte ha riversato su queste ultime l’onere di partecipare, entrambe, attivamente alla gestione del servizio pubblico oggetto dell’attività. Così argomentando, pare verosimile che le stesse debbano necessariamente coordinarsi tra di loro nell’individuazione delle esigenze sottese al perseguimento dell’interesse pubblico comune, delle possibili soluzioni idonee allo scopo nonché di un “piano di gestione” in cui tutte le parti coinvolte devono svolgere dei compiti prodromici alla buona riuscita degli obiettivi prefissati.
Qualora così non fosse, verrebbe certamente leso il principio di libera concorrenza nel mercato e nulla osterebbe al venir meno degli effetti dell’accordo e alla proposizione di un bando di gara in ossequio alle disposizioni del Codice dei Contratti Pubblici.
NOTE:
[1] GAROFOLI - FERRARI, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2016/2017, pp.942,943.
[2] CGUE, Sez. IX, 30 giugno 2020, C-618/19.
[3] CGUE, Sez. IX, 4 giugno 2020, C-429/19.
[4] Cons. St., Sez. II, 22 aprile 2015, n.1178.
[5] ANAC, 31 maggio 2017, n.567.
[6] Ibid.