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Anno XVI - n. 03 - Marzo 2024

  Temi e Dibattiti



Fondi PNRR e “diritto dei borghi”: analisi delle politiche di rigenerazione dei territori tra interventi legislativi e pratiche locali.

Di Piero De Rosa
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Fondi PNRR e “diritto dei borghi”: analisi delle politiche di rigenerazione dei territori tra interventi legislativi e pratiche locali

 

Di PIERO DE ROSA

 

Sommario: 1. Criticità, opportunità e governance dei borghi italiani. ­– 2. Identità territoriale e politiche rigenerative di governo del territorio. – 3. Brevi riflessioni conclusive. – 4. Note bibliografiche.  

 

Abstract

Analizzare l'identità territoriale in un momento storico come quello odierno - caratterizzato da questioni geopolitiche legate sia a un incalzante processo di globalizzazione sia a una nuova stagione di relazioni tra le diverse entità politiche e amministrative - potrebbe sembrare, a prima vista, un'analisi accademica fuori dal tempo.

Tuttavia, le zone rurali più remote a livello nazionale si trovano ad affrontare sfide sempre più complesse in termini di crescita, occupazione e sostenibilità. La rivitalizzazione delle aree interne, infatti, può comportare il rinnovamento dei borghi e dei centri storici minori, ma tale esigenza si scontra con una problematica di fondo, ovvero la difficile elaborazione di politiche pubbliche nazionali e locali capaci di coniugare le legittime aspettative di sviluppo sociale ed economico del territorio, sfruttandone i vantaggi competitivi naturali e secondary e salvaguardando, al contempo, la sua identità storica e culturale.

Lo scopo del presente contributo è, quindi, quello di analizzare le ragioni alla base di queste criticità che interessano le aree interne italiane al fine di individuare un “diritto” alla tutela dei borghi italiani, volendo così tracciare un punto di partenza per una nuova politica di governo del territorio di cui la progettualità, la condivisione, la flessibilità e la trasversalità degli interventi possono portare ad un approccio sistematico di leale collaborazione istituzionale e di partecipazione privata orientato alla conservazione e allo sviluppo dei valori e delle identità locali.

 

Analyzing territorial identity in a historical moment such as today - characterized by geopolitical issues linked both to a pressing globalization process and a new season of relations between the different political and administrative entities - might seem, at first glance, an out-of-time academic effort.

However, more remote nationally rural areas are facing increasingly complex challenges in terms of growth, occupation, and sustainability. In fact, the revitalization of inland areas may involve the renovation of villages and minor historic centers which, however, clashes with a basic problem, namely the difficult elaboration of public national and local policies capable of combining legitimate expectations of social and economic development of the territory, exploiting its natural and secondary competitive advantages, with the safeguarding of its historical and cultural identity.

Therefore, the aim of this paper is to analyze the reasons behind these critical issues affecting the Italian inland areas in order to identify a “right” to protect Italian boroughs, thus wanting to trace a starting point for a new policy of territorial government of which the planning, sharing, flexibility and transversality of the interventions can lead to a systematic approach of loyal institutional collaboration and private participation oriented towards the conservation and development of local values and identities.

 

“Talora il territorio rigenera la città distrutta”

Carlo Cattaneo, La città considerata come principio ideale delle istorie italiane, 1858

 

 

  1. Criticità, opportunità e governance dei borghi italiani

Le problematiche che ruotano intorno al tema dei piccoli borghi, del loro spopolamento e delle strategie per riportare la popolazione ad abitarli non rappresentano, di certo, una materia nuova nel campo degli studi accademici: convegni, studi, ma anche una legge specifica (la c.d. Legge Salva Borghi, n. 158/2017[1]), fino alla Strategia Nazionale per le Aree Interne (c.d. SNAI[2]), ne dimostrano, da un lato, la cogenza, e, dall’altro, come l’attenzione degli studiosi e del legislatore si sia concentrata, da almeno un decennio, su questi argomenti[3].

Le ricerche condotte negli anni passati sulla rappresentazione e l’analisi dei territori hanno rafforzato l’idea che il territorio stesso debba essere indagato come un vero e proprio organismo vivente, in costante evoluzione, del quale vanno comprese le modificazioni endogene ed esogene da cui dipendono gli scenari futuri[4].

Di conseguenza, l’approccio conoscitivo non può che porsi in una posizione di esplorazione della complessità di un mondo che coinvolge settori disciplinari diversi e stratificati, ciascuno dei quali contribuisce all’acquisizione di una conoscenza che gli è propria. Un approccio multidisciplinare permette, infatti, la gestione dell’integrazione dei diversi saperi – piuttosto che restituire semplicemente la sommatoria di conoscenze monotematiche – e la rappresentazione multicanale del territorio si configura quale elaborazione di progettualità e di modelli capaci di costruire una coscienza collettiva di trasformazione dello spazio e della sfera pubblica[5]

A ciò aggiungasi che l’occasione offerta dai fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (c.d. PNRR[6]) ha accelerato il fermento di produzione normativa dettato dall’indifferibilità di concertare programmi, piani e progetti per mettere a reddito, nel migliore dei modi possibili, le ingenti risorse economiche provenienti dall’Unione europea.

Questo grande progetto di ripartenza dovrebbe, infatti, tradursi in una “ricomposizione dei divari tra i territori”[7] e, nello specifico, nella formulazione di “idee progettuali che si articolano su scale e ambiti d’intervento diversi, con una attenzione particolare al ruolo degli specifici assetti materiali e fisici del nostro Paese[8].

Emerge, dunque, il bisogno di elaborare nuove idee che indirizzino le ingenti risorse economiche verso progetti di innovazione e di accrescimento della competitività dei territori – aree costiere, aree di mezzo e territori interni – nel rispetto della loro specificità e identità.

È  necessario ottimizzare e capitalizzare tali sforzi verso preminenze che, strategicamente, permettano ai drivers territoriali e urbani di avviare, nel tempo, trasformazioni ampie, multidirezionali e capillari per il rafforzamento dei cosiddetti “arcipelaghi territoriali”, vale a dire quelle reti di livello sub-regionale e hub interni che, in un’ottica complementare, devono diventare una sorta di “armatura” di insediamenti, infrastrutture, funzioni e capitale umano che non si limiti ad intrattenere relazioni di dipendenza dalla città metropolitana, ma che, anzi, ne costituisce la linfa vitale che ne accresce le potenzialità di sviluppo e che ne alimenta le esternalità[9].

A ciò si aggiunge la necessità di prestare una attenzione maggiore alle aree periferiche al fine di costruire “presidi identitari”, capaci di fornire un contributo (appunto) identitario ad un processo di ricostruzione del legame sociale, soprattutto negli ambienti caratterizzati da una progressiva azione di stigmatizzazione territoriale[10].

In effetti, proprio l’identità territoriale – sebbene non sempre distinta come categoria concettuale nell’ambito dei discorsi sulla territorialità – rappresenta un riferimento importante per alimentare la specificità dei territori e dei legami che intercorrono con le collettività che ivi insistono dal momento che i processi di ridefinizione in atto (come, ad esempio, il fenomeno della globalizzazione[11]) portano inevitabilmente al cambiamento dei principi e delle logiche identitarie e, di conseguenza, all’affermarsi di nuove territorialità del tutto avulse dalla specificità dei luoghi, delle loro tradizioni e delle loro eccellenze.

Così intesa, l’identità territoriale induce all’adozione di un’ottica relativistica, non tanto in riferimento all’identità di luogo, quanto, piuttosto, in relazione all’identità del luogo, che richiede, al contrario, di considerare il territorio nella prospettiva di chi lo vive e lo pratica, oltre che di chi ne parla[12].

In effetti, ai fini della nostra analisi, proprio il modo di interpretare lo spazio risulta assai rilevante: fino agli anni Settanta del secolo scorso, infatti, lo spazio era inteso come un mero contenitore di soggetti, oggetti e avvenimenti in cui il pianificatore doveva localizzare i dati per la massima rendita fondiaria[13], diventando il vero motore della trasformazione del territorio[14].

Progressivamente, lo spazio incomincia ad essere definito in modo da restituire coerenza ed unità alle frammentarie visioni che ne distinguevano rigidamente la dimensione fisica da quella sociale.

Lo spazio diventa così un insieme di fenomeni materiali e immateriali, di flussi, di dati statici e di relazioni e si presenta aperto, discontinuo e relazionale, assumendo maggiore importanza le relazioni che lo plasmano e lo posizionano all’interno della rete degli altri luoghi.

Se nelle moderne metropoli il cittadino rappresenta l’unità di misura e di relazione con la politica, con l’avvento delle “città-mondo” il potere ruota attorno a realtà cosmopolite che rideterminano i valori di riferimento e che orientano le tendenze di contemporaneità[15]. Nei nuovi hub globalizzati le persone fungono da vettori di conoscenze e di competenze e, conseguentemente, le città-mondo, perdendo le proprie tradizioni e radici comunitarie, si presentano come nodi di reti interconnesse che possono fare a meno di relazioni umane stabili[16].

Il bilanciamento con una “società disumanizzata”, tipica della metropoli, potrebbe essere rappresentato proprio dal borgo che, contrariamente, oppone la vacuità delle relazioni allo scambio comunicativo, la persona intesa nella sua individualità a quella intesa come vettore dei valori dell’intera comunità[17].

Tuttavia, la trappola è quella di “riattivare” il borgo secondo le logiche e i modelli tipici della città globale, divenendo il primo semplicemente la destinazione di svago e di soggiorno alternativa per l’élite metropolitana, ovvero, in una ottica di scala microscopica, come una sorta di “ZES ludica”[18].

Le relazioni che si producono, allora, non sono quelle di tipo comunitario e gli abitati del borgo diventano meri elementi di corredo in termini promozionali, ovvero quali intermediari dell’ospitalità all’interno di una gated community e di relazioni sistematiche[19].

Il coinvolgimento della comunità avviene soltanto in un momento successivo e per questioni di mero consenso, essendo rare ed eccezionali le occasioni di tipo bottom-up di partecipazione attiva della cittadinanza e la condivisione delle scelte strategiche per lo sviluppo locale[20].

È necessario, pertanto, che il progetto di paesaggio, relativamente ai borghi e ai piccoli centri delle aree interne, passi per una sua rappresentazione che sia in grado di delineare non soltanto un orizzonte spaziale univocamente definito, riferibile alla sfera materiale, ma anche capace di rappresentare gli aspetti meno tangibili, vale a dire quelli di tipo sociale e culturale[21].

Attraverso questo nuovo sguardo è così possibile riconoscere le potenzialità evolutive, aprendo così la strada a politiche pubbliche capaci di favorire il percorso e il processo trasformativo.

Al fine di recuperare, riqualificare, conservare, valorizzare e promuovere i borghi antichi abbandonati o in via di abbandono con lo scopo ultimo di farli rinascere, devono essere rivisitati quegli strumenti e quelle buone pratiche da mettere in campo a seconda della scala di riferimento e prevedere precise politiche ed incentivi in modo da garantire una tendenza inversa rispetta a quella che portato allo spopolamento delle campagne verso le grandi metropoli sia in termini di qualità della vita che di prospettive economiche.

Tuttavia, a questa “azione di rinascita” deve essere accompagnata anche una riflessione sulle cause che hanno determinato tale abbandono – ad esempio, l’isolamento e l’esposizione al rischio[22] – e pensare a soluzioni di ripopolazione del borgo sicure e fattibili.

Oggi, infatti, in merito al futuro della diversità territoriale italiana delle aree interne si scontrano due differenti visioni: da un lato, la valorizzazione turistica e culturale da incentivare attraverso i bandi di gara – che concentrano le risorse economiche sui (pochi) casi fortunati – e, dall’altro, la costruzione di una reale abitabilità quotidiana, fatta di nuove economie e di forme concrete di società locale, rispettose della diversità territoriale[23].

In questa prospettiva, lo sviluppo locale viene affrontato secondo una visione che è propria delle social sciences, in cui i diversi approcci disciplinari non si esauriscono in sé, ma si connettono con la natura pluridimensionale di un processo di cambiamento sociale[24].

Non è un caso che pilastri su cui si stanno concentrando le recenti politiche locali di sviluppo dei borghi sono quelle che ruotano intorno ai concetti dell’innovazione e della creatività che evocano, allo stesso tempo, una pluralità di elementi che si intrecciano tra loro in una dimensione sia orizzontale che verticale. È opportuno, allora, uscire dalla logica dello “sviluppo locale assistito”, vale a dire dei progetti che durano il tempo del finanziamento economico, e abbracciare l’idea che è lo stesso territorio locale il propulsore dell’innovazione, delle economie circolari e della promozione culturale delle identità[25].

Ciò, tuttavia, non può limitarsi a mere “sperimentazioni” del momento[26], ma richiede di attivare concrete azioni di sistema che aumentino la portata e l’impatto sulle diverse singolarità territoriali.

Rimanendo dentro la metafora degli “arcipelaghi territoriali” sopra menzionati, la condizione primaria delle politiche e delle azioni necessarie a rafforzare le relazioni tra borghi e città risiede, essenzialmente, nella capacità di pianificazione territoriale e di elaborazione di un progetto urbanistico in grado di trasformare le numerose isole che compongono l’armatura territoriale in un arcipelago culturale e creativo, in cui sono valorizzate e promosse le connessioni tra identità e innovazione, patrimonio e creatività, residenza e produzione[27].

La geografia dell’arcipelago impone così di definire non solo le funzioni delle isole, ma anche i ruoli degli spazi connettivi detentori di quelle risorse che possono arricchire e completare l’interpretazione dei valori territoriali. Un progetto di territorio che intende agire sulla dimensione dell’arcipelago rurale-urbano – e che ne voglia essere, al contempo, l’attivatore e il generatore di nuove scelte metodologiche – deve, pertanto, essere capace di proporre adeguati dispositivi territoriali, sia in termini spaziali che in termini di politiche, che stimolino le funzioni connettive sociali, economiche, educative, turistiche e paesaggistiche[28].

Ne consegue che la sfida per uno sviluppo locale di tipo “generativo” richiede necessariamente un nuovo approccio dirompente che distrugga (positivamente) il conformismo delle scelte e l’inerzia dei comportamenti passati e che, al contrario, richiami all’impegno di una nuova responsabilità ed di una nuova ermeneutica del piano territoriale e del progetto urbanistico inteso come esito di una creatività fatta di recuperi, di riattivazioni di cicli di vita, di attrazione di idee e di innovazioni capaci di produrre nuove economie e rafforzare le reti di solidarietà[29].

I territori interni, in contrapposizione alle città metropolitane, hanno l’obbligo di strutturarsi secondo una metamorfosi circolare, partendo da prospettive molteplici di sviluppo, ma anche considerando la cura locale dei beni comuni.

Occorre attivare processi di rivitalizzazione delle attività produttive, riposizionando questi centri come nodi di nuove comunità o come luoghi delle manifatture artigianali o di quelle innovative legate al digitale e utilizzare le basse densità edilizie e la qualità dei palinsesti identitari per offrire una alternativa abitativa alla congestione delle città e delle grandi metropoli depersonalizzate[30].

Produrre nuovi significati che portino a nuove funzionalizzazioni degli spazi dell’abitare dei borghi e organizzare nuove percezioni di questi luoghi, nuovi spazi per la vita comunitaria, nuovi modi di intendere i servizi e pensare a nuove forme di mobilità che possano connettere i diversi sistemi territoriali tra loro possono rappresentare alcuni degli esempi delle nuove strategie per ripensare non soltanto lo sviluppo e la rigenerazione dei territori di margine, ma il concetto stesso di abitare e di riformulare le politiche territoriali in cui convergono quelle reti di relazioni economiche e sociali[31].

 

  1. Identità territoriale e politiche rigenerative di governo del territorio.

Alla luce di quanto illustrato precedentemente, si rende necessaria una visione di pianificazione strategica a lungo termine che, se non attuata attentamente, tenendo conto di tutte le tessere che compongono il mosaico della specifica realtà territoriale presa in considerazione, rischia di affidarne i risultati all’improvvisazione politica del momento.

All’interno della progettazione territoriale, per prima cosa, sarebbe, infatti, opportuno rintracciare la propria identità, riflettere sui propri valori, sulle proprie connotazioni uniche ed originali, sulle proprie tradizioni ed eccellenze al fine di costruire un piano di sviluppo che abbia cognizione di causa dello sviluppo che si intende perseguire.

Nel quadro attuale, successivo alla crisi pandemica, le piccole comunità sono state esposte a cambiamenti profondi che hanno inciso sugli aspetti non soltanto politici, ma anche economici, culturali, sociali e sulle nuove modalità di lavoro e socializzazione. Gli amministratori pubblici hanno cercato di attivare, grazie alle risorse provenienti dal PNRR (e all’improvvisa attenzione mediatica accesa sui Fondi Comunitari) progetti di rigenerazione urbana, anche attraverso il sostegno a nuove forme di aggregazione sociale.

Tuttavia, la preoccupazione e l’interesse maggiore dei policy maker si sono focalizzate più sull’inseguire i bandi e le varie misure per accedere ai finanziamenti pubblici che nel seguire una vera visione strategica per il territorio allo scopo di realizzare progetti di autentico sviluppo finalizzati ad individuare, mappare e promuovere i beni che vi insistono e creare, in questo modo, un sistema di sviluppo capace di creare effetti e ricadute virtuose su tutta la comunità.

L’adozione di vecchie vision del problema e di strumenti di governo e di controllo che si sono rilevati, nel tempo, deboli e (spesso) inefficaci devono, pertanto, cedere il passo ad una strategia di place identity e di city branding così da consentire un processo politico, gestionale e amministrativo consapevole della propria identità, che è, in estrema sintesi, “conoscenza di sé, del luogo in cui opera e del tempo in cui si vive”[32].

Costruire una identità territoriale, del resto, significa dare rilievo ad una dimensione dell’esistenza che assume un valore imprescindibile, poiché riferita ai sentimenti, alle emozioni, alle percezioni che le persone provano in riferimento ai luoghi, in contrapposizione ad una effimera contemporaneità delle metropoli. È una vera e propria strategia che consiste nella costruzione (e ricostruzione) dell’identità del luogo e, successivamente, della sua comunicazione al pubblico.

La scala privilegiata per cogliere i processi identitari è, senza dubbio, quella locale, che corrisponde agli spazi e alle dimensioni di una effettiva interazione con il territorio.

Non bisogna sottovalutare le peculiarità territoriali, i siti archeologici, i paesaggi naturali, i beni artistici, e, soprattutto, è necessario adottare un approccio culturale e scientifico in grado di produrre innovazione nella costruzione della innovatività del luogo: avendo chiara la direzione del piano strategico di sviluppo che si intende perseguire, gli investimenti dell’ente locale dovranno essere indirizzati nelle infrastrutture, negli eventi, nei servizi, nei contenuti digitali e nei simboli[33].

A tale proposito, sul piano operativo, è opportuna la distinzione di due categorie concettuali: l’identità del luogo, vale a dire quella definita sulla base delle rappresentazioni e delle immagini condivise, a livello di gruppi sociali, relative al luogo in questione, e l’identità di luogo, intesa come parte dell’identità personale che deriva dall’abitare in un luogo specifico[34].

Dette categorie concettuali consentono di distinguere i piani in cui si articola il discorso identitario, ovvero quello di tipo personale, riferibile alle esperienze pregresse dell’abitare, e quello collettivo, che riguarda i luoghi e le rappresentazioni che se ne danno, così da separare i due livelli e ridurre il rischio di attribuire all’identità territoriale una identificazione che non rispecchia i caratteri di coesione sociale, di rete di relazione tra abitati e di progettualità partecipate.

Nel sistema integrato di territorio assumono dunque, rilevanza fondamentale gli aspetti valoriali e quelli economici, gli aspetti relazionali e quelli ambientali, gli aspetti tangibili e quelli intangibili. In questo sistema, la funzione della governance è quella di stabilire un lessico comune e far seguire il corso evolutivo in un’ottica di sostenibilità per tutti questi patrimoni territoriali, bilanciando tra di loro i vari aspetti che sorreggono lo stesso sviluppo del territorio.

A seconda della conformazione del modello di governance adottato è così possibile adottare un approccio di analisi context extended[35] e indagare il rapporto tra le politiche pubbliche avviate nei territori negli ultimi venti anni, lo sviluppo e l’innovazione locale[36].

Nel loro processo implementativo, tali strumenti possono favorire, infatti, la formazione di una meso-struttura regolativa di governo del territorio composta da attori, relazioni, reti, obiettivi e interessi che alimentano il processo di costruzione sociale e territoriale di governance[37].

Tuttavia, gli obiettivi ambiziosi dei policy maker si scontrano con le peculiarità del territorio: se gli strumenti delle politiche pubbliche adottate possono presentarsi come funzionali ad uno scopo e virtuosi per alcuni meccanismi, il rischio di isomorfismo e di sterilità dei risultati rimane alto poiché sono le forme di applicazione che essi realizzano a produrre i limiti maggiori. I territori e i governi interessati da questo tipo di politiche, infatti, potrebbero essere sbrigativamente classificati come “virtuosi” o “inefficienti” laddove i primi dimostrano di essere riusciti a costruire un radicamento dei programmi di intervento alle proprie caratteristiche, esigenze e competenze; mentre gli altri risultano essere stati incapaci di costruire un percorso autonomo ed efficace di sviluppo.

Le difficoltà, anche in questi casi, sono legate alla disponibilità finanziaria concessa ai territori.

Si possono, a riguardo, rinvenire una varietà di strategie messe in campo negli ultimi anni dagli attori istituzionali e finalizzate a favorire, a vario livello, i processi di sviluppo locale delle aree interne e, in modo particolare, i piccoli borghi: la Legge n. 158/2017 sui Piccoli Comuni, l’intervento “Attrattività dei borghi” nell’ambito del PNRR, la Direttiva n. 555/2016 del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo[38] allo scopo di programmare e realizzare efficacemente le azioni di valorizzazione dei borghi italiani.

A ciò si aggiungono le proposte di governance partecipativa e di collaborazione tra le istituzioni e i centri culturali, le amministrazioni, le imprese e i soggetti del Terzo Settore, nonché la costruzione di schemi gestionali che assicurino il radicamento sul territorio e la sostenibilità finanziaria delle attività e dei servizi avviati, anche attraverso forme di partenariati pubblico-privati innovativi[39].

È questo il caso del Piano Strategico dello sviluppo del Turismo 2017-2022 (MiBACT 2017)[40], nel quale il tema dei borghi viene associato alla linea di intervento “sostegno allo sviluppo turistico di destinazioni emergenti, come le città d’arte i borghi”, secondo un’ottica di ricerca dell’autenticità dell’identità territoriale e di ampliamento/integrazione dell’offerta turistico-culturale.

Anche nel più recente Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, con la missione “Turismo e Cultura” del Piano si concentrano gli interventi di due settori che, per il loro “ruolo identitario”, giocano un ruolo significativo in sinergia con le altre priorità strategiche del Paese, come la transizione vede e la sostenibilità ambientale. A questo specifico aspetto, il PNRR lega i temi della tutela e della valorizzazione del patrimonio paesaggistico e culturale, valorizzando le politiche di limitazione del consumo del suolo.

Sempre nel PNRR, nell’ambito dell’investimento “attrattività dei borghi” è menzionato il “Piano Nazionale Borghi”, predisposto dal Ministero della Cultura, vale a dire “un programma di sostegno allo sviluppo economico sociale delle zone svantaggiate basato sulla rigenerazione culturale dei piccoli centri e sul rilancio turistico”[41]. Le azioni sono strutturate intorno a progetti culturali integrati a livello locale: le misure (finanziate con 1 miliardo di euro) si concentrano su interventi di ripristino del patrimonio storico, di riqualificazione degli spazi pubblici aperti, di realizzazione di servizi culturali, anche a fini turistici, di creazione e di promozione di nuovi percorsi storici, tematici e di visite guidate, nonché l’introduzione di un sostegno finanziario ad attività culturali, creative, turistiche, commerciali, agroalimentari e artigianali[42].

Un elemento positivo è rappresentato nella voce “Cultura”, Missione 1, Componente 3 “Turismo e Cultura 4.0”, Misura 2 in cui trova spazio la rigenerazione dei piccoli siti culturali, del patrimonio religioso e rurale e nell’Intervento 2.1., “Attrattività dei borghi”, Linee A e B, con la finalità di “contrastare lo spopolamento e incentivare una crescita economica duratura, inclusiva, sostenibile, un’occupazione piena e produttiva ed un lavoro dignitoso”[43] in cui sono confluite le riflessioni, le modifiche e le integrazioni condivise sulle modalità attuative dell’intervento.

Gli interventi previsti sono tutti di titolarità del Ministero della Cultura e si inseriscono nella Missione 1 “Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo”, Componente 3 “Turismo e Cultura 4.0” e perseguono l’obiettivo di ristrutturare – in linea con gli obiettivi e le priorità trasversali del Piano – i principali asset del patrimonio culturale italiano.

Dette misure, collocate in un’ottica generale di sostenibilità ambientale e di digitalizzazione, si fondano su un modello di governance multilivello connotato dalla cooperazione tra attori pubblici e privati.

Nello specifico, gli investimenti programmati dal Piano intendono migliorare l’accessibilità ai siti culturali, attraverso la promozione dell’attrattività dei piccoli centri e l’implementazione dell’efficienza energetica dei luoghi della cultura, favorendo, in questi termini, anche le esigenze di tipo occupazionale.

Gli ambiti di intervento di rigenerazione del patrimonio culturale sono articolati in tre livelli per un totale di risorse stanziate pari a 3,6 miliardi di euro: (i) patrimonio culturale per la prossima generazione; (ii) rigenerazione dei piccoli siti culturali, patrimonio culturale, religioso e rurale; (iii) industrie Culturale e Creativa 4.0.

Il primo ambito di intervento si compone di tutti quegli investimenti rivolti alla digitalizzazione del patrimonio culturale, diretti a favorire la ricezione delle informazioni e lo sviluppo dei servizi nell’ambito del settore culturale così da creare un vero e proprio “patrimonio digitale culturale”. Ulteriori interventi riguardano il miglioramento dell’accessibilità dei luoghi della cultura e alla concretizzazione della sostenibilità ambientale in termini di efficientamento energetico dei luoghi della cultura (quali, ad esempio, musei, cinema e teatri).

In particolare, in questo specifico ambito di intervento sono previste le seguenti linee di investimento: (i) strategia digitale e piattaforme per il patrimonio culturale, per un ammontare complessivo di 500 milioni di euro, al fine di colmare il divario digitale esistente attraverso la digitalizzazione del materiale museale; (ii) rimozione delle barriere fisiche e cognitive in musei, biblioteche e archivi, per un ammontare complessivo di 300 milioni di euro, allo scopo di ampliare e diversificare l’offerta culturale, nonché di guidare gli operatori culturali nello sviluppo di Piani di accessibilità; (iii) miglioramento dell’efficienza energetica in cinema, teatri e musei, per un ammontare complessivo di circa 300 milioni di euro, per finanziare interventi diretti a migliorare l’efficienza di musei, cinema e teatri pubblici e privati, contribuendo altresì a sostenere il settore delle costruzioni e dell’impiantisca a livello locale.

Il secondo ambito di intervento, strettamente connesso al tema del turismo, prevede investimenti finalizzati alla valorizzazione del patrimonio storico, artistico e culturale dei piccoli centri e delle zone rurali mediante iniziative imprenditoriali, di contrasto allo spopolamento dei territori e alla conservazione delle tradizioni locali. Gli investimenti operativi concernono: (i) attrattività dei borghi, per risorse stanziate pari a 1.020 milioni di euro, per finanziare interventi a sostegno dello sviluppo economico e sociale delle zone più vulnerabili, mediante la rigenerazione culturale dei piccoli centri e di sostegno ad attività creative, turistiche e commerciali idonee al rilancio delle economie locali[44]; (ii) valorizzazione dell’identità dei luoghi: parchi e giardini storici, per un ammontare dell’investimento pari a 300 milioni di euro, per realizzare una ampia rigenerazione dei parchi e dei giardini storici quali centri di “bellezza pubblica”[45]; (iii) sicurezza sismica nei luoghi di culto, restauro del patrimonio culturale del Fondo edifici di culto e siti di ricovero per le opere d’arte, secondo una articolazione su tre linee, ovvero la messa in sicurezza dei luoghi di culto per ridurre la vulnerabilità sismica ed evitare le spese di ricostruzione a seguito degli eventi calamitosi e la perdita delle opere d’arte, il restauro del patrimonio del Fondo edifici di culto e la realizzazione di depositi in cui collocare le opere d’arte coinvolte negli eventi sismici.

Infine, il terzo ambito di intervento si propone, da un lato, di aumentare la competitività del settore cinematografico e audiovisivo e, dall’altro, di sostenere l’evoluzione degli operatori dell’industria culturale e creativa. A tale riguardo, sono previsti due linee di investimento: (i) sviluppo industria cinematografica (Progetto Cinecittà), concernente il potenziamento degli studi cinematografici di Cinecittà, lo sviluppo di infrastrutture per l’uso professionale e didattico e l’implementazione delle capacità e delle competenze professionali nel settore audiovisivo; (ii) capacity building per gli operatori della cultura per gestire la transizione digitale verde, con un ammontare di risorse pari a 155 milioni di euro, ponendosi a sostegno del rilancio dei settori culturali e creativi in linea con le priorità della transizione ambientale e tecnologica.

Dalle esperienze rilevate nelle recenti iniziative di governo del territorio, emerge come le politiche di rigenerazione urbana abbiano cercato di combinare la dimensione architettonica e restaurativa del costruito e quella sociale/produttiva relativa all’attivazione di relazioni e attività. Il tutto attraverso l’impiego di modalità basate su reti collaborative e partenariati che supportano il dialogo urbano, favorendo lo sviluppo sociale ed economico, l’engagement e il contributo attivo della comunità alla trasformazione locale.

Il denominatore comune delle esperienze analizzate è rappresentato dal paradigma dell’identità territoriale del borgo, inteso quale fattore di unicità, bellezza e autenticità, capace di coniugare la spazialità del territorio al suo patrimonio materiale e immateriale, nonché al dinamismo umano degli attori coinvolti[46].

Un maggior coordinamento e una ritrovata sinergia fra i vari soggetti e i finanziamenti previsti dai fondi strutturali, nonché fra le reti formali e informali presenti sul territorio, consente allora di definire un cambiamento di prospettiva non da poco che riporta al centro della riflessione e della pratica di piano e di progetto il tema del borgo, quale insediamento umano di “neo-ecosistema territoriale”[47], e quello del territorio periurbano come luogo di creazione di nuovo valore di scambio.

 

  1. Brevi riflessioni conclusive.

Nel concludere la nostra analisi, risulta evidente come, nella rimodulazione dello sviluppo italiano conseguente al riconoscimento di una recente metamorfosi urbana[48], sarebbe stato auspicabile dal legislatore un disegno nazionale e integrato[49] tra città metropolitane, città medie, territori intermedi e aree interne, capace di offrire la necessaria selezione delle risorse economiche, la generazione indispensabile di ricchezza, l’attivazione di opportunità di lavoro e di crescita della produttività[50].

I finanziamenti provenienti dalle linee del PNRR, d’altro canto, lasciano perplessi in quanto presentano diversi rischi nel loro impiego: in primo luogo, la distribuzione dei fondi “a pioggia” è avvenuta, fino ad ora, senza una chiara finalizzazione progettuale e secondo un approccio che mira a “tirare dentro” tutte le realtà destinatarie delle ingenti risorse finanziarie e, in secondo luogo, i tempi per assegnare e utilizzare questi fondi spesso sono lunghi per motivi di oggettiva complessità del processo di concessione del contributo.

L’impulso espansivo del PNRR per la crescita economica deve essere, dunque, massimizzato attraverso una gestione delle risorse utilizzate che si presenti attenta ed oculata e che la spesa corrente e le entrate siano programmate in chiave maggiormente prudenziale, così da assicurare un significativo avanzo del saldo di bilancio.

Con riguardo ai borghi è, peraltro, indispensabile accettare la sfida di riorganizzare l’architettura istituzionale di governo del territorio (che fino a questo momento si è rivelata imperfetta) e di riarticolare il Paese in piattaforme di sviluppo, in hub dell’innovazione e in ambienti di coesione secondo rinnovate combinazioni sinergiche[51]. I piccoli borghi devono essere ripensati e ridefiniti nelle identificazioni, nelle specializzazioni e nei perimetri al fine di agire come nuovi e più performanti driver attorno ai quali riorganizzare i contesti peri-metropolitani e le aree interne, anche in un’ottica di rinnovata organizzazione policentrica e reticolare dell’Italia.

Ciò richiede di individuare un nuovo paradigma in grado di sorreggere le nuove relazioni insediative, produttive e culturali che si presentano sempre più fluide, aperte e mutevoli al cambiamento[52].

In Italia non esistono soltanto i super-organismi metropolitani, ma è necessario riconoscere l’esistenza – o, più spesso, facilitare lo sviluppo – degli “arcipelaghi territoriali” quali sistemi insediativi che, attingendo dalle proprie tradizioni e storie locali, sono oggi in grado di presentarsi come alternativi alla congestione delle grandi città[53].

Ma c’è anche, e forse prima di ogni altro, il tema del governo del territorio e di rappresentanza politica del borgo: bisogna ripensare e irrobustire la funzione delle istituzioni locali (nello specifico quelle intermedie), sia per favorire l’aggregazione intercomunale, sia per corroborare l’economia dei paesi, che richiede la messa a punto di filiere di beni e di servizi capaci di generare economie territorializzate.

Ciò comporta l’attuazione di politiche volte a favorire e sostenere le produzioni basate sulla varietà e la sostenibilità ambientale e sociale e la creazione di asset strategici delle politiche territoriali, con risorse dedicate e che non vengano tutte assorbite dal mare magnum del turismo[54].

Infine, mettere al centro il borgo, significa connettere – e non separare – i territori urbani e rurali, di montagna e di pianura, interni e di costa. Questa presa d’atto permette di cogliere alcuni elementi di tensione e possibili prospettive, secondo una visione di riconfigurazione insediativa e di nuovi rapporti tra centri e margini.

All’attenzione spasmodica per le interazioni competitive delle global cities si sovrappone così la questione della ritrovata visione tra città e contesti territoriali locali, secondo inedite interdipendenze e potenziali alleanze.

Ibridazione, compresenza, interdipendenza, rigenerazione dell’esistenze diventano così le parole chiave di questa nuova strategia per i piccoli borghi che, tuttavia, richiede innanzitutto un cambiamento di tipo culturale e degli immaginari da parte dei policy maker in grado di inaugurare una nuova stagione di politiche territoriali[55].

 

  1. Note bibliografiche.

 

  1. Amin, N. Thrift, Città. Ripensare la dimensione urbana, Il Mulino, Bologna, 2005.
  2. Bertoncin e A. Pase (a cura di), Territorialità. Necessità di regole condivise e nuovi vissuti territoriali, Franco Angeli Editore, Milano, 2007.
  3. Bonesio, Paesaggio, identità e comunità tra locale e globale, Diabasis, Reggio Emilia, 2009.
  4. Carta, L’armatura culturale del territorio. Il patrimonio culturale come matrice di identità e strumento di sviluppo, Franco Angeli Editore, Milano, 2002.
  5. Castells, Il potere delle identità, Università Bocconi, Milano, 2004.
  6. Cellamare, Progettualità dell’agire urbano. Processi e pratiche urbane, Carocci Editore, Roma, 2011.
  7. Dematteis, F. Governa, “Ha ancora senso parlare di identità territoriale?”, in L. De Bonis, a cura di, La nuova cultura delle città, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma, 2003.
  8. Gabellini, Tecniche urbanistiche, Carocci Editore, Roma, 2001
  9. Governa, Il milieu urbano. L’identità territoriale nei processi di sviluppo, Franco Angeli Editore, 1997.
  10. Governa, “Il territorio come soggetto collettivo? Comunità, attori, territorialità”, in P. Bonora, Slot quaderno 1, Baskerville, Bologna, 2001.
  11. Massey, P. Jess, Luoghi, culture e globalizzazione, Utet, Torino, 2001.
  12. Minucci, L'evoluzione del governo del territorio e dell'ambiente, Utet, Torino, 2005.
  13. Ostrom, Governare i beni collettivi, Marsilio, Venezia, 2006.
  14. Scarpelli (a cura di), Organizzazione del territorio e governance multilivello, Pàtron, Bologna, 2009.
  15. Zamagni., L’economia del bene comune, Roma, Città Nuova, 2007.

 

 

[1] La c.d. “Legge Salva Borghi”, ovvero la Legge n. 158/2017, ha avuto il merito di incoraggiare la promozione e lo sviluppo sostenibile economico, sociale, ambientale e culturale dei piccoli comuni, volendo realizzare non soltanto un equilibrio demografico del Paese, ma anche favorire la residenza in tali comuni, la loro tutela e la valorizzazione del patrimonio naturale, rurale, storico-culturale e architettonico che li contraddistingue. La legge ha, infatti, previsto delle misure in favore dei residenti nei piccoli comuni e delle attività produttive ivi insediate, con particolare riferimento al sistema dei servizi essenziali, al fine di contrastarne lo spopolamento e di incentivare l’afflusso turistico. Cfr. https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:2017;158~art3

[2] Per far fronte alla situazione di marginalizzazione dei territori delle aree interne e valorizzarne le potenzialità inespresse, si è sviluppata la Strategia Nazionale per le Aree interne (SNAI), come politica nazionale per lo sviluppo locale e per la coesione territoriale. L’obiettivo della SNAI è ricostruire le comunità a partire dall’inversione delle tendenze demografiche e dal miglioramento dell’inclusione sociale: rendere i territori a rischio di abbandono nuovamente attrattivi per la cittadinanza permette, infatti, di creare nuova domanda e nuova offerta lavorativa e di incentivare lo sviluppo dell’area. Per renderlo possibile, si agisce principalmente sui servizi di base, ossia quelli che definiscono il diritto alla cittadinanza, che spesso sono carenti, se non assenti, nei comuni selezionati: una maggiore offerta formativa, livelli di istruzione nella media italiana, strutture sanitarie diffuse, incremento dei trasporti e delle connessioni alla rete Internet. La SNAI, in particolare, opera su due direttrici: i progetti di sviluppo locale, da finanziare principalmente con i fondi europei, e gli interventi sui servizi essenziali, da finanziare con i fondi nazionali. Per maggiori approfondimenti, cfr. https://www.agenziacoesione.gov.it/strategia-nazionale-aree-interne/   

[3] Sul tema, tra i più recenti, si vedano: A. De Rossi (a cura di), Riabitare l’Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste, Donzelli Editore, Roma, 2018; E. Borghi, Piccole Italie. Le aree interne e la questione territoriale, Donzelli Editore, Roma, 2017; G. Carrosio, I margini al centro. L’Italia delle aree interne tra fragilità e innovazione, Roma, Donzelli Editore, Roma, 2019; P. Fiore, E. D’Andria (a cura di), I centri minori: da problema a risorsa. Strategie sostenibili per la valorizzazione del patrimonio edilizio, paesaggistico e culturale nelle aree interne, Franco Angeli Editore, Milano, 2019; S. Consiglio, A. Ritano, Sud innovation, Patrimonio Culturale, Innovazione Sociale e Nuova Cittadinanza, Franco Angeli Editore, Milano, 2014; L. Martinelli, L’Italia è bella dentro. Storie di resilienza, innovazione e ritorno alle aree interne, Altreconomia, Milano, 2020.

[4] Per descrivere il processo di sedimentazione delle risorse e delle conoscenze, un modello teorico di utile riferimento può essere rappresentato da quello di “territorializzazione-deterritorializzazione-riterritorializzazione” ipotizzato da Raffestin nel 1984 e ripreso da Magnaghi nel 1990. La prima fase di territorializzazione vede la comunità locale costruire il territorio e ridurre la complessità territoriale intesa come abbondanza di risorse; la seconda fase di deterritorializzazione è caratterizzata dalle crisi strutturali esogene ed endogene che creano un nuovo assetto del territorio; la terza fase di riterritorializzazione segna il superamento della discontinuità e il consolidamento del cambiamento. L’intero ciclo di sviluppo è dato, dunque, da azioni di composizione e ricomposizione del territorio, all’interno di un sistema relazionale di tipo orizzontale e verticale. Sul punto, cfr. C. Raffestin, Territorializzazione-, Deterritorializzazione, Riterritorializzazione ed informazione in A. Turco (a cura di), Regione e Regionalizzazione, Franco Angeli Editore, Milano, 1984 e A. Magnaghi (a cura di) Il territorio dell’abitare. Lo sviluppo locale come alternativa strategica, Franco Angeli Editore, Milano, 1990.

[5] Cfr. M. Balestrieri, Pianificazione del territorio rurale, Franco Angeli Editore, 2018.

[6] Il PNRR (Piano nazionale di Ripresa e Resilienza) è il documento che ciascuno Stato membro deve predisporre per accedere ai fondi del Next Generation EU (NGEU), lo strumento introdotto dall’Unione europea per la ripresa post-pandemia di Covid-19, rilanciando l’economia degli Stati membri e rendendola più verde e più digitale. Il NGEU è un pacchetto da 750 miliardi di euro, costituito da sovvenzioni e prestiti, la cui componente centrale è il Dispositivo per la Ripresa e Resilienza (Recovery and Resilience Facility), che ha una durata di sei anni, dal 2021 al 2026, e una dimensione totale di 672,5 miliardi di euro (312,5 sovvenzioni, i restanti 360 miliardi prestiti a tassi agevolati). Il Governo italiano ha quindi predisposto il PNRR per illustrare alla Commissione europea come intende gestire i fondi del NGEU, descrivere i progetti che intende realizzare con questi fondi e delineare il calendario delle riforme associate all’attuazione del Piano e, più in generale, finalizzate alla modernizzazione del Paese.

[7] Cfr. A. Coppola, M. Del Fabbro, A. Lanzani, G.Pessina, F. Zanfi (a cura di), Ricomporre i divari. Politiche e progetti territoriali contro le disuguaglianze e per la transizione ecologica, Il Mulino, 2021.

[8] Ibidem.

[9] Sul punto, cfr. A. Contato, Policentrismo reticolare. Teorie, approcci e modelli per lo sviluppo territoriale, Franco Angeli Editore, 2019.

[10] Cfr. G. Avallone, Le città contemporanee nella globalizzazione. Note sulla città meridionale, Franco Angeli Editore, 2003.

[11] Ciò partendo dal presupposto che “il nesso tra cultura, identità e luoghi, nel tempo della globalizzazione, sembra impossibile da riproporre anche in forme deboli”. Sul punto, si segnala F. Scarpelli, In un unico mondo. Una lettura antropologica di John Searle, Rosemberg & Sellier, 2016.

[12] La differenza sostanziale risiede nell’approccio metodologico di analisi: se nel primo caso lo studio di un dato territorio e la sua identità vengono condotti a prescindere dalla collettività locale, nel secondo caso essi ne rappresentano elementi sostanziali. Si tratta, infatti, di analizzare e comprendere quali forme e modi dell’abitare abbiano segnato quel territorio, le sue dinamiche e problematiche e come gli attori locali si relazionano ai luoghi.

[13] L’espansione edilizia modifica radicalmente l’identità paesistica e determina la connessione tra centri prima caratterizzati da propria identità percepibile, fino a costituire veri e propri agglomerati urbani. La crescita edilizia avviene sulla base di parametri quantitativi di tipo permissivo, senza alcun disegno urbanistico e senza attenzione alla tutela ambientale.

[14] La riflessione sui caratteri delle politiche urbanistiche degli scorsi decenni deve superare il dibattito sul singolo manufatto abusivo o del singolo ecomostro, ma impone un allargamento dello sguardo al progetto del territorio nelle sue molteplici dimensioni. Se l’orizzonte diventa la riorganizzazione complessiva (a partire dall’abusivismo e dal disordinatamente urbanizzato) di pezzi di territorio compromesso, ne deriva la necessità di attribuire attenzione ad una tutela capace di assorbire, nel concetto di territorio, tematiche come il paesaggio e l’ambiente, divenendo il progetto urbanistico un ruolo di sintesi.

[15] Cfr. M. Strazzeri, L’eclissi del cittadino, Pensa Multimedia, Lecce, 2011.

[16] Secondo Niklas Luhmann la società contemporanea si presenta completamente de-soggettivizzata: in linea generale, la società senza esterno è una società che tende a perdere i riferimenti esterni alle proprie dinamiche, chiusa in maniera autoreferenziale nei sistemi sociali. In aperta critica con le teorie sociali dell’umanesimo – che ponevano l’uomo al centro dei rapporti sociali – Luhmannn sostiene che con l’aumentare della complessità sociale il rapporto tra individuo e società è possibile soltanto in una interpretazione sistematica senza che vi sia interpenetrazione. Sul punto, cfr. N. Luhmann, Sistemi sociali, Il Mulino, Bologna, 1990 e, ancora, N. Luhmann, Oltre la barbarie, in R. Prandini (a cura di), I dilemmi dell’inclusione sociale, in “Sociologia e politiche sociali”, a. 2, n. 3, 1999.

[17] Ad esempio, si pensi alle strategie glocal dei territori marginali che hanno deciso, metaforicamente parlando, di divenire “corde di Ulisse”, coniugando le aperture ai mercati globali con la difesa delle biodiversità e peculiarità identitarie locali. Cfr. N. Bartoletto, R. Salvatore, S. D’Alessandro, Ripartire dai borghi per cambiare le città. Modelli e buone pratiche per ripensare lo sviluppo locale, Franco Angeli Edizione, 2020.

[18] I borghi “riattivati” non si affidano alle logiche di coesione sociale, ma si presentano con logiche similari alla città globale anche se in scala ridotta, vale a dire come aree specializzate nell’accoglienza turistica e ludico-ricreativa.

[19] È certamente positivo che negli ultimi anni i borghi si siano affermati come nuova ed originale destinazione turistica e che, anche a causa della pandemia, come luoghi in cui poter ritornare o risiedere grazie al telelavoro. Tuttavia, detta attrattività mostra anche il suo lato distorsivo, offrendo la visione decontestualizzata riproposta dal PNRR, vale a dire la ricerca di una prevalente “vocazione specifica” da assegnare a ciascun borgo e, al contempo, proponendo come modello di sviluppo prototipi di alberghi diffusi, di residenze sanitarie e di centri di ricerca universitari. Cfr. G. Lupatelli, A. De Rossi, Rigenerazione urbana. Un glossario, Donzelli Editore, 2022.

[20] Il termine “partecipazione” è ricorrente nel linguaggio comune, al pari di “sostenibilità” o “governance”, detenendo un elevato impatto evocativo, che indica qualcosa di intrinsecamente positivo e giusto da perseguire. Tuttavia è ravvisabile una sostanziale differenza tra la partecipazione in ambito urbano, nota nelle c.d. “smart cities”, e quella relativa ai piccoli borghi, dove una tecnologia di avanguardia può risultare sorgente di rischi e di svantaggi che possono rivelarsi maggiori dei benefici. L’approccio dovrà, pertanto, essere necessariamente di tipo olistico e relativo ad una transizione non solo tecnologica, ma anche sociale e culturale che deve accompagnare il percorso di trasformazione del territorio. Cfr. F. Capano, M. Visone, La città palinsesto. Tracce, sguardi e narrazioni sulla complessità dei contesti urbani storici: memorie, storie, immagini, FedOA – Federico II University Press, 2020.

[21] Se è vero che la fragilità dei borghi continua ad essere un aspetto evidente (e, spesso, a riprodursi e ad aumentare), è innegabile l’affermarsi di una diversa percezione di questi luoghi e la volontà di rafforzare la loro attrattività attraverso il restauro ed il recupero degli edifici storici e culturali, la rifunzionalizzazione degli spazi e la valorizzazione degli elementi identitari. Cfr. P. Bevilaqua, L’Italia dell’osso. Uno sguardo di lungo periodo, in A. De Rossi (a cura di), Riabitare l’Italia: le aree interne tra abbandoni e riconquiste, Donzelli, Roma, 2018.

[22] M. Bassanelli, Geografie dell’abbandono. La dismissione dei borghi d’Italia, DPA – Politecnico di Milano, 2009.

[23] Le politiche del territorio appaiono come elemento accessorio, una base su cui appoggiare i servizi da suddividere in aree di competenza sulla base di vincoli formali. Ciò comporta che i design amministrativi rimangono, nella maggior parte dei casi, sconnessi dalle loro caratteristiche, bisogni e aspettative.

[24] Ciò in un’ottica di trasformazione continua a cui sono sottoposti i luoghi della vita sociale e, al tempo stesso, volta al riconoscimento dei valori sociali dell’ambiente e del territorio, alla costruzione sociale delle comunità, nella sua dimensione generativa e attraverso i diversi linguaggi simbolici, culturali ed etnici da cui è caratterizzata.

[25] I borghi devono essere “pensati” come i nuovi luoghi dell’abitare, intesa come scelta essenziale in termini di risparmio del consumo del suolo, della valorizzazione delle forme di economia circolare, del riuso e della rifunzionalizzazione degli spazi. Questa nuova visione porta ad affievolire la concezione di intendere i borghi come “seconda casa” e valorizzarli come luogo per vivere e lavorare. Cfr. P. Bevilacqua, L’Italia dell’osso. Uno sguardo di lungo periodo, in A. De Rossi (a cura di), Riabitare l’Italia: le aree interne tra abbandoni e riconquiste, Donzelli Editore, Roma, 2018.

[26] Questi esperimenti, spesso, ruotano attorno alla ricerca di stili di vita più lenti e di maggiore qualità, ma anche di autenticità, identificano, inserimento dell’individuo nella comunità. Parallelamente, i territori marginali necessitano di nuove modalità per essere abitati e di elaborazione di una sintesi dei loro contenuti culturali al fine di una convivenza con il patrimonio che li caratterizza e il loro mantenimento in vita.

[27] Cfr. E.W. Soja, Postmetropolis. Critical Studies of Cities and Regions, Blackwell, Oxford, 2000.

[28] Sul punto, M. Carta, A. Contato, M. Orlando, Pianificare l'innovazione locale. Strategie e progetti per lo sviluppo locale creativo: l'esperienza del SicaniLab, Franco Angeli Editore, 2017.

[29] Cfr. M. Carta, D. Ronsivalle (a cura di), Territori interni. La pianificazione integrata per lo sviluppo circolare: metodologie, approcci, applicazioni per nuovi stili di vita, Aracne, Roma, 2015.

[30] Nei territori interni si sperimentano, infatti, insediamenti ecologici e creativi, maggiormente resilienti ed intelligenti. Una ecologia integrale che, applicata ai sistemi insediativi delle aree interne, agevola i cicli ecologi agricoli e metabolici urbani, sperimentando soluzioni non convenzionali.

[31] In questa complessità emergono la natura, la cultura, le memorie e le storie che permeano e diversificano ogni bordgo, che danno un rilievo unico a nuove forme di utilizzo e di appropriazione e che portano all’avvio di nuove funzioni e sensi dei luoghi. Si delinea, pertanto, una trasformazione dei “vuoti”, spesso abbandonati o semi-abitati, in spazi vissuti e rigenerati con un maggiore rispetto degli ambienti naturali e delle componenti storiche.

[32] Cfr. M. V. Calciano, Viva l’Italia autentica e preziosa. Idee e buone pratiche per gli Enti Locali, 2022.

[33] I sistemi identitari di un territorio possono essere ricondotti ad un segno, un simbolo, uno stemma antico istituzionale, ad una icona artistica e, in estrema sintesi, a quegli elementi che richiamano da sempre i territori e le tradizioni visive dei luoghi. Essi rappresentano l’insieme di tutte le risorse e i valori spendibili per la distinzione, la riconoscibilità, la concorrenzialità con altri territori. Sul punto, cfr. G. J. Ashworth, The instruments of place branding: how is it done? European Spatial Research and Policy, 2009.

[34] Ovviamente, la questione non riguarda soltanto i luoghi ricchi di eventi storici, ma tutte le preesistenze: il rapporto con il contesto è sempre alla base della progettazione del paesaggio. La lettura del contesto e la visione del contemporaneo è, quindi, il nodo tra il passato e il futuro. Cfr. A. M. Ippolito, Il paesaggista. Professione e formazione, Franco Angeli Editore, 2021.

[35] Cfr. P. Calza Bini, C. Cortese, I sistemi di regolazione locale in una prospettiva di governante: proposte per l’analisi, Argomenti, vol. 33, 2011.

[36] Nei borghi questo approccio basato sulla comunità (community extended) è generalmente accompagnato dalla reinterpretazione dell’ambiente costruito, progettato al suo tempo per ospitare economie rurali che ormai non esistono più, e che necessita di un intervento di riqualificazione in grado di rispondere alle mutate esigenze. Cfr. L. Daglio, G. Boi, R. Podda, Participated Strategies for Small Towns Regeneration. The Case of Oliena (Nu) Historic Centre, in S. Della Torre (a cura di), Regeneration of the Built Environment from a Circular Economy Perspective, 2020.

[37] La rilevanza della rigenerazione del patrimonio culturale nazionale emerge anche a livello comunitario dal momento che la maggior parte degli Stati membri hanno previsto, nei rispettivi Piani nazionali di ripresa e resilienza, interventi a sostegno del settore cultura. Si pensi, a titolo esemplificativo, alla Grecia che ha predisposto specifiche misure per la tutela dei siti e dei monumenti culturali e la costruzione di infrastrutture su misura, idonee a prevenire i pericoli associati ai cambiamenti climatici, o, ancora, alla Spagna che ha investito soprattutto nella digitalizzazione del settore culturale e dei media, promuovendo la trasformazione digitale delle principali istituzioni culturali al fine di aumentare la fruibilità al patrimonio culturale. Sul punto, cfr. Studio Grimaldi, Guida al PNRR. Opportunità, procedure e adempimenti per imprese, professionisti e pubblica amministrazione, Il Sole24Ore Professional, 2022.

[38] Sul punto, https://www.beniculturali.it/comunicato/dm-555-02-12-2016-direttiva-del-ministro-dei-beni-e-delle-attivita-culturali-e-del-turismo-2017-anno-dei-borghi-italiani

[39] È, inoltre, prevista la sperimentazione di modalità integrate di promozione del benessere, mediante pratiche fondate sulla cultura e di welfare culturale, adottando protocolli collaborativi tra settori e sistemi istituzionali.

[40] MiBACT 2017 - PST 2017-2022, Italia paese per viaggiatori. Piano Strategico di sviluppo del Turismo, Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, 2017.

[41] Sul punto, https://pnrr.cultura.gov.it/misura-2-rigenerazione-di-piccoli-siti-culturali-patrimonio-culturale-religioso-e-rurale/2-1-attrattivita-dei-borghi/

[42] Rientra in questo ambito, ad esempio, il progetto “Il turismo delle radici: una strategia integrata per la ripresa del settore del turismo nell’Italia post Covid-19” che propone un ampio raggio di offerte turistiche mirate alla platea di italo-discendenti nel mondo (stimati in circa 80 milioni). Con la firma dell’apposito accordo fra Ministero della cultura e il Ministero degli esteri si sono poste le basi per il Progetto attraverso il quale le comunità italiane all’estero presenti in tutto il mondo verranno coinvolte nella valorizzazione della nostra offerta turistica, all’interno di una strategia volta a invertire il processo di depauperamento dei borghi italiani per sostenere attivamente il rilancio post Covid dei borghi. Cfr. A. Di Filippo, Le Pubbliche Amministrazioni di fronte alla sfida del PNRR, Ipsoa, 2022.

[43] Le risorse sono limitate (complessivamente 800 milioni di euro), ma si tratta di un intervento che, seppure non ottimale, rappresenta un esempio di concentrazione mirato delle risorse. I piccoli comuni, fino a 5.000 abitanti, sono, infatti, destinatari di circa 380 milioni di euro che, tuttavia, potranno interessare un massimo di 229 borghi. Sul punto, https://cultura.gov.it/comunicato/21911

[44] In particolare, in merito all’individuazione dei 250 borghi beneficiari delle risorse economiche, il Decreto n. 453 del 7 giugno 2022 ha assegnato dette risorse a seguito di apposita procedura prevista dal relativo avviso pubblico.

[45] Gli interventi sono stati individuati a seguito di avviso pubblico per la presentazione delle proposte di intervento e su iniziativa del Ministero della Cultura.

[46] Cfr. R. P. Camagni, Il concetto di “milieu innovateur” e la sua rilevanza per le politiche pubbliche di sviluppo regionale in Europa, in G. Garofoli e R. Mazzoni (a cura di), Sistemi produttivi locali: struttura e trasformazione, Franco Angeli Editore, Milano, 1994.

[47] Cfr. A. Magnaghi, Il territorio dell’abitare, Franco Angeli Editore, Milano, 1994.

[48] Le vaste trasformazioni che hanno interessato le città nel corso della storia hanno determinato una evoluzione non soltanto nelle modifiche morfologiche degli assetti territoriali e nella stratificazione architettonica delle strutture, ma anche nella percezione e fruizione degli spazi. Le città – e soprattutto i più piccoli borghi storici – rappresentano il risultato di un processo graduale di trasformazione resa possibile dalla complessità del rapporto diretto con la fisicità dello spazio urbano, della interazione continua con la struttura fisica e con la sedimentazione delle conoscenze. Sul punto, per una analisi più approfondita, cfr. L. De Carlo, P. Albisinni, L. Baratin, V. Di Stefano, M. Fantozzi, V. Giampà, G. Intra Sidola, E. Liumbruno, A. Micucci, Metamorfosi dell’immagine urbana. Rappresentazione, documentazione, interpretazione, comunicazione, Gangemi Editore, 2015.

[49] Intesa come sviluppo integrato del territorio, le cui politiche devono essere predisposte e articolate in modo specifico, tenendo conto della struttura economica locale e delle sue risorse endogene, considerando l’orizzonte globale e che trae ulteriore linfa dal mutato rapporto città/campagna, non più vissuto da quest’ultima in termini di dipendenza e subalternità.

[50] In sostanza, si sente forte la necessità di una “politica comune e condivisa” per il territorio, a fronte di una trascorsa difficoltà (se non assenza) di coordinamento tra i diversi operatori pubblici e tra le organizzazioni territoriali.

[51] La promozione di nuove forme di partecipazione pubblico-privato e di organizzazione dei processi decisionali, l’applicazione di modelli di organizzazione innovativi orientati ad una gestione razionale delle risorse, la definizione di opportune strategie di fattibilità procedurali, economico-finanziarie e realizzative, rappresentano gli elementi comuni alle operazioni di crescita e di sviluppo, incorporando gli indirizzi di sostenibilità sociale ed ambientale espressi dagli organi di governo europeo. Indipendentemente dagli esiti differenziati, tali programmi e i relativi progetti urbanistici e architettonici evidenziano l’urgenza di un più esteso concetto di “qualità delle città” in senso materiale e sociale. Cfr. S. D’Antonio, P. Testa, Le città sono la soluzione. Un viaggio nell’Italia dei comuni innovativi, Donzelli Editore, 2021.

[52] Si tratta di ideare architetture pubbliche legate al più ampio sistema infrastrutturale, atte a promuovere un sentimento di comunità e di appartenenza integrale al territorio in quanto forme di abitare tipico della città consolidata.

[53] Cfr. M. Carta, P. La Greca, Cambiamenti dell'urbanistica. Responsabilità e strumenti al servizio del paese, Donzelli Editore, 2017.

[54] Intraprendere percorsi di nuovo sviluppo a partire dalle aree interne deboli non è mai stata una operazione facile. È evidente che un nuovo sguardo sulle potenzialità nascoste di un territorio non basta a creare un “effetto somma” se manca una forza propulsiva che fa coagulare il tutto, svolgendo una funzione di trascinamento positivo fino alla predisposizione del progetto e alla sua successiva realizzazione.

[55] Sul punto, cfr. C. Cavallo, M. G. Eccheli, Il progetto nei borghi abbandonati, Firenze University Press, 2022.