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Anno XVII - n. 05 - Maggio 2025

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Diritti alle prestazioni pubbliche: tra indegradabilità e potere amministrativo.

Di Francesco Vincelli
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Diritti alle prestazioni pubbliche:

tra indegradabilità e potere amministrativo

 

Di Francesco Vincelli

 

 

Abstract

Il presente contributo analizza il tema dei diritti alle prestazioni pubbliche in ambito sanitario e scolastico, esaminando in particolare le questioni relative alla loro natura (diritti soggettivi o interessi legittimi) e le conseguenze che ne derivano in termini di riparto di giurisdizione e strumenti di tutela. Dopo aver ricostruito la teoria dei c.d. diritti indegradabili, che in passato ha giustificato il rinvio di simili controversie al giudice ordinario in ragione della ritenuta insufficienza della tutela amministrativa, lo studio evidenzia come la sua portata sia oggi considerevolmente ridimensionata. L’ampliamento delle forme di tutela offerte dal giudice amministrativo – con particolare riguardo all’azione risarcitoria, all’azione di condanna e all’uso di poteri cautelari e commissariali – ha consentito di superare l’antica contrapposizione tra diritti fondamentali “inaffievolibili” e posizioni degradate a interessi legittimi. L’elaborato si sofferma su numerosi casi giurisprudenziali, dimostrando come la realizzazione concreta del diritto alla salute e del diritto all’istruzione richieda inevitabilmente l’esercizio di poteri pubblici, con conseguente configurabilità di interessi legittimi tutelabili dal giudice amministrativo.

 

This paper examines the issue of public-service entitlements in healthcare and education, focusing on whether these constitutionally relevant positions should be classified as subjective rights or legitimate interests, and how this affects jurisdictional allocation and legal remedies. After outlining the theory of so-called “indegradable rights,” which historically led to assigning such disputes to ordinary courts due to perceived shortcomings in administrative jurisdiction, the discussion highlights how this theory has largely been superseded. The broadening of remedies available before administrative courts—particularly with respect to damages claims, orders to act (condemnatory actions), and precautionary or special powers—has mitigated the distinction between “inalienable” fundamental rights and positions downgraded to mere legitimate interests. Case law is presented to illustrate how the practical realization of the rights to health and education necessitates the exercise of public powers, thus giving rise to legitimate interests that fall under the jurisdiction of administrative courts.

 

Sommario: 1. Introduzione: la rilevanza dei diritti sociali e le forme di protezione giurisdizionale - 1.1 Diritti sociali e tutela giurisdizionale – 2. Il diritto alla salute e il diritto all’istruzione come diritti sociali fondamentali - 2.1 Rilevanza costituzionale e carattere sociale - 2.2 Limiti di bilancio e parametri tecnici – 3. Diritto soggettivo o interesse legittimo? La problematica della "degradazione" - 3.1 Distinzione tradizionale e implicazioni processuali - 3.2 Teoria dei diritti indegradabili e fondamento storico - 3.3 Superamento della teoria alla luce della riforma dell’azione risarcitoria e del Codice del Processo Amministrativo – 4. Il diritto alla salute e il ruolo della Pubblica Amministrazione - 4.1 Struttura del Servizio Sanitario Nazionale e LEA - 4.2 Giurisprudenza sulla salute: diritto soggettivo o interesse legittimo? – 5. Il diritto all’istruzione e le prestazioni di sostegno scolastico - 5.1 Principi costituzionali e legislativi in materia scolastica - 5.2 Assegnazione delle ore di sostegno e giurisdizione amministrativa - 5.3 Borse di studio e servizi scolastici: quando interviene il giudice ordinario? – 6. Gli strumenti di tutela dinanzi al giudice amministrativo - 6.1 Azione di annullamento e azione di condanna - 6.2 Misure cautelari e commissario ad acta - 6.3 Risarcimento del danno e azione di responsabilità – 7. Conclusioni: verso un modello di tutela integrata dei diritti sociali.

 

  1. Introduzione: la rilevanza dei diritti sociali e le forme di protezione giurisdizionale

La Costituzione italiana riconosce, tra i diritti fondamentali, il diritto alla salute e il diritto all’istruzione, rispettivamente consacrati negli articoli 32 e 34 Cost. La salute è definita come “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”, con una duplice valenza soggettiva e pubblicistica. L’istruzione, invece, è garantita come diritto aperto a tutti, con l’impegno della Repubblica a rimuovere gli ostacoli economici e sociali che ne impediscano la piena realizzazione.

Nella percezione comune, diritti di tale rango costituzionale dovrebbero essere goduti in modo tendenzialmente “assoluto”. Tuttavia, in concreto, essi si traducono in prestazioni pubbliche la cui erogazione è soggetta all’esistenza di risorse finanziarie, alla programmazione economico-amministrativa e a specifiche norme di settore. Non è dunque inusuale che la Pubblica Amministrazione, nell’ambito della sua attività discrezionale o vincolata, debba bilanciare le esigenze di singoli cittadini con altri interessi ugualmente rilevanti (ad esempio, il contenimento della spesa pubblica, l’equilibrio di bilancio, l’adeguata distribuzione territoriale dei servizi).

Da tale bilanciamento emergono problematiche che attengono alla configurazione giuridica di tali diritti (se essi permangano come diritti soggettivi perfetti o se invece vengano a “affievolirsi” a interessi legittimi) e, correlativamente, alla competenza del giudice. Tradizionalmente, in base al criterio di riparto di giurisdizione stabilito dall’art. 103 Cost., i diritti soggettivi sono tutelati dal giudice ordinario, mentre gli interessi legittimi sono devoluti alla cognizione del giudice amministrativo. Nel corso del tempo, la giurisprudenza e la dottrina hanno sviluppato la cosiddetta “teoria dei diritti indegradabili”, con l’obiettivo di preservare la competenza del giudice ordinario su alcuni diritti di rango costituzionale, paventando il rischio di una tutela meno incisiva sul versante amministrativo. Tuttavia, a seguito di importanti evoluzioni normative e giurisprudenziali, tale teoria è stata in larga parte superata.

 

  1. Il diritto alla salute e il diritto all’istruzione come diritti sociali fondamentali

2.1. Rilevanza costituzionale e carattere “sociale”

Il diritto alla salute e il diritto all’istruzione si collocano nel novero dei diritti sociali, ossia quelle situazioni giuridiche soggettive che postulano una prestazione positiva da parte dello Stato o di altri enti pubblici. Nel nostro ordinamento, l’art. 32 Cost. sancisce che “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”, mentre l’art. 34 afferma che “la scuola è aperta a tutti” e che “i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Questi enunciati, se da un lato forniscono una copertura costituzionale massima, dall’altro lato lasciano inevitabilmente spazi alla discrezionalità legislativa nel definire le modalità di attuazione concreta, compresa la dimensione dell’organizzazione dei servizi.

In ragione della loro natura “sociale”, tali diritti non si esauriscono in una mera libertà “negativa” (come potrebbe essere, ad esempio, la libertà di pensiero), ma esigono un intervento attivo dell’apparato pubblico: l’istituzione di scuole, la definizione di piani di assistenza sanitaria, la predisposizione di borse di studio e prestazioni di sostegno in favore degli studenti con disabilità, la creazione di strutture ospedaliere e la determinazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). In questo senso, è proprio la funzione amministrativa a rendere effettivi i diritti di cui trattasi, stabilendo, attraverso provvedimenti e atti gestionali, come e a chi erogare le risorse e i servizi. Tale funzione si concreta in un potere che può essere discrezionale (quando vi siano margini di valutazione pubblicistica sugli interessi in gioco) o vincolato (quando la legge imponga in modo puntuale le modalità di intervento).

2.2. I limiti di bilancio e i parametri tecnici

Poiché i diritti sociali implicano un costo economico, la realizzazione del diritto alla salute e all’istruzione viene necessariamente bilanciata con i limiti di bilancio. Non è raro che l’ente pubblico decida di razionare le risorse in base a criteri normativi (ad esempio, i LEA in ambito sanitario o i contributi scolastici e le borse di studio per reddito in ambito educativo). Ciò determina una variabilità sul piano pratico: un determinato trattamento sanitario può essere garantito gratuitamente entro certi parametri clinici, ma non in altri casi ritenuti “non essenziali” o “non coperti” dal Servizio Sanitario Nazionale. Analogamente, una borsa di studio può essere accordata solo se lo studente dimostra di possedere un determinato indice reddituale (ISEE) o un certo merito scolastico. Queste regole non costituiscono ostacoli “illegittimi” al godimento del diritto, bensì forme organizzate di esercizio della potestà amministrativa, che circoscrivono il contenuto effettivo dei diritti.

Va rilevato, altresì, che l’esercizio di tale potere pubblico è regolato da principi quali il buon andamento e l’imparzialità (art. 97 Cost.), imponendo all’amministrazione di rispettare criteri di proporzionalità, ragionevolezza e adeguatezza. Ne consegue che, se in alcuni casi l’Amministrazione dovesse agire in maniera illogica o discriminatoria, si aprirebbe la prospettiva dell’illegittimità del provvedimento, con la possibilità per il cittadino di impugnarlo dinanzi agli organi competenti.

 

  1. Diritto soggettivo o interesse legittimo? La problematica della “degradazione”

3.1. La distinzione tradizionale e le sue implicazioni processuali

Il riparto di giurisdizione in Italia è storicamente fondato sulla distinzione fra diritti soggettivi e interessi legittimi. Semplicisticamente risolvendo l’annosa questione, il diritto soggettivo può essere definito come quella situazione giuridica che attribuisce al titolare la pretesa di ottenere o mantenere un bene/servizio senza che l’Amministrazione possa incidere discrezionalmente sulla sua sfera giuridica. Qualora l’Amministrazione intervenga illecitamente, la lesione è giudicata dal giudice ordinario. L’interesse legittimo è invece quella posizione del privato che deve confrontarsi con l’esercizio di un potere pubblico. L’interesse legittimo può essere definito come quella situazione giuridica soggettiva di potere in forza del quale il privato esprime una pretesa nei confronti della pubblica amministrazione e soddisfa il bene della vita solo per il tramite dell’esercizio dello stesso. Tale posizione di interesse è tutelata dal giudice amministrativo.

Quando si discute dei diritti alla salute e all’istruzione, il problema consiste nello stabilire se la persona possa far valere un diritto “perfetto e incondizionato” (e rivolgersi quindi al giudice ordinario), oppure se la presenza di un potere amministrativo di conformazione (ad esempio, la disciplina dei LEA, la definizione del numero di ore di sostegno scolastico) determini la configurazione di un interesse legittimo, con conseguente competenza del giudice amministrativo.

3.2. La “teoria dei diritti indegradabili” e il suo fondamento storico

A lungo, parte della dottrina[1] e della giurisprudenza[2] hanno cercato di sottrarre i diritti costituzionali fondamentali (come la salute e l’istruzione) alla potenziale “degradazione” in interessi legittimi. Tale orientamento[3], noto come “teoria dei diritti indegradabili”, sosteneva che quando è in gioco un diritto costituzionalmente protetto, non potrebbe esservi un potere amministrativo in grado di inciderlo. Di conseguenza, l’eventuale lesione del diritto da parte dell’Amministrazione andrebbe sempre ricondotta alla giurisdizione del giudice ordinario.

L’origine storica di questa teoria si spiega con l’assetto precedente alla sentenza Cass., Sez. Un., 22 luglio 1999, n. 500. Prima di tale pronunciamento, il giudice amministrativo non riconosceva agevolmente il risarcimento dei danni derivanti da lesioni di interessi legittimi, limitandosi a offrire una tutela di tipo “impugnatorio” (l’annullamento dell’atto amministrativo illegittimo). I fautori dei “diritti indegradabili” paventavano il rischio che un diritto fondamentale potesse ricevere, se ricondotto a interesse legittimo, un riparo giurisdizionale inadeguato. La soluzione era sottrarre quei diritti alla giurisdizione amministrativa, qualificandoli come diritti soggettivi incondizionati e, dunque, di competenza del giudice ordinario. Ne derivavano formule come “non c’è potere perché c’è diritto”, ribaltando l’aforisma di Mortara, secondo cui “c’è interesse legittimo perché c’è potere”.

3.3. Superamento della teoria alla luce della riforma dell’azione risarcitoria e del Codice del Processo Amministrativo

A partire dalla sentenza n. 500 del 1999 delle Sezioni Unite, il quadro è stato rivoluzionato. Tale apertura giurisprudenziale[4] ha poi trovato ratifica legislativa nel Codice del Processo Amministrativo (d.lgs. n. 104/2010, di seguito CPA), che prevede una tutela ampia per le situazioni soggettive fatte valere dinanzi al giudice amministrativo, con possibilità di ottenere l’annullamento dell’atto; la condanna al rilascio di un atto dovuto; le misure cautelari, anche atipiche (art. 55 CPA), come la nomina di un commissario ad acta; il risarcimento del danno, tanto patrimoniale quanto non patrimoniale, qualora sussistano i presupposti di legge (art. 30 CPA).

In più, l’art. 133, comma 1, lett. p), CPA include nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche le controversie che concernono “diritti costituzionalmente tutelati” qualora siano connessi all’esercizio di un pubblico potere in determinati settori (servizi pubblici, urbanistica, ecc.). Anzi, lo stesso art. 55, co. 2, CPA prevede che se la misura cautelare chiesta attiene a “diritti fondamentali della persona o ad altri beni di primario rilievo costituzionale”, la concessione o il diniego non possa essere subordinato a cauzione. Ciò conferma il ruolo primario del giudice amministrativo anche nella salvaguardia di posizioni soggettive di rilievo costituzionale.

Alla luce di tali innovazioni, la teoria dei diritti indegradabili risulta fortemente ridimensionata. La ratio originaria, ossia la preoccupazione di una tutela ridotta presso il giudice amministrativo, non è più attuale: il privato dispone oggi di azioni e rimedi idonei a tutelare efficacemente anche diritti fondamentali che assumano la veste di interessi legittimi.

 

  1. Il diritto alla salute e il ruolo della Pubblica Amministrazione

4.1. Struttura del Servizio Sanitario Nazionale e LEA

Il diritto alla salute (art. 32 Cost.) si concreta attraverso l’elaborazione del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), istituito dalla legge n. 833/1978, e la successiva introduzione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), disciplinati per la prima volta dal d.lgs. n. 502/1992, poi riformato dal d.lgs. n. 229/1999 e ulteriori interventi normativi. I LEA rappresentano la soglia minima di prestazioni sanitarie che devono essere garantite a tutti i cittadini in maniera uniforme su base nazionale. Le Regioni, titolari di competenze legislative e amministrative in campo sanitario (art. 117 Cost.), possono ampliare i servizi, purché non scendano al di sotto dei LEA.

Nel garantire tali livelli, l’Amministrazione esercita poteri programmatori (piani regionali di assistenza, definizione delle priorità di spesa), poteri gestionali (collocamento degli assistiti nelle liste di attesa, convenzioni con soggetti privati accreditati, definizione dei ticket) e poteri di vigilanza sul corretto esercizio delle funzioni sanitarie. Di conseguenza, l’erogazione delle prestazioni sanitarie (farmaceutiche, ospedaliere, ambulatoriali, di riabilitazione) non avviene in modo “automatico” e illimitato, ma è soggetta al rispetto di criteri scientifici, al budget disponibile e alle decisioni organizzative degli enti competenti.

4.2. La giurisprudenza in materia di salute: diritto soggettivo o interesse legittimo?

Nonostante la salute sia formalmente qualificata come un diritto “fondamentale” e “inviolabile” (artt. 2 e 32 Cost.), la giurisprudenza[5] ha più volte affermato che, quando il singolo rivendica l’erogazione di una determinata prestazione sanitaria (ad es., l’inserimento in un programma terapeutico di alta specializzazione, il riconoscimento di un farmaco costoso, il rimborso di spese mediche), si tratta di un interesse legittimo se l’Amministrazione dispone di un potere tecnico-discrezionale. Basti pensare a una decisione regionale che stabilisce la tipologia e il numero di prestazioni erogabili a carico del SSN, in base a criteri di efficacia medico-scientifica ed economicità. In tali circostanze, se il cittadino contesta la mancata o inadeguata offerta sanitaria, la cognizione spetta al giudice amministrativo (salvo ipotesi limite di carenza assoluta di potere). La stessa Corte Costituzionale[6] ha affermato che il diritto alla salute, sebbene fondamentale, è soggetto a limiti finanziari e organizzativi. Il giudice amministrativo è il naturale giudice delle controversie relative al bilanciamento tra il diritto alla salute e la sostenibilità economica del sistema sanitario.

Diverso è il caso in cui l’Amministrazione agisca in “carenza di potere” o ponga in essere un atto radicalmente nullo, non rientrante in alcuna previsione di legge, come nel caso in cui un soggetto pubblico pretendesse di vietare a un cittadino di accedere a un pronto soccorso senza alcuna base normativa. In talune ipotesi estreme, il provvedimento può essere considerato inesistente o nullo, con la conseguenza che il cittadino conserva un diritto soggettivo non degradabile.

 

  1. Il diritto all’istruzione e le prestazioni di sostegno scolastico

5.1. I principi costituzionali e legislativi in materia scolastica

L’art. 34 Cost. garantisce la libertà di accesso all’istruzione e impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli economici. Parallelamente, l’art. 33 Cost. prescrive la libertà di insegnamento e il riconoscimento di scuole paritarie, segnalando che l’intervento pubblico non esclude la partecipazione di soggetti privati nel sistema formativo. A livello legislativo, la legge n. 53/2003 e il d.lgs. n. 76/2005 hanno riformato parte del sistema scolastico, mentre la legge n. 104/1992 ha introdotto norme specifiche a tutela degli studenti con disabilità, garantendo loro il sostegno scolastico mediante docenti specializzati.

5.2. L’assegnazione delle ore di sostegno e la giurisdizione amministrativa

Un tema ricorrente in giurisprudenza riguarda la determinazione del numero di ore di sostegno scolastico per gli alunni con disabilità (disciplinato dalla legge n. 104/1992 e dal d.lgs. n. 66/2017, nonché dalle relative norme di attuazione). Il Dirigente scolastico, unitamente all’équipe pedagogica e agli organi competenti (spesso in collaborazione con enti sanitari), elabora un Piano Educativo Individualizzato (PEI) che stabilisce il fabbisogno orario di sostegno. Se la famiglia ritiene che il monte ore assegnato sia insufficiente rispetto alle reali necessità dell’alunno, può impugnare tale decisione dinanzi al TAR.

Sul punto, la giurisprudenza[7] ha affermato che l’assegnazione del sostegno costituisce esercizio di un potere autoritativo di natura organizzativa, con conseguente configurabilità di un interesse legittimo in capo al soggetto disabile. A giudizio della giurisprudenza amministrativa[8], è da riconoscere la giurisdizione del giudice amministrativo quando non sia ancora predisposto il piano educativo individualizzato. Invero, non rileva di essere in presenza di un diritto soggettivo in quanto la cognizione è del giudice amministrativo in presenza di potere pubblicistico. Argomentando diversamente, si finirebbe per svuotare di significato l’art. 133, comma 1, lett. c) CPA. Diverso, invece, è il caso delle controversie relative all'attuazione del piano educativo individualizzato[9]: in questo caso la pubblica amministrazione non esercita alcun potere e, pertanto, la cognizione spetta al giudice ordinario[10].

5.3. Borse di studio e servizi scolastici: quando interviene il giudice ordinario?

Oltre al sostegno, l’istruzione può includere ulteriori prestazioni, quali borse di studio, assegni, contributi economici per studenti svantaggiati, mense scolastiche o trasporti. Anche in questi ambiti, la competenza giurisdizionale dipende dalla sussistenza o meno di un potere amministrativo: se la legge o il regolamento concedono alla PA margini di valutazione (ad es. la valutazione del reddito, dei requisiti di merito, dell’anzianità di iscrizione), la controversia verte su un interesse legittimo. Se invece l’Amministrazione agisce fuori da qualsiasi potere (si pensi a un ente locale che rifiuti in toto la mensa scolastica a studenti di una determinata nazionalità, senza alcun fondamento normativo), si potrebbe profilare la competenza del giudice ordinario, poiché tale condotta si configurerebbe come una discriminazione radicalmente estranea al perimetro del potere. Invero, la giurisprudenza[11] ha riconosciuto la giurisdizione del giudice ordinario sul comportamento omissivo dell’amministrazione nell’organizzazione del servizio scolastico che produca l'effetto di mettere l’alunno con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto agli altri, così realizzando una discriminazione indiretta ai sensi della l. n. 67 del 2006 e del d.lgs. n. 150 del 2011.

 

  1. Gli strumenti di tutela dinanzi al giudice amministrativo

6.1. Azione di annullamento e azione di condanna

Nel processo amministrativo, l’azione di annullamento rappresenta storicamente il rimedio principale, volto a rimuovere l’atto illegittimo. Tuttavia, l’annullamento è spesso insufficiente a garantire al privato il bene della vita richiesto, specialmente in ipotesi di interessi legittimi pretensivi (ad es. ottenere un determinato servizio sanitario o un sostegno scolastico di un certo numero di ore). Per questo, il Codice del Processo Amministrativo consente di proporre l’azione di condanna (art. 30, co. 1 e 2, CPA), che può tradursi in un ordine giudiziale rivolto alla PA di emanare l’atto dovuto oppure di riesercitare il potere in modo conforme ai criteri di legge. In certe situazioni, il giudice può spingersi a nominare un commissario ad acta (art. 34, co. 1, lett. e), CPA), figura preposta a sostituirsi all’Amministrazione in caso di persistente inerzia.

6.2. Misure cautelari e commissario ad acta

La richiesta di misure cautelari (art. 55 CPA) ha assunto importanza cruciale nei settori sanitario e scolastico, in cui la tempestività dell’intervento può risultare decisiva. Si pensi all’anno scolastico in corso: se l’alunno disabile non riceve subito un monte ore adeguato, la sua situazione può subire pregiudizi irreversibili. In tale contesto, il giudice amministrativo può emettere ordinanze cautelari provvisorie, imponendo all’Amministrazione di incrementare immediatamente le ore di sostegno, in attesa della decisione definitiva. Il commissario ad acta, invece, entra in gioco quando l’Amministrazione non ottempera all’ordine del giudice, garantendo così l’effettività delle pronunce e prevenendo il rischio di un’inutile durata del processo.

6.3. Risarcimento del danno e azione di responsabilità

A seguito della svolta giurisprudenziale del 1999 e del recepimento nel CPA, l’interesse legittimo leso è oggi risarcibile, sia per danni patrimoniali (ad esempio spese mediche sostenute privatamente a causa dell’illegittimo diniego di una prestazione pubblica) sia per danni non patrimoniali (ad esempio la lesione all’integrità psicofisica di un disabile rimasto privo di sostegno scolastico per un lungo periodo). Il risarcimento presuppone che vi sia stata una condotta illecita della PA, l’esistenza di un danno ingiusto e il nesso di causalità. Una volta accertati questi elementi, il giudice amministrativo condanna l’ente al pagamento di una somma compensativa. Si tratta di un’innovazione di grande importanza, poiché consente al privato non soltanto di ottenere l’annullamento dell’atto, ma anche di vedersi “indennizzato” rispetto alle conseguenze subite.

 

  1. Conclusioni: verso un modello di tutela integrata dei diritti sociali

L’analisi fin qui condotta permette di delineare una conclusione netta: i diritti alla salute e all’istruzione, pur essendo costituzionalmente riconosciuti e tutelati, possono incontrare limitazioni di natura amministrativa, attinenti all’organizzazione dei servizi, alla programmazione delle spese e agli specifici criteri di accesso. La presenza di un potere normativamente previsto – che si tratti di definire i LEA in sanità o di modulare i sostegni in ambito scolastico – rende la posizione del singolo un interesse legittimo, la cui lesione è demandata al giudice amministrativo.

La “teoria dei diritti indegradabili”, che vedeva in tali diritti posizioni non comprimibili e dunque sottratte al potere, rispondeva a una logica storico-giuridica che oggi non trova più riscontro, soprattutto dopo l’ampliamento degli strumenti di tutela offerti dal Codice del Processo Amministrativo. L’esercizio di un potere pubblicistico – anche quando incide su un diritto costituzionale – non implica un deficit di protezione: al contrario, il privato si trova di fronte una giustizia spesso ben più efficiente rispetto a quella ordinaria.

Ciò non significa che la Costituzione venga “svuotata” del suo contenuto, poiché l’Amministrazione è comunque tenuta a garantire una soglia minima di prestazioni (nella sanità, i LEA; nell’istruzione, i piani di studio, i sostegni obbligatori, ecc.) e a esercitare il potere in modo non discriminatorio e proporzionato. Ogni qualvolta l’Amministrazione travalichi i limiti di legge o eserciti il potere in modo irragionevole, il giudice amministrativo è chiamato a sindacare l’illegittimità dell’atto e, se del caso, a condannare l’amministrazione, eventualmente risarcendo il danno sofferto dal singolo.

La permanenza di ipotesi di giurisdizione del giudice ordinario è circoscritta a quei casi in cui l’Amministrazione agisca fuori da ogni attribuzione, ponendo in essere un atto radicalmente nullo o una condotta che non trova fondamento in alcuna norma.

In definitiva, il cittadino non risulta privo di rimedi. Anzi, la giurisdizione amministrativa, forte di strumenti cautelari e risarcitori, si presenta come un foro specializzato, in grado di analizzare con competenza le sfaccettature del potere pubblico e le sue modalità di esercizio, assicurando un controllo penetrante e offrendo tutele piene.

 

 

[1] P. CARPENTIERI, Il nuovo riparto della giurisdizione, in Foro Amm.-Tar, 2006, 2760 ss. e A. BATTAGLIA, Il giudice amministrativo e la tutela dei diritti fondamentali, in Giorn. dir. amm., 2007, 1167 ss. E. PICOZZA, Processo amministrativo, in Enc. dir., XV, Milano, 1987, 163 ss., secondo il quale la previsione costituzionale di questi diritti ne escluderebbe la “riducibilità” a interessi legittimi.

[2] Cass. Sez. Un. 9 marzo 1979 n. 1436; Cass. Sez. Un., 6 ottobre 1979 n. 5172.

[3] Cass., Sez. Un., 20 novembre 1992, n. 12386.

[4] Tra le altre, C. Cost. 6 luglio 2004, n. 204, con note, ex pluribus, di V. CERULLI IRELLI, Giurisdizione esclusiva e azione risarcitoria nella sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 6 luglio 2004, in Dir. proc. amm., 2004, 820 ss.; A. TRAVI, La giurisdizione esclusiva prevista dagli art. 33 e 34 d. lgs. 31 marzo 1998, n. 80, dopo la sentenza della Corte costituzionale 6 luglio 2004, n. 204, in Foro it., I, 2004, 2598 ss.; G. GRECO, Giurisdizione esclusiva e dintorni: la Corte apre alla tutela meramente risarcitoria davanti al giudice amministrativo?, in Giur. cost., 2006, 1945 ss.; A. TRAVI, Principi costituzionali sulla giurisdizione esclusiva ed occupazioni senza titolo dell'amministrazione, in Foro it., 2006, I, 1625 ss.

[5] Tra le altre, cfr. TAR Sicilia, Sez. IV, 29 settembre 2016, n. 2348; Consiglio di Stato, Sez. III, 17 luglio 2014, n. 4460; Consiglio di Stato, Sez. III, 20 aprile 2021, n. 3190.

[6] Corte Costituzionale, 27 luglio 2011, n. 248.

[7] Cass. civ., Sez. Un., ordd. 19 gennaio 2007, n. 1144, e 29 aprile 2009, n. 9954 nonché 19 luglio 2013, n. 17664.

[8] Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 12 aprile 2016, n. 7.

[9] Cass., civ., Sez. Un., ord. 28 febbraio 2017, n. 5060.

[10] Cfr. Cass., civ., Sez. Un., 28 gennaio 2020, n. 1870 che ha confermato tale riparto di giurisdizione anche nel caso dell’ordine del giudice di integrare il numero di ore per la didattica di sostegno. L’ordine, sostituendosi al Piano educativo individualizzato, fa sorgere un diritto soggettivo del disabile ad un maggior numero di ore di sostegno, senza che residui alcun margine di discrezionalità in capo alla pubblica amministrazione.

[11] Cass. civ., Sez. Un., 25 novembre 2014, n. 25011.