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Anno XVI - n. 07 - Luglio 2024

  Studi



Covid-19 e giustizia amministrativa.

Dì Francesco Giunta.
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Covid-19 e giustizia amministrativa

DI FRANCESCO GIUNTA

 

La pandemia da Covid-19, che ha sostanzialmente modificato il nostro modo di vivere la quotidianità, ha iniziato, da qualche tempo, a incidere su ulteriori settori dell’ordinamento.

Con particolare riferimento all’ambito del diritto amministrativo, si assiste, da un lato, a una modifica temporanea delle norme processuali; dall’altro, all’emanazione di taluni atti amministrativi portatori di sanzioni amministrative che, ancorché definite tali, sottendono una finalità prettamente sanzionatoria, e dissuasiva, tale da lambire la finalità General/special preventiva propria della pena.

In riferimento al primo ambito del diritto amministrativo, il Governo ha emanato il D.L. n. 18/2020, con il quale ha previsto alcune modifiche al ritmo ordinario del processo amministrativo.

In particolare, a fronte di un preliminare rinvio dei procedimenti pendenti, già in fase di merito, ha esteso ai procedimenti in fase cautelare il rito di cui all’art. 56 c.p.a.

La disposizione normativa contempla il sistema delle misure cautelari monocratiche, ossia misure di cautela emanate da parte del Presidente del tribunale, ovvero da un giudice delegato, volte a impedire quel pregiudizio, imminente e irreparabile, che il ricorrente subirebbe nell’attendere lo spirare dei termini processuali per la fissazione dell’udienza cd. cautelare.

L’estensione della disciplina di cui all’art. 56 c.p.a. determina un significativo alleggerimento dell’onore della prova del ricorrente, che non è più chiamato a motivare sulla indifferibile urgenza del provvedimento monocratico, ma esclusivamente sui canonici requisiti del fumus boni iuris e periculum in mora.

Il decreto monocratico, secondo il dettato legislativo, è inglobato nell’iter ordinario, proprio della fase cautelare collegiale del procedimento amministrativo.

L’art. 84 del d.l. n. 18/2020, infatti, prevede che, successivamente all’emissione del decreto monocratico, il giudice relatore fissa l’udienza collegiale, in cui oggetto della discussione è l’emissione, rectius conferma, del provvedimento cautelare, originariamente richiesto dal ricorrente nel proprio scritto difensivo.

Di rilievo è la modalità di svolgimento dell’udienza cautelare: essa è tenuta dal collegio giudicante, collegato in remoto tramite gli strumenti telematici, senza la partecipazione degli avvocati delle parti.

A quest’ultimi, viceversa, è concesso –ma in realtà lo era già in precedenza– la facoltà di depositare, entro due giorni liberi prima dell’udienza, brevi note difensive.

Il deposito delle predette note difensive, tuttavia, non consente di garantire il pieno rispetto del diritto di difesa.

Può accadere, infatti, che una delle parti del processo depositi le proprie note difensive allo scadere del termine previsto, e la controparte non ha facoltà di contestarne il contenuto in corso di udienza.

La circostanza può sembrare, prima facie, un problema poco rilevante, ma in realtà sovente nei propri scritti difensivi si ricorre a questioni di inammissibilità o improcedibilità della domanda per confutare la tesi avversaria, e caducare in radice la richiesta di emissione di ordinanza cautelare.

In queste ipotesi, così come in quelle in cui si argomenta sull’inesistenza del periculum in mora, la decisione è rimessa interamente al collegio, senza facoltà della parte di usufruire del proprio diritto al contraddittorio.

Il medesimo regime opera anche per le udienze di merito: quest’ultime, se le parti ne fanno congiuntamente richiesta, passano in decisione sulla base degli atti depositati.

Il d.l. n. 18/2020, fin qui sommariamente menzionato, è stato sostituito dal d.l. n. 23/2020, il cui art. 36 ha prorogato alla data del 11/05/2020 il periodo di sospensione previsto dall’art. 84 d.l. 18/2020.

L’effetto che discende dalla successione di norme è che dal 16/04/2020 l’attività giudiziaria è ripresa nella sua completezza attraverso le udienze pubbliche e camerali, seppur secondo le modalità fissate dall’art. 84, co.5, d.l. 18/2020.

Sulla base di tale disposizione derogatoria, sino al 30/06/2020 le cause passano in decisione il giorno dell’udienza, pubblica o camerale, sulla base degli scritti, con la possibilità per i difensori di depositare brevi note entro due giorni liberi dall’udienza [1].

Le modifiche al processo amministrativo, operate dal legislatore, se da un lato presidiano l’esigenza di tutelare la salute pubblica attraverso il distanziamento sociale, e garantire la ragionevole durata del processo, dall’altro lato, tuttavia, potrebbero pregiudicare il principio del giusto processo, nella parte in cui non consentono il contraddittorio, in forma orale, delle parti in udienza (art. 2 c.p.a., 101 Cost.).

Acclarati gli effetti del Covid-19 sull’ambito processuale del diritto amministrativo, occorre estendere l’analisi anche agli effetti che le misure di contenimento della pandemia potrebbero esplicare sul piano sostanziale.

Con il trascorrere del tempo, sono sempre più diffuse le richieste di tutela della collettività a fronte dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, emanati dal Governo, e soprattutto dalle Regione, per contenere il contagio da Covid-19.

A titolo esemplificativo, il T.A.R. Campania ha rigettato la richiesta di sospensione dell’efficacia dell’ordinanza della Regione Campania, contenente misure restrittive della libera circolazione, in quanto ha ritenuto di accordare prevalenza alla tutela della salute pubblica[2].

Viceversa, sempre il T.A.R. Campania ha accolta la richiesta di sospensione dell’efficacia del provvedimento di diffida e messa in quarantena, disposto a carico di un soggetto che aveva lasciato la propria abitazione per recarsi a lavoro, ovvero a carico di altro soggetto che si era recato presso l’abitazione di un proprio congiunto per offrire assistenza sanitaria[3].

Ancora, il T.A.R. Calabria ha respinto la richiesta di sospensione cautelare dell’ordine di quarantena obbligatoria con sorveglianza sanitaria e isolamento presso la propria residenza avanzata da un bracciante agricolo che si era allontanato dalla propria abitazione per andare a lavorare nei campi, atteso che nell’attuale fase epidemica, in sede di comparazione degli interessi in conflitto, ha ritenuto di dare prevalenza a quello pubblico inerente la tutela della salute della collettività e della necessità di arginare qualsiasi rischio di contagio[4].

La vicenda del bracciante agricolo è stata posta al vaglio del Consiglio di Stato, che ha evidenziato che per la prima volta dal dopoguerra, si sono definite ed applicate disposizioni fortemente compressive di diritti anche fondamentali della persona - dal libero movimento, al lavoro, alla privacy - in nome di un valore di ancor più primario e generale rango costituzionale, la salute pubblica, e cioè la salute della generalità dei cittadini, messa in pericolo dalla permanenza di comportamenti individuali (pur pienamente riconosciuti in via ordinaria dall’Ordinamento, ma) potenzialmente tali da diffondere il contagio, secondo le evidenze scientifiche e le tragiche statistiche del periodo.

Per queste ragioni, la gravità del danno individuale non può condurre a derogare, limitare, comprimere la primaria esigenza di cautela avanzata nell’interesse della collettività, corrispondente ad un interesse nazionale dell’Italia oggi non superabile in alcun modo.

Le conseguenze dannose per l’appellante non hanno poi il carattere della irreversibilità, giacché nelle disposizioni, statali e regionali, adottate e che verranno adottate a ulteriore completamento e integrazione per fronteggiare il “dopo-pandemia”, ci sono misure di tutela del posto di lavoro (oltre alla cassa integrazione), misure di soccorso emergenziale per esigenze alimentari e di prima necessità (non a caso demandate ai Comuni), tali da mitigare o comunque non rendere irreversibili, anche nel breve periodo, le conseguenze della doverosa stretta applicazione delle norme di restrizione anti-contagio[5].

Sempre in materia di divieto di circolazione, il T.A.R. Calabria ha ritenuto che non deve essere sospesa l’ordinanza che ha disposto la quarantena obbligatoria “con decorrenza immediata” e sino al quattordicesimo giorno dalla commissione dell’illecito amministrativo di circolazione senza giustificato e documentato motivo, alla luce della potenziale esposizione al contagio Covid-19, per mancanza di danno irreparabile, essendo ormai prossima (tre giorni) la cessazione della quarantena[6].

Così come non deve essere sospesa l’ordinanza del Presidente della Giunta regionale della Calabria n. 12 del 20 marzo 2020 nella parte in cui ha imposto – nell’ipotesi di trasgressione dell’obbligo di circolare senza giustificato e documentato motivo, alla luce della potenziale esposizione al contagio – la misura immediata della “quarantena” obbligatoria per il periodo di giorni 14, mancando l’atto applicativo delle disposizioni emanate con portata generale dal Presidente della Giunta[7].

Questo breve excursus giurisprudenziale consente di evidenziare il diffondersi di una esigenza di tutela, invocata da più parti di Italia, a fronte della compressione di taluni diritti costituzionali, in specie quello di libera di circolazione.

Ferma la considerazione che lo Stato Italiano ha ampia autonomia nel bilanciare i diritti costituzionalmente garantiti in relazione al momento storico vigente, occorre soffermarsi sulla legittimità degli atti di restrizione della libera circolazione, e, più in particolare, sulla natura della sanzione della quarantena obbligatoria irrogata per effetto della violazione delle disposizioni restrittive.

Sul punto, ai fine della presente analisi, un ruolo cardine è svolto dall’art. 10 dell’ordinanza n. 12 del 20/03/2020 della Regione Calabria.

Il predetto atto, nel predisporre misure contenitive dell’epidemia, volte ad arrestare l’aumento del contagio, contempla, per chi le violi, la sanzione della quarantena obbligatoria per quattordici giorni presso la propria abitazione.

La ratio sottesa alla sanzione è individuabile nella circostanza di ridurre il pericolo di contagio che, nei giorni correnti, scaturisce dal contatto sociale.

Si tratta di una misura punitiva, con finalità prettamente dissuasiva, volta a prevenire, e nel caso contenere, il rischio di aumento del contagio.

Inoltre, l’applicazione della misura in esame sembra frutto di un automatismo sanzionatorio: l’avverbio “comunque” è indicativo dell’assenza di una preventiva analisi circa la pericolosità del soggetto destinatario, in termini di comprovato contatto dello stesso con soggetti infetti.

La finalità prettamente sanzionatoria della misura in esame impone di interrogarsi sulla sua natura giuridica, in quanto essa soltanto consente di comprendere il rispetto, da parte della sanzione, del paradigma legislativo cui è ontologicamente sottoposta.

In tesi generale[8], le sanzioni amministrative sono volte a reprimere illeciti di tipo amministrativo e hanno dunque una funzione afflittiva e una valenza dissuasiva.

Il potere sanzionatorio risponde al modello di controllo pubblico sull’attività privata: esso si colloca tra gli strumenti di garanzia dell’effettività del potere amministrativo di indirizzo e di direzione.

La potestà di controllo presuppone un rapporto di soggezione tra privato e amministrazione, che legittima il potere sanzionatorio di quest’ultima.

Le sanzioni amministrative, a differenza di quelle penali, non sono riconducibili sotto l’egida dell’art. 25, co.2, Cost.

Nonostante la mancanza di una copertura costituzionale, le sanzioni amministrative non sfuggono al principio di legalità (art. 1, l. n. 689/1981).

La norma sancisce una riserva di legge, assegnando alla fonte normativa primaria il ruolo di unica fonte idonea ad assoggettare i consociati a sanzione amministrativa.

Si tratta di una riserva relativa, che legittima l’apporto integrativo del precetto legislativo da parte di fonti sub legislative (specie regolamentari).

Ciò non toglie, ovviamente, che la legge debba individuare tutti i presupposti essenziali dell’illecito amministrativo, prevedendo la sanzione, individuando l’oggetto della tutela e il tipo di comportamento vietato.

La fonte secondaria può fornire un apporto tecnico di concretizzazione di una fattispecie già individuata dal legislatore in tutto il suo disvalore.

Il principio di legalità può considerarsi soddisfatto quando la legge (o un atto a essa equiparato) si limiti a indicare con sufficiente specificazione e determinatezza i presupposti, i caratteri, il contenuto e i limiti della sanzione.

Entro questi limiti si deve convenire che l’intervento della fonte sub legislativa è spesso in grado di garantire una maggiore certezza, precisando anche nei suoi dettagli tecnici il precetto, garantendone in tal modo un elevato grado di conoscibilità.

Acclarate le coordinate ermeneutiche in tema di sanzioni amministrative, un primo vaglio della misura restrittiva della quarantena obbligatoria conduce a ritenerla illegittima per difetto di base legale.

Partitamente, la misura in esame è prevista da un’ordinanza contingibile e urgente, sulla cui natura giuridica si dibatte; tuttavia, coloro che propendono per l’inquadramento dell’ordinanza tra le fonti normative, la inquadrano come fonte secondaria, alla stregua di un regolamento.

Senza sviscerare il tema della natura giuridica dell’ordinanza, è sufficiente, per l’analisi da condurre, considerare che la fonte secondaria non è idonea a soddisfare il principio di legalità, e il corollario della riserva di legge, anche ritenuto in senso relativo.

Infatti, l’art. 1 della legge 689/1981 richiede che la sanzione sia prevista da una legge, ossia da una fonte di rango primario[9].

La ratio della riserva di legge, nota anche come riserva di parlamento, è quella di riservare l’esercizio del potere legislativo, quindi di indirizzo politico di un Paese, al Parlamento, organo rappresentativo della volontà del popolo.

In assenza di una fonte primaria, che costituisca la base legale della sanzione amministrativa, quest’ultima viola il principio di legalità, e, di conseguenza, pecca di legittimità per contrasto con gli art. 23 Cost., e 1 l. 689/81.

È necessario, a questo punto, ricercare una fonte legale, idonea a legittimare la sanzione di cui si discute.

Occorre avere riguardo al DL. n. 6/2020, abrogato dal successivo DL. n. 19/2020, attualmente in vigore.

In particolare, l’art. 1, co. 2, lett. H), DL. n. 6/2020, prevede l’applicazione della misura della quarantena con sorveglianza attiva agli individui che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva.

La lettera dell’articolo, quindi, subordina l’applicazione della misura restrittiva a una duplice condizione: a) che il trasgressore abbia avuto contatto stretto con un soggetto; b) che tale soggetto sia accertato essere infetto da Covid 19.

La medesima disposizione è prevista dall’art. 1, co. 2, lett. D), DL. 19/2020, che ricalca il disposto normativo del precedente decreto legge.

Il disposto normativo esaminato, quindi, non subordina la sanzione della quarantena obbligatoria alla mera violazione delle disposizioni di legge; viceversa, la fonte primaria subordina a una duplice condizione sospensiva la sua applicabilità.

In considerazione di quanto rappresentato, dunque, si deve concludere per l’illegittimità della misura restrittiva della quarantena obbligatoria prevista nell’ordinanza n. 12/2020 Regione Calabria.

Dalla conclusione rassegnata conseguono due ulteriori considerazioni.

In primo luogo, la diversa struttura lessicale della locuzione linguistica che contempla la misura restrittiva potrebbe essere idonea a mutarne la natura giuridica.

La misura restrittiva prevista dal decreto legge, infatti, sembra atteggiarsi a vero e proprio atto amministrativo, la cui finalità è quella di tutelare l’interesse pubblico in via diretta, determinando un pregiudizio della libertà del privato come mera conseguenza.

La misura, infatti, viene irrogata al verificarsi delle due condizioni sospensive: soltanto in questo caso la salute pubblica sarebbe esposta a pericolo di contagio.

La misura restrittiva prevista dall’ordinanza in commento, viceversa, sembra atteggiarsi a vera e propria sanzione di natura penale: essa persegue, in via principale, una finalità General /special preventiva, in quanto la sua applicazione prescinde da una analisi della pericolosità del contatto sociale, ma è frutto di un mero automatismo sanzionatorio.

Detta misura è applicata come conseguenza della violazione di altre disposizioni restrittive.

La seconda considerazione da rassegnare, invece, ha riguardo alle posizioni giuridiche dei consociati, nate per effetto dell’applicazione di siffatta misura.

Nei confronti di costoro, infatti, oltre alla facoltà processuale di richiedere l’annullamento della misura restrittiva pendente, sorge una obbligazione risarcitoria di natura primaria.

NOTE:

[1]           Nota del Presidente del Consiglio di Stato del 20/04/2020

[2]           Tar Napoli, sez. V, dec., 18 marzo 2020, n. 416 – Pres. Scudeller

[3]           Tar Napoli, sez. V, dec., 20 marzo 2020, n. 433 – Pres. Scudeller

Tar Napoli, sez. V, dec., 21 marzo 2020, n. 436 – Pres. Scudeller

[4]           Tar Catanzaro, sez. I, dec., 28 marzo 2020, n. 165 – Pres. Pennetti

[5]           Cons.St., sez. III, dec., 31 marzo 2020, n. 1611.

Cons.St., sez. III, dec., 30 marzo 2020, n. 1553 – Pres. Frattini

[6]           Tar Catanzaro, sez. I, dec., 18 aprile 2020, n. 221 – Pres. Pennetti

[7]           Tar Catanzaro, sez. I, dec., 15 aprile 2020, n. 219 – Pres. Pennetti

[8]           FRATINI M., Manuale sistematico di diritto amministrativo, 2019/2020, Accademia del diritto, cfr. diffusamente.

[9]           Art. 1, L. n. 689/1981: Nessuno puo' essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione. Le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati.