Giurisprudenza Amministrativa
Il Consiglio di Stato sulla responsabilità precontrattuale della Pubblica amministrazione per danno emergente: il risarcimento è limitato all’interesse negativo e alle spese sostenute.
Di Davide Cerrato
Nota a sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, 30 ottobre 2024, n. 8668
Il Consiglio di Stato sulla responsabilità precontrattuale della Pubblica amministrazione per danno emergente: il risarcimento è limitato all’interesse negativo e alle spese sostenute.
Di Davide Cerrato
Abstract
Il presente contributo dedica attenzione ad una recentissima statuizione del Consiglio di Stato, datata 30 ottobre 2024, in materia di responsabilità precontrattuale della Giunta della Regione Campania per revoca della delibera della procedura di gara relativa alla realizzazione di interventi di completamento e adeguamento dell’impianto di depurazione di Napoli Est e alla relativa gestione.
I giudici di Palazzo Spada hanno fatto leva anche su orientamenti provenienti dalla giurisprudenza di legittimità civile al fine di delineare i confini della risarcibilità del danno emergente e del lucro cessante, per poi riconoscere nel caso di specie la sussistenza del solo danno emergente relativamente alla spesa sostenuta rispetto alla polizza fideiussoria (62100 euro come quantum debeatur del risarcimento nel caso all’esame del giudice amministrativo), con accertamento della sussistenza della responsabilità precontrattuale nei limiti della lesione del diritto ad essere collocati nella medesima posizione in cui ci si sarebbe trovati laddove le contrattazioni non fossero mai iniziate (trattasi dell’interesse negativo).
This contribution pays attention to a very recent ruling of Council of State, dated 30 October 2024, regarding pre-contractual liability of Campania Region Council for revocation of the resolution of the tendering procedure relating to implementation of interventions for the completion and adaptation of the purification plant of Naples East and related management.
The judges of Palazzo Spada also relied on guidelines coming from the civil legitimacy jurisprudence in order to outline the boundaries of the compensation of the emerging damage and the loss of profit, to then recognize in the present case the only existence of the emerging damage in relation to the expense incurred for the insurance surety (62,100 euros as quantum debeatur of the compensation in the case being examined by the administrative judge), with verification of the existence of pre-contractual liability within the limits of the violation of the right to be placed in the same position in which one would have found if negotiations had never started (the so called negative interest).
Responsabilità precontrattuale – Pubblica amministrazione – danno emergente – principio dispositivo – metodo acquisitivo – artt. 1223 e 2697, comma 1, c.c.
Massima
“Tradizionalmente si ritiene che in materia di responsabilità precontrattuale il risarcimento debba essere contenuto nei limiti dell’interesse negativo. Quando […] il contratto non è concluso, il contraente deluso […] acquisisce […] unicamente il diritto ad essere messo nella stessa posizione in cui si sarebbe trovato nel caso in cui non avesse mai iniziato le contrattazioni (cd. interesse negativo). […] sarebbero risarcibili unicamente a titolo di danno emergente le spese fatte, nonché a titolo di lucro cessante la perdita di eventuali altre opportunità di guadagno. […] le spese comprendono i costi sostenuti per lo svolgimento delle trattative […] nonché i costi per la stipulazione del contratto […] nonché ancora i costi effettuati per iniziare l’adempimento o per ricevere la prestazione. […] quando è proposta una domanda risarcitoria, l’assenza di prova non può essere sopperita neppure facendo leva sul metodo acquisitivo, proprio del processo amministrativo impugnatorio, in quanto nell’azione di responsabilità per danni, il principio dispositivo e dell’onere della prova, sancito in generale dall’art. 2697, primo comma, c.c., opera con autonoma pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio invece dell’azione di annullamento […], ragione per la quale le parti non possono sottrarsi all’onere probatorio e rimettere l’accertamento dei propri diritti all’attività del consulente tecnico d’ufficio”.
Il Fatto
T.E. s.p.a. presentava alla Regione Campania – ex art. 37-bis della legge n. 109/1994 - proposta di finanza di progetto per realizzare interventi di completamento ed adeguamento dell’impianto di depurazione di Napoli Est e per la conseguente gestione. La Giunta Regionale nel 2000 dichiarava ammissibile la proposta con apposita deliberazione. Il Presidente della Giunta – Commissario delegato – predisponeva però uno specifico strumento di programmazione con l’ordinanza n. 170/2003, ratificando la deliberazione della Giunta Regionale. Vista la presentazione di una nuova proposta progettuale di adeguamento da parte della società, nonché la successiva approvazione con ordinanza n. 12/2007, il Commissario ha bandito la procedura di gara con ordinanza n. 35/2007. Svolta la gara, gli esiti della procedura sono per la verità stati impugnati dalla società S. (terza in graduatoria) innanzi al T.A.R. Lazio per mancata esclusione delle società collocate al primo e al secondo posto. Il Consiglio di Stato ha però parzialmente riformato la sentenza di primo grado, reputando legittimo lo svolgimento della procedura (sentenza n. 538/2010). Nel 2011 la Giunta Regionale, con apposita delibera (n. 586/2011), ha avviato un procedimento di secondo grado relativo alla delibera del 2000 in esercizio del potere di autotutela, e il Commissario delegato ha disposto la sospensione della procedura (ordinanza n. 71/2011), di cui è stata poi disposta revoca nel 2012 (ordinanza n. 12/2012) per via dell’immediata revoca della delibera del 2000 ad opera della Giunta della Regione Campania con la delibera n. 173/2012. A detta del Commissario delegato, nella corrispondenza avuta con la Regione, è stata più volte rappresentata la necessità dell’assunzione di determinazioni concernenti la procedura indetta. T.E. s.p.a. ha allora proposto ricorso al T.A.R. Campania per richiedere la condanna dell’amministrazione regionale al risarcimento dei danni subiti e, incidentalmente, l’annullamento della delibera della Giunta del 2012 e dell’Ordinanza Commissariale dello stesso anno, nonché la condanna al pagamento dell'indennizzo spettante ex art. 21-quinquies della legge n. 241/1990; il ricorso medesimo è stato peraltro respinto (sentenza n. 1803/2017). Seguiva appello, con successiva sentenza non definitiva del Consiglio di Stato (n. 6441/2023) con cui veniva riconosciuta la responsabilità precontrattuale della Giunta della Regione Campania con l’obbligo di corresponsione, a seguito di opportuno assolvimento dell’onus probandi, del risarcimento del danno da lesione dell’interesse negativo, nella forma del solo danno emergente ex art. 1223 c.c. È stata anche riconosciuta responsabilità precontrattuale in capo al Commissario delegato.
La Decisione
Nella sentenza n. 8668/2024 del 30 ottobre all’esame, il Consiglio di Stato ha soltanto dovuto procedere alla verifica della sussistenza del danno emergente connesso alla lesione dell’interesse negativo cagionata dalla revoca della deliberazione della procedura di gara concernente gli interventi di completamento e adeguamento dell’impianto di depurazione di Napoli Est e relativa gestione. Ciò in quanto nel 2023 i giudici di Palazzo Spada hanno già ritenuto sussistente la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione regionale (Giunta e Commissario delegato), escludendo tra l’altro la risarcibilità del lucro cessante a causa della generica prospettazione, ad opera della T.E. s.p.a., della lesione concretatasi nell’impossibilità di partecipare ad analoghe procedure o di presentare altri project financing.
Nello stesso anno la IV Sezione del Consiglio di Stato ha disposto una verificazione tecnica tesa all’accertamento della sussistenza del danno emergente, e il verificatore avrebbe accertato la mancata adeguatezza della prova del costo della relazione di asseverazione bancaria e dei costi di consulenza, così come un costo per la predisposizione del progetto del Piano Economico Finanziario pari a 900000 euro e un ulteriore costo pari a 62100 euro per il rilascio e il rinnovo delle fideiussioni. La società appellante ha sostenuto di non aver potuto fornire la prova analitica delle spese rivelatesi necessarie per il progetto per via del notevole lasso di tempo intercorso tra il momento in cui le spese medesime sono state effettuate e quello della proposizione del ricorso. Alla data di avvio del contenzioso non sussisteva più neppure l’obbligo decennale di tenuta delle scritture contabili ex art. 2220 c.c. Siccome però l’appellante avrebbe depositato il progetto di adeguamento unitamente a un parere pro veritate sui costi sostenuti (ciò nel giudizio di primo grado), si sarebbe comunque dovuto tener conto, a suo dire, del fatto ch’egli avesse introdotto un principio di prova, senza che la P.A. fornisse alcuna prova contraria. I giudici di Palazzo Spada, facendo leva su un proprio precedente orientamento (Cons. Stato n. 4674/2014) nonché su svariati orientamenti della giurisprudenza di legittimità civile piuttosto risalenti (Cass., 25 gennaio 1988, n. 582; Cass., 26 maggio 1992, n. 6294; Cass., 12 marzo 1993, n. 2973; Cass., 25 febbraio 1994, n. 1897; Cass., 30 agosto 1995, n. 9157; Cass., 10 maggio 1996, n. 4421), ha precisato come nell’ipotesi di mancata conclusione del contratto si debba ritenere limitato il risarcimento al solo profilo dell’interesse negativo: rileverebbe pertanto la lesione del solo diritto ad essere collocati nella medesima posizione che si sarebbe assunta laddove le trattative non fossero mai iniziate. Nessuna rilevanza avrebbe invece il diritto a percepire quel che si sarebbe potuto conseguire nell’ipotesi di adempimento (c.d. interesse positivo). Sarebbero poi risarcibili, in linea generale, le spese sostenute (danno emergente) e la perdita di eventuali opportunità di guadagno ulteriori (lucro cessante), ma nel caso di specie ci si potrebbe interrogare unicamente sulla sussistenza del danno emergente derivante da responsabilità precontrattuale dell’amministrazione regionale, non sussistendo il lucro cessante. Stando ad un recente orientamento degli Ermellini richiamato nella statuizione del 30 ottobre all’esame (Cass. n. 30186/2021), le spese comprendono non solo i costi sostenuti per l’effettuazione delle trattative (viaggi, redazione di progetti), ma pure i costi per la stipulazione del vincolo contrattuale (assistenza legale, tasse, redazione dell’atto pubblico) e quelli sostenuti per iniziare l’adempimento o ricevere la prestazione. A detta dei giudici di Palazzo Spada, nel caso di specie non sarebbe stato opportunamente provato il danno emergente costituito dalle spese sostenute per la redazione del progetto, non trovando tra l’altro alcun supporto sul piano documentale le deduzioni sviluppate dal verificatore rispetto a tale profilo. Non è possibile valorizzare l’introduzione di un principio di prova, costituendo ormai ius receptum (Cons. Stato, nn. 701/2018, 1737/2019, 6240/2021, 10092/2022) il fatto che in presenza di una domanda risarcitoria all’assenza di prova non possa sopperirsi mediante il metodo acquisitivo ex artt. 63 e 64, primo e terzo comma, c.p.a. Il principio dispositivo e dell’onere della prova ex art. 2697, primo comma, c.c. “opera con autonoma pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio invece dell’azione di annullamento” e, conseguentemente, del processo amministrativo di tipo cassatorio-impugnatorio. Dalla verificazione tecnica si legge che “la documentazione presente in atti non ha consentito di esperire alcuna verifica amministrativa-contabile atta a dimostrare l’effettivo sostenimento dei costi […] pari ad euro 900000”. Ciò vale pure con riferimento ai costi sostenuti per la relazione di asseverazione bancaria, ai costi di consulenza e alle spese di trasferta, non rinvenendosi in atti alcuna documentazione che ne attesti analiticamente il sostenimento e la riferibilità al progetto. Sono invece evincibili dalla documentazione in atti i costi sostenuti per il rilascio e il rinnovo delle fideiussioni, pari a 62100 euro. Essi vengono liquidati dal Consiglio di Stato a titolo risarcitorio unitamente a rivalutazione monetaria, interessi compensativi – calcolati sulla somma periodicamente rivalutata – e interessi legali sulla somma complessiva dalla data di pubblicazione della decisione fino al soddisfo.
Conclusioni e brevi riflessioni
La statuizione all’esame è di particolare interesse per i suoi profili di trasversalità, fungendo quasi da vaso comunicante tra diritto civile e amministrativo nel contesto di un rapporto tra parte pubblica e privata che “oltrepassa la siepe” della mera soggezione del privato cittadino alla Pubblica amministrazione e all’esercizio del potere amministrativo. Pur rimanendo l’Amministrazione medesima titolare di un potere autoritativo che continua ad estrinsecarsi nell’emanazione di provvedimenti amministrativi unilaterali, imperativi, esecutivi ed esecutori, istituti come la S.C.I.A. (art. 19, legge n. 241/1990), gli accordi tra P.A. e privati (art. 11, legge n. 241/1990) e l’accesso civico semplice e generalizzato (artt. 5 e 5-bis, d.lgs. n. 33/2013) hanno determinato nel tempo l’evoluzione e la trasformazione del rapporto amministrativo nel senso della trasparenza dell’agere publicum, della liberalizzazione delle attività e della possibile definizione del loro svolgimento mediante contrattazione bilaterale. Le medesime garanzie di partecipazione procedimentale del cittadino all’iter finalizzato all’emanazione dell’atto provvedimentale conclusivo sono poste a tutela di un contraddittorio che consente non semplicemente una migliore operazione di individuazione, comparazione e ponderazione degli interessi, ma pure l’attivo coinvolgimento del privato rispetto a vicende che possano rivelarsi per lui lesive (si pensi all’emanazione di un provvedimento di espropriazione per pubblica utilità) o produttive di vantaggi (ne è tipico esempio il provvedimento autorizzatorio). Queste considerazioni di tipo sostanziale trovano riscontro anche sul fronte processual-amministrativistico, essendo la vicenda processuale non più finalizzata alla mera verifica della legittimità dell’operato delle Pubbliche amministrazioni, ma alla vera e propria tutela di situazioni giuridiche soggettive di diritto soggettivo e di interesse legittimo. Ciò grazie all’entrata in vigore della Carta costituzionale in primis e del d.lgs. n. 104/2010 in secundis.
La pronuncia fatta oggetto di attenta disamina si pone tra l’altro nell’ottica della tutela del legittimo affidamento riposto dal privato nel corretto svolgimento della procedura di gara e nella altrettanto corretta effettuazione delle operazioni utili alla predisposizione della graduatoria.
Rammentando che l’affidamento del privato cittadino è pregno di legittimità se notevole è l’arco temporale che intercorre tra l’emanazione di un provvedimento favorevole e il momento in cui l’amministrazione intende ritornare sui propri passi in via di autotutela, avviando un procedimento di secondo grado, se il provvedimento amministrativo è favorevole e consente al privato stesso di acquisire la titolarità di una posizione di vantaggio e se sussiste la buona fede estrinsecantesi nella legittima convinzione riposta nella stabilità provvedimentale (e nella certezza del rapporto che ne scaturisce), ne risulta doverosa la tutela in presenza dei presupposti indicati nel caso concreto.
Ciò soprattutto in ragione del fatto che questo tipo di tutela assurge al rango di vero e proprio principio generale del diritto euro-unitario elaborato dalla Corte di Lussemburgo e del fatto ulteriore che l’art. 1, primo comma della legge n. 241/1990, oltre a prevedere che l’attività delle Pubbliche amministrazioni debba perseguire i fini indicati dalla legge, ne richiede anche la conformità ai principi del diritto europeo, essendo l’agere publicum retto dai medesimi.
In presenza dei citati presupposti, l’affidamento del privato cittadino assume il connotato della legittimità proprio in ragione del graduale venir meno della mera soggezione al potere amministrativo, il quale quindi, potrebbe dirsi, non necessita più soltanto di un’attribuzione legislativa per essere correttamente esercitato e riesercitato, ma pure della valutazione del grado
di stabilità del rapporto sorto successivamente e conseguentemente all’emanazione dell’atto provvedimentale finale. Se il cittadino ha ragione di riporre affidamento in una situazione di vantaggio ormai consolidata anche in ragione del notevole decorso del tempo, il travolgimento operato a seguito dello svolgersi di un procedimento di secondo grado non appare affatto improntato a ragionevolezza, in quanto lesivo della buona fede. Quest’ultima, del resto, deve necessariamente orientare anche il comportamento delle parti nello svolgimento delle trattative ex art. 1337 c.c., disposizione che trova indubbiamente applicazione al caso di specie in quanto ben si attaglia anche alla tutela del legittimo affidamento nelle posizioni vantaggiose consolidate, generando la sua violazione una forma di responsabilità precontrattuale che prescinde dalla natura del soggetto inadempiente.
La recentissima statuizione dei giudici di Palazzo Spada è infine condivisibile nella misura in cui valorizza la significatività del principio dispositivo e dell’onus probandi ex art. 2697, primo comma, c.c. in relazione alla probatio del danno emergente in presenza di una domanda attorea di tipo risarcitorio. Non è infatti possibile con riferimento a tale ipotesi specifica accontentarsi della mera introduzione di un principio di prova, essendo quest’ultima legata al tradizionale giudizio di legittimità dell’atto amministrativo e all’idea per cui la prova sia normalmente nella disponibilità della parte pubblica. L’azione risarcitoria di cui all’art. 30, secondo e terzo comma, c.p.a., che storicamente deve la sua introduzione nel processo amministrativo proprio alla progressiva trasformazione della giurisdizione del g.a. da oggettiva a soggettiva, richiede la plena probatio del danno per il cui risarcimento si agisce in sede giudiziale, trovando applicazione la disciplina civilistica.
BIBLIOGRAFIA
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Cass. Civ., 26 maggio 1992, n. 6294
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