Giurisprudenza Amministrativa
Il Consiglio di Stato si esprime sull’applicabilità della Direttiva Bolkestein alle concessioni di ‘posteggi a rotazione’ per l’esercizio del commercio su aree pubbliche
Di Giovanni Rea
NOTA A CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V, 19 NOVEMBRE 2024, n. 9266
Il Consiglio di Stato si esprime sull’applicabilità della Direttiva Bolkestein alle concessioni di ‘posteggi a rotazione’ per l’esercizio del commercio su aree pubbliche
Di Giovanni Rea
Abstract
Il presente elaborato analizza la sentenza del Consiglio di Stato n. 9266 del 19/11/2024, con la quale i giudici di Palazzo Spada si sono espressi sull’appello proposto da alcuni concessionari di posteggi a rotazione nel territorio di Roma avverso la sentenza del T.A.R. Lazio, che aveva ritenuto legittimo l’annullamento della determinazione dirigenziale del 30 dicembre 2020, di avvio della procedura per il rinnovo delle concessione di ‘posteggi a rotazione’ per l’esercizio del commercio su aree pubbliche, aventi la scadenza del 31 dicembre 2020; ebbene, il Consiglio di Stato ha chiarito che la Direttiva Bolkestein si applica a tutte le concessioni strumentali all’esercizio di attività commerciali su aree pubbliche, ivi comprese quelle di “posteggi a rotazione”.
This paper analyzes the decision no. 9266/2024 of the Council of State, with which the judges of Palazzo Spada have clarified that the Bolkestein Directive applies to all concessions aimed to the exercise of commercial activities on public areas, including those of "rotational parking".
Massima
“Le attività di commercio su aree pubbliche, in analogia con il demanio marittimo, esibiscono il connotato dalla scarsità, la quale, ai sensi dell’art. 12 della Direttiva Bolkestein, giustifica la selezione ‘per il mercato’, in cui l’accesso al settore economico avviene mediante procedure ad evidenza pubblica. Non persuadono sul punto le deduzioni con cui pongono in rilievo le asserite differenze che connoterebbero il settore turistico – ricreativo esercitato sul demanio marittimo rispetto al commercio su aree comunali. In entrambi i casi, l’attività economica è consentita solo attraverso l’utilizzo del bene pubblico, il quale, pertanto, sulla base della sua naturale limitatezza, giustifica la selezione degli operatori economici mediante criteri obiettivi e trasparenti, propri dell’evidenza pubblica. Tale elemento è ancora più evidente nel caso di specie in cui oggetto del giudizio sono le aree pubbliche da destinare al commercio di Roma capitale, per le quali è dato notorio che il numero delle concessioni sia limitato per via della scarsità del suolo pubblico di Roma da destinare a tali attività, ed altrettanto notoria è l’appetibilità commerciale rivestita dalle aree pubbliche a ciò destinate”.
Sommario: 1. I fatti di causa e la sentenza del T.A.R. Lazio n. 5441/2022– 2. Le censure proposte alla sentenza di prime cure – 3. La posizione del Consiglio di Stato: sentenza n. 9266/2024
- I fatti di causa e la sentenza del T.A.R. Lazio n. 5441/2022
Il caso nasceva dal ricorso proposto al TAR Lazio da P.V., S.G., S.M., V.P., P. F. e da Uiltucs Roma Lazio, concessionari di posteggi a rotazione nel territorio di Roma Capitale, i quali chiedevano l’annullamento della determinazione dirigenziale del 22 febbraio 2021 - con la quale l’Amministrazione aveva annullato la precedente determinazione dirigenziale del 30 dicembre 2020, di avvio della procedura per il rinnovo delle concessione di ‘posteggi a rotazione’ per l’esercizio del commercio su aree pubbliche, aventi la scadenza del 31 dicembre 2020 – e il parere reso in materia dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato del 15 febbraio 2021.
In particolare, i ricorrenti deducevano che:
1) gli atti impugnati atti impugnati fossero in contrasto con gli artt. 25, 101 e 113 della Costituzione e con gli articoli 21-octies e 21-nonies della legge n. 241 del 1990, nonché che gli stessi fossero viziati da eccesso di potere, in quanto l’Amministrazione – contrariamente a quanto rilevato dall’Antitrust - aveva erroneamente disapplicato la norma interna contrastante con quella comunitaria, laddove invece la disapplicazione è prerogativa esclusiva dell’autorità giurisdizionale (e sempre con effetti limitati alla singola causa);
2) il settore del commercio su aree pubbliche non rientrasse nell’ambito applicativo della Direttiva Bolkestein del 2006, recepita dall’Italia con il d.lgs. n. 59/2010, in quanto la legge di bilancio 2019 (legge 30 dicembre 2018 2018, n. 145, art. 1, comma 686)[1], abrogando l’art. 70 del suddetto decreto legislativo – che aveva demandato ad una intesa in sede di Conferenza unificata l’individuazione dei criteri per il rilascio e il rinnovo della concessione dei posteggi per l’esercizio del commercio al dettaglio su aree pubbliche -, ha escluso espressamente quest’ultimo dal campo di applicazione della Direttiva Bolkestein;
3) non sussistessero, nel caso di specie, i presupposti per l’annullamento d’ufficio, ai sensi dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990, in quanto nessun giudice europeo aveva accertato con efficacia di giudicato la contrarietà al diritto europeo del d.l. n. 34 del 2020.
Con la sentenza n. 5441 del 2022, il T.A.R. Lazio respingeva il ricorso, concludendo che: «la correttezza della impostazione di Roma Capitale (per la quale l’Amministrazione ben può disapplicare una legge contrastante con il diritto europeo) risulta corroborata proprio dalle sentenze gemelle nn. 17 e 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria, le quali hanno chiarito, ben oltre il perimetro della singola fattispecie trattata, che le disposizioni sul rinnovo automatico (in quel caso, delle concessioni marittime con finalità turistico – ricreative) contrastano con l’art. 49 del TFUE e con l’art. 12 della direttiva n. 123 del 2006»[2].
- Le censure proposte alla sentenza di prime cure
P.V., S.G., S.M., V.P., P. F. proponevano ricorso avverso la suddetta pronuncia, sollevando le seguenti censure:
1) erroneità e omessa pronuncia: assenza e carenza assoluta di potere ed attribuzione; violazione dell’art. 117, II comma, lett. e) della Costituzione; eccesso di potere per arbitrarietà, illogicità, travisamento dei presupposti di fatto e diritto; violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione, di legalità, tassatività e proporzionalità;
2) erroneità e omessa pronuncia: violazione degli artt. 7 e ss. l. 241/1990;
3) erroneità e omessa pronuncia: violazione e falsa applicazione dell’art. 21-nonies e dell’art. 21-octies della L. 241/1990; violazione del principio del legittimo affidamento; carenza di interesse all’annullamento in autotutela; eccesso di potere;
4) erroneità ed omessa pronuncia: violazione e falsa applicazione della Direttiva Bolkestein, direttiva n. 2006/123/CE; violazione e falsa applicazione dell’art. 249 del Trattato UE; violazione dell’art. 1 del d.l. 1/12; eccesso di potere per difetto di istruttoria, difetto di motivazione, travisamento dei presupposti fattuali e di diritto, arbitrarietà, contraddittorietà, violazione del principio di tassatività e proporzionalità; carenza di interesse all’annullamento;
5) erroneità ed omessa pronuncia: illegittimità della memoria di Giunta Capitolina n. 24/2021 in via propria e derivata per i medesimi motivi subb 1-4 nonché per assenza e carenza assoluta di potere ed attribuzione; violazione dell’art. 117, II comma, lett. e) della Costituzione; eccesso di potere per arbitrarietà, illogicità, travisamento dei presupposti in fatto e diritto; violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione, di legalità, tassatività e proporzionalità, disparità di trattamento.
In particolare, gli appellanti contestavano l’iter logico-giuridico seguito dal T.A.R. Lazio nella motivazione della sentenza impugnata, asserendo che nel caso di specie la Direttiva Bolkestein non fosse autoesecutiva, ma, al contrario, necessitasse di una puntuale regolamentazione da parte del legislatore nazionale; di conseguenza, essi evidenziavano che la disapplicazione della normativa nazionale non determinasse automaticamente l’applicazione della Direttiva suddetta, non essendo quest’ultima sufficientemente analitica e precisa. Inoltre, essi chiedevano la rimessione all’Adunanza Plenaria della questione relativa alla non applicabilità della Direttiva Bolkenstein alla materia delle concessioni di posteggi a rotazione.
- La posizione del Consiglio di Stato: sentenza n. 9266/2024
Al contrario, nella pronuncia in esame il Consiglio di Stato ha respinto la richiesta di rimessione alla Plenaria, affermando la legittimità della decisione di Roma Capitale di disapplicare la normativa nazionale – nello specifico, l’art. 1, comma 686, della legge di bilancio 2019-, in virtù dell’applicazione, nel nostro ordinamento, della normativa comunitaria (che, come noto, nella gerarchia delle fonti si colloca in posizione sovraordinata rispetto alla normativa statale); infatti, la Direttiva Bolkenstein si applica a tutti i: «servizi forniti da prestatori stabiliti in uno Stato membro» (art. 1. Par. 2), fatta eccezione per i servizi tassativi di cui al paragrafo 2 della suddetta disposizione, tra cui non rientrano le concessioni di posteggi a rotazione[3]. Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dagli appellanti, gli Stati membri non hanno alcun margine di discrezionalità nel prevedere ulteriori ipotesi di esclusione dall’ambito di applicazione della Direttiva, e ogni questione sulle modalità di applicazione delle disposizioni della stessa si pone logicamente dopo la corretta definizione del suo ambito di applicazione[4].
Inoltre, i giudici di Palazzo Spada hanno rilevato l’infondatezza della tesi secondo la quale la Direttiva Bolkenstein non potrebbe considerarsi self – executing, in quanto non sufficientemente dettagliata e specifica; infatti, il grado di specificità che una direttiva deve possedere per essere considerata self-executing dipende dal risultato che essa persegue e dal tipo di prescrizione necessario per raggiungere tale risultato, e, dall’analisi dell’art. 12, emerge che la Direttiva Bolkenstein, come precisato anche dalla Corte di Giustizia UE, è da ritenersi autoesecutiva, in quanto caratterizzata: «da un livello di dettaglio sufficiente a determinare la non applicazione della disciplina nazionale e di imporre, di conseguenza, una gara rispettosa dei principi di trasparenza, pubblicità, imparzialità, non discriminazione, mutuo riconoscimento e proporzionalità».
Nell’affermare l’applicabilità della Direttiva Bolkenstein anche agli spazi commerciali, il Consiglio di Stato ha richiamato un suo precedente, nel quale aveva statuito che: «le attività di commercio su aree pubbliche, contrariamente a quanto dedotto negli appelli, in analogia con il demanio marittimo, esibiscono il connotato dalla scarsità la quale ai sensi del più volte richiamato art. 12 della direttiva servizi giustifica la selezione ‘per il mercato’, in cui l’accesso al settore economico avvenga mediante procedure ad evidenza pubblica. Non persuadono sul punto le deduzioni con cui pongono in rilievo le asserite differenze che connoterebbero il settore turistico – ricreativo esercitato sul demanio marittimo rispetto al commercio su aree comunali. In entrambi i casi l’attività economica è consentita solo attraverso l’utilizzo del bene pubblico, il quale, pertanto, sulla base della sua naturale limitatezza, giustifica la selezione degli operatori economici mediante criteri obiettivi e trasparenti, propri dell’evidenza pubblica. Tale elemento è ancora più evidente nel caso di specie in cui oggetto del giudizio sono le aree pubbliche da destinare al commercio di Roma capitale, per le quali è dato notorio che il numero delle concessioni sia limitato per via della scarsità del suolo pubblico di Roma da destinare a tali attività, ed altrettanto notoria è l’appetibilità commerciale rivestita dalle aree pubbliche a ciò destinate» (Cons. Stato, n. 9104 del 2023).
Infine, il Consiglio di Stato ha ritenuto infondata la doglianza derivante dalla asserita ‘invasione’ da parte dell’Amministrazione capitolina della sfera di attribuzione riservata al legislatore, in quanto Roma Capitale aveva espresso valutazioni discrezionali di sua esclusiva competenza in ordine alle modalità di espletamento delle gare, ed aveva indicato, sulla base del quadro normativo di riferimento, come interpretato dalla giurisprudenza di settore, il percorso interpretativo da eseguire in conformità con il Diritto UE; d’altronde, nella stessa direzione si è mosso anche il legislatore nazionale, che, provvedendo al riordino del settore con la legge 30.12.2023, n. 214, ha stabilito che le concessioni di posteggio per l’esercizio del commercio su aree pubbliche sono rilasciate, per una durata di dieci anni, sulla base di procedure selettive, nel rispetto dei principi di imparzialità, non discriminazione, parità di trattamento, trasparenza e pubblicità.
Sulla base di tali argomentazioni, il Consiglio di Stato ha rigettato l’appello, confermando la sentenza di primo grado.
[1] La norma recita testualmente: «Al fine di promuovere e garantire gli obiettivi di politica sociale connessi alla tutela dell'occupazione, al decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, sono apportate le seguenti modificazioni:
- a) all'articolo 7, comma 1, dopo la lettera f) è aggiunta la seguente: «f-bis) alle attività del commercio al dettaglio sulle aree pubbliche»;
- b) all'articolo 16, dopo il comma 4 è aggiunto il seguente: «4-bis. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al commercio su aree pubbliche di cui all'articolo 27 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 »;
- c) l'articolo 70 è abrogato».
[2] In particolare, con le sentenze nn. 17 e 18 l’Adunanza Plenaria ha dichiarato l’illegittimità delle proroghe automatiche e la cessazione delle concessioni marittime illegittimamente prorogate al 31 dicembre 2023, con l’obbligo, per le amministrazioni, di indire procedure selettive per il loro affidamento.
[3] Ai sensi del paragrafo 2, sono esclusi dall’applicazione della Direttiva Bolkenstein:
[4] La suddetta conclusione è perfettamente in linea con quanto affermato dalla Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una normativa regionale che escludeva il settore del commercio su aree pubbliche dall’ambito di applicazione dell’art. 16 del d.lgs. n. 59/2010 e, quindi, della Direttiva Servizi (Corte cost. n. 291/2012, che ha fondato la declaratoria di incostituzionalità in primo luogo sulla violazione del primo comma dell’art. 117 della Costituzione, in relazione alla menzionata direttiva, per inosservanza dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario in materia di accesso ed esercizio dell’attività dei servizi).