Giurisprudenza Amministrativa
Calcolo della quota di partecipazione del privato al costo delle prestazioni socio-sanitarie e sociali.
Di Valentina Cappannella
NOTA A CONSIGLIO DI STATO – SEZIONE TERZA,
SENTENZA 25 marzo 2021, n. 2520
Calcolo della quota di partecipazione del privato
al costo delle prestazioni socio-sanitarie e sociali
Di VALENTINA CAPPANNELLA
Con la pronuncia oggetto di nota il Consiglio di Stato torna ad affrontare il tema relativo ai criteri da utilizzare per il calcolo della quota di compartecipazione del privato ai fini del pagamento delle rette socio-sanitarie e sociali, collocandosi nel solco dell’orientamento maturato negli ultimi anni.
L’esame della questione giuridica richiede un breve inquadramento del caso concreto sottoposto all’attenzione dei Giudici di Palazzo Spada.
Fattispecie concreta
Nel caso in esame è stata impugnata una nota comunale con la quale, tra l’altro, è stata calcolata la quota di partecipazione ad una retta di ricovero di una persona residente nel territorio comunale.
In primo grado, il TAR ha accolto le censure relative al calcolo della quota di partecipazione, ritenuto, tra l’altro, illegittimo perché in contrasto con le disposizioni del d.p.c.m. n. 159 del 2013, nonché dell’art. 2 sexies del D.L. n. 42/2016, nella parte in cui stabiliscono che la compartecipazione del privato al costo delle prestazioni sociosanitarie e sociali è stabilita sulla sola base dell’ISEE, esclusi i proventi assistenziali, previdenziali e indennitari, non rilevanti ai fini del medesimo indicatore della situazione economica equivalente.
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La piena comprensione della questione richiede di effettuare un esame del quadro normativo vigente in materia.
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Quadro normativo
- La legge 8 novembre 2000, n. 328 (Legge Quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali), in base al combinato disposto degli artt. 18, commi 1 e 3, lett. g), e 8, comma 3, lett. l), riserva al Governo il compito di predisporre un piano nazionale dei servizi sociali in cui indicare i criteri generali per la disciplina del concorso al costo dei servizi sociali da parte degli utenti, tenuto conto dei principi stabiliti per l'ISEE, precisando che spetta alle Regioni la definizione dei criteri per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni, sulla base dei criteri determinati dal Piano Nazionale Servizi.
- Con D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 5, è stato attribuito ad un successivo D.P.C.M. il compito di rivedere “le modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) al fine di: adottare una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale, e che tenga conto delle quote di patrimonio e di reddito dei diversi componenti della famiglia nonché dei pesi dei carichi familiari, in particolare dei figli successivi al secondo e di persone disabili a carico; migliorare la capacità selettiva dell'indicatore, valorizzando in misura maggiore la componente patrimoniale sita sia in Italia sia all'estero, al netto del debito residuo per l'acquisto della stessa e tenuto conto delle imposte relative; permettere una differenziazione dell'indicatore per le diverse tipologie di prestazioni”.
- A tale previsione ha fatto seguito il D.P.C.M. 5 dicembre 2013, n. 159, ai sensi del quale “L'ISEE è lo strumento di valutazione, attraverso criteri unificati, della situazione economica di coloro che richiedono prestazioni sociali agevolate. La determinazione e l'applicazione dell'indicatore ai fini dell'accesso alle prestazioni sociali agevolate, nonché della definizione del livello di compartecipazione al costo delle medesime, costituisce livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, fatte salve le competenze regionali in materia di normazione, programmazione e gestione delle politiche sociali e socio-sanitarie e ferme restando le prerogative dei comuni. In relazione a tipologie di prestazioni che per la loro natura lo rendano necessario e ove non diversamente disciplinato in sede di definizione dei livelli essenziali relativi alle medesime tipologie di prestazioni, gli enti erogatori possono prevedere, accanto all'ISEE, criteri ulteriori di selezione volti ad identificare specifiche platee di beneficiari, tenuto conto delle disposizioni regionali in materia e delle attribuzioni regionali specificamente dettate in tema di servizi sociali e socio-sanitari. È comunque fatta salva la valutazione della condizione economica complessiva del nucleo familiare attraverso l'ISEE” (v. art. 2, comma 1).
La nozione di “prestazioni sociali agevolate” è fornita dal medesimo D.P.C.M. all’art. 1, lettera e), il quale chiarisce che con tale espressione si intende “prestazioni sociali non destinate alla generalità dei soggetti, ma limitate a coloro in possesso di particolari requisiti di natura economica, ovvero prestazioni sociali non limitate dal possesso di tali requisiti, ma comunque collegate nella misura o nel costo a determinate situazioni economiche, fermo restando il diritto ad usufruire delle prestazioni e dei servizi assicurati a tutti dalla Costituzione e dalle altre disposizioni vigenti”. La successiva lettera f), poi, specifica che per “prestazioni agevolate di natura sociosanitaria” si intendono prestazioni sociali agevolate assicurate nell'ambito di percorsi assistenziali integrati di natura sociosanitaria rivolte a persone con disabilità e limitazioni dell'autonomia, ovvero interventi in favore di tali soggetti:
1) di sostegno e di aiuto domestico familiare finalizzati a favorire l'autonomia e la permanenza nel proprio domicilio;
2) di ospitalità alberghiera presso strutture residenziali e semiresidenziali, incluse le prestazioni strumentali ed accessorie alla loro fruizione, rivolte a persone non assistibili a domicilio;
3) atti a favorire l'inserimento sociale, inclusi gli interventi di natura economica o di buoni spendibili per l'acquisto di servizi”.
- In seguito, il Consiglio di Stato ha confermato le decisioni di primo grado con cui sono state annullate le norme del D.P.C.M. n. 159/2013 nella parte in cui computavano, nella definizione di reddito imponibile, anche voci aventi natura indennitaria o compensativa, erogate al fine di attenuare una situazione di svantaggio (indennità di accompagnamento o misure risarcitorie per inabilità che prescindono dal reddito).
Si tratta, in particolare, delle sentenze n. 838,841 e 842 del 2016, nelle quali è stata affrontata la questione relativa alla ratio dell’indennità di accompagnamento e al suo il rapporto con l’ISEE. In tale occasione è stato escluso che l’indennità di accompagnamento possa essere valutata come un reddito, in quanto essa “unitamente alle altre forme risarcitorie servono non a remunerare alcunché, né certo all’accumulo del patrimonio personale, bensì a compensare un’oggettiva ed ontologica (…) situazione d’inabilità che provoca in sé e per sé disagi e diminuzione di capacità reddituale. Tali indennità o il risarcimento sono accordati a chi si trova già così com’è in uno svantaggio (….) non determinano infatti una migliore situazione economica del disabile rispetto al non disabile, al più mirando a colmare tale situazione di svantaggio subita da chi richiede la prestazione assistenziale”.
- A fronte delle suddette statuizioni è intervenuto il legislatore, con l’art. 2 sexies del D.L. 29 marzo 2016, n. 42, il quale ha stabilito che “Nelle more dell'adozione delle modifiche al regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, volte a recepire le sentenze del Consiglio di Stato, sezione IV, nn. 00841, 00842 e 00838 del 2016, nel calcolo dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) del nucleo familiare che ha tra i suoi componenti persone con disabilità o non autosufficienti, come definite dall'allegato 3 al citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013, anche ai fini del riconoscimento di prestazioni scolastiche agevolate, sono apportate le seguenti modificazioni:
- a) sono esclusi dal reddito disponibile di cui all'articolo 5 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, i trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, comprese le carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche in ragione della condizione di disabilità, laddove non rientranti nel reddito complessivo ai fini dell'IRPEF;
- b) in luogo di quanto previsto dall'articolo 4, comma 4, lettere b), c) e d), del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013, è applicata la maggiorazione dello 0,5 al parametro della scala di equivalenza di cui all'allegato 1 del predetto decreto n. 159 del 2013 per ogni componente con disabilità media, grave o non autosufficiente” (comma 1).
Tale novella, in pratica, ha riformato il citato D.P.C.M. 159/2013, escludendo dal reddito disponibile di cui all’art. 5 del citato D.L. n. 201/2011 i trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, comprese le carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche in ragione della condizione di disabilità, laddove non rientranti nel reddito complessivo ai fini dell’IRPEF. La medesima riforma, poi, ha imposto di effettuare il suddetto intervento entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, con l’adozione di atti normativi necessari all’erogazione delle nuove prestazioni in conformità con le disposizioni della nuova disciplina. La norma in esame prosegue, al comma 3, prevedendo che ”Gli enti che disciplinano l'erogazione delle prestazioni sociali agevolate adottano entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto gli atti anche normativi necessari all'erogazione delle nuove prestazioni in conformità con le disposizioni del presente articolo, nel rispetto degli equilibri di bilancio programmati. Restano salve, fino a tale data, le prestazioni sociali agevolate in corso di erogazione sulla base delle disposizioni previgenti”.
Panorama giurisprudenziale
In linea con la suddetta previsione normativa che individua nell’ISEE lo strumento di valutazione della situazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate, il Consiglio di Stato ha in più occasioni affermato che “l’ISEE resta, dunque, l’indefettibile strumento di calcolo della capacità contributiva dei privati e deve scandire le condizioni e la proporzione di accesso alle prestazioni agevolate, non essendo consentita la pretesa del Comune di creare criteri avulsi dall’ISEE con valenza derogatoria ovvero finanche sostitutiva”; conseguentemente, viene evidenziato “come non sia possibile accreditare in subiecta materia spazi di autonomia regolamentare in capo ai Comuni in distonia con i vincoli rinvenienti dalla sopra richiamata cornice normativa di riferimento al punto da consentire (...) la introduzione di criteri ulteriori e derogatori rispetto a quelli che il legislatore riserva, dopo aver accordato preferenza all’indicatore ISEE, in prima battuta, allo Stato e, in via integrativa, alla Regione” (v. Cons. Stato, Sez. III, 13 novembre 2018 n. 6371; nello stesso: id., 27 novembre 2018 n. 6708).
Più di recente, in linea con le suddette statuizioni, è stato affermato che “l’art. 2, comma 1, DPCM n. 159/2013, seppure ammette che possano essere introdotti altri criteri di selezione volti ad identificare specifiche platee di beneficiari, tenuto conto delle disposizioni regionali in materia, tuttavia, categoricamente, fa salva la valutazione della condizione economica complessiva del nucleo familiare attraverso l’ISEE, con ciò escludendo che possano essere utilizzati altri parametri di valutazione della condizione economica del richiedente quali criteri selettivi” (v. Consiglio di Stato, Sez. III, 10 dicembre 2020, n. 7850; nello stesso senso: id., 11 novembre 2020, n. 6926).
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I suddetti principi hanno avuto recente conferma nella sentenza del Consiglio di Stato, Sez. III, n. 316 dell’11 gennaio 2021, la quale, ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale sopra esaminato, ha ribadito, tra l’altro, che “la compartecipazione dell’assistito va calcolata unicamente in base all’ISEE (che valorizza sia redditi che patrimonio) senza che i Comuni possano disciplinare la materia in modo derogatorio prevedendo criteri differenti ed escludendo ogni contribuzione in presenza di beni immobili”.
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Venendo alla sentenza in commento, essa esamina, nel merito, la questione relativa all’utilizzabilità dei proventi assistenziali, previdenziali e indennitari (tra cui la pensione di invalidità e l’indennità di accompagnamento) al fine di determinare la capacità economica della persona bisognosa.
Secondo la tesi dell’Amministrazione, una cosa è la “non computabilità” delle indennità suddette ai fini dell’ISEE, altra cosa è l’assoluta non utilizzabilità in contesti di assistenza residenziale. In altre parole, per quanto attiene i servizi a carattere residenziale, il Comune sostiene che l’utilizzo dell’importo riconosciuto a titolo di indennità di accompagnamento “appare del tutto coerente con la ratio dell’erogazione, che è proprio quella di far fronte alle esigenze di aiuto alla deambulazione e di assistenza continua delle persone con invalidità, non certo quella di determinare una <migliore> situazione economica del disabile rispetto al non disabile. Dunque, escluderne l’impiego ai fini del pagamento della retta vorrebbe dire determinare un ingiustificato arricchimento del soggetto interessato (o dei suoi familiari) e deprivare la percezione dell’indennità della sua specifica funzione” (v. punto 2.1, pag. 5 della sentenza in esame).
Il Consiglio di Stato ritiene di non poter condividere simile argomentazione, ribadendo che “l’ISEE costituisce <l’indefettibile strumento di calcolo della capacità contributiva dei privati e deve scandire le condizioni e la proporzione di accesso alle prestazioni agevolate, non essendo consentita la pretesa del Comune di creare criteri avulsi dall’ISEE con valenza derogatoria ovvero finanche sostitutiva>; sicché non è in alcun modo possibile <accreditare in subiecta materia spazi di autonomia regolamentare in capo ai Comuni in distonia con i vincoli rinvenienti dalla sopra richiamata cornice normativa di riferimento al punto da consentire (…) la introduzione di criteri ulteriori e derogatori rispetto a quelli che il legislatore riserva , dopo aver accordato preferenza all’indicatore ISEE, in prima battuta, allo Stato e, in via integrativa, alla Regione>” (v. punto 2.3, pag. 6, della sentenza in esame).
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Ne risulta, pertanto, confermato l’orientamento costante, sopra esaminato, secondo il quale l’ISEE rappresenta un “indefettibile” strumento di calcolo della capacità contributiva dei privati che richiedono prestazioni sociali agevolate, con conseguente impossibilità dei Comuni di introdurre criteri avulsi dall’ISEE con valenza derogatoria ovvero sostitutiva.