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Anno XVI - n. 03 - Marzo 2024

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COMMISSARIO AD ACTA: natura giuridica e poteri.

Di Alessandro Sorpresa
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COMMISSARIO AD ACTA: natura giuridica e poteri

 

Di Alessandro Sorpresa

 

 

Abstract

Il presente scritto si prefigge il compito di approfondire la natura giuridica ed i poteri del commissario ad acta alla luce dei recenti interventi della giurisprudenza amministrativa. Pur in presenza della nomina e dell’insediamento di un commissario ad acta, l’Amministrazione, risultata soccombente in sede giurisdizionale, non perde però il proprio potere di provvedere, fino a quando lo stesso non abbia provveduto. Gli atti adottati dal commissario ad acta dopo che l’Amministrazione abbia già provveduto a dare attuazione alla decisione, ovvero quelli che l’Amministrazione abbia adottato dopo che il commissario ad acta abbia provveduto, sono da considerare inefficaci”.

 

The purpose of this paper is to explore the legal nature and powers of the commissioner ad acta according to the recent Administrative Courts judgments.

The purpose of this paper is to examine the legal nature and powers of the commissioner ad acta according to recent interventions by administrative jurisprudence. Even after the appointment of a commissioner ad acta, the Administration, which has been unsuccessful in a court of law, does not, however, lose its power to act, as long as the commissioner has not acted. The acts adopted by the commissioner ad acta after the Administration has already implemented the decision, or those that the Administration has adopted after the commissioner ad acta has provided, are to be considered ineffective”.

 

 

  1. Le fonti normative:

L’art. 21 del Codice del processo amministrativo, entro il Capo VI dedicato agli “ausiliari del Giudice”, prevede che “nell’ambito della propria giurisdizione, il Giudice amministrativo, se deve sostituirsi all’Amministrazione, può nominare come proprio ausiliario un commissario ad acta”.

Le ipotesi nelle quali il Codice prevede tale nomina sono rappresentate:

- dall’art. 34, co.1, lett. e), secondo il quale il Giudice “dispone le misure idonee ad assicurare l’attuazione del giudicato e delle pronunce non sospese, compresa la nomina di un commissario ad acta, che può avvenire anche in sede di cognizione con effetto dalla scadenza di un termine assegnato per l’ottemperanza”;

- dall’art. 114, co. 4, lett. d), in base al quale il Giudice dell’ottemperanza “nomina, ove occorra, un commissario ad acta”;

- dall’art. 117, co. 3, secondo il quale, nell’ambito del giudizio sul silenzio dell’Amministrazione, “il Giudice nomina, ove occorra, un commissario ad acta con la sentenza con cui definisce il giudizio o successivamente, su istanza della parte interessata”;

- dall’art. 59, relativo alla “esecuzione delle misure cautelari”, che consente, laddove i provvedimenti cautelari non siano in tutto o in parte eseguiti, che il Giudice, su istanza motivata dell’interessato, eserciti “i poteri inerenti al giudizio di ottemperanza”, e dunque possa disporre anche la nomina di un commissario ad acta.

 

  1. La natura soggettiva del Commissario ad acta e la risposta dell’Adunanza Plenaria:

La stessa ordinanza di rimessione che ha dato luogo alla pronuncia oggetto di esame in questa sede ricordava dell’esistenza di un risalente dibattito sulla natura soggettiva del commissario ad acta. Negli anni, si sono susseguite le distinte nature di organo straordinario dell’Amministrazione, di ausiliario del Giudice o di soggetto con duplice natura (ausiliario del Giudice e organo straordinario): un dibattito storico che ha accompagnato la progressiva definizione dell’istituto, anch’esso di origine giurisprudenziale (a partire da Cons. Stato, sez. IV, 9 marzo 1928 n. 181), fino alla sua piena affermazione sia sul piano della previsione normativa (ora art. 21 c.p.a.), sia sul piano dell’ambito di intervento, oggi praticamente esteso ad ogni necessità di ottemperanza e/o esecuzione del provvedimento giurisdizionale dotato di forza esecutiva, secondo quanto prescritto dall’art. 112 c.p.a.

Allo stato attuale, la conquistata definizione normativa dell’istituto ne definisce espressamente la natura soggettiva, che è esclusivamente quella di ausiliario del Giudice.

Dall’esame delle disposizioni riportate nel paragrafo precedente, emerge innanzitutto come l’Organo giudicante proceda alla sua nomina in presenza di due presupposti normativamente indicati: che il Giudice debba sostituirsi all’Amministrazione e che tale circostanza si verifichi nell’ambito della giurisdizione del Giudice medesimo, così come definita dalle norme che la attribuiscono.

La disciplina normativa, nel definire espressamente, come anticipato, il commissario ad acta quale ausiliario del Giudice, esclude, al tempo stesso, che a questi possa essere riconosciuta la natura di organo (straordinario) dell’Amministrazione.

E ciò ricorre anche nei casi in cui il commissario, più che dare seguito a specifici aspetti già definiti dalla pronuncia in un’ottica stricto sensu esecutiva, per le finalità del proprio incarico eserciti poteri discrezionali, come nel caso in cui, stante la perdurante inerzia dell’Amministrazione, egli debba provvedere sull’istanza del cittadino o dell’impresa, senza che la sentenza abbia determinato il contenuto del potere da esercitare.

Inoltre, tale natura di ausiliario del Giudice non è revocata in dubbio dal fatto che il commissario ad acta, nel dare esecuzione alla decisione dell’Autorità giurisdizionale, debba adottare atti amministrativi, anche di natura provvedimentale, e ciò anche effettuando, in luogo dell’Amministrazione inadempiente, valutazioni e scelte normalmente rientranti nell’esercizio del potere discrezionale della stessa; né la circostanza che gli atti adottati esplichino effetti imputabili alla sfera giuridica dell’Amministrazione comporta, di necessità, l’attribuzione al commissario della natura di organo amministrativo.

Se l’attività del commissario ad acta costituisce attuazione della decisione del Giudice, onde rendere effettiva la tutela giurisdizionale costituzionalmente affermata nei confronti della Pubblica Amministrazione, gli effetti che si imputano all’Amministrazione non dipendono da una “sostituzione” nell’esercizio di poteri a questa attribuiti e da essa autonomamente esercitabili, ricorrendone le ragioni di pubblico interesse né tantomeno ricorre un’ipotesi di trasferimento dei poteri medesimi (dall’Amministrazione al commissario).

Tali effetti derivano, invece, direttamente dalla pronuncia del Giudice, la quale, avendo per oggetto atti amministrativi o l’esercizio in fieri di poteri provvedimentali, non può attuarsi se non attraverso l’adozione di atti o di provvedimenti, il cui momento genetico, tuttavia, non si ritrova nella norma attributiva del potere all’Amministrazione, bensì nella sentenza, ed il cui momento funzionale, come chiarito dall’Adunanza Plenaria, non è (almeno direttamente) rappresentato dalla cura dell’interesse pubblico, bensì dall’effettività della tutela giurisdizionale. Ed è significativo, sotto tale aspetto, che i poteri del commissario siano tradizionalmente ricondotti alla giurisdizione “di merito” del Giudice amministrativo, la quale, anche nell’adozione di provvedimenti in luogo dell’Amministrazione, resta esercizio di attività giurisdizionale e non amministrativa.

In questo senso, trova riscontro quanto affermato dalla Corte Costituzionale nella sent. n. 75/1977, secondo la quale “l’attività del commissario, pur essendo, praticamente, la medesima che avrebbe dovuto essere prestata dall’Amministrazione, o in ipotesi da un commissario ad acta inviato dall’organo di controllo, ne differisce tuttavia giuridicamente, perché si fonda sull’ordine contenuto nella decisione del Giudice amministrativo, alla quale è legata da uno stretto nesso di strumentalità”.

 

  1. L’intervento della Corte Costituzionale:

La natura esclusiva di ausiliario del Giudice era già stata affermata, anteriormente all’entrata in vigore del Codice del processo amministrativo, sia dalla Corte costituzionale che dalla stessa Adunanza Plenaria.

In particolare, la Consulta, con la summenzionata sentenza del 12 maggio 1977 n. 75, aveva a suo tempo affermato che: “Il Giudice amministrativo, sia che sostituisca la propria decisione all’omesso provvedimento della Pubblica Amministrazione, che vi era tenuta in forza del giudicato formatosi nei suoi confronti, come più spesso suole accadere quando si tratti di atto vincolato; sia che ingiunga all’Amministrazione medesima di provvedere essa stessa, entro un termine all’uopo prefissatole e con le modalità specificate in sentenza; sia infine che disponga la nomina di un commissario per l’ipotesi che il termine abbia a decorrere infruttuosamente, esplica sempre attività di carattere giurisdizionale (“decide pronunciando anche in merito”, come si esprime l’art. 27, comma primo, del citato testo unico del 1924, riferendosi testualmente al Consiglio di Stato “in sede giurisdizionale”). Né fa differenza, sotto questo aspetto […] che la nomina del commissario sia operata dal Giudice amministrativo direttamente, ovvero attraverso l’interposizione di un organo amministrativo […], poiché in tal caso a quest’ultimo viene semplicemente demandata la scelta della persona, e non già conferito il potere di agire in via sostitutiva per mezzo di un “suo” commissario, come si verifica invece quando sia l’organo di controllo, di propria iniziativa, ad inviare un commissario ad acta presso Amministrazioni sottoposte alla sua vigilanza”.

 

  1. Poteri ed ambito di intervento

Le due circostanze sopra richiamate (e cioè che il Giudice debba sostituirsi all’Amministrazione e che tale circostanza si verifichi nell’ambito della giurisdizione del Giudice medesimo, così come definita dalle norme che la attribuiscono), oltre a costituire i presupposti per la nomina del commissario ad acta, definiscono anche il perimetro dei compiti del medesimo, che coincide con i confini della giurisdizione del Giudice che lo ha nominato e nel cui ambito il commissario agisce.

Sul piano oggettivo dell’attività concretamente posta in essere, esso agisce in virtù di un potere, normativamente previsto, fondato sull’esigenza dell’attuazione delle decisioni giurisdizionali in quanto funzionali a rendere concreta ed effettiva la tutela giurisdizionale delle situazioni soggettive.

Ciò comporta che la fonte del potere del commissario ad acta sia riconducibile, quanto all’investitura, all’atto di nomina e, quanto al contenuto, alla sentenza (o comunque al provvedimento giurisdizionale della cui esecuzione si tratta).

Diversamente, dunque, dagli altri ausiliari previsti dal Codice, quali il verificatore ed il consulente tecnico, che assistono il Giudice “per il compimento di singoli atti o per tutto il processo” e dunque svolgono compiti strumentali ed antecedenti alla pronuncia della sentenza (alla quale sono finalizzati), il commissario ad acta svolge compiti ausiliari del Giudice “dopo” la decisione, laddove questi, nell’ambito della propria giurisdizione, “deve sostituirsi all’Amministrazione”.

Come si evince dalle previsioni codicistiche, questo emergerebbe tutte le volte in cui il comando espresso dalla sentenza passata in giudicato o dotata di provvisoria esecutività (e non sospesa), ovvero il comando espresso dall’ordinanza cautelare, non venga eseguito dall’Amministrazione, con pregiudizio per l’effettività e la pienezza della tutela della situazione soggettiva della quale è titolare la parte vincitrice nel giudizio di cognizione; tutela che, per realizzarsi pienamente, ha bisogno della necessaria attività dell’Amministrazione.

Il commissario ad acta esercita, quindi, un potere in piena attuazione degli articoli 24 e 113 Cost., nonché degli articoli 6 e 13 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Procedendo, pertanto, direttamente o indirettamente, alla nomina di un commissario, il Giudice amministrativo non si surroga all’organo di controllo, ma pone in essere un’attività qualitativamente diversa da quella che quest’ultimo avrebbe istituzionalmente il potere-dovere di esplicare nell’ipotesi di omissione da parte degli Enti locali di atti obbligatori per legge, tra i quali rientrano bensì, ma senza esaurirne la specie, quelli da adottare per conformarsi ad un giudicato: potere-dovere che, comunque, preesiste alla pronuncia emessa nel giudizio di ottemperanza ed è da questa indipendente.

Al tempo stesso, l’attività del commissario, pur essendo, praticamente, la medesima che avrebbe dovuto essere prestata dall’Amministrazione, o in ipotesi da un commissario ad acta inviato dall’organo di controllo, ne differisce tuttavia giuridicamente, perché si fonda sull’ordine contenuto nella decisione del Giudice amministrativo, alla quale è legata da uno stretto nesso di strumentalità.

L’Adunanza Plenaria, con decisione 14 luglio 1978 n. 23, ha precisato che il giudizio di ottemperanza risponda all’esigenza “del completamento della tutela giurisdizionale nella fase esecutiva della decisione”, affermando che con tale giudizio “il Giudice amministrativo si sostituisce all’Amministrazione inadempiente ponendo in essere l’attività che questa avrebbe dovuto compiere per realizzare concretamente gli effetti scaturenti dalla sentenza da eseguire, conformando la realtà alle relative statuizioni”.

 

 

 

  1. La persistente sussistenza dei poteri in capo alla Pubblica Amministrazione

I Giudici di Palazzo Spada ritengono che l’Amministrazione, risultata soccombente in sede giurisdizionale, non perda il proprio potere di provvedere, pur in presenza della nomina e dell’insediamento di un commissario ad acta al quale è conferito il potere di provvedere per il caso di sua inerzia nell’ottemperanza al giudicato (ovvero nell’adempimento di quanto nascente da sentenza provvisoriamente esecutiva ovvero da ordinanza cautelare), e fino a quando lo stesso non abbia provveduto.

Fino a tale momento, si verifica, dunque, una situazione di esercizio concorrente del potere da parte dell’Amministrazione, che ne è titolare ex lege, e del commissario, che, per ordine del Giudice, deve provvedere in sua vece.

Il fondamento del potere esercitato dal commissario ad acta non è, però, il medesimo del potere di cui è titolare l’Amministrazione. Il primo si colloca, infatti, nella decisione del Giudice ed ha la sua “giustificazione funzionale” nell’effettività della tutela giurisdizionale, conferendo alla parte vittoriosa in giudizio quella attribuzione che risulta satisfattiva della propria posizione giuridica per la cui tutela essa ha agito. Mentre il secondo è strettamente correlato alla norma che lo attribuisce all’Amministrazione e risponde alla ratio di cura dell’interesse pubblico che costituisce, al contempo, fondamento genetico dell’attribuzione e funzionalizzazione dell’esercizio del potere.

La natura ed il contenuto degli specifici atti adottati dal commissario ad acta dipendono dal contenuto prescrittivo della decisione del Giudice, alla quale prestano attuazione, ottemperanza ed esecuzione.

Così come vario è il contenuto del giudizio di ottemperanza, altrettanto vario è il contenuto proprio dei poteri del commissario ad acta.

Come ha avuto modo di affermare l’Adunanza Plenaria, con sentenza 15 gennaio 2013 n. 2, “l’esame della disciplina processuale dell’ottemperanza, di cui agli artt. 112 ss. c.p.a. (ai quali occorre doverosamente aggiungere l’art. 31, c. 4), porta ad affermare la attuale polisemicità del  “giudizio” e dell’“azione di ottemperanza”, dato che, sotto tale unica definizione, si raccolgono azioni diverse, talune meramente esecutive, talaltre di chiara natura cognitoria, il cui comune denominatore è rappresentato dall’esistenza, quale presupposto, di una sentenza passata in giudicato, e la cui comune giustificazione è rappresentata dal dare concretezza al diritto alla tutela giurisdizionale, tutelato dall’art. 24 Cost. Di conseguenza, il Giudice dell’ottemperanza, come identificato per il tramite dell’art. 113 c.p.a., deve essere attualmente considerato come il Giudice naturale della conformazione dell’attività amministrativa successiva al giudicato e delle obbligazioni che da quel giudicato discendono o che in esso trovano il proprio presupposto”.

Nel caso concreto, il commissario ad acta potrà essere chiamato ad adottare atti dalla natura giuridica e dal contenuto più vari: da quelli volti al pagamento di somme di denaro, cui l’Amministrazione è stata condannata, ai provvedimenti amministrativi di natura vincolata, che trovano già nella sentenza che ha concluso il giudizio di cognizione la propria conformazione, fino ai provvedimenti di natura discrezionale, che solo eventualmente possono trovare nella sentenza ragioni e limiti della valutazione e della scelta che il commissario deve effettuare in luogo dell’Amministrazione.

Tuttavia, in tutti i casi considerati, il potere esercitato dal commissario ad acta, ancorché concretizzantesi in atti non dissimili da quelli che avrebbe dovuto adottare l’Amministrazione, resterebbe, secondo quanto statuito dai Giudici amministrativi, un potere distinto, sul piano genetico e funzionale, da quello di cui l’Amministrazione è titolare.

Anche nel caso in cui, come nel giudizio sul silenzio serbato dall’Amministrazione su istanza del privato (ed al di fuori delle ipotesi di cui all’art. 31 c.p.a.), la sentenza sancisca esclusivamente l’“obbligo di provvedere” dell’Amministrazione sull’istanza, l’esercizio del potere del commissario troverebbe comunque il proprio fondamento nella sentenza perché è sempre nella decisione che si riscontra la giustificazione (genetica e funzionale) del distinto potere esercitato.

Proprio per le ragioni poc’anzi esposte, oltre che per un’esigenza di speditezza ed economicità dei mezzi processuali, il Codice del processo amministrativo rimette al Giudice dell’ottemperanza (art. 114, co. 6) la decisione sulle questioni “inerenti agli atti del commissario ad acta” ed al Giudice del silenzio (art. 117, co. 4) la decisione sulle questioni “relative alla esatta adozione del provvedimento richiesto”.

In ambedue le ipotesi, proprio perché gli atti adottati non sono espressione di autonomo esercizio di potere amministrativo (propriamente detto), la tutela avverso gli stessi deroga alle ordinarie regole del giudizio di cognizione ed è affidata al Giudice del quale il commissario che ha adottato gli atti contestati costituisce l’ausiliario.

Peraltro, come è stato anche affermato in alcune sentenze del Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 10 maggio 2011 n. 2764), “la nomina del Commissario ad acta non determina di per sé l’esaurimento della competenza della Pubblica Amministrazione sostituita a provvedere all’ottemperanza al giudicato, in quanto il venir meno dell’inerzia della Pubblica Amministrazione stessa, pur dopo la scadenza del termine assegnatole, rende priva di causa la nomina e la funzione del Commissario, secondo i principi di economicità e buon andamento dell’azione amministrativa, non smentiti dalla legge o dalla pronuncia del Giudice dell’ottemperanza ed essendo indifferente per il privato che il giudicato sia eseguito dall’Amministrazione, piuttosto che dal Commissario, perché l’attività di entrambi resta comunque egualmente soggetta al controllo del Giudice (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 29 dicembre 2008, n. 6585; Cons. Stato, sez. IV, 10 aprile 2006, n. 1947; Cons. Stato, sez. V, 3 febbraio 1999, n. 109)”.

Può ulteriormente aggiungersi che la duplice possibilità di ottenere l’ottemperanza alla decisione sia da parte dell’Amministrazione che da parte del commissario ad acta rafforza la posizione della parte già vittoriosa in sede di cognizione.

La concorrenza della competenza del commissario ad acta e dell’Amministrazione ha comunque termine allorché uno dei due soggetti dia attuazione alla decisione del Giudice.

D’altra parte, non vi è alcun dato normativo che consenta di affermare con certezza la perdita del potere dell’Amministrazione di provvedere per effetto della nomina o dell’insediamento del commissario ad acta.

E ciò a fronte della sussistenza non solo di un dovere per la parte soccombente di dare attuazione a quanto a proprio carico derivante dalla sentenza del Giudice, ma anche, come sostenuto dall’Adunanza Plenaria nella risoluzione della fattispecie in esame, di un “diritto” di adempiere al fine di evitare l’aggravarsi della propria posizione, anche quanto alle conseguenze patrimoniali derivanti dall’inottemperanza.

Laddove, infatti, non si ammettesse il potere dell’Amministrazione di dare attuazione alla decisione del Giudice, la stessa rimarrebbe senza rimedio esposta, oltre che ai costi derivanti dall’intervento dell’ausiliario, anche alla “azione di risarcimento dei danni connessa all’impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato”, di cui all’art. 112, c. 3, c.p.a.

 

  1. I principi di diritto:

Alla luce delle considerazioni esposte, l’Adunanza Plenaria, con la sentenza n. 8/2021, ha formulato i seguenti principi di diritto:

  1. a) il potere dell’Amministrazione e quello del commissario ad acta sono poteri concorrenti, di modo che ciascuno dei due soggetti può dare attuazione a quanto prescritto dalla sentenza passata in giudicato, o provvisoriamente esecutiva e non sospesa, o dall’ordinanza cautelare fintanto che l’altro soggetto non abbia concretamente provveduto;
  2. b) gli atti emanati dall’Amministrazione, pur in presenza della nomina e dell’insediamento del commissario ad acta, non possono essere considerati di per sé affetti da nullità, in quanto gli stessi sono adottati da un soggetto nella pienezza dei propri poteri, a nulla rilevando a tal fine la nomina o l’insediamento del commissario.
  3. c) gli atti adottati dal commissario ad acta non sono annullabili dall’Amministrazione nell’esercizio del proprio potere di autotutela, né sono da questa impugnabili davanti al Giudice della cognizione, ma sono esclusivamente reclamabili, a seconda dei casi, innanzi al Giudice dell’ottemperanza, ai sensi dell’art. 114, c. 6, c.p.a. ovvero innanzi al Giudice del giudizio sul silenzio, ai sensi dell’art. 117, c. 4, c.p.a.
  4. d) gli atti adottati dal commissario ad acta dopo che l’Amministrazione abbia già provveduto a dare attuazione alla decisione, ovvero quelli che l’Amministrazione abbia adottato dopo che il commissario ad acta abbia provveduto, sono da considerare inefficaci e, ove necessario, la loro rimozione può essere richiesta da chi vi abbia interesse, a seconda dei casi, al Giudice dell’ottemperanza o al Giudice del giudizio sul silenzio.