Temi e Dibattiti
Brevi profili ricostruttivi in tema di golden power: tra mercato e regolazione.
Di Giuseppe Maria Marsico
Brevi profili ricostruttivi in tema di golden power: tra mercato e regolazione.
Di Giuseppe Maria Marsico
Abstract
Il progressivo ampliamento dell’ambito di applicazione della normativa in tema di c.d. "Golden power” – finalizzata alla protezione degli asset e degli interessi strategici nazionali - non è stato sempre accompagnato da una chiara definizione delle operazioni potenzialmente rilevanti, inducendo gli operatori a effettuare prudenzialmente – avuto conto anche dell’entità delle sanzioni – notifiche non dovute alla Presidenza del Consiglio, con notevole aggravio dei costi di transazione. La soluzione a tali incertezze non sembra peraltro risiedere solo in un maggiore rigore definitorio bensì in una migliore messa a fuoco delle finalità della disciplina e in una maggiore valorizzazione del ruolo dello Stato “stratega” nella individuazione degli asset rilevanti, anche alla luce del percorso comunitario in materia di definizione dei comparti strategici europei.
The progressive expansion of the sphere of application of the legislation on the so-called “Golden power” - whose object is the protection of the national strategic assets and interests - has not always been accompanied by a clear definition of potentially relevant operations, leading companies to prudently make – also considering the non-negligible sanctions – notifications to the Presidency of the Council that are not necessary, with a significant increase in transaction costs. The solution to these uncertainties does not seem to lie solel in greater definitional precision, but rather in a better focus on the purposes of the discipline and in a greater appreciation of the role of the State as a "strategic" actor in identifying relevant assets, also in light of the European Union's path regarding the definition of strategic sectors.
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Il complesso perimetro applicativo. - 3. I settori di difesa e sicurezza nazionale. - 4. I settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni e assets strategici. - 5. Conclusioni.
- Introduzione.
La legislazione in tema di golden powers (la normativa “di base” è recata dal D.L. n. 21/2012, oggetto di continue variazioni: alcune norme sono in vigore dal 1° gennaio 2023 mentre altre hanno cessato la loro vigenza il 31 dicembre 2022) dispone la nullità di taluni atti, deliberazioni e operazioni posti in essere in ambito societario nonché la sospensione del diritto di voto in assemblea nell’ambito delle sanzioni che sono comminate in caso di violazione degli obblighi che la legge dispone a presidio (i) del sistema di difesa e sicurezza nazionale, (ii) dell’interesse nazionale nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni e (iii) dell’interesse nazionale ad evitare pericoli per la sicurezza e l’ordine pubblico[1], imponendo un correlato divieto di compimento, da parte delle società, di tali atti, deliberazioni e operazioni. Si tratta di una legislazione di assai difficile lettura in quanto si assommano, alla sua ontologica complessità tecnica, la sua frammentazione in una molteplicità di fonti normative (di rango primario e secondario) e le sue assai frequenti innovazioni.
La previsione della nullità di taluni atti, deliberazioni e operazioni posti in essere in ambito societario (e, quindi, del divieto di porli in essere) e della sospensione del diritto di voto in assemblea sono alcune delle principali sanzioni correlate all’adempimento degli obblighi che la legislazione in tema di “poteri speciali” del Governo dispone a presidio:
- a) del sistema di difesa e sicurezza nazionale;
- b) dell’interesse nazionale nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni;
- c) dell’interesse nazionale a evitare pericoli per la sicurezza e l’ordine pubblico;
imponendo un correlato divieto di compimento, da parte delle società, di tali atti, deliberazioni e Si tratta di una legislazione di assai difficile lettura, in quanto si assommano, alla sua ontologica complessità tecnica, la sua frammentazione in una molteplicità di fonti normative (di rango primario e secondario) e continue evoluzioni (talune di esse in vigore dal 1° gennaio 2023).
Con riferimento a determinate attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale, la legge prescrive che, in caso di minaccia di grave pregiudizio per gli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri può essere esercitato il “potere speciale” di veto (al fine di salvaguardare la sicurezza degli approvvigionamenti, la sicurezza delle informazioni, i trasferimenti tecnologici, il controllo delle esportazioni) verso l’adozione di delibere, atti e operazioni dell’assemblea o degli organi di amministrazione di imprese che abbiano l’effetto di modificare la titolarità, il controllo o la disponibilità di tali attività strategiche[2].
Nell’ambito di detti delibere, atti e operazioni (che, primariamente, concernono l’acquisizione di quote di partecipazione al capitale di società) sono ricompresi, in particolare, anche quelli inerenti:
- alla fusione o alla scissione di società;
- al trasferimento dell’azienda o di rami di essa o di società controllate;
- al trasferimento all’estero della sede sociale;
- alla modifica dell’oggetto sociale;
- allo scioglimento di società;
- alla modifica di clausole statutarie adottate ai sensi dell’art. 2351, comma 3, c.c., oppure introdotte ai sensi dell’art. 3, comma 1, D.L. 31 maggio 1994, n. 332;
- le cessioni di diritti reali o di utilizzo relative a beni materiali o immateriali e l’assegnazione degli stessi a titolo di garanzia o l’assunzione di vincoli che ne condizionino l’impiego, anche in ragione della sottoposizione dell’impresa a procedure concorsuali.
Nonostante la delicatezza della materia imponga di procedere con la dovuta cautela, è abbastanza plausibile che il divieto di porre in essere operazioni anteriori all’esercizio (o al mancato esercizio) del potere di veto concerna solo l’atto “finale” di quelle operazioni per la cui effettuazione occorra completare un procedimento composto da una pluralità di “passaggi”. In particolare, con riferimento alle operazioni di fusione/scissione pare plausibile ritenere che il divieto concerna la stipula dell’atto di fusione o scissione e non anche gli atti che compongono il procedimento da compiere per poter giungere alla stipula dell’atto di fusione/scissione (vale a dire, l’approvazione del progetto di fusione o scissione da parte dell’organo amministrativo, la pubblicazione del progetto, l’approvazione del progetto con deliberazioni delle assemblee delle società interessate, la pubblicazione di queste deliberazioni, la stipula dell’atto di fusione/scissione e, alfine, la sua pubblicazione). Ovviamente, alla notifica dovrà farsi luogo non appena compiuto il (o in vista del compimento del) “primo atto” del procedimento, vale a dire l’approvazione del progetto di fusione/scissione da parte degli organi amministrativi delle società che siano coinvolte nell’operazione. Altrettanto ovviamente, se si giunge a svolgere le assemblee dei soci delle società partecipanti all’operazione di fusione/scissione, nel “mandato” che usualmente l’assemblea conferisce a un suo amministratore per stipulare l’atto di fusione/scissione, si dovrà specificare con evidenza che il “mandatario” potrà agire solo nel caso in cui il potere di veto non sia esercitato.
Il potere di veto (e il complementare divieto di porre in essere l’operazione) può altresì concernere la “costituzione di imprese” il cui oggetto sociale ricomprenda lo svolgimento di attività di rilevanza strategica oppure che dispongano di attivi di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale. Anche in questo caso non è esattamente chiaro se l’atto costitutivo possa essere stipulato, mantenendo la società inattiva (o addirittura non iscritta nel Registro Imprese) oppure se oggetto di notifica debba concernere l’intenzione di stipularlo. Il testo di legge (“[...] la costituzione di imprese [...] è notificata [...]”) depone nel senso di poter procedere alla costituzione e alla iscrizione nel Registro Imprese, mantenendo la società inattiva (e di sciogliere la società, in caso di veto, in applicazione dell’art. 2332, comma 4, c.c.); quindi, dato che in caso di costituzione con conferimento d’azienda, non appare possibile tenere la società inattiva, occorre discriminare tra il caso della costituzione con conferimento di denaro, ove si rende plausibile la notifica posteriore (in questa fattispecie, peraltro, è difficile ipotizzare che si tratti di un atto, di per sé, integrante una “minaccia di grave pregiudizio per gli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale”), e il caso della costituzione con conferimento d’azienda, ove la notifica deve essere anteriore alla stipula dell’atto costitutivo. In quest’ultimo caso, si potrebbe pensare di procedere alla costituzione della società con solo conferimento di denaro, rimandando il conferimento dell’azienda a un futuro aumento di capitale, una volta effettuata la notifica e avendo ottenuto la contezza del mancato esercizio del potere di veto[3].
Al fine di permettere l’esercizio del predetto potere di veto (il quale può anche consistere, invece che nel divieto di effettuare atti, deliberazioni e operazioni, nell’imposizione di specifiche prescrizioni o condizioni ogniqualvolta ciò sia sufficiente ad assicurare la tutela degli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale), è prescritto che l’impresa deve notificare alla Presidenza del Consiglio dei Ministri una informativa completa sulla delibera, sull’atto o sull’operazione da adottare. Si tratta evidentemente di un obbligo di notifica da adempiere in via preventiva rispetto al compimento dell’operazione.
Entro quarantacinque giorni dalla notifica il Presidente del Consiglio dei Ministri comunica l’eventuale decreto di veto; qualora non sia adottato un provvedimento di veto entro il predetto termine, l’operazione oggetto di notifica può essere effettuata[25] (pertanto, prima del decorso del termine o, anteriormente, prima della ricezione di un provvedimento che attesti l’intenzione del Governo di non apporre il veto, l’operazione oggetto di notifica non può essere effettuata e, se effettuata, sarebbe fulminata di nullità, come oltre illustrato).
Tale termine di quarantacinque giorni (fermo restando che le richieste di informazioni e le richieste istruttorie a soggetti terzi successive alla prima non sospendono i termini; e che in caso di incompletezza della notifica, il termine di quarantacinque giorni decorre dal ricevimento delle informazioni o degli elementi che la integrano) è sospeso per una sola volta, fino al ricevimento delle informazioni richieste, qualora il Governo ritenga necessario richiedere informazioni all’impresa (in tal caso, le informazioni devono esser rese entro il termine di dieci giorni) oppure formulare richieste istruttorie a soggetti terzi (in tal caso, le informazioni devono esser rese entro il termine di venti giorni ex art. 1, comma 4, D.L. n. 21/2012).
Per il caso di violazione delle prescrizioni dettate dal D.L. n. 21/2012 al fine di consentire l’emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri recante l’esercizio dello speciale potere di veto, la legge commina, tra le altre, la sanzione della nullità di delibere, atti e operazioni (art. 1, comma 4, D.L. n. 21/2012).
- Il complesso perimetro applicativo.
Nel tempo, anche a causa della complessità del contesto internazionale, tale piano regolatorio è stato progressivamente inciso da istanze diverse, che si sono affiancate agli obiettivi fondamentali. È bene infatti rammentare che la disciplina GP rappresenta l’evoluzione - o forse solo la prosecuzione - delle prerogative riconosciute, nella “stagione” delle privatizzazioni, dalla c.d. golden share, rimedio conservativo censurato in sede europea in quanto assegnava allo Stato - nei confronti di imprese controllate direttamente o indirettamente nel settore della difesa, dei trasporti, delle telecomunicazioni, delle fonti di energia, e di altri pubblici servizi - poteri speciali esercitabili sulla base di presupposti non perfettamente chiari e riconoscibili dagli investitori[4].
Nonostante l’esperienza maturata in questa tormentata area degli interventi pubblici in settori sensibili e gli ottimi propositi, l’ampia produzione di norme e il conseguente progressivo ispessirsi dei casi dubbi o complessi hanno reso meno nitide le soluzioni. Ancora oggi, a causa dell’imponente allargamento del perimetro dei settori ritenuti strategici e della definizione non univoca delle operazioni rilevanti (quelle, cioè, che richiedono una notifica), resta problematica la perimetrazione delle iniziative che devono essere sottoposte al vaglio governativo. Difficoltà, questa, che determina la proliferazione dei procedimenti, un aumento significativo dei costi di transazione e in ultima analisi una oggettiva perdita di efficienza della funzione amministrativa, distogliendo energie e attenzione dall’esame delle operazioni effettivamente critiche per fronteggiare e gestire la consistente mole di comunicazioni effettuate prudenzialmente, tra le quali una buona parte è costituita - come si vedrà - da quelle non dovute.
Ci si trova perciò al cospetto di un caso di eterogenesi dei fini, nel quale notifiche di iniziative numerose e trascurabili rappresentano la conseguenza non voluta di una disciplina che ha, invece, un obiettivo assolutamente rilevante e circoscritto, la difesa degli interessi nazionali. Disciplina che proprio per questo parrebbe bisognosa di mettere a fuoco le situazioni maggiormente pericolose in base ad indici sostanziali, oggettivi, riconoscibili, anche al fine di evitare l’alluvione informativa che è, per chi ne viene investito, come ormai pacificamente e comunemente riconosciuto, una minaccia al pari dell’assenza di informazioni o di informazioni carenti o distorte. In un contesto internazionale delicato ed in una altrettanto delicata fase interna di resilienza e sviluppo, la maggiore preoccupazione del legislatore è quella di evitare che iniziative pericolose che non ricadano nella definizione di rilevanza possano sfuggire all’esercizio di eventuali poteri speciali governativi di contenimento. Si tratta di una preoccupazione più che legittima. In molti settori, ed in particolare in quelli ad alta vocazione tecnologica (tra gli altri, IA, robotica, fintech, insurtech), nei quali anche il know-how è un asset soggetto a rapida obsolescenza, definire ciò che è essenziale per il sistema-paese (e dunque protetto dal GP), è un esercizio ad alto rischio di errore. Ma è anche vero che, a causa della “larghezza” definitoria, si va affermando un metodo di analisi empirico, fondato sul censimento e sull’osservazione critica di ogni operazione che incida e abbia a che fare con i beni o settori strategici, al fine di valutarne - caso per caso - gli impatti. Non vi è dunque il canonico passaggio amministrativo dalla prescrizione (rigorosa, oggettiva, chiara) alla verifica di conformità, bensì - almeno nei casi dubbi, che sono la maggioranza - un’attività che interpreta “autenticamente”, volta per volta, la disciplina, sulla base di un processo interno e orientamenti non sempre conoscibili dagli operatori. Il quadro normativo, del resto, è complesso e stratificato. Esso prevede provvedimenti di legge, decreti di attuazione e, all’interno di essi, definizioni generali, particolari, e rinvii “a specchio” delle une alle altre - come si vedrà in appresso - che non sempre contribuiscono alla maggiore chiarezza. Eppure, è appena il caso di evidenziarlo, anche la mera valutazione della doverosità della notifica rappresenta un onere per i soggetti interessati, sostanzialmente riconducibile a costi di consulenza (che spesso neppure approda ad esiti rassicuranti) e a necessità di adeguate pianificazioni delle attività in funzione dei termini istruttori governativi[5].
A fronte di queste necessità, i comportamenti indotti negli operatori sono i più diversi. Si potrebbe osservare che, tanto più prevalente è, da un punto di vista statistico, l’approccio prudente, che induce a notificare ogni operazione in ipotesi di dubbio, tanto meno l’analisi preventiva di ricorrenza dei presupposti della notifica si rende indispensabile, tendendo a una qualche utilità solo nei casi di patente esclusione di applicazione della disciplina. La conclusione, per quanto possa apparire paradossale (e meramente teorica), è che l’obbligo di notifica tout court di tutte le operazioni nei settori di riferimento, senza alcuno scrutinio di rilevanza, abbatterebbe in molti casi i relativi costi di transazione, se non altro riducendo l’analisi e semplificando le relazioni tra controparti, elidendo nelle fasi di negoziazione le tensioni generate da diverse posizioni interpretative (e diversi interessi e attitudini al rischio, come è ovvio). Ma è evidente che questa è una strada non praticabile, anche alla luce delle prescrizioni europee in tema di disciplina dei poteri speciali di contenimento.
Già in una specifica e risalente comunicazione riferita agli investimenti intracomunitari, la Commissione infatti osservava che l’esercizio di tali poteri deve essere attuato senza discriminazioni ed è ammesso se si fonda su “criteri obiettivi, stabili e resi pubblici” e se è giustificato da “motivi imperiosi di interesse generale”. Più in generale, nella comunicazione cennata, si evidenziava che la Commissione, nella sua funzione istituzionale, presidia gli interessi di sistema per evitare che i provvedimenti interni degli Stati membri “possano ostacolare gli investimenti provenienti da altri Stati membri dell’UE”, e dunque dare origine a “problemi di compatibilità con la normativa comunitaria, in particolare con gli articoli 73 B e 52 del trattato - relativi ai movimenti di capitali e al diritto di stabilimento - ed ostacolare quindi il funzionamento del mercato unico”. L’obiettivo della comunicazione era dunque quello di “ridurre il rischio di interpretazioni giuridiche divergenti” e, di conseguenza, da un lato consentire agli Stati membri “di elaborare la loro politica tenendo conto anche del diritto comunitario in un clima di trasparenza e di reciproca fiducia” e, dall’altro, garantire “agli operatori comunitari interessati di essere informati circa i diritti che il trattato riconosce loro in materia di investimenti intracomunitari”.
Nel solco di questo orientamento, per vero inizialmente riferito ai flussi interni, e di ulteriori posizioni ribadite dalla Commissione, già nel 2016 si osservava che “è convinzione diffusa e corretta che l’Europa e le economie degli Stati membri siano, giuridicamente, tra le più aperte, se non le più aperte in assoluto, ai flussi di investimento stranieri”. Questa sensibilità, peraltro, non è restata confinata a fenomeni intracomunitari. Anche nei confronti di paesi terzi si è avvertita, sempre più intensamente nel tempo, la necessità di fondare una politica commerciale comune. Per colmare la lacuna derivante dall’assenza di un quadro generale per il controllo degli investimenti esteri diretti, a mezzo del Reg. UE 2019/452 del 19 marzo 2019 del Parlamento europeo e del Consiglio, il legislatore comunitario è intervenuto per definire la gamma delle iniziative passibili di restrizioni per motivi di sicurezza e ordine pubblico negli Stati membri, in quanto stabiliscano o mantengano “legami durevoli e diretti tra investitori di paesi terzi, comprese le entità statali, e imprese che esercitano un’attività economica” nel perimetro comunitario (considerando n. 9). Ciò pur affermando, naturalmente, l’importanza di “garantire la certezza del diritto per quanto riguarda i meccanismi di controllo [...]” (considerando n. 7).
Vi è, dunque, un sentiero stretto lungo il quale deve muoversi la politica legislativa interna, che richiede un rigore definitorio - al fine di evitare il rischio di incertezze interpretative - ed una oggettivazione delle sue ragioni. Tutti questi requisiti sembrerebbero effettivamente appartenere ai voti del legislatore nazionale, tenuto conto che, per esempio, all’interno della relazione illustrativa allo schema di Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (“D.P.C.M.”) n. 179 del 18 dicembre 2020, avente ad oggetto la disciplina dei settori “comunitari”, si sottolinea che le nozioni di “ infrastrutture critiche”, “tecnologie critiche”, “fattori produttivi critici”, informazioni critiche” e “rapporti di rilevanza strategica”, che rappresentano nozioni-tipo al fine di identificare le fattispecie di operazioni rilevanti ai fini della notifica, consentono, alla luce della loro specificità, di “limitare il campo di applicazione della disciplina in questione ai soli beni e rapporti ricadenti nelle categorie definite”, con ciò escludendo “che siano sottoposti all’obbligo di notifica beni e rapporti che, pur astrattamente riconducibili alle categorie generali indicate nel decreto, siano tuttavia sprovvisti dei citati requisiti di criticità e strategicità, con evidente riduzione dei costi e degli oneri, amministrativi ed economici, a carico delle imprese e dei cittadini”. Non solo. Si afferma che “ciò consente all’amministrazione di concentrare la sua attività su questioni di effettivo rilievo al fine della normativa in esame, senza dover introdurre un procedimento amministrativo, con dispendio di risorse e tempo, per attività inidonee ad incidere sugli interessi che la normativa in tema di poteri speciali intende proteggere”.
Si tratta di intenzioni che, enunciate limpidamente, non si sono tradotte in risultati, ove si consideri che, come recentemente osservato, “l’ampliamento progressivo dell’ambito di applicazione, insieme all’uso di definizioni ampie e spesso indeterminate, crea incertezza nello stabilire quando sorgono gli obblighi di notifica (...) Non a caso ad oggi un numero largamente maggioritario di notifiche - ben oltre il 90% dei casi su circa 1500 notifiche ad oggi presentate - si conclude senza alcun esercizio dei poteri speciali, anche nelle forme più blande di assenso con prescrizioni”. Queste evidenze numeriche sono più ampiamente dettagliate nella relazione al parlamento in materia di poteri speciali per l’anno 2022 (l’ultima disponibile alla data di redazione di questo scritto), ove si riporta che, rispetto alle 608 operazioni oggetto di notifica, ben 314 sono state ritenute, all’esito dell’istruttoria, escluse dall’ambito di applicazione del D.L. n. 21/2012. Più della metà delle operazioni notificate, dunque, non dovevano esserlo: e se è ipotizzabile che alcune di dette notifiche dipendano, come già dianzi ripetutamente rilevato, da un eccesso di prudenza, non si può non riconoscere che la rilevanza del fenomeno degli adempimenti non dovuti costituisce un problema.
È dunque indiscutibile, alla luce di queste poche note, che l’effetto prodotto dalla stratificazione della normazione, anche regolamentare, non vada esattamente nel senso della semplificazione, pur se giustificato dalla difficoltà di ridurre a una nozione oggettiva ciò che ha a che fare con la tecnologia e le infrastrutture e, a maggior ragione, ciò che le caratterizza in termini di “criticità” e dunque di rilevanza per gli interessi del Paese. Se le operazioni aventi ad oggetto asset “critici” devono essere notificate, ma tale “criticità” si misura (così l’art. 2, D.P.C.M. n. 179/2000) in termini di essenzialità “per il mantenimento delle funzioni vitali della società, della salute, della sicurezza e del benessere economico e sociale della popolazione”, o anche del “progresso tecnologico” - definizioni che, peraltro, come si vedrà in appresso, non sono frutto di autonome elaborazioni del legislatore interno ma si pongono anch’esse nel solco comunitario - diventa importante capire ciò che costituisce una “funzione vitale della società” o ciò che è “essenziale” ai fini del suo mantenimento. In assenza di tali indicazioni, le condizioni di applicabilità della disciplina tendono a collocarsi nell’area dell’indeterminatezza[6]. La discrezionalità amministrativa si sposta (rectius: si espande) dal piano decisorio (in merito all’esercizio dei poteri speciali) a quello dell’identificazione delle situazioni che potrebbero sollecitarlo (e dunque meritano la notifica). Peraltro, connesso a questo problema - e da esso dipendente - ve ne è un altro, che merita attenzione.
La severità dell’impianto sanzionatorio, pure comprensibile in astratto e adeguata a colpire fattispecie di volontaria (e rilevante) elusione, sembra sproporzionatamente afflittiva nei confronti di iniziative ed operazioni che non possiedano nessuno dei requisiti di pericolosità che costituiscono (o dovrebbero costituire) motivo di attenzione del legislatore e che ricadano nelle maglie della disciplina Golden Power anche per via della sua, non particolarmente nitida, perimetrazione classificatoria. Con riferimento a queste situazioni andrebbe forse contemplato un idoneo meccanismo correttivo, che faccia fronte alla complessità interpretativa con strumenti maggiormente flessibili e, soprattutto, una modulazione delle sanzioni che tenga conto dell’effettiva, “grave minaccia”, che l’operazione concreta.
È opinione diffusa che l’assetto complessivo della disciplina GP risenta di una pluralità di interventi tesi a presidiare interessi affini ma nella sostanza ben distinti. Come si è osservato, infatti, sembra che “nello stratificarsi di interventi normativi di primo e di secondo livello (D.P.C.M.) che negli anni hanno sempre più esteso l’ambito di applicazione della disciplina si sia anche voluto perseguire finalità sempre più articolate: dall’iniziale controllo sugli investimenti diretti esteri da parte di paesi con intenti predatori su società italiane, alla tutela di tecnologie critiche e know-how industriale, dalla prevenzione di minacce cibernetiche al contrasto al ‘trasferimento’ extraterritoriale di dati sensibili fino a istanze di difesa[7] dei livelli occupazionali, i poteri speciali del golden power rischiano di prestarsi – in un contesto applicativo caratterizzato da forte discrezionalità amministrativa - ad un utilizzo ‘one size fits all’. Come ogni strumento, quando viene piegato a finalità anche molto diverse tra loro rischia di perdere nel tempo la sua anima ispiratrice e di diventare un’arma spuntata, se non a doppio taglio”.
A questo già rilevante debito di armonizzazione degli obiettivi si deve aggiungere quello che deriva dalla diversità di prospettiva del legislatore delegato in relazione ai settori oggetto della disciplina. Se, per esempio, in quello della difesa e della sicurezza nazionale vi è una apprezzabile precisione rispetto alle definizioni di attività di rilevanza strategica, nei settori “comunitari” - e cioè quelli di cui all’art. 4, par. 1, Reg. UE 2019/452 del Parlamento e del Consiglio del 19 marzo 2019, richiamati dall’art. 2,comma 1-ter, D.L. n. 21/2012 e definiti dal D.P.C.M. n. 179/2020, vi è, come detto, una forte “fluidità” definitoria, che suggerisce la massima cautela nell’interpretazione delle iniziative che potrebbero ricadervi.
Nella loro ampia estensione le previsioni toccano oggi, oltre al già citato settore della difesa e della sicurezza nazionale (art. 1, D.L. n. 21/2012) e ai predetti settori “comunitari”, i servizi di comunicazione elettronica a banda larga con tecnologia 5G basati sulla tecnologia cloud e altri componenti ad essi correlati (art. 1-bis dello stesso decreto, che non sarà oggetto di specifica trattazione in questa sede, salvo qualche minimale riferimento) e i settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni (art. 2, comma 1).
Merita forse sottolineare che questa articolata classificazione, che mette sullo stesso piano comparti numerosi e diversi senza un evidente vincolo di connessione (è stato osservato che, al momento, è più agevole dire ciò che è escluso piuttosto che ciò che è incluso), è conseguenza della progressiva estensione, nella normativa nazionale, dei settori significativi a quelli definiti nel Reg. UE 452/2019.
Quanto al rapporto tra detti comparti, va detto che all’interno dello stesso Regolamento è scolpito un obiettivo principale codificato - il presidio della sicurezza e dell’ordine pubblico - e gli altri settori nominati rappresentano aree rilevanti solo in quanto suscettibili di generare effetti di qualche significato a livello di detto obiettivo, e in ragione di ciò costituenti fattori che debbono, dagli Stati membri, essere presi in considerazione (così l’art. 4 del Regolamento). Si tratta dunque di un modello che, limitato sul piano delle finalità e segnato dalla preoccupazione di evitare che si tramuti “ impropriamente in uno strumento di politica industriale, corporativa o peggio ancora clientelare”, comunque “contiene una individuazione molto ampia dei settori in cui l’investimento può essere oggetto di scrutinio”, ponendo un problema di iperestensione inevitabilmente riflessosi nella disciplina nazionale.
In via sintetica, volendo utilizzare una formula definitoria di qualche utilità relativamente al quadro domestico, si può dire che la rilevanza dei settori nominati è oggi associata, sostanzialmente, alle funzioni di difesa e sicurezza e alla componente infrastrutturale e alla tecnologia (evoluta) utilizzata, essenziali per il mantenimento dell’efficienza del sistema-Paese. Nell’ambito di detti settori, a mezzo di specifici D.P.C.M., già richiamati, sono stati individuati, nella disciplina nazionale, con una tecnica di normazione non sempre armonizzata, (i) gli attivi strategici sottoposti a restrizioni quanto alla libertà di utilizzo o trasferimento e (ii) le operazioni che debbono essere oggetto di notifica ai fini delle previste valutazioni.
Per quanto specificamente concerne queste ultime, esse si possono distinguere, a loro volta, tra quelle di disposizione, anche indiretta, di detti attivi strategici (“asset deal”) e quelle di disposizione delle partecipazioni nelle società che li detengano (“share deal”). Peraltro, si tratta di una distinzione incompleta e sommaria: perché nello spettro delle fattispecie rilevanti non ricadono solo gli atti di disposizione (di attivi o partecipazioni societarie), anche mediante operazioni straordinarie (fusioni, scissioni, trasferimenti di aziende o rami di azienda in cui siano compresi detti attivi), ma una lunga e complessa serie di iniziative che possono concretarsi durante societate e che concernono il mutamento di talune regole organizzative, quali per esempio il trasferimento della sede sociale all’estero, il cambiamento dell’oggetto sociale, lo scioglimento della società e sin anche la modifica di clausole statutarie in tema di “tetto” al diritto di voto. Inoltre, non rilevano solo i fatti o gli eventi definitivamente “spoliativi” degli asset strategici (in termini proprietari) ma anche quelli che in qualche modo incidano sulla loro disponibilità, anche temporanea[8].
È evidente, dunque, che si tratta di un approccio totalizzante, che partendo dalla considerazione degli attivi di interesse, da un lato sottopone a valutazione ogni vicenda che possa determinare effetti sulla loro disponibilità e dall’altro fa riverberare sulle società che li detengano uno status di rilevanza, che le espone ad osservazione in occasione di taluni eventi organizzativi significativi.
- I settori di difesa e sicurezza nazionale.
Il d. l. n. 21/12 distingue i “poteri speciali nei settori della difesa e della sicurezza nazionale”, di cui all’art. 1, dai “poteri speciali inerenti agli attivi strategici nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni”, di cui all’art. 2.
La previsione dei suddetti poteri in due norme distinte, come si vedrà con discipline non perfettamente sovrapponibili, le quali accordano al Governo più ampi margini di manovra nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, trova la sua ratio nel collegamento più diretto di questi ultimi con gli interessi essenziali dello Stato e nella loro storica ricomprensione nel dominio riservato degli Stati, aspetto suffragato dal ricordato art. 346 TFUE e dalla minore incisività dell’opera armonizzatrice europea in materia, contrariamente a quanto avvenuto nei settori di cui all’art. 2. Come osserva autorevole dottrina, l’espressione “sicurezza nazionale” ha un unico riferimento nel dettato costituzionale all’art. 126, comma 1, il quale non ne definisce il contenuto, mentre all’art. 117, comma 2 sono elencate tra le competenze esclusive dello Stato “difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato” (lett. d) e “ordine pubblico e sicurezza” (lett. h), in un’accezione che sembra limitata alle sfere di operatività, rispettivamente del Ministero della Difesa e del Ministero dell’Interno.
La Legge 3 agosto 2007, n. 124, rubricata “Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto”, invece, indica quali interessi tutelati dal SISR ex artt. 6 e 7 gli “interessi politici, militari, economici, scientifici e industriali dell’Italia”. Ad ogni modo, sembra condivisibile il rilievo del medesimo autore secondo il quale ai fini della corretta definizione di “sicurezza nazionale” ai fini della normativa de qua ci si debba riferire ad una nozione ristretta, rispettosa dei dettami del diritto sovranazionale.
Ai sensi dell’art. 1, comma 1, l’individuazione delle attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale, ivi incluse le attività strategiche chiave, avviene con uno o più D.P.C.M., adottati su proposta, per i rispettivi ambiti di competenza, del Ministro della difesa o del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro degli affari esteri, il Ministro dello sviluppo economico e, rispettivamente, con il Ministro dell'interno o con il Ministro della difesa.
I medesimi D.P.C.M., ai sensi del comma 1-bis, stabiliscono la tipologia di atti o operazioni infragruppo esclusa dall’ambito di applicazione della norma in commento. Il termine “attività” di cui al comma 1, allo stesso modo del termine “attivi” di cui alla rubrica dell’art. 2, sembra una traduzione restrittiva dell’inglese assets, con il quale, invero, si intende attivo aziendale quale più ampio genus del quale i termini utilizzati dalla norma costituiscono delle mere species.
L’esercizio dei poteri speciali assume sempre la forma di un D.P.C.M., adottato su conforme deliberazione del Consiglio dei Ministri, limitato al caso di minaccia di grave pregiudizio per gli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale.
I poteri speciali previsti sono:
“a) imposizione di specifiche condizioni relative alla sicurezza degli approvvigionamenti, alla sicurezza delle informazioni, ai trasferimenti tecnologici, al controllo delle esportazioni nel caso di acquisto, a qualsiasi titolo, di partecipazioni in imprese che svolgono attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale;
- b) veto all'adozione di delibere dell'assemblea o degli organi di amministrazione di un'impresa di cui alla lettera a), aventi ad oggetto la fusione o la scissione della società, il trasferimento dell'azienda o di rami di essa o di società controllate, il trasferimento all'estero della sede sociale, la modifica dell'oggetto sociale, lo scioglimento della società, la modifica di clausole statutarie eventualmente adottate ai sensi dell'articolo 2351, terzo comma, del codice civile ovvero introdotte ai sensi dell'articolo 3, comma 1, del decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 1994, n. 474, come da ultimo modificato dall'articolo 3 del presente decreto, le cessioni di diritti reali o di utilizzo relative a beni materiali o immateriali o l'assunzione di vincoli che ne condizionino l'impiego;
- c) opposizione all'acquisto, a qualsiasi titolo, di partecipazioni in un'impresa di cui alla lettera a) da parte di un soggetto diverso dallo Stato italiano, enti pubblici italiani o soggetti da questi controllati, qualora l'acquirente venga a detenere, direttamente o indirettamente, anche attraverso acquisizioni successive, per interposta persona o tramite soggetti altrimenti collegati, un livello della partecipazione al capitale con diritto di voto in grado di compromettere nel caso specifico gli interessi della difesa e della sicurezza nazionale.
A tale fine si considera altresì ricompresa la partecipazione detenuta da terzi con i quali l'acquirente ha stipulato uno dei patti di cui all'articolo 122 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, ovvero di quelli di cui all'articolo 2341-bis del codice civile.”
Il comma 2 elenca i criteri che il Governo considera, unitamente a quelli di cui al comma 3 e tenendo conto dell'oggetto della delibera, nella valutazione dell’anzidetta minaccia derivante dalle delibere nei confronti delle quali porre il veto. Essi sono: “la rilevanza strategica dei beni o delle imprese oggetto di trasferimento, l'idoneità dell'assetto risultante dalla delibera o dall'operazione a garantire l'integrità del sistema di difesa e sicurezza nazionale, la sicurezza delle informazioni relative alla difesa militare, gli interessi internazionali dello Stato, la protezione del territorio nazionale, delle infrastrutture critiche e strategiche e delle frontiere”.
Il comma 3 elenca i criteri rilevanti per la medesima valutazione, “nel rispetto proporzionalità e ragionevolezza” e “alla luce dei principi di della potenziale influenza dell'acquirente sulla società, anche in ragione della entità della partecipazione acquisita”, con riferimento all’acquisto delle partecipazioni cui imporre specifiche condizioni ex comma 1, lett. a) ovvero opporsi ex lett. b). Essi sono:
- a) l'adeguatezza, tenuto conto anche delle modalità di finanziamento dell'acquisizione, della capacità economica, finanziaria, tecnica e organizzativa dell'acquirente nonché del progetto industriale, rispetto alla regolare prosecuzione delle attività, al mantenimento del patrimonio tecnologico, anche con riferimento alle attività strategiche chiave, alla sicurezza e alla continuità degli approvvigionamenti, oltre che alla corretta e puntuale esecuzione degli obblighi contrattuali assunti nei confronti di pubbliche amministrazioni, direttamente o indirettamente, dalla società le cui partecipazioni sono oggetto di acquisizione, con specifico riguardo ai rapporti relativi alla difesa nazionale, all'ordine pubblico e alla sicurezza nazionale;
- b) l'esistenza, tenuto conto anche delle posizioni ufficiali dell'Unione europea, di motivi oggettivi che facciano ritenere possibile la sussistenza di legami fra l'acquirente e paesi terzi che non riconoscono i principi di democrazia o dello Stato di diritto, che non rispettano le norme del diritto internazionale o che hanno assunto comportamenti a rischio nei confronti della comunità internazionale , desunti dalla natura delle loro alleanze, o hanno rapporti con organizzazioni criminali o terroristiche o con soggetti ad esse comunque collegati.”
Ai sensi del comma 4, il potere di veto “è esercitato nella forma di imposizione di specifiche prescrizioni o condizioni ogniqualvolta ciò sia sufficiente ad assicurare la tutela degli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale”. Tale facoltà si aggiunge all’espressa previsione del medesimo potere circa l’acquisto di partecipazioni di cui al comma 1, lett. a).
L’inserimento di un siffatto potere, in grado di non impedire ab imis una determinata operazione societaria ma, meramente, di subordinarla al rispetto di specifiche condizioni, costituisce una risposta alle censure mosse dalla Corte di Giustizia circa il rispetto della proporzionalità, sul modello di quanto si verifica nel diritto della concorrenza. Laddove l’imposizione di condizioni strutturali non sia sufficiente a tutelare adeguatamente gli interessi essenziali dello Stato, si avranno prescrizioni comportamentali, ancor di più suscettibili di diminuire le differenze intercorrenti tra la disciplina golden power – ovvero antitrust – e quella regolatoria[9].
Relativamente al contenuto di tali prescrizioni, il d. l. n. 21/12 è silente, per cui il plesso governativo gode di accentuata discrezionalità, i cui limiti si rinvengono, innanzitutto, nell’anzidetto principio di proporzionalità in relazione alla migliore protezione degli interessi su cui si fonda la normativa e, inoltre, nelle norme di diritto societario comune, con le quali si richiede un contemperamento al fine di tutelare gli obiettivi pubblicistici.
Questi ultimi hanno permesso una riconduzione sistematica delle condizioni che l’esecutivo può imporre a varie ordinate:
- localizzazione degli asset strategici esclusivamente entro i confini del territorio nazionale;
- necessario consenso pubblico alla nomina di ruoli strategici all’interno dell’apparato aziendale;
- affidamento delle attività strategiche di interesse della difesa unicamente a soggetti di nazionalità italiana;
- assoggettamento ad obblighi volti a tutelare la sicurezza delle informazioni;
- controllo sulla compliance nei confronti di tali condizioni.
- I settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni e assets strategici.
L’art. 2 contiene la disciplina dei “poteri speciali inerenti agli attivi strategici nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni”, in una definizione limitata a singoli elementi e, pertanto, più restrittiva rispetto a quella di cui all’art. 1.
Ai sensi del comma 1, l’individuazione delle reti e degli impianti, ivi compresi quelli necessari ad assicurare l'approvvigionamento minimo e l'operatività dei servizi pubblici essenziali, i beni e i rapporti di rilevanza strategica per l'interesse nazionale nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni, avviene con uno o più regolamenti, adottati su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'interno e con il Ministro degli affari esteri, oltre che con i Ministri competenti per settore.
I medesimi regolamenti, sulla scorta di quanto previsto dall’art. 1, stabiliscono la tipologia di atti o operazioni infragruppo esclusa dall’ambito di applicazione della norma in commento. Altre similitudini con l’art. 1 consistono nel fatto che l’esercizio dei poteri speciali assume la forma giuridica del D.P.C.M., adottato su conforme deliberazione del Consiglio dei Ministri 306 , e che i poteri speciali previsti sono identici, sostanziandosi anche in tali settori nell’imposizione di specifiche prescrizioni o condizioni, nel veto nei confronti di delibere societarie rilevanti e nell’opposizione all’acquisto di partecipazioni societarie.
Simmetricamente alla previsione di cui all’art. 1, comma 4, inoltre, il comma 4 della norma de qua prescrive che “il potere di veto di cui al comma 3 è espresso nella forma di imposizione di specifiche prescrizioni o condizioni ogniqualvolta ciò sia sufficiente ad assicurare la tutela degli interessi pubblici di cui al comma 3”.
La ratio della disciplina, volta a privilegiare, nel rispetto del principio di proporzionalità, la misura meno intrusiva, si ravvisa anche nel comma 6, ai sensi del quale l’opposizione all’acquisto di partecipazioni societarie può essere manifestata soltanto in casi eccezionali di rischio per la tutela degli interessi essenziali dello Stato di cui al comma 3, non eliminabili attraverso l'assunzione da parte dell'acquirente di impegni diretti a garantire la tutela degli anzidetti interessi.
Sussistono, però, numerose differenze tra le due norme. Ai sensi del comma 2, difatti, sono soggetti al potere di veto - oltre alle delibere - anche gli atti e le operazioni, adottati da una società che detiene uno o più degli attivi individuati ai sensi del comma 1, che abbiano “per effetto modifiche della titolarità, del controllo o della disponibilità degli attivi medesimi o il cambiamento della loro destinazione”, in una definizione generale che viene, però, subito esplicitata con il riferimento esemplificativo a “delibere dell'assemblea o degli organi di amministrazione aventi ad oggetto la fusione o la scissione della società, il trasferimento all'estero della sede sociale, il mutamento dell'oggetto sociale, lo scioglimento della società, la modifica
di clausole statutarie eventualmente adottate ai sensi dell'articolo 2351, terzo comma, del codice civile ovvero introdotte ai sensi dell'articolo 3, comma 1, del decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, [...] il trasferimento dell'azienda o di rami di essa in cui siano compresi detti attivi o l'assegnazione degli stessi a titolo di garanzia [...], le delibere dell'assemblea o degli organi di amministrazione concernenti il trasferimento di società controllate che detengono i predetti attivi”.
Alcune delle citate operazioni societarie, però, non determinano l’effetto generale richiesto dalla norma al fine di renderle soggette al suddetto potere di veto, come nel caso di trasferimento all’estero della sede sociale, di mutamento dell’oggetto sociale o di modifica delle richiamate clausole statutarie. Tali fattispecie, difatti, non determinano ex se modifiche della titolarità, del controllo, della disponibilità o della destinazione degli attivi strategici, incidendo esclusivamente sul profilo organizzativo della società, sebbene esse possano costituire decisioni percepite dal Governo come ostili.
Il comma 3, oltre a subordinare l’esercizio del potere di veto alla sussistenza di una “minaccia di grave pregiudizio per gli interessi” come nel caso dell’art. 1, qui però “relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti”, richiede che siffatte delibere, atti e operazioni “diano luogo a una situazione eccezionale, non disciplinata dalla normativa nazionale ed europea di settore”. Tale ulteriore requisito, se interpretato stricto sensu, costituisce una forte limitazione applicativa del potere de qua, trattandosi di settori ampiamente regolati sia a livello interno che europeo.
Ai sensi del comma 5, l’opposizione all’acquisto a qualsiasi titolo di una partecipazione “in società che detengono gli attivi individuati come strategici ai sensi del comma 1” è sottoposta 311 a due condizioni cumulative, non richieste dall’art.1:
- da un punto di vista soggettivo, essa può essere manifestata esclusivamente nei confronti “di un soggetto esterno all’Unione europea”, ossia “qualsiasi persona fisica o giuridica, che non abbia la residenza, la dimora abituale, la sede legale o dell'amministrazione ovvero il centro di attività principale in uno Stato membro dell'Unione europea o dello Spazio economico europeo o che non sia comunque ivi stabilito”;
- da un punto di vista oggettivo, la partecipazione deve essere “di rilevanza tale da determinare l'insediamento stabile dell'acquirente in ragione dell'assunzione del controllo della società la cui partecipazione è oggetto dell'acquisto, ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile e del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58”. Come nel caso di cui all’art. 1, comma 1, lett. c), si considerano rilevanti ai fini dell’applicazione della norma in commento anche le partecipazioni detenute da terzi con cui l’acquirente ha stipulato patti parasociali[10].
Il fatto che il requisito della nazionalità rilevi unicamente per il potere di opposizione all’acquisto di partecipazioni societarie è coerente con le finalità cui si ispira il golden power in tali settori, ossia la sicurezza e il funzionamento delle reti e degli impianti e la continuità degli approvvigionamenti, le quali sono incise in via diretta da operazioni societarie e non dalla modificazione della posizione di controllo, la quale assume rilevanza solo qualora essa si concreti in un rischio per siffatti interessi, comunque determinato da decisioni societarie. La differente graduazione dei criteri necessari all’esercizio dei diversi poteri speciali previsti appare, quindi, coerente con la proporzionalità che guida l’intero impianto della disciplina.
Peculiare la disposizione di cui all’art. 3, comma 1, la quale sottopone a condizione di reciprocità - nel rispetto degli accordi internazionali sottoscritti dall'Italia o dall'Unione europea - l'acquisto, a qualsiasi titolo, di partecipazioni in società che detengono uno o più degli attivi individuati come strategici ai sensi dell'art. 1, comma 1, e dell'art. 2, comma 1, da parte di un soggetto esterno all'Unione europea, come definito dall’art. 2, comma 5.
La dottrina 314 evidenzia il contrasto tra la necessarietà di siffatta previsione, inserita more solito negli accordi internazionali e senza la quale l’ingresso nelle società strategiche italiane sarebbe stato incondizionato a differenza degli investimenti italiani diretti all’estero, a causa dell’adozione da parte di numerosi Stati stranieri di simili strumenti di controllo degli investimenti esteri, e la difficile soluzione delle problematiche che scaturiscono dalla “valutazione di equivalenza” di tali normative protezionistiche.
A differenza dall’art. 1, i criteri di esercizio dei vari poteri speciali nei settori di cui all’art. 2 sono i medesimi e sono contenuti in un unico comma, il settimo, a tenore del quale essi “sono esercitati esclusivamente sulla base di criteri oggettivi e non discriminatori. A tale fine il Governo considera, avuto riguardo alla natura dell'operazione, i seguenti criteri: a) l'esistenza, tenuto conto anche delle posizioni ufficiali dell'Unione europea, di motivi oggettivi che facciano ritenere possibile la sussistenza di legami fra l'acquirente e paesi terzi che non riconoscono i principi di democrazia o dello Stato di diritto, che non rispettano le norme del diritto internazionale o che hanno assunto comportamenti a rischio nei confronti della comunità internazionale, desunti dalla natura delle loro alleanze o hanno rapporti con organizzazioni criminali o terroristiche o con soggetti ad esse comunque collegati; b) l'idoneità dell'assetto risultante dall'atto giuridico o dall'operazione, tenuto conto anche delle modalità di finanziamento dell'acquisizione e della capacità economica, finanziaria, tecnica e organizzativa dell'acquirente, a garantire:
1) la sicurezza e la continuità degli approvvigionamenti;
2) il mantenimento, la sicurezza e l'operatività delle reti e degli impianti.”
Sia nell’art. 1 che nell’art. 2, D.L. n. 21/2012 sono definiti gli atti e le operazioni che impongono la notifica ai fini dell’eventuale esercizio delle prerogative governative di contenimento[35], dovendosi sempre distinguere gli “asset deal” dagli “share deal”. Con riferimento ai primi - ma si vedrà, il perimetro dei fenomeni rilevanti si estende a operazioni che non sono rappresentate solo da acquisti o cessioni - nell’art. 1, concernente il comparto della difesa e sicurezza nazionale, si stabilisce (commi 1 e 4) che debbono essere oggetto di notifica le delibere, gli atti e le operazioni dell’assemblea o degli organi di amministrazione di un’impresa strategica che abbiano per effetto modifiche della titolarità, del controllo o della disponibilità degli attivi rilevanti. Tra questi atti e operazioni si intendono compresi quelli aventi ad oggetto (a) la fusione o la scissione della società; (b) il trasferimento dell’azienda o di rami di essa o di società controllate; (c) il trasferimento all’estero della sede sociale; (d) la modifica dell’oggetto sociale; (d) lo scioglimento della società; (e) la modifica di clausole statutarie eventualmente adottate ai sensi dell’art. 2351, comma 3, c.c. o dell’art. 3, comma 1, D.L. n. 332/1994; (f) la cessione di diritti reali o di utilizzo relativi a beni materiali o immateriali, l’assegnazione degli stessi a titolo di garanzia o l’assunzione di vincoli che ne condizionano l’impiego, anche in ragione della sottoposizione dell’impresa a procedure concorsuali. Sostanzialmente sovrapponibile a questa classificazione, con qualche “licenza” o “deviazione” nell’articolazione delle fattispecie rilevanti - anche solo a livello della loro formulazione, come si vedrà in appresso - è quella contenuta nell’art. 2 relativa ai settori dell’energia, dei trasporti, delle comunicazioni e a tutti quelli “comunitari[11]”.
A parte quella concernente questi disallineamenti interni, la prima osservazione che si può fare è che gli atti e le operazioni rilevanti, oggetto della disciplina di cui alle norme predette, sono riferibili a imprese e non a persone fisiche (non imprenditori), ipotesi quest’ultima che pure astrattamente meriterebbe qualche considerazione se solo si tiene conto dell’importanza - anche nell’ambito della disciplina Golden Power - delle nuove tecnologie, il cui sviluppo e i relativi diritti (eminentemente di proprietà industriale e/o intellettuale) possono - e maggiormente potrebbero, in futuro – essere riferibili a iniziative e invenzioni individuali (o comunque di enti diversi dall’impresa). Questa limitazione, peraltro, sembra perfettamente comprensibile alla luce degli obiettivi perseguiti dal legislatore, per il quale la regolamentazione GP intende rispondere ai problemi posti dall’applicazione delle libertà fondamentali di libera circolazione dei capitali e di stabilimento, ponendo precisi limiti nell’ambito di quanto consentito dal TFUE: è dunque una disciplina che intende regolare fenomeni imprenditoriali di investimento e di insediamento (pur se, talora, travalica questi obiettivi).
Ma se questa constatazione restringe il valore dell’affermazione che assegna alla normativa in esame la funzione di “seguire” tutti gli asset strategici sin dall’originaria creazione, in nome dell’interesse nazionale e al fine di esercitare se del caso i poteri di contenimento (poteri limitati alla dimensione dell’impresa, come si è visto), non è meno vero che le operazioni rilevanti, come richiamate nell’art. 1, D.L. n. 21/2012, parrebbero comunque quelle finalizzate alla modifica “della titolarità, del controllo o della disponibilità” degli attivi significativi. In queste operazioni, precisa il legislatore, sono “comprese”, tra le altre, fusioni, scissioni, trasferimenti di aziende o rami di azienda. Sembra di poter dire perciò che queste eventuali operazioni straordinarie, se condotte da imprese che detengono asset strategici (o svolgono attività strategiche), non dovrebbero essere considerate rilevanti per se stesse ma solo in quanto determinino una modifica della titolarità o disponibilità di questi ultimi[38].
Una fusione nella quale la società strategica incorpori una controllata totalitaria (che non detenga asset rilevanti) dovrebbe essere priva di interesse; e così la cessione di un ramo d’azienda che non includa asset o attività strategiche, o ancora la scissione parziale nella quale il compendio assegnato alla beneficiaria non includa attivi rilevanti. In nessuno di questi casi sembra emergere la minaccia di un grave pregiudizio per gli interessi essenziali dello Stato[12].
Vi è tuttavia un diverso orientamento, diffuso anche nella prassi, per il quale tutte le operazioni societarie citate dalla disposizione debbono costituire oggetto di notifica, rappresentando un elenco tassativo o comunque vincolante: la precisazione per la quale tra le delibere, atti o operazioni rilevanti devono intendersi “comprese” le operazioni straordinarie (v. artt. 1 e 2 del Decreto) sarebbe volta, secondo questo orientamento, non già a richiamare l’attenzione su di esse tenuto conto dei loro effetti bensì a stabilire un principio di inclusione assoluto e che da detti effetti prescinde.
L’argomento sul quale si fonda questa affermazione è ben rappresentato nell’affermazione per la quale “la fusione deve reputarsi sottoposta a notifica non solo nel caso in cui la società ‘strategica’ sia quella incorporata (con conseguente ‘trasferimento’ degli attivi strategici in pancia alla società incorporante),ma anche nel caso inverso, giacché anche in tale ipotesi, e a prescindere dalle singole configurazioni specifiche, muterebbe comunque la struttura complessiva della società, sotto il profilo del suo patrimonio e dei suoi assetti proprietari e di governo”. Senonché tale opinione sembra provare troppo almeno sotto due profili.
Il primo: se la fusione è evento rilevante in assoluto, in quanto suscettibile di determinare effetti patrimoniali sulla società, dovrebbero coerentemente essere incluse nella valutazione governativa tutte le iniziative che sulla struttura patrimoniale (e fors’anche economica e finanziaria) possono incidere: acquisizioni, cessioni, operazioni di indebitamento e altro ancora. Ma così si aprirebbe la strada alla trasformazione della valutazione spettante al Governo in una sorta di vigilanza prudenziale(ipotesi interessante - anche se non necessariamente augurabile - ma lontana, sembra, dal disegno del legislatore, almeno nello stato attuale).
Il secondo: l’eventuale modifica degli assetti proprietari e di governo in sede di fusione non è inevitabile. Si è fatto l’esempio dell’incorporazione di società controllata interamente, nella quale non si registra alcuna variazione; ma anche ove modifiche vi fossero, è facile obiettare che fusioni e scissioni rilevano comunque, ai fini della disciplina Golden Power, ove determinino una variazione dell’azionariato delle società che vi partecipano. È ciò che può accadere, per l’appunto, nella fusione tra società indipendenti (o comunque non controllate totalitariamente) o nella scissione, anche asimmetrica. Ove si determini un’assegnazione ai soci di azioni in misura superiore alle soglie definite si pone in ogni caso il problema della notifica dell’acquisizione (che, ai sensi di legge, può avvenire a “qualsiasi titolo” come precisano l’art. 1, comma 1 e l’art. 2, comma 5, D.L. n. 21/2012, e dunque anche mediante il concambio) e dell’eventuale esercizio, ove detta soglia sia ritenuta “pericolosa”, del potere di opposizione. Sembra dunque che la preoccupazione per uno svuotamento dei poteri governativi abbia comunque trovato soluzioni efficienti.
Quale che sia la corretta interpretazione, va detto che le disposizioni sul catalogo delle operazioni oggetto di notifica varia sensibilmente a seconda dei comparti. La formulazione della lett. b) del comma 1 dell’art. 1, D.L. n. 21/2012, in materia di difesa e sicurezza è molto simile a quella del comma 2 dell’art. 2, relativa ai comparti dell’energia, trasporti e comunicazioni, ma sostanzialmente diversa da quella del comma 2-bis dello stesso articolo relativo ai comparti comunitari, nella quale invece, e opportunamente, sembrano volersi distinguere le operazioni straordinarie da notificarsi in quanto incidano sulla proprietà o disponibilità degli attivi strategici (e dunque, inter alia, fusioni, scissioni, trasferimenti di azienda o rami di azienda, che vengono “compresi” negli atti dispositivi diretti di tali asset e dunque ad essi assimilati) da quelle che debbono essere notificate comunque, pur non generando, necessariamente, effetti di tal tipo (modifiche dell’oggetto sociale, scioglimento della società, modifiche di clausole di contingentamento del voto).
In assenza di una evidente ragione per questa disomogeneità - probabilmente frutto dell’apporto di “mani” diverse nella fase redazionale, oltre che della tormentata storia del Decreto, sottoposto, nel tempo, a numerosi interventi di adeguamento - si può affermare, semplicemente, che la formulazione di cui al comma 2-bis dell’art. 2, D.L. n. 21/2012 è forse più felice delle altre, e potrebbe costituire il riferimento per un auspicabile chiarimento applicativo.
Con riferimento alle operazioni diverse da quelle di aggregazione sin qui esaminate, non mancano ulteriori questioni. La modifica dell’oggetto sociale è da intendersi in senso funzionale, e cioè rilevante solo quando volta a distogliere l’attività strategica, oppure rilevante in ogni caso, e dunque anche quando, puramente, venga esteso il perimetro delle attività consentite, restando intatto il nucleo delle attività strategiche? Deve trattarsi di intervento di portata sostanziale (come parrebbe ragionevole e preferibile) o anche meramente formale? La risposta sembra incisa, inevitabilmente, dalle finalità che si decida di attribuire alla disciplina, oscillante tra le necessità di sottoporre ad osservazione ogni fenomeno che latamente abbia a che fare con i comparti rilevanti, il che significherebbe estenderne la portata, e quella di sterilizzare i soli eventi “pericolosi[13]”.
Peraltro, anche con riferimento a questi ultimi, in quanto espressamente citati, vi è il dubbio che si imponga una lettura che ne recuperi il senso. E infatti: la rilevanza delle modifiche al contingentamento del voto deve essere estesa a qualunque fenomeno potenzialmente in grado di incidere sul potenziamento o depotenziamento dei soci (e dunque sul governo societario)? È ciò che accade, per esempio in caso di adozione di (o modifiche relative al regime applicabile alle) categorie di azioni con voto limitato o plurimo oppure in caso di introduzione (o modifiche) di clausole di maggiorazione del voto ex art. 127- quinquies T.U.F., o anche di semplice conseguimento, decorsi i termini statutari, della medesima maggiorazione. La legge non contiene alcun riferimento a queste ipotesi: ma qui, come altrove, la difficoltà è quella di capire se il silenzio sia voluto o, piuttosto, l’assenza di un “catalogo” completo di fenomeni che condividano la stessa natura sia dovuta alle modalità di formazione della disciplina, per ripensamenti e giustapposizioni successive, spesso ispirati da ragioni contingenti o emergenziali. Ciò che si può affermare con certezza è che il tema degli assetti di governo viene trattato in maniera che non consente di ricostruire sempre e limpidamente la ratio delle disposizioni. Nel comparto della difesa e della sicurezza (art. 1, D.L. n. 21/2012), per esempio, ove si fa riferimento al potere di opposizione all’acquisto di partecipazioni in società strategiche si precisa che al fine della valutazione della pericolosità del livello di partecipazione conseguita si considera “ricompresa la partecipazione detenuta da terzi con i quali l’acquirente ha stipulato uno dei patti” di cui all’art. 122 T.U.F. o all’art. 2341- bis c.c. Ciò che non si dice è in qual modo “la partecipazione detenuta da terzi” possa incidere sulla posizione dell’acquirente: si deve meramente procedere a una somma della partecipazione detenuta da tutti gli aderenti al patto al fine di valutarne sotto un profilo teorico l’entità o - più ragionevolmente - le partecipazioni dei terzi vanno tenute in conto in quanto consentano un accrescimento della potenza di voto o di influenza dell’acquirente? Se così fosse, non si tratterebbe di “ricomprendere” in un aggregato più ampio l’entità della partecipazione detenuta da terzi ma più semplicemente di considerare gli effetti complessivi del patto per determinarne gli impatti[14].
Eppure, lo stesso approccio meramente matematico - che fa riferimento alla somma delle partecipazioni degli aderenti al patto e non agli effetti di quest’ultimo - ispira il comma 5 dell’art. 2, con riferimento all’acquisto di interessenze in società che operino nei comparti dell’energia, dei trasporti, delle comunicazioni e dei settori “comunitari”, ove si stabilisce che “nel computo della partecipazione rilevante” ai fini dell’acquisizione del controllo (e della conseguente notifica) “si tiene conto della partecipazione detenuta da terzi con cui l’acquirente ha stipulato uno dei patti” previsti dall’art. 122 T.U.F. o dall’art. 2341- bis c.c.
Non si tratta, è bene sottolinearlo, di una questione secondaria: ove si debba procedere a una mera somma di partecipazioni sarebbe da notificare anche l’acquisizione minoritaria, che non assegna il controllo, ove essa sia accompagnata dalla stipula di un patto con i controllanti effettivi (in tal caso, se nel “computo” della partecipazione dell’acquirente si deve “tener conto” della partecipazione di controllo del terzo, per definizione l’acquisizione sarebbe rilevante). O, parimenti, sarebbe da notificare l’acquisizione minoritaria che, per via di un patto che aduni la maggioranza del capitale sociale, assegni un controllo a geometria variabile. Sebbene questa soluzione non rappresenti una novità in assoluto, c’è da dubitare che la volontà del legislatore sia esattamente questa: se la finalità espressa nel comma 5 dell’art. 2 del Decreto è sottoporre a osservazione e valutazione i fenomeni di insediamento (che presuppongono il controllo), dovrebbe ritenersi che solo patti che effettivamente assegnino il controllo siano rilevanti. Anche su questo punto, dunque, la lettera della disposizione - che fa riferimento al “computo” delle partecipazioni, dunque a un’operazione di calcolo e non a valutazioni qualitative - descrive una regola che andrebbe auspicabilmente chiarita.
Neppure viene trattata, forse volontariamente, l’ipotesi di un patto che non si accompagni ad acquisizioni ma, per esempio, accresca le prerogative di un socio[54]. È anch’esso un evento da notificare? Qui, come è evidente, non si pone un problema di circolazione di capitali; tuttavia, come si è visto, il legislatore non è del tutto insensibile a vicende che si realizzino su piani diversi da quelli concernenti lo scambio o l’acquisizione di interessenze, e in particolare non lo è rispetto a vicende che attengano alla governance. Casi recenti sembrano confermare l’opportunità dell’approccio più estensivo, anche se si potrebbe obiettare che esso non trova fondamento in alcuna norma espressa.
Una ulteriore riflessione, con riferimento agli eventi che generano obblighi di notifica, deve essere riservata al caso di costituzione di società. Il comma 5-bis dell’art. 1 (comparto difesa e sicurezza nazionale) dispone che ai fini dell’eventuale esercizio dei poteri speciali “la costituzione di imprese il cui oggetto sociale ricomprende lo svolgimento di attività di rilevanza strategica ovvero che detengono attivi di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale è notificata alla Presidenza del Consiglio dei ministri”. Il dubbio che si è posto è dunque se debba essere notificata la costituzione di una scatola vuota, ma con un oggetto sociale “sensibile” (che preveda lo “lo svolgimento di attività di rilevanza strategica”), oppure solo quella di una società che effettivamente detenga asset strategici, apportati in sede di costituzione. A condizione che si assegni al termine “ovvero” la funzione disgiuntiva, tipica degli atti normativi (“la costituzione di imprese il cui oggetto sociale ricomprende lo svolgimento di attività di rilevanza strategica ovvero che detengono attivi di rilevanza strategica...”), la norma non sembra lasciare dubbi: la notifica è prevista in entrambi i casi. Ma si potrebbe anche ipotizzare, per vero con amplissime riserve, che il legislatore abbia fatto ricorso a un uso esplicativo/dichiarativo/correttivo di “ovvero”: in tale eventualità la notifica sarebbe richiesta solo nell’ipotesi in cui la società, in sede di costituzione, fosse patrimonializzata con asset strategici.
Si deve dire che lo stesso problema concerne la disciplina degli altri comparti rilevanti diversi dalla difesa e sicurezza nazionale (energia, trasporti, comunicazioni e gli altri settori “comunitari”: art. 2, comma 7-bis, D.L. n. 21/2012), per i quali si dispone che “la costituzione di un’impresa che svolge attività ovvero detiene uno o più degli attivi” strategici è notificata alla Presidenza del Consiglio dei ministri (in questo caso, solo qualora uno o più soci, esterni all’Unione europea, detengano una quota dei diritti di voto o del capitale almeno pari al 10 per cento). Va posto in evidenza che la norma è ben diversa da quella di cui all’art. 1: non si parla più di “costituzione di imprese il cui oggetto sociale ricomprende lo svolgimento di attività di rilevanza strategica” bensì di costituzione di un’impresa che “svolge attività ovvero detiene uno o più” attivi strategici. L’uso del presente (“svolge attività”), che appare ben meditato, sembra alludere a una condizione di attualità e dunque di operatività, poco compatibile con il caso della costituzione di una scatola vuota; ove invece si fosse inteso alludere a una società “che intenda svolgere attività strategiche”, stabilendo la rilevanza anche progettuale dell’iniziativa (in sede di costituzione), i problemi non mancherebbero.
Se infatti nel caso di imprese che operino nei comparti della difesa e sicurezza nazionale (di cui, si rammenta, all’art. 1, D.L. n. 21/2012) la definizione dell’attività strategica è, nella sua quasi totalità, di tipo oggettivo, ed è individuata “nello studio, la ricerca, la progettazione, lo sviluppo, la produzione, l’integrazione e il sostegno al ciclo di vita, ivi compresa la catena logistica[15]”, di specifici sistemi e materiali, elencati in un numero chiuso, per cui può avere senso elevare a fatto rilevante la costituzione di una società che si prefigga di progettare, produrre e commercializzare questi stessi sistemi, diversa è la situazione per le imprese che operano negli altri comparti, nei quali la strategicità è - nella sua quasi totalità - una condizione necessariamente attuale dell’attività o degli asset, verificata e preesistente (è strategico ciò che già esiste e in quanto esiste).
Nel settore energia, trasporti e comunicazioni, in particolare, gli attivi di rilevanza strategica sono quasi sempre oggetto di specifica “ individuazione” (si tornerà in appresso sul valore di questo termine), dunque nominati e ricompresi in specifici elenchi. Per quasi tutte le imprese che operano nei settori “comunitari”, invece - e si tratta, a ben vedere, di un numero davvero imponente di soggetti potenzialmente interessati - la strategicità si sostanzia per lo più nella “criticità” delle infrastrutture, delle tecnologie, dei fattori produttivi, delle informazioni o delle attività economiche[16] impiegate o prodotte; e, a sua volta, la “criticità” è funzione dell’essenzialità di quelle stesse tecnologie, informazioni, attività economiche, fattori produttivi o infrastrutture “per il mantenimento delle funzioni vitali della società, della salute, della sicurezza e del benessere economico e sociale della popolazione”. Per chi opera nei settori comunitari, dunque, la “strategicità” di un’attività dipende dalla sua “essenzialità” per la popolazione, ed è perciò da escludersi che questo attributo possa appartenere a una impresa appena costituita, con una dotazione in danaro, cui non siano stati apportati asset rilevanti (come può essere essenziale qualcosa che ancora non esiste?). Per queste imprese neppure l’enunciazione in statuto, come talora capita di vedere, di ambiziosi obiettivi industriali (costituire o rappresentare un player di riferimento del settore, per esempio) sembra in grado di elevare la costituzione a un fatto meritevole di notifica. Ciò che conta è l’effettività dell’attività svolta, in quanto diffusa ed “essenziale” (ergo, strategica), e non il semplice progetto di impiantarla. Dovendo sintetizzare queste considerazioni, sembra che: (i) nel comparto della difesa e sicurezza nazionale la semplice enunciazione in statuto, all’atto della costituzione, di un’attività che sia definita strategica secondo i criteri del D.P.C.M. n. 108/2014 comporti la necessità della notifica; (ii) negli altri settori la notifica si renda indispensabile, come dice la legge (“... la costituzione di un’impresa che svolge attività ovvero detiene [attivi strategici] ... è notificata ...”), nel caso in cui l’attività strategica sia effettivamente svolta o specifici asset strategici siano effettivamente detenuti (il che può accadere solo a mezzo di un conferimento). Ciò significa che costituire puramente e semplicemente un’impresa all’ interno dei comparti sensibili non basta: occorre che delle attività strategiche, già esistenti e riconosciute come tali, sia previsto il conferimento in sede di costituzione.
Questa diversità di trattamento non deve sembrare poi così sorprendente, se si considera la condizione di tutela anticipata di cui gode il settore della difesa e sicurezza nazionale, che rende degno di attenzione non solo l’evento costituito dal trasferimento d i asset rilevanti ma anche quello rappresentato dalla mera costituzione di un soggetto che tali asset si proponga di svilupparli. Nel caso degli altri settori, questa condizione di “pericolosità” progettuale (già in sede costitutiva della “scatola vuota”) non dovrebbe esistere: nel comparto energia, trasporti e comunicazioni, si è detto, le attività rilevanti sono per lo più rappresentate da un numero chiuso di strutture ben identificate (l’unico modo per elevarsi verso una condizione di strategicità, in tal caso, è acquisirle), e nei comparti “comunitari” la strategicità è un attributo che sostanzialmente deriva dalla constatazione (a chi spetti dichiararla è altra questione) di assoluta rilevanza dell’attività svolta, che diventa “essenziale” per la popolazione. Si tratta di un attributo perciò impossibile da acquisire se non in via derivata o a seguito dell’effettivo avvio dell’attività.
A questa già complessa analisi si può forse aggiungere un’ultima postilla. Al caso della costituzione di un nuovo soggetto andrebbe assimilato, a ben vedere, quello della modifica dell’oggetto sociale di una società non strategica che abbia deciso di “riconvertirsi” e svolgere attività “sensibili” per la disciplina GP. La legge non ne fa menzione, ma sembra che in questa eventualità l’applicazione estensiva si imponga. E dunque, ove la notifica si renda necessaria secondo le regole appena esposte per l’ipotesi di costituzione (per esempio, ove la società intenda operare nello sviluppo di sistemi sensibili per la difesa e sicurezza nazionale), la modifica dello statuto potrà essere subordinata al suo buon esito e perciò al rilascio del nulla osta da parte della Presidenza del Consiglio[17].
La rilevanza e la centralità delle ragioni del GP, quale strumento di presidio del rischio sistemico in settori altamente sensibili, hanno indotto, nel tempo, a una disciplina schematica di una materia “politica”. Le istanze verso una vigilanza accorta, severa, efficiente, ripetutamente espresse anche a livello unionale, hanno forse accentuato la distanza tra il rigore degli obiettivi e quello della traduzione in regole dei meccanismi di controllo, spesso espresse in termini solo sostanziali.
Pur nella delicatezza della materia, tuttavia, e forse a maggior ragione di essa, un più elevato rigore tecnico sarebbe consigliabile. L’apparato definitorio delle operazioni rilevanti andrebbe integrato o modificato tenuto conto delle finalità che si intendono perseguire e sciogliendo l’equivoco di fondo che le riguarda (si vuole assicurare il monitoraggio anche gestionale delle società strategiche o solo il presidio delle iniziative “pericolose”?); andrebbe definita la nozione di partecipazione rilevante; andrebbero previste - auspicabilmente - semplificazioni significative per le operazioni infragruppo e rimodulata la definizione dei settori “comunitari” secondo criteri oggettivi e che non richiedano alle imprese un “self assessment” (ove non si pervenga alla definizione di un albo o elenco dei soggetti rilevanti). Infine, coerentemente - anche qui si tratta di un auspicio - andrebbero gradate le norme sanzionatorie (nel loro importo minimo) in relazione alla rilevanza della violazione. Tutti interventi che appaiono possibili e che, soprattutto, lavorano congiuntamente nel senso dell’efficienza del mercato, della regolazione e della maggiore fluidità delle relazioni e transazioni commerciali.
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[1] Sul tema vedi più diffusamente B. RAGANELLI , Stato di emergenza e tutela dei diritti e delle libertà fondamentali, in Il diritto dell’Economia, n. 3 2020.
[2] Tra i primi scritti sul tema si veda tra gli altri, M. LAMANDINI , Golden share e libera circolazione dei capitali in Europa e in Italia, in Giurisprudenza Commerciale, 2016, I, pp. 671 ss.; F. GASPARI , Libertà di circolazione dei capitali, privatizzazioni e controlli pubblici. La nuova golden share tra diritto interno, comunitario e comparato, Torino, Giappichelli, 2015; G. SCARCHILLO, Dalla Golden Share al Golden Power: la storia infinita di uno strumento societario. Profili di diritto europeo comparato, in Contratto e Impresa – Europa, 2015, pp. 619 ss.; F. BASSAN, Dalla golden share al golden power: il cambio di paradigma europeo nell’intervento dello Stato sull’economia, in Studi sull’integrazione europea, 2014, pp. 57 ss.; A. FORTE , I poteri speciali sugli assetti societari nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, in Nomos, 2014, pp. 1 ss.; E. FRENI, Golden share: raggiunta la compatibilità con l’ordinamento comunitario?, in Giornale di diritto amministrativo, 2013, pp. 25-33.
[3] Si vedano al riguardo le riflessioni di L. ARNAUDO, A l’economie comme a la guerre. Note su golden power, concorrenza e geo-economica, in Mercato Concorrenza Regole, fasc. 3, dicembre 2017, pp. 435 ss. La pur ampia facoltà di manovra riservata dalla legge n. 287/1990 ai sensi del predetto art. 25 non è stataad esempio ritenuta sufficiente in un’operazione di salvataggio di un’importante impresa nazionale, per la quale venne approntato un apposito intervento normativo di modifica alla disciplina delle grandi imprese in crisi (tra gli altri L. STECCHETTI, Law cost: ripercussioni della legge «salva Alitalia», in Mercato Concorrenza Regole, 2008, pp. 513 s
[4] Come evidenziato da B. VALSIESE, Discussion Paper, in Golden power, Roma, 2019, Dipartimento per le Informazioni della Sicurezza della Repubblica, tale rischio potrebbe essere scongiurato da un costante impegno volto a contemperare l’esigenza di tutela dell’interesse nazionale con la alorizzazione del potere attrattivo del Paese agli occhi degli investitori stranieri e tale bilanciamento risulterebbe tanto più indispensabile « [...] per una nazione, come l’Italia, caratterizzata dal “nanismo” delle proprie imprese e, a ben vedere, può essere rinvenuto nella consapevolezza che gli interessi strategici nazionali in realtà tendono a coincidere con quelli economici di lungo periodo». Ancora sul punto: M. MASSELLA DUCCITERI , La disciplina nazionale sul golden power. Primi problemi applicativi, op. da ul. cit.
[5] Per una disamina sul tema, tre gli altri: D. GALLO , Corte di Giustizia UE, golden shares e investimenti sovrani, in Dir. comm. int., 2013, p. 917 ss.; F. BASSAN, Dalla golden share al golden power: il cambio di paradigma europeo nell’intervento dello Stato sull’economia, in Studi sull’integrazione europea, 2014, p. 57 ss; A. COMINO , “Golden powers” per dimenticare la “golden share”: le nuove forme di intervento pubblico sugli assetti societari nei settori della difesa, della sicurezza nazionale, e delle comunicazioni, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2014, p. 1019 ss.
[6] Regolamento UE 2019/452, che istituisce un quadro per il controllo degli investimenti esteri diretti nell’Unione Europea e, quindi, una cornice comunitaria per la disciplina dei poteri speciali vincolante dall’11 ottobre 2020. Fino all’entrata in vigore del Regolamento europeo per i “nuovi” settori previsti troverà applicazione la disciplina transitoria prevista dall’art. 4-bis, comma 3, del d.l. n. 105/2019 con obbligo di notifica preventiva. Dal 9 aprile 2020, per effetto delle modifiche introdotte dal Decreto Liquidità, sussiste in generale per tutti e cinque i settori individuati dall’art. 4, paragrafo 1, del Regolamento UE 2019/452 e, quindi, anche per i nuovi, con la precisazione che, nel settore finanziario, devono ritenersi inclusi anche quello creditizio e quello assicurativo.
In particolare, dovranno essere notificati alla Presidenza del Consiglio dei Ministri gli acquisti, effettuati da parte di operatori esterni all’Unione Europea, di partecipazioni di controllo in società che detengono asset in uno di questi settori.
[7] Art. 4, para. 1, del Regolamento (UE) n. 2019/452. Il precedente riferimento è al d.l. 21 settembre 2019, n. 105 convertito, con modificazioni, dalla legge 18 novembre 2019, n. 133, recante “Disposizioni urgenti in materia di perimetro di sicurezza nazionale cibernetica”. All’art. 1 viene istituito il perimetro di sicurezza nazionale cibernetica al fine di assicurare un livello elevato di sicurezza delle reti, dei sistemi informativi e dei servizi informatici delle amministrazioni pubbliche, degli enti e degli operatori (pubblici e privati aventi una sede nel territorio nazionale), da cui dipende l’esercizio di una funzione essenziale dello Stato, ovvero la prestazione di un servizio essenziale per il mantenimento di attività civili, sociali o economiche fondamentali per gli interessi dello Stato e dal cui al funzionamento, interruzione, anche parziali, ovvero utilizzo improprio, possa derivare un pregiudizio per la sicurezza nazionale. All’art. 4 bis, inoltre, nel dettare disposizioni specifiche in materia di infrastrutture e tecnologie critiche è presente un rinvio espresso agli ulteriori settori quelli menzionati dall’art.4, paragrafo 1, del Regolamento UE 2019/452 del Parlamento Europeo e del Consiglio, di prossima entrata in vigore.
[8] L. VASQUEZ, Golden Power. Alcune note a margine della disciplina emergenziale del controllo governativo sulle acquisizioni in Italia, in Mercato concorrenza regole, fasc.1, aprile 2020, secondo cui occorre accertare che l’impresa target operi in un settore sensibile e cioè «oggettivamente necessario
per garantire la stabilità della produzione di un bene o servizio essenziale». Tale valutazione deve ssere svolta in concreto, tenendo conto delle specifiche peculiarità dell’attività effettivamente svolta.
[9] Sull’evoluzione del ruolo dello Stato e, in particolare, sul crescente peso della capacità di analisi strategia del decisore pubblico si veda tra gli altri G.NAPOLITANO, L’irresistibile ascesa del golden power e la rinascita dello Stato doganiere, op. cit. p. 549 ss. che parla di “Stato doganiere” e R. GAROFOLI, Golden power e controllo degli investimenti esteri diretti: natura dei poteri e adeguatezza delle strutture amministrative, in Federalismi.it, n. 17 del 18 settembre 2019, il quale parla invece di
“Stato stratega”.
[10] Si vedano sul punto: A. SACCO GINEVRI, L’espansione dei golden powers tra sovranismo e globalizzazione, in Riv. trim.dir. economia, 2019, p. 151 ss.; L. FUMAGALLI , The global rush towards national screening systems on foreign direct investments: a movement facing no limits? Remarks from the point of view of public international law, in G. N APOLITANO (a cura di), op. cit.
[11] Sul tema, tra gli altri, cfr. M. COLANGELO, Regole comunitarie e golden share italiana, in Mercato Concorrenza Regole, Fasc. 3, Dicembre 2009, Bologna, p. 595 ss.; A. COMINO, Golden powers per dimenticare la golden share: le nuove forme di intervento pubblico sugli assetti societari nei settori della difesa, della sicurezza nazionale, dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, Anno XXIV, Milano, num. 5/2014, p. 1019 ss.; L. S ALERNO, op. cit.; L. SCIPIONE, ult. op. cit.; S. VELLUCCI, The new regulation on the screening of FDI: the quest for a balance to protect EU’s essential interests, in The law of international trade, Anno 33°, Milano, gennaio-marzo 2019, p. 123 ss.
[12] Sul punto si veda G. NAPOLITANO, Il regolamento sul controllo degli investimenti esteri diretti: alla ricerca di una sovranità europea nell’arena economica globale, in Rivista della Regolazione dei Mercati, 1 – 2019, secondo cui l’intervento normativo potrebbe prestarsi a due interpretazioni: da un lato potrebbe essere considerato quale «semplice correttivo a un programma che rimane saldamente orientato alla liberalizzazione e all’integrazione dei mercati», dall’altro potrebbe essere ritenuto
come uno dei primi e «più organici tentativi di affermare una nuova sovranità europea nell’arena economica globale, eventualmente declinabile anche in chiave protezionista». In termini più generali si vedano anche: S. VELLUCCI, The new regulation on the screening of FDI: the quest for a balance to protect EU’s essential interests, in Dir. Comm. Int., 2019, 1, p. 142 ss.; B.P. AMICARELLI, Il controllo degli investimenti stranieri nel regolamento europeo 2019, in Giorn. dir. amm., 2019, p. 763
ss; S. G LIUBICH, Il Regolamento europeo per il controllo degli investimenti diretti esteri. Opportunità od occasione mancata per i “poteri speciali’ dell’Unione europea”, in Golden power, Roma, 2019, Dipartimento per le Informazioni della Sicurezza della Repubblica, p. 39.
[13] Sul punto, cfr. V. SQUARATTI, I limiti imposti dal diritto dell’Unione europea all’intervento pubblico nell’economia: la neutralità delle modalità di perseguimento di obiettivi imperativi di interesse generale, in Diritto del commercio internazionale. Pratica internazionale e diritto interno, Anno 28°, Milano, ottobre-dicembre 2014, p. 1073 ss.; Cfr. D. GALLO, “Corte di giustizia UE, golden shares e investimenti sovrani”, in Diritto del commercio internazionale. Pratica internazionale e diritto interno, Anno 27°, Milano, ottobre-dicembre 2013, p. 917 ss.; S. NINATTI, Privatizzazioni: la Comunità
europea e le “golden share” nazionali, in Quaderni costituzionali, Anno XX, Bologna, Fascicolo 3, dicembre 2000, p. 702 ss.; L. SCIPIONE, La «golden share» nella giurisprudenza comunitaria: criticità e contraddizioni di una roccaforte inespugnabile, in Le società, Milano, 2010, p. 855 ss.
[14] Sul punto tra gli altri, S. R. CUENDET, Filtrage des investissements directs étranges dans l’UE et COVID-19: vers une politique commune d’investissement fondéè sur la sécurité de l’Union, in European Papers, 2020
[15] Da ultimo, F. FRACCHIA, Coronavirus, senso del limite, deglobalizzazione e diritto amministrativo: nulla sarà più come prima?, in Il diritto dell’economia, 2020, 579 s.; Id., Sovranismi, globalizzazione e diritto amministrativo: sull’utilità di un approccio dialogante e a più dimensioni, in www.federalismi.it, n. 17/2018. Sulla storia del termine sovranità, tra gli altri, L. RAGGI , La teoria delle sovranità, Genova 1908; H. REHM, Geschichte der Staatsrechtswissenschaft, Friburgo, 1896; id., Allgemeine Staatslehre, in Handbuch des öffent, 1899; G. JELLINEK , Allgemeine Staatslehre, Berlino, 1929; H. KELSEN, Das Problem der Souveränität und d. Theorie d. Völkerrechts, Tubinga 1920;E. C ROSA , Il principio della sovranità dello stato nel diritto italiano, in Archivio giuridico, 1933.
[16] In termini G. FONDERICO, Per una breve storia dell’impresa pubblica in Italia: un grande futuro alle spalle? in H. BONURA, A. RUGHETTI, L’impresa pubblica in Italia e i servizi per i cittadini: riflessioni su mercato, società pubbliche e pubblica amministrazione dopo la legge Madia, Milano, 2017, p. 65 ss.
[17] Sul punto, cfr. P. CAMERON, Promotion of State Interests in Privatisation or Deregulation: A Comment, in Journal of Energy & Natural Resources Law 14, no. 1 (February 1996), p. 108 ss.; G . S CARCHILLO, Privatizations in Europe, in Diritto del commercio internazionale. Pratica internazionale e diritto interno, Anno 25°, Milano, gennaio-marzo 2011, p. 109 ss.