Giurisprudenza Amministrativa

Sulla natura della rideterminazione degli oneri concessori: la parola all'Adunanza Plenaria
CGA, Sez. Giurisdizionale, ordinanza 27 marzo 2018, n. 175. A cura di Valentina Cappannella
Con l’ordinanza oggetto della presente nota il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana rimette all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato la questione della natura giuridica dell’atto mediante il quale l’amministrazione comunale provvede alla rideterminazione degli oneri concessori previsti dall’art. 16 del T.U. Edilizia.
In particolare, dopo aver riscontrato posizioni disomogenee nella giurisprudenza amministrativa in merito al quesito generale “se la rideterminazione degli oneri concessori sia attività sussumibile nell’autotutela amministrativa ovvero sia inquadrabile nell’ambito di un normale rapporto paritetico di debito-credito, come tale astretta alle regole ed ai rimedi di diritto comune”, il CGA rimette la soluzione di tale questione al Giudice investito della funzione nomofilattica.
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Nella fattispecie concreta esaminata dal CGA l’Amministrazione comunale ha rideterminato in malam partem gli oneri concessori dovuti dal soggetto beneficiario del titolo edilizio a notevole distanza temporale (oltre quattro anni) dal rilascio del titolo medesimo e in maniera sensibilmente differente rispetto alla originaria determinazione degli oneri, incrementati di circa quattro volte rispetto agli importi originari.
Nel merito, come chiarito dal CGA, il caso in esame esula dall’ipotesi del mero errore di calcolo degli oneri concessori desumibile già dall’iniziale atto di determinazione degli importi dovuti; in sostanza, si è verificata un’ipotesi di “errore di impostazione dei criteri di calcolo” di carattere duplice, poiché “sarebbe stata applicata un’unica tariffa (quella più bassa) ad una superficie inferiore a quella effettiva, invece che le previste due tariffe in relazione ai distinti parametri della superficie lorda dei fabbricati e della superficie complessiva dell’insediamento” (v. pag. 6 ordinanza).
Secondo l’ordinanza oggetto della presente nota, l’esame della questione nel merito impone di effettuare una corretta qualificazione giuridica della fattispecie; nello specifico, si tratta di stabilire se debbano essere applicati istituti di natura pubblicistica (riconducibili, cioè, all’autotutela amministrativa), oppure istituti di diritto privato.
Come è dato leggere nell’ordinanza, si tratta di risolvere la “dibattuta questione involgente le forme, le condizioni ed i tempi attraverso cui un’amministrazione comunale può rideterminare (in malam partem) gli oneri concessori dovuti dal soggetto beneficiario di un titolo edilizio dopo che questi abbia già ritirato il provvedimento assentivo (e magari anche iniziato e completato i lavori) ed abbia avuto contezza in quella sede o, ancor prima, degli importi determinati dalla amministrazione quale contributo commisurato alla incidenza delle spese di urbanizzazione nonché al costo di costruzione: ed abbia, in definitiva, sulla base di quei dati, fatto affidamento su un determinato preventivo di spesa del programmato intervento edilizio” (v. pag. 5 ordinanza).
Come vedremo nel prosieguo della presente nota, il CGA, a prescindere dalla qualificazione pubblicistica o privatistica della fattispecie, si pone anche il problema della tutela della posizione del privato che abbia ritirato il titolo edilizio e iniziato o completato i lavori, facendo affidamento su un determinato preventivo di spesa dell’intervento edilizio programmato.
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Nell’ordinanza di rimessione il CGA effettua un’interessante ricognizione delle principali interpretazioni fornite dalla giurisprudenza amministrativa in merito alla natura del contributo dovuto in occasione del rilascio del titolo edilizio ai sensi dell’art. 16 TU Edilizia ed in merito alla possibilità, per l’Amministrazione, di procedere ad una successiva rideterminazione dello stesso.
In particolare, le tesi che si contendono il campo sono sostanzialmente due.
Secondo un primo orientamento di matrice privatistica, la determinazione del contributo di cui all’art. 16 TU Edilizia instaurerebbe un rapporto di tipo paritetico tra privato e amministrazione, azionabile da entrambe le parti nel rispetto dell’ordinario termine di prescrizione decennale. Si tratta, in sostanza, di una tesi che si fonda sul rilievo, diffuso nella giurisprudenza amministrativa, secondo cui le controversie in tema di determinazione della misura dei contributi edilizi concernono l’accertamento di diritti soggettivi originati da fonti normative, i quali possono essere fatti valere, a prescindere dall’impugnazione dei provvedimenti amministrativi, nel termine ordinario di prescrizione.
All’interno di tale filone interpretativo, poi, si delineano due diverse tesi che, pur ribadendo il carattere paritetico del rapporto creditorio instaurato tra privato e amministrazione, pervengono a conclusioni opposte sul piano della tutela del privato che abbia subito una rideterminazione in peius del contributo. In pratica:
- a) secondo alcune pronunce, dalla connotazione privatistica del contributo deriva che il quantum dello stesso risulta cristallizzato al momento del rilascio del titolo edilizio, così da non essere suscettibile di modifiche (tranne che nei casi di evidente errore di calcolo). Infatti, in applicazione dei principi cardine della disciplina dei contratti, non è possibile alcuna modifica successiva per errore, in ragione del fatto che l’eventuale errore, essendo maturato nella sfera riservata dell’amministrazione, sarebbe per definizione non riconoscibile e, pertanto, irrilevante. In sostanza, seguendo simile impostazione, si perviene ad affermare l’intangibilità assoluta della originaria determinazione amministrativa del contributo in questione, con la conseguenza di salvaguardare in ogni caso la tutela dell’affidamento del privato.
- b) All’interno dell’orientamento privatistico, si delinea poi un ‘altra tesi (fatta propria da alcune pronunce della quarta Sezione del Consiglio di Stato) secondo la quale, proprio in considerazione della natura paritetica del rapporto debito-credito che si è venuto ad instaurare, è sempre ammissibile una rettifica, sia in bonam che in malam partem, entro il limite della prescrizione del diritto delle parti alla correzione delle somme dovute. In altre parole, seguendo tale impostazione, la rettifica dell’ammontare del contributo sarebbe sempre consentita, giacché l’applicazione di una tariffa diversa da quella corretta non sarebbe altro che un errore di calcolo.
Secondo un diverso orientamento, di natura prettamente pubblicistica, invece, il rapporto che si instaura tra privato ed amministrazione a seguito della determinazione del contributo di costruzione è da ritenersi sottoposto ad un regime di diritto pubblico; si tratterebbe, infatti, di una “prestazione patrimoniale imposta di carattere non tributario” alla quale sono applicabili, in astratto, le regole dell’autotutela amministrativa. Sul piano della tutela dell’affidamento del privato a fronte di un atto di rideterminazione del contributo dovuto, tale orientamento afferma che le garanzie partecipative (prime tra tutte, quelle di cui all’art. 10 bis della legge n. 241/1990) devono essere coordinate con le previsioni dell’art. 21 octies.
Nell’esaminare tale orientamento pubblicistico, il CGA, nell’ordinanza in esame, richiama la decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 24 del 2016, la quale - seppur intervenuta sulla diversa questione dell’applicabilità delle sanzioni per ritardo nel pagamento dei contributi in presenza di una polizza fideiussoria a garanzia del debito del contributo - ha chiarito che il contributo dovuto dal privato in occasione del ritiro del titolo abilitativo edilizio ha natura di “prestazione patrimoniale imposta, di carattere non tributario”, funzionale a remunerare l’esecuzione di opere pubbliche e, come tale, da collocare nell’ambito dei rapporti di diritto pubblico. Da tale qualificazione giuridica del contributo deriva l’esclusione di un vincolo sinallagmatico tra le prestazioni da adempiere da parte dell’amministrazione comunale e quelle poste a carico del privato intestatario del titolo edilizio, cosicché l’eventuale mancato pagamento del contributo da parte del privato legittima l’amministrazione ad esercitare il suo potere-dovere di procedere all’applicazione delle sanzioni.
Tale impostazione viene espressamente condivisa dal CGA nell’ordinanza oggetto della presente nota, “quantomeno se restano ferme le conclusioni sulla natura di prestazione patrimoniale imposta del contributo di che trattasi e sul suo carattere non sinallagmatico rispetto agli interventi di urbanizzazione che mettono capo all’ente pubblico, secondo un livello di programmazione temporale e qualitativo sul quale il privato non avrebbe titolo per interferire” (v. pag. 10 ordinanza).
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Il CGA manifesta, quindi, nell’ordinanza in esame, la propria preferenza per una ricostruzione in chiave pubblicistica degli atti di rideterminazione dell’ammontare del contributo di costruzione.
Tale soluzione, infatti, “oltre a recuperare coerenza sul piano dogmatico con il sistema giuridico di riferimento, si rivelerebbe più appropriata anche in ordine al miglior grado di contemperamento delle esigenze pubblicistiche sottese alla corretta determinazione del contributo dovuto (e alla salvaguardia degli interessi erariali), anche in sede di emenda di precedenti errori di quantificazione, e le esigenze di tutela della parte privata riguardo all’affidamento riposto nella originaria determinazione dell’ente. A tale ultimo proposito, infatti, soccorrerebbero gli istituti posti a presidio delle garanzie partecipative previsti per l’attività amministrativa di secondo grado, oltre che naturalmente il rispetto delle stesse condizioni legali di legittimo esercizio dell’autotutela, avuto riguardo ai tempi, alle forme ed ai contenuti motivazionali dell’atto espressivo dello ius poenitendi (cfr., in particolare, artt. 21 quinquies, octies e novies della l. n. 241 del 1990” – v. pag. 10-11 dell’ordinanza in esame – il grassetto è di chi scrive).
Secondo il CGA, quindi, l’affermazione della natura pubblicistica del contributo in questione imporrebbe l’applicazione del regime proprio dell’autotutela amministrativa all’attività di rideterminazione delle somme eventualmente dovute dalla parte privata, perlomeno nei casi in cui non si tratti di un mero errore materiale di calcolo o di una rettifica imposta dall’adozione di un nuovo titolo abilitativo edilizio.
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In considerazione del rilevato contrasto giurisprudenziale, il CGA ritiene indispensabile l’intervento chiarificatore dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato alla quale vengono sottoposti i seguenti quesiti di diritto:
“a) se la rideterminazione degli oneri concessori sia estrinsecazione di potere autoritativo da parte della amministrazione comunale, nell’ambito dell’autotutela pubblicistica soggetta ai presupposti e requisiti dell’art. 21-novies, l. n. 241/1990, ovvero sia espressione di una sua legittima facoltà, nell’ambito del rapporto paritetico di natura creditizia, conseguente al rilascio del titolo edilizio a carattere oneroso, sottoposto nelle sue forme di esercizio al termine prescrizionale ordinario;
- b) ove dovesse prevalere la prima opzione interpretativa, se la rideterminazione dei suddetti oneri sia da ascrivere all’ambito dei rapporti di diritto pubblico quali che siano le ragioni che l’abbiano ispirata, ovvero solo nei casi in cui la stessa dipenda dalla applicazione di parametri o coefficienti determinativi diversi (originari o sopravvenuti) da quelli in precedenza applicati, con esclusione quindi dei casi di errore materiale di calcolo delle somme dovute sulla base dei medesimi parametri normativi;
- c) in alternativa ed a prescindere dall’inquadramento giuridico della fattispecie secondo le richiamate categorie, e quale che sia la natura giuridica da riconnettere al provvedimento rideterminativo degli oneri concessori, se vi sia spazio, ed in quali limiti, perché possa trovare applicazione nella fattispecie in esame il principio del legittimo affidamento del privato, da ricostruire vuoi sulla base della disciplina pubblicistica dell’autotutela, vuoi su quella privatistica della lealtà e della buona fede nell’esecuzione delle prestazioni contrattuali, ovvero sulla base dei principi desumibili dai limiti posti dall’ordinamento civile per l’annullamento del contratto per errore o per altra causa” (v. pag. 11 dell’ordinanza).
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Non resta, quindi, che attendere l’intervento dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che dovrebbe fare chiarezza, una volta per tutte, circa la natura pubblicistica o privatistica dell’atto amministrativo di rideterminazione del contributo.
Ovviamente, come visto, tale scelta non è priva di conseguenze anche sul piano pratico.
L’adesione alla tesi pubblicistica, infatti, comporta che il privato è obbligato ad impugnare l’atto che determina o ridetermina il contributo nel termine decadenziale previsto per l’impugnazione degli atti amministrativi. Diversamente, in caso di adesione alla tesi privatistica, le eventuali contestazioni circa l’esistenza o il contenuto dell’obbligazione dovrebbero essere avanzate entro il termine di prescrizione decennale.