Giurisprudenza Civile
Sul momento di realizzazione della condizione di procedibilità della mediazione obbligatoria
Di Giuseppe Lonero
Corte di Cassazione, sez. III, ord. 8 luglio 2024, n. 18485,
Sul momento di realizzazione della condizione di procedibilità della mediazione obbligatoria
Di Giuseppe Lonero
Riferimenti normativi: artt. 5 e 8, d.lgs. 28/2010
Principio di diritto: La condizione di procedibilità della mediazione obbligatoria, prevista dal d.lgs. n. 28 del 2010 per le controversie nelle materie indicate dall'art. 5, comma 1-bis, del medesimo decreto (come introdotto dal d.l. n. 69 del 2013, conv., con modif., in l. n. 98 del 2013), è realizzata qualora una o entrambe le parti comunichino al termine del primo incontro davanti al mediatore la propria indisponibilità a procedere oltre.
Fra i motivi sottoposti all’esame della Corte di Cassazione, il primo attiene al rigetto dell’eccezione di improcedibilità della domanda, per mancato esperimento della mediazione obbligatoria, con denuncia dell’erronea applicazione del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, nonché del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 (in specie, l’art. 5, comma, 1-bis). Si censura la sentenza impugnata là dove ha escluso la fondatezza del motivo di gravame con il quale era stata eccepita l’improcedibilità della domanda della parte attrice per omesso espletamento della procedura di mediazione obbligatoria. Esito al quale la Corte territoriale è pervenuta sul rilievo che “il procedimento di mediazione – come già evidenziato dal Giudice di primo grado – è stato effettivamente espletato, senza il raggiungimento di un accordo”, e ciò nonostante le parti “avessero partecipato personalmente”, secondo quanto “è possibile evincere dal verbale prodotto in giudizio”. Inoltre, la sentenza impugnata ha pure escluso che tale procedimento sia solo consistito – come sempre sostenuto dall’allora appellante – “nella mera illustrazione dei caratteri dell’istituto, della sua funzione e delle sue modalità di svolgimento”, visto che le parti, invitate “dal mediatore ad esprimersi sulla possibilità di iniziare il procedimento di mediazione”, sarebbero entrate “nel merito della controversia”, senza limitarsi ad affrontare esclusivamente “profili procedurali o formali”.
Assume, per contro, la ricorrente che, nonostante “la formale proposizione dell’istanza di mediazione, il procedimento non è mai stato effettivamente avviato dalle parti”. Difatti, in occasione dell’incontro preliminare, tenutosi innanzi al mediatore, “incontro prodromico all’avvio vero e proprio della mediazione”, il legale rappresentante della parte attrice ebbe a dichiarare “che «non è possibile iniziare la procedura di mediazione»”. Per parte propria, invece, la ricorrente, non soltanto ebbe espressamente a manifestare “la propria disponibilità all’instaurarsi della mediazione, ma ha anche formulato specifica proposta (agli atti) volta alla estinzione del contenzioso”. Di conseguenza, a fronte degli “incontestabili dati di fatto che precedono”, la ricorrente “evidenzia come non sia condivisibile la ricostruzione del Giudicante allorché ha ritenuto effettuato il procedimento di mediazione”. Viene richiamato, sul punto, quell’orientamento della giurisprudenza di merito secondo cui “l’ordine di procedere alla mediazione si potrà considerare correttamente eseguito”, e quindi “la condizione di procedibilità effettivamente verificata, soltanto se: a) la mediazione si svolge con la presenza personale delle parti; b) si sia svolta la mediazione vera e propria”, ovvero “andando oltre il formale incontro preliminare ove vengono semplicemente illustrati i caratteri dell’istituto in parola”, sicché “il primo incontro non può fermarsi alla sola fase informativa, ma deve andare oltre e entrare nel merito della controversia, cercando effettivamente una conciliazione”.
Per la Cassazione, il primo motivo di ricorso non è fondato. In particolare, nello scrutinarlo, afferma il Collegio, occorre muovere dalla constatazione che la Corte d’Appello – nel decidere in merito al motivo di gravame secondo cui il procedimento di mediazione non sarebbe stato “concretamente espletato”, essendo “consistito, invece, nella mera illustrazione dei caratteri dell’istituto, della sua funzione e delle sue modalità di svolgimento” – ha osservato che, invitate dal mediatore “ad esprimersi sulla possibilità di iniziare il procedimento di mediazione, le parti, entrando nel merito della controversia e non certo soffermandosi esclusivamente su profili procedurali o formali, inerenti alle modalità di svolgimento o alla funzione del procedimento di mediazione, hanno illustrato le rispettive posizioni, in relazione alle loro concrete ragioni di doglianza ed alle rispettive pretese”. In particolare, al cospetto della manifestata disponibilità della conduttrice “a sanare la morosità”, la locatrice ebbe, invece, a fare “presente di non avere intenzione di proseguire il rapporto di locazione, considerato che «la disciplina non prevede un termine di grazia e, quindi, la possibilità di purgare la mora» e che «le condizioni», illustrate nella «proposta di controparte», non erano confacenti «all’interesse di parte istante»”. Sicché – prosegue la sentenza impugnata – “il mediatore, preso atto della volontà delle parti e dell’impossibilità di addivenire ad un accordo, ha dichiarato «chiuso» il procedimento di mediazione”. Per il Collegio, tanto basta per considerare espletato il procedimento, e dunque rispettata la condizione di procedibilità di cui all’art. 5, comma, 1-bis, del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, giacché essa può ritenersi, realizzata “qualora una o entrambe le parti comunichino al termine del primo incontro davanti al mediatore la propria indisponibilità a procedere oltre” (Cass. Sez. 3, sent. 27 marzo 2019, n. 8473, Rv. 653270-01).
Chiamata, difatti, a stabilire quando il tentativo di mediazione obbligatoria possa dirsi utilmente concluso (ovvero, se sia sufficiente “comunicare al mediatore di non aver nessuna intenzione di procedere oltre e di provare a trovare una soluzione”, oppure se sia “necessario che la mediazione sia «effettiva»”, e cioè “che le parti provino quanto meno a discutere per trovare una soluzione, per poi poter dare atto a verbale della impossibilità di addivenire ad una soluzione positiva”), la Corte ha osservato che sia l’argomento letterale, ovvero il testo dell’art. 8 del d.lgs. n. 28 del 2010, che l’argomento sistematico – e cioè “la necessità di interpretare la presente ipotesi di giurisdizione condizionata in modo non estensivo, ovvero in modo da non rendere eccessivamente complesso o dilazionato l’accesso alla tutela giurisdizionale – depongono nel senso che l’onere della parte che intenda agire in giudizio (o che, avendo agito, si sia vista opporre il mancato preventivo esperimento della mediazione e sia stata rimessa davanti al mediatore dal giudice) di dar corso alla mediazione obbligatoria possa ritenersi adempiuto con l’avvio della procedura di mediazione e con la comparizione al primo incontro davanti al mediatore, all’esito del quale, ricevute dal mediatore le necessarie informazioni in merito alla funzione e alle modalità di svolgimento della mediazione, può liberamente manifestare il suo parere negativo sulla possibilità di utilmente iniziare (rectius proseguire) la procedura di mediazione” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. n. 8473 del 2019, cit.). Alla stregua di tali considerazioni, dunque, per la Corte di Cassazione, il motivo di ricorso risulta non fondato.