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Anno XVII - n. 05 - Maggio 2025

  Giurisprudenza Civile



Sul preventivo esperimento del procedimento di mediazione come condizione di procedibilità del giudizio

Di Giuseppe Lonero
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Corte di Cassazione, sez. II, ordinanza 04 gennaio 2024, n. 205,

Sul preventivo esperimento del procedimento di mediazione come condizione di procedibilità del giudizio

 

Di Giuseppe Lonero

 

Riferimenti normativi: artt. 5 e 8, d.lgs. 28/2010

Principio di dirittoIn tema di mediazione obbligatoria, ex art. 5, comma 1 bis del decreto legislativo numero 28 del 2010, il preventivo esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda, ma l'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata dal giudice, non oltre la prima udienza. In grado d'appello, l'esperimento della mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda solo quando è disposta discrezionalmente dal giudice, ai sensi dell'articolo 5, c. 2.

 

Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione si è espressa su una chiamata in giudizio, da parte del proprietario di un complesso immobiliare, al fine di accertare il non avvenuto acquisto del diritto di proprietà o altro diritto reale minore, per intervenuta usucapione da possesso ultraventennale e perché vi fosse la conseguente condanna alla restituzione dell'immobile in questione, con correlativa condanna ai sensi dell'art. 614 bis c.p.c., per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione dell'obbligo di restituzione.

Il Tribunale di primo grado, in accoglimento della domanda proposta condannava la parte convenuta alla restituzione del bene, fissando una somma da corrispondere per ogni giorno di ritardo.

La parte convenuta proponeva appello avverso la suddetta sentenza.

La Corte d’Appello, per quel che rileva, rigettava l’eccezione di improcedibilità per mancato o irregolare espletamento della procedura di mediazione, affermando che la questione non era stata sollevata tempestivamente ed era anche infondata in quanto dai verbali di causa e dagli atti emergeva che la procedura di mediazione si era svolta e si era conclusa senza conciliazione e senza che alcuna delle parti avesse svolto nelle sedi opportune o comunque tempestivamente in causa rilievi e/ o eccezioni sulla ritualità della stessa. Infine, in ogni caso, l'improcedibilità per il mancato esperimento della mediazione obbligatoria ex d. lgs 28/2010 doveva essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza del giudizio di primo grado (Cass. n. 29017/2018).

La Corte di Appello aggiungeva che, peraltro, come affermato dalla Corte di Cassazione con la pronuncia n. 32797 del 13 dicembre 2019, “l’improcedibilità doveva essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza del giudizio di primo grado (Cass. 13 novembre 2018 n. 29017, 13 aprile 2017, n. 9555, 2 febbraio 2017, n. 2703.)”. Dunque, in mancanza della tempestiva eccezione del convenuto e del rilievo d'ufficio, era precluso al giudice di appello rilevare l'improcedibilità della domanda. Nel caso di specie erano mancati alla prima udienza del giudizio di primo grado sia l’eccezione delle parte che il rilievo d’ufficio da parte del giudice.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, si è, quindi, pronunciata sui tre motivi di ricorso promossi dal ricorrente.

Il primo motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione - vizio di motivazione, rectius completa assenza di motivazione, in relazione al capo di impugnazione in appello, ribadito in sede di conclusioni, concernente la liquidazione delle spese oggetto di condanna in solido a carico degli odierni ricorrenti, così come contenuta nella sentenza di primo grado. violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. La Corte di Appello avrebbe completamente omesso di prendere in considerazione il motivo di impugnazione attinente alle spese, in merito al quale non avrebbe speso alcuna motivazione. Invece, nel caso di specie, come eccepito dagli appellanti, alla luce del valore indeterminabile e dei parametri del D.M. 55 del 2014 (la citazione è del 2015), la somma liquidata dal Tribunale di primo grado avrebbe superato i limiti, senza giustificazione alcuna. Il calcolo dei compensi dovrebbe prendere quale riferimento il decisum e, quindi, nel caso in esame, avendo il Tribunale pronunciato condanna alla restituzione di un immobile, sarebbe corretto riferirsi al valore come indeterminabile. La Corte d’Appello, invece, ha liquidato le spese di giudizio per il grado di appello in € 15.000,00 per compensi, oltre spese forfetizzate, iva e cpa in favore di C s.r.l. e in € 10.000,00 per compensi, oltre spese forfetizzate, iva e cpa, trascurando del tutto il motivo di appello con il quale era stato censurata la liquidazione delle spese del primo grado di giudizio. In effetti, il valore della causa, atteso l'oggetto della domanda di restituzione di beni immobili e mobili con richiesta di pagamento ex art. 614 bis c.p.c. ed una domanda di accertamento di intervenuta usucapione sfuggirebbe ai criteri previsti dall'art. 15 c.p.c. e dovrebbe essere complessivamente valutato come indeterminabile. Pertanto, avrebbe dovuto essere applicato il conteggio indicato nella comparsa conclusionale il cui calcolo finale è ben lontano dall'esito di € 50.000 contenuto in sentenza. In altri termini, vi sarebbe una completa assenza di motivazione sul punto spese.

Per la Cassazione, il primo motivo di ricorso è fondato: la Corte d’Appello, pur dando atto del relativo motivo di appello, ha del tutto omesso di esaminarlo. La Cassazione, in particolare, premette che l'erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla riqualificazione della sua sussunzione in altre fattispecie di cui all'art. 360, comma 1, c.p.c., né determina l'inammissibilità del ricorso, se dall'articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato (Sez. 6 - 5, Ord. n. 25557 del 27/10/2017). Nel caso di specie, si evidenzia, la censura di parte ricorrente complessivamente considerata è sufficientemente chiara nell’ascrivere alla Corte d’appello l’omessa pronuncia sul suddetto motivo: ricorre, pertanto, il vizio di omessa pronuncia sul motivo di appello in questione.

Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione - vizio di motivazione, in relazione al preteso possesso sine titulo, dell'immobile in questione - vizio di motivazione, del tutto insufficiente, in relazione al possesso ad usucapionem dell'immobile in questione. Secondo la Corte d’Appello, vi era occupazione sine titulo di parte dell'immobile e, per l’effetto, la parte occupante è stata legittimamente ritenuta destinataria della pronuncia di condanna al rilascio. L'assunto non è specificamente motivato, se non per relationem (si desume. Tale argomentazione, in effetti, ad una migliore disamina si rivela del tutto insufficiente e contraddittoria, in quanto non vale a fare definitivamente luce sul possesso dell'immobile in questione.

Per la Corte di Cassazione, il secondo motivo è inammissibile: la censura di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in presenza di una “doppia conforme” non è ammissibile. Peraltro, aggiunge la Cassazione, in tale ipotesi, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 5528/2014), adempimento non svolto. D’altra parte, ricorda la Cassazione, secondo la giurisprudenza di questa Corte: «Ricorre l'ipotesi di «doppia conforme», ai sensi dell'art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice» (Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 7724 del 09/03/2022, Rv. 664193 - 01).

Ciò detto, per la Cassazione, anche la censura proposta come vizio di motivazione è inammissibile: in materia, viene citato il precedente delle Sezioni Unite, con il quale è stato chiarito che, dopo la riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., operata dalla legge 134/2012, il sindacato sulla motivazione da parte della cassazione è consentito solo quando l'anomalia motivazionale si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; in tale prospettiva detta anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione (cfr. Cass. Sez. un. 8053/2014). Nel caso di specie, chiarisce la Cassazione, la grave anomalia motivazionale non esiste, perché la Corte d’Appello ha sufficientemente motivato le ragioni per le quali non poteva riconoscersi il possesso utile ad usucapire.

Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, l'omesso rilievo del fatto che una parte non ha partecipato alla mediazione. Violazione degli articoli 5 e 8 del decreto legislativo numero 28 del 2010. Omesso accertamento della mancata partecipazione di una parte alla mediazione e conseguente omessa declaratoria di inammissibilità della domanda.

Secondo parte ricorrente, perché si verifichi utilmente la condizione di procedibilità prevista dalla legge, occorre che la mediazione sia utilmente esperita con la sostanziale partecipazione delle parti. Ne deriva che, una volta promossa la procedura di mediazione, la condizione di procedibilità non si verifica se la parte instante non compare personalmente, (Sez. 3, n.8473 del 2019). Sotto altro profilo, la decisione della Corte di Appello violerebbe gli artt. 5 e 8 del d.lgs. n.28 del 2010 laddove ha ritenuto che " .. in mancanza della tempestiva eccezione del convenuto, ove il giudice di primo grado non abbia provveduto al relativo rilievo d'ufficio, è precluso al giudice di appello rilevare l'improcedibilità della domanda ... " Tale norma sarebbe applicabile nel caso di "mancato esperimento della mediazione obbligatoria", ma non nel caso in cui l'attore onerato abbia esperito l'incombente senza poi utilmente parteciparvi personalmente e delegando la presenza al difensore privo dei necessari poteri di legge la decadenza di cui all'articolo otto del decreto legislativo numero 28 del 2010 (mancata eccezione di parte convenuta, ovvero messo rilievo d'ufficio da parte del giudice entro la prima udienza) non sia applicherebbe al caso della mediazione esperita, ma del tutto irregolare nella partecipazione necessaria delle parti.

Per la Corte di Cassazione, il terzo motivo è manifestamente infondato: la Corte d'Appello ha correttamente motivato sul punto rigettando l’eccezione di improcedibilità per mancato o irregolare espletamento della procedura di mediazione. La questione, infatti, non era stata sollevata tempestivamente.

In particolare, il Collegio intende dare continuità al seguente principio di diritto: in tema di mediazione obbligatoria ex art. 5, comma 1 bis del decreto legislativo numero 28 del 2010, il preventivo esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda, ma l'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata dal giudice, non oltre la prima udienza. La Corte precisa anche che, in grado d'appello, l'esperimento della mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda solo quando è disposta discrezionalmente dal giudice, ai sensi dell'articolo 5, comma 2 (sezione III, ord. n. 25155 del 10/11/ 2020).

Dunque, chiarisce la Corte, in mancanza della tempestiva eccezione del convenuto, ove il giudice di primo grado non abbia provveduto al relativo rilievo d'ufficio, è precluso al giudice di appello rilevare l'improcedibilità della domanda. La Corte d'Appello correttamente ha evidenziato che, nel caso di specie, alla prima udienza del giudizio di primo grado erano mancati sia l'eccezione della parte che il rilievo d'ufficio da parte del giudice. Del tutto priva di fondamento, per la Cassazione, è la tesi secondo cui i suddetti principi riguarderebbero solo l’omesso espletamento della procedura di mediazione e non l’irregolare tenuta della mediazione perché l'attore onerato ha esperito l'incombente senza poi utilmente parteciparvi personalmente e delegando la presenza al difensore privo dei necessari poteri di legge. Infine, il ricorrente non si confronta neanche con l’ulteriore ratio decidendi della sentenza nella parte in cui la Corte d'Appello ha affermato che l’eccezione proposta dagli appellanti era anche infondata in quanto dai verbali di causa e dagli atti emergeva che la procedura di mediazione si era svolta e si era conclusa senza conciliazione e senza che alcuna delle parti avesse svolto nelle sedi opportune, o comunque tempestivamente in causa, rilievi e/ o eccezioni sulla ritualità della stessa.