Giurisprudenza Civile
Sulla comparizione personale delle parti nel procedimento di mediazione e sulla procura speciale necessaria per la sostituzione
Di Giuseppe Lonero
Corte di Appello di Napoli, sez. VII, sentenza 24 aprile 2024, n. 1860,
Sulla comparizione personale delle parti nel procedimento di mediazione e sulla procura speciale necessaria per la sostituzione
Di Giuseppe Lonero
Riferimenti normativi: art. 5, d.lgs. 28/2010
Principio di diritto: La parte che non voglia o non possa partecipare personalmente alla mediazione può farsi liberamente sostituire, da chiunque e quindi anche dal proprio difensore, ma deve rilasciare a questo scopo una procura sostanziale, che non rientra nei poteri di autentica dell’avvocato neppure se il potere è conferito allo stesso professionista
La sentenza in esame attiene, fra le altre, alla materia della procedibilità del gravame in esito alla mediazione ex art. 5 d.lgs. 28/2010.
Nel caso di specie, stante il mancato accordo senza proposta all’incontro ex art. 5, c. 2, il mediatore dichiarava l’esito negativo del procedimento.
La Corte, in particolare, a seguito del rilievo d’ufficio sollevato in ordine alla questione della improcedibilità della mediazione, ha invitato le parti a svolgere le proprie difese in ordine al corretto esperimento della mediazione ai fini della decisione con riguardo alla procedibilità dell’appello, evidenziando che la Corte di Cassazione, con sentenza n. 8473 del 2019, ha chiarito che, con riguardo all’esperimento della mediazione quando la stessa è condizione di procedibilità ex lege, “Nel procedimento di mediazione obbligatoria disciplinato dal d.lgs. 28/2010, quale condizione di procedibilità per le controversie nelle materie indicate dall’art. 5 c. 1 bis, del medesimo decreto (come introdotto dal d.l. 69/2013, conv. Con modif., in l. 98/2013), è necessaria la comparizione personale delle parti, assistite dal difensore, pur potendo le stesse farsi sostituire da un loro rappresentante sostanziale, dotato di apposita procura, in ipotesi coincidente con lo stesso difensore che le assiste. La condizione di procedibilità può ritenersi, inoltre, realizzata qualora una o entrambe le parti comunichino al termine del primo incontro davanti al mediatore la propria indisponibilità a procedere oltre”.
Quindi, la Corte d’Appello dichiara l’improcedibilità dell’impugnazione e ciò sulla base delle considerazioni che seguono.
In linea di diritto, la Corte aderisce ai principi affermati dalla Cassazione, la quale, in tema di mediazione, quale condizione di procedibilità della domanda, ha indicato alcune soluzioni interpretative.
In primo luogo, la Cassazione ha evidenziato come, dalla lettura sistematica della disciplina della mediazione emerge che “il successo dell’attività di mediazione è riposto nel contatto diretto fra le parti e il mediatore professionale, il quale può, grazie alla interlocuzione diretta ed informale con esse, aiutarle a ricostruire i loro rapporti pregressi ed aiutarle a trovare una soluzione che, al di là delle soluzioni in diritto della eventuale controversia, consenta loro di evitare l’acuirsi della conflittualità e definire amichevolmente una vicenda potenzialmente oppositiva con reciproca soddisfazione, favorendo al contempo la prosecuzione dei rapporti commerciali” (Cass., sez. III, sent. 27/3/2019, n. 8473; 5/7/2019 n. 18068). In questa prospettiva, “il legislatore ha previsto e voluto la comparizione personale delle parti dinanzi al mediatore, perché solo nel dialogo informale e diretto fra le parti e mediatore, conta che si possa trovare quella composizione degli opposti interessi satisfattiva al punto da evitare la controversia ed essere più vantaggiosa per entrambe le parti”; in particolare, all’art. 8 d.lgs. 28/2010, è stato previsto espressamente che “al primo incontro davanti al mediatore debbano essere presenti sia le parti che i loro avvocati”. E “la previsione della presenza sia delle parti sia degli avvocati comporta che, ai fini della realizzazione delle condizioni di procedibilità, la parte non possa evitare di presentarsi davanti al mediatore, inviando soltanto il proprio avvocato” (Cass. 8473/2019 cit.).
Tuttavia, secondo la Suprema Corte, “la necessità della comparizione personale non comporta che si tratti di attività non delegabile. In mancanza di una previsione espressa in tal senso e non avendo natura di atto strettamente personale, deve ritenersi che si tratti di attività delegabile ad altri” e “non è previsto, né escluso che la delega possa essere conferita al proprio difensore” (Cass. 8473/2019 cit.).
La Corte di Appello ricorda anche che, sul punto, la Cassazione chiarisce che “allo scopo di validamente delegare un terzo alla partecipazione alle attività di mediazione, la parte deve conferirgli tale potere mediante una procura avente lo specifico oggetto della partecipazione alla mediazione e il conferimento del potere di disporre dei diritti sostanziali che ne sono oggetto (ovvero, deve essere presente un rappresentante a conoscenza dei fatti e fornito dei poteri per la soluzione della controversia..). Quindi, il potere di sostituire a sé stesso qualcun altro per la partecipazione alla mediazione può essere conferito con una procura speciale sostanziale” (Cass. 8473/2019 cit.). A ciò consegue che “sebbene la parte possa farsi sostituire dal difensore nel partecipare al procedimento di mediazione, in quanto ciò non è auspicato, ma non è neppure escluso dalla legge, non può conferire tale potere con la procura conferita al difensore e da questi autenticata, benché possa conferirgli con essa ogni più ampio potere processuale. Per questo motivo, se sceglie di farsi sostituire dal difensore, la procura speciale rilasciata allo scopo non può essere autenticata dal difensore, perché il conferimento del potere di partecipare in sua sostituzione alla mediazione non fa parte dei possibili contenuti della procura alle liti autenticabili direttamente dal difensore” (Cass, 8473/2019).
In conclusione, “la parte che non voglia o non possa partecipare personalmente alla mediazione può farsi liberamente sostituire, da chiunque e quindi anche dal proprio difensore, ma deve rilasciare a questo scopo una procura sostanziale, che non rientra nei poteri di autentica dell’avvocato neppure se il potere è conferito allo stesso professionista” (Cass, 8473/2019 cit.).
La Corte d’Appello, quindi, evidenzia che nello stesso senso si è espressa la stessa, ribadendo, con riferimento alla procura sostanziale, che “la ratio è da rivenirsi nel fatto che l’attività di mediazione è finalizzata a verificare se sia possibile instaurare fra le parti – innanzi al mediatore – un dialogo tale da consentire in quella sede la risoluzione alternativa della controversia. Ebbene tale condizione non può ritenersi soddisfatta dal conferimento della procura processuale conferita al difensore e da questi autenticata (neppure se ivi vi sia il riferimento dell’informazione alla parte dello svolgimento del procedimento di mediazione), posto che la procura processuale conferisce al difensore il potere di rappresentanza in giudizio della parte ma non gli conferisce la facoltà di sostituirsi ad esso in un’attività esterna al processo – quale è appunto il procedimento di mediazione” (Corte App. Napoli, sent. 29/9/2020, n. 3227).
Afferma la Corte, ancora, che appare chiaro come non possa ritenersi “la sufficienza della comune procura alle liti, ancorché accordata con facoltà di compiere ogni più ampio potere processuale” (App. Napoli, sent. 3227/2020 cit.), considerato che “l’attivazione della mediazione delegata non costituisce peraltro attività giurisdizionale”, trattandosi di una “parentesi non giurisdizionale all’interno del processo” (Cass., sez. II, sent. 14/12/2022, n. 40035).
La Corte d’Appello menziona anche la più recente sentenza della Cassazione, n. 13029 del 2022, con la quale è stato ribadito come, nella comparizione obbligatoria davanti al mediatore, la parte può anche farsi sostituire da un proprio rappresentante sostanziale, eventualmente nella persona dello stesso difensore che l’assiste nel procedimento di mediazione, purché dotato di apposita procura sostanziale e che questi principi, stabiliti per la mediazione obbligatoria, sono applicabili allo stesso modo alla mediazione discrezionale disposta dal giudice d’appello (art. 5, c. 2 d.lgs. 28/2010).
A questo punto, la Corte d’Appello tratta dell’ulteriore problema di individuare chi necessariamente debba garantire la genuinità e verità della sottoscrizione apposta dalla parte rappresentata sulla procura speciale. Sul punto, viene richiamata la giurisprudenza di legittimità che si è espressa nel senso che “l’atto di conferimento di potere pur avendo la forma della procura notarile fosse in realtà una semplice, benché ampia, procura alle liti, comprensiva di ogni potere giudiziale e stragiudiziale ed ance del potere di conciliare la controversia (da qui il richiamo corretto all’art. 1185 c.p.c.) ma comunque una procura dal valore meramente processuale, che non attribuiva all’avvocato la rappresentanza sostanziale della parte”.
La Corte ricorda che, sul punto, sia in dottrina che in giurisprudenza si registrano opinioni discordanti, ma in numerose pronunce di merito si è rilevata l’inidoneità della procura speciale prodotta nel procedimento di mediazione laddove il delegante che ha proceduto all’autenticazione della firma non rivesta la qualifica di pubblico ufficiale o di soggetto comunque abilitato dalla legge all’autenticazione di sottoscrizioni apposte alla sua presenza. Questa conclusione, a dire della Corte, sembra avvalorata dalla sentenza della Cassazione sopra citata secondo la quale se la parte sceglie di farsi sostituire dal difensore, “la procura speciale rilasciata allo scopo non può essere autenticata dal difensore, perché il conferimento del potere di partecipare in sua sostituzione alla mediazione non fa parte dei possibili contenuti della procura alle liti autenticabili direttamente dal difensore”.
Difatti, prosegue la Corte, la precisazione relativa all’autentica della procura, è stata espressa dalla Suprema Corte in via generale, senza distinguo a seconda del tipo di atto alla cui stipula la procura è finalizzata e, peraltro, in una fattispecie relativa ad un’azione di risoluzione di un contratto di locazione immobiliare, sicché non appare conforme al principio affermato in detta sentenza l’interpretazione secondo la quale la Cassazione avrebbe sostenuto la necessità dell’autentica (notarile) soltanto nel caso in cui il procuratore debba comparire per conto della parte atti che abbiano ad oggetto il trasferimento di diritti reali o altri atti per i quali sia richiesta la forma ad substantiam ex art. 1350 c.c.
La Corte, quindi, osserva che anche parte della dottrina ha rilevato, in sede di prima interpretazione della sentenza de qua, che la sostituzione è ammessa non sulla scorta di una procura alle liti, ex art. 185 c.p.c., perché si rende indispensabile una procura speciale sostanziale autenticata dal notaio che assicura il mezzo più appropriato per conferire lo specifico potere i partecipare alla mediazione disponendo dei relativi diritti. In tal senso, la stessa disposizione di carattere generale di cui all’art. 1392 c.c. non sembra funzionale, secondo questa dottrina, a dirimere tale questione, attesa la diversità insita nella ratio legis cui tende il fine enunciato nella suddetta norma codicistica, riferito ad una procura inerente squisitamente la conclusione di un negozio giuridico e non alla partecipazione ad un procedimento di mediazione ad una controversia civile o commerciale, rilevante, quanto agli effetti, sul piano dell’accesso condizionato alla giurisdizione.
In sostanza, precisa la Corte, la parte delegata agisce in sostituzione di quella rappresentata sul piano sostanziale, non al mero fine di esaudirne la volontà in ordine alla conclusione di un determinato atto negoziale, ma in ragione di quello volto alla definizione di una controversia, precipuamente attraverso la difesa di interessi di parte, sia pure in un ottica volta a favorire la conciliazione, attraverso la mediazione fra i contrapposti interessi.
La Corte conclude aggiungendo che l’assenza in mediazione di un legittimo rappresentante della parte appellante non può condurre a soluzioni diverse dall’improcedibilità. Infatti, nel solco dell’insegnamento di legittimità, quando venga accertata la mancata partecipazione della parte personalmente al procedimento di mediazione e risultando altresì che il difensore per essa presente non fosse munito di idonea procura speciale, con la conseguenza che lo stesso non può considerarsi validamente delegato a partecipare in sostituzione della parte alle attività di mediazione, “la condizione di procedibilità rappresentata dall’esperimento del procedimento di mediazione (concluso senza accordo) deve considerarsi non avverata” (Cass. sez. III, sent. 5/7/2019, n. 18068).
La Corte d’Appello afferma che i principi sin qui espressi si applicano anche alla mediazione demandata dal giudice, secondo quanto disposto dall’art. 5, c. 2 d.lgs. 28/2010. Invero, sostiene la Corte, il mancato esperimento della mediazione in seguito all’ordine del giudice integra, comunque, una forma di inattività, sanzionata con l’improcedibilità, alla stessa stregua di quanto avviene nell’ipotesi di cui all’art. 348 c.p.c. In altri termini, aggiunge la Corte, l’esperimento della mediazione in appello ha natura di atto d’impulso processuale a carico dell’appellante, il quale ne è onerato a pena di improcedibilità, alla quale consegue la stabilizzazione, ex art. 338 c.p.c. della sentenza di primo grado.
Tale prospettiva, peraltro, secondo la Corte sarebbe in linea con il profilo dell’appello delineato dalle Sezioni Unite della Cassazione, secondo cui, nel vigente ordinamento processuale, il giudizio di appello non può più dirsi, come un tempo, un riesame pieno nel merito della decisione impugnata, ma ha assunto le caratteristiche di una impugnazione a critica vincolata.
Ne consegue che l’appellante assume sempre la veste di attore rispetto al giudizio di appello e su di lui ricade l’onere di dimostrare la fondatezza dei propri motivi di gravame, quale che sia stata la posizione processuale di attore o convenuto assunta nel giudizio di primo grado (Cass. SS.UU. sent. 8/2/2013, n. 3033; Cass. 9/6/2016, n. 11797; Cass. 3/9/2018, n. 21557).
La Corte di Appello già ha precisato in passato come, sulla base di questi principi, debba gravare sullo stesso soggetto l’ulteriore e implicito onere di porre in essere tutte le attività finalizzate a rendere esigibile dal giudice dell’impugnazione quella valutazione di merito delle critiche mosse alla sentenza di primo grado (Corte App. Napoli, sez. VII, sent. 28/2/2019, n. 1189), sebbene la procedura di mediazione in appello non integri “una automatica condizione di procedibilità” ma una “facoltà del giudice di creare tale condizione” (Cass. 30/10/2018, n. 27433; Cass. 13/12/2019, n. 32797).
Secondo la Corte, allora, ne deriva che, con riguardo al giudizio di appello, la sanzione dell’improcedibilità attenga all’impugnazione (e, per ciò stesso, sia all’appello principale sia a quello incidentale) e che ogni mediazione disposta ai sensi dell’art. 5 c. 2 d.lgs 28/2010, non consenta alcun meccanismo di sanatoria una volta verificatasi la decadenza dalla proponibilità della mediazione, a prescindere dalla eccezione di parte o dalla sua rilevazione entro la prima udienza di trattazione (App. Napoli, n. 1152/2019 cit.).