Giurisprudenza Amministrativa
La disciplina della compensatio lucri cum damno nell’ipotesi di danno da emotrasfusioni con sangue infetto: criterio di quantificazione del danno e criterio ermeneutico nella responsabilità civile.
Di Valeria Fraticelli
NOTA A CONSIGLIO DI STATO - TERZA SEZIONE
SENTENZA 24 giugno 2020, n. 4028
La disciplina della compensatio lucri cum damno nell’ipotesi di danno da emotrasfusioni con sangue infetto: criterio di quantificazione del danno e criterio ermeneutico nella responsabilità civile.
Di VALERIA FRATICELLI
Sommario: 1. Il caso - 2. La pronuncia del Consiglio di Stato - 3. La responsabilità del Ministero della salute per i danni da emotrasfusioni - 4. La disciplina della compensatio lucri cum damno - 5. Il ruolo della compensatio lucri cum damno nella pronuncia del Consiglio di Stato; criterio di quantificazione del danno e criterio ermeneutico.
- Il caso.
Il Consiglio di Stato ha affrontato l’esatta delimitazione degli obblighi esecutivi facenti capo all’Amministrazione, discendenti dalle sentenze di primo e secondo grado del giudice ordinario[1] che hanno affermato l’ obbligo risarcitorio nei confronti della appellante per i danni derivanti dalla infezione da virus HCV da essa contratta in conseguenza della somministrazione di emoderivati infetti.
In particolare, con le sentenze citate, il giudice civile in accoglimento della domanda proposta dal ricorrente ha proceduto alla condanna e al risarcimento dei danni nei confronti del Ministero della salute detraendo da tale somma “quanto corrisposto nel corso del tempo e quanto deve ancora corrispondersi a titolo di rendita riconosciuta ”.[2]
Il T.A.R. Toscana è stato chiamato dalla parte ricorrente a pronunciarsi per l’ottemperanza da parte del Ministero della Salute del pagamento delle somme oggetto del giudicato civile.[3]
La questione, appellata ed oggetto di successiva disamina anche di fronte alla Terza Sezione del Consiglio di Stato, ha riguardato la definizione dei limiti del meccanismo compensativo così come sancito dal giudice ordinario.
Sotto un primo profilo, è stato richiesto al T.A.R., in sede esecutiva, di determinare precisamente l’ammontare della decurtazione e della relativa “capitalizzazione”, espletando un’attività di natura squisitamente cognitiva, con la specificazione delle modalità tecniche con cui la “capitalizzazione” sarebbe dovuta avvenire. L’oggetto del giudicato civile, secondo la ricorrente e secondo lo stesso T.A.R., non avrebbe contenuto una specificazione nè aritmeticamente né sulle modalità di computo di questa commisurazione.
Sotto un secondo profilo, veniva contestata in opposizione alla diversa ricostruzione offerta in giudizio dall’Amministrazione, la mancata legittimazione ad operare ulteriori decurtazioni dalla rendita per i ratei futuri. Ciò, infatti, avrebbe contrastato con le statuizioni del giudice ordinario che avrebbe disposto un limite temporale coincidente con la data di notifica della citazione ( marzo 2008).
Il T.A.R, nell’esaminare le relative questioni sopraindicate, ha valorizzato come le statuizioni civili non pongano dubbi sulla decurtazione del risarcimento del danno anche per i ratei futuri della rendita. Anche per questi ultimi, infatti, è necessario procedere alla “capitalizzazione”.
Sulla quantificazione aritmetica di questa capitalizzazione, tuttavia, ha riconosciuta la mancanza di una puntuale definizione e determinazione oggetto del giudicato civile. La richiesta di quantificazione da parte el ricorrente in sede di incidente di esecuzione è stata tuttavia respinta in quanto “verrebbe a invadere la giurisdizione del giudice ordinario”[4]
Le stesse questioni, sono state quindi riproposte dalla parte ricorrente in Appello con opposizione da parte del Ministero appellato.
- La pronuncia del Consiglio di Stato.
Il Consiglio di Stato è stato chiamato a determinare la portata oggettiva del giudicato civile valutando se contenga una specifica statuizione attinente alla compensabilità del risarcimento con i ratei successivamente maturati e maturandi della rendita percepita dal danneggiato ricorrente.
Sul punto, la parte ricorrente, ha sostenuto la mancanza di statuizioni precise della sentenza civile passata in giudicato che consentano di scomputare legittimamente ulteriori decurtazione del suddetto assegno, rispetto a quelle sancite dal giudice ordinario con il limite temporale della data di citazione (marzo 2008).
Il Consiglio di Stato, da un lato, ha valorizzato in senso ampio la formulazione del dispositivo del giudice civile di primo grado[5] e la sentenza di Appello[6] la quale ha chiarito e confermato in maniera più puntuale ma sempre ricognitiva del pregresso svolgimento processuale, come la compensazioni e il relativo scomputo “da eseguirsi al momento dell’esecuzione” investa anche “ la capitalizzazione dei ratei di rendita maturati successivamente al marzo 2008”[7].
Dall’altro lato ha rilevato, altresì, come la compensazione sulla capitalizzazione dei ratei futuri “ sia funzionale a garantire la coerente esplicazione del principio della compensatio lucri cum damno, sul quale si incentra, in parte qua, la ratio decidendi della sentenza suindicata”.[8]
Lo stesso concetto di “capitalizzazione”, come ampiamente valorizzato dalla pronuncia in esame, viene a individuare una prestazione economica di carattere durevole commisurata in generale alla vita dell’avente diritto. Proprio il concetto economico-giuridico di “capitalizzazione” sarebbe incompatibile con qualsiasi delimitazione temporale: “che non sia quella rapportata all’intero arco temporale di (prevedibile) erogazione della prestazione continuativa, ciò tanto più laddove, come nella fattispecie in esame, si tratti di assicurare la piena esplicazione del summenzionato principio della compensatio lucri cum damno, così come recepito in sede giurisprudenziale”.
Il secondo problema, già affrontato in sede di incidente di esecuzione nel giudizio di primo grado e riproposto dalla parte appellante, ha riguardato l’assenza di esplicite indicazioni sul computo e sulla capitalizzazione delle somme risarcitorie in sentenza ed oggetto di ottemperanza.
Nonostante la Terza Sezione abbia confermato, in conformità con quanto statuito dal giudice di prime cure, la sussistenza di una clausola in “bianco” nel dispositivo della sentenza del giudice civile, quest’ultima secondo la Corte può essere “riempita”[9] in sede esecutiva.
Queste conclusioni, secondo i giudici amministrativi, si pongono in linea con le esigenze di effettività e di concentrazione della tutela, oltre che con la ragionevole durata del processo, le quali: “sarebbero inevitabilmente frustrate qualora la parte appellante, al fine di ottenere finalmente il bene della vita riconosciutole dal G.O., fosse costretta ad adire nuovamente quest’ultimo, conseguenza questa, ineluttabilmente discendente dalla appellata pronuncia di inammissibilità”.
Queste conclusioni oltre a porsi in linea con i principi costituzionali in materia, si pongono anche in linea con il diritto sostanziale. La definizione “aritmetica” del meccanismo della “capitalizzazione” non apparterebbe, secondo le considerazioni del Consiglio di Stato, alla sfera di diritto sostanziale oggetto di accertamento nel giudizio civile di cognizione, ma verrebbe a convergere sugli aspetti tecnico-esecutivi della sentenza oggetto di ottemperanza. Come è stato chiaramente evidenziato dalla pronuncia: “la pretesa risarcitoria azionata dall’odierna appellante si trova già compiutamente conformata, anche nei suoi aspetti quantificatori, in virtù del richiamo alla necessità della “capitalizzazione”, agli effetti compensativi, dell’assegno ex. Art. 1 l. n. 201/1992, mentre la identificazione dei criteri cui questa deve ispirarsi, per la sua connotazione squisitamente tecnica, appartiene al legittimo ambito decisorio del giudizio di ottemperanza”.[10]
- La responsabilità del Ministero della salute per i danni da emotrasfusioni.
La responsabilità del Ministero della salute per i danni da emotrasfusioni costituisce una ipotesi peculiare di responsabilità da comportamento materiale.[11] In relazione al danno da c.d. emotrasfusioni, ossia al danno derivante dall’aver effettuato trasfusioni con sangue infetto, possono essere individuati più soggetti chiamati, a diverso titolo, a rispondere del risarcimento del danno; la struttura ospedaliera ( ai sensi dell’ art. 1218 c.c.), il centro trasfusionale (ai sensi dell’art. 2050 c.c.), e solitamente il medico( ai sensi della regola generale aquiliana di cui all’art. 2043 c.c.).
La giurisprudenza prevalente[12], non ha mai escluso l’ulteriore responsabilità del Ministero della salute, che consegue dall’omessa vigilanza sul corretto svolgimento delle attività in esame.
La fonte di questo dovere, oltre a trovare un fondamento nella specifica norma di settore[13], troverebbe una base più ampia nel dovere di buona fede e correttezza, in applicazione al dovere solidaristico espresso in via programmatica all’art. 2 Cost.
In materia di danno da emotrasfusioni con sangue infetto, oltre ai problemi inerenti alla delimitazione temporale della responsabilità del Ministero in caso di assenza di adeguate conoscenze scientifiche sulla precisa patologia al momento della messa in circolazione del sangue per trasfusioni, e alla questione rispetto alla decorrenza del termine di prescrizione nei casi di danni c.d. lungolatenti[14], un’ ulteriore questione, oggetto della pronuncia in esame, attiene al rapporto tra il risarcimento del danno e l’indennizzo previsto all’art. 1 della legge 25 febbraio 1992, n. 210.[15]
Il Consiglio di Stato nella sentenza in esame, in linea con la giurisprudenza più recente[16], ha applicato la regola della c.d. compensatio lucri cum damno, affermando che l’indennizzo corrisposto al danneggiato da parte del Ministero della salute deve essere integralmente scomputato dalle somme corrisposte a titolo di risarcimento « posto che in caso contrario la vittima si avvantaggerebbe di un ingiustificato arricchimento, godendo, in relazione al fatto lesivo del medesimo interesse tutelato di due diverse attribuzioni patrimoniali dovute dallo stesso soggetto( il Ministero della salute) ed aventi causa dal medesimo fatto ( trasfusioni di sangue infetto)».[17]
- La disciplina della c.d. compensatio lucri cum damno
L’istituto della compensatio lucri cum damno, in assenza di una chiara norma di disciplina, può essere definito come la regola in forza della quale, ai fini del calcolo del danno risarcibile, occorre tener conto degli eventuali vantaggi che trovano origine nello stesso atto o fatto che ha causato il danno.[18]
In alcuni casi, infatti, l’illecito o l’inadempimento viene a produrre allo stesso tempo un danno e un profitto. Secondo la applicazione della teoria differenziale[19], per cui il risarcimento del danno ha come funzione preminente la reintegrazione del patrimonio del danneggiato nello stesso stato in cui si trovava prima del fatto illecito, il giudice è tenuto alla determinazione del danno differenziale che deriva dallo scomputo dei profitti derivanti dallo stesso
La natura e la operatività dell’istituto è stata esaminata nel dettaglio tanto dalle Sezioni Unite della Cassazione che dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.[20]
L’inquadramento, come osservato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, non può essere oggetto di analisi e studio unitario in quanto si correla alla specificità delle singole fattispecie.
In via generale, per ragioni di ordine logico e sistematico, può operarsi una tripartizione.
Da un lato, sono individuabili quelle situazioni caratterizzate dall’unicità dell’autore della condotta responsabile e dell’obbligato a effettuare un’unica prestazione derivante da un unico titolo.
Una seconda categoria investe le fattispecie caratterizzate dalla presenza di un solo soggetto autore della condotta responsabile e di due soggetti obbligati sulla base di titoli differenti.
Un terzo sottogruppo individua, in senso ampio, le fattispecie normativamente previste che prevedono un soggetto tenuto oltre al risarcimento ad una indennità da corrispondere per finalità solidaristiche a favore di determinate vittime.
I casi esaminati negli ultimi anni, tanto dalla giurisprudenza civile che amministrativa, hanno investito soprattutto i c.d. “rapporti giuridici trilaterali”, o più specificatamente, i duplici rapporti bilaterali: da un lato, la parte responsabile a titolo di illecito, dall’altra la parte obbligata ad altro titolo diverso.
Il presupposto su cui la giurisprudenza in passato, ha basato l’ammissibilità della compensatio lucri cum damno è quello della unicità del processo causale che ha dato vita sia al danno che al profitto. La stessa condotta illecita deve aver provocato direttamente tanto le conseguenze negative quanto quelle positive, attraverso una lettura in senso stretto e letterale dell’art. 1223 c.c.[21]
Secondo questo orientamento, maggioritario fino alle note pronunce delle Sezioni Unite del 2018, le fattispecie rientranti in questi duplici rapporti bilaterali non sarebbero riconducibili alla disciplina della compensatio e ammetterebbero, di conseguenza, il cumulo.
La diversità dei titoli delle obbligazioni e la diversità dei rapporti giuridici in queste ipotesi, ha condotto a ritenere in passato che l’indennità corrisposta a diverso titolo troverebbe nell’illecito non tanto la sua fonte legale quanto una mera occasione di fatto.
Il rischio di sovra compensazione economica in violazione dei principi sistematici che permeano la responsabilità civile, ha portato la giurisprudenza, sebbene attraverso un diverso percorso giuridico a rimettere la questione alle Sezioni Unite.[22]
La giurisprudenza nel rimettere la questione al giudice di legittimità ha rilevato come l’operatività della compensatio non derivi dall’ unicità dei titoli ma dall’identità della condotta “causale” sia per quanto riguarda il danno sia per l’attribuzione patrimoniale finalizzata a reintegrare e compensare la parte offesa.
Sotto un secondo profilo, poi, è stato evidenziato come il cumulo determinerebbe un arricchimento ingiustificato della parte lesa non in linea con la funzione compensativa della responsabilità civile.
Le Sezioni unite risolvendo il conflitto giuridico, se da un lato, hanno ritenuto che la compensatio debba essere ricostruita alla luce del criterio della causalità adeguata, dall’altro hanno escluso che il criterio causale unitario possa essere utilizzato per valutare la risarcibilità delle poste dannose. Secondo la Corte di legittimità, dunque, occorre «guardare alla funzione il cui il beneficio collaterale si rileva essere espressione, per accertare se esso sia compatibile o meno con una imputazione al risarcimento». Ciò comporta che «la determinazione del vantaggio computabile richiede che il vantaggio sia causalmente giustificato in funzione di rimozione dell’effetto dannoso dell’illecito: sicché in tanto le prestazioni del terzo incidono sul danno in quanto siano erogate in funzione di risarcimento del pregiudizio subito dal danneggiato».[23]
Ai fini della applicazione della compensatio da parte del giudice, dunque, non viene a rilevare tanto la coincidenza formale dei titoli, quanto il collegamento funzionale tra la causa della attribuzione patrimoniale e l’obbligazione risarcitoria.
Questo principio di diritto è stato di recente confermato anche da una nota sentenza della Adunanza Plenaria[24] la quale ha ritenuto che l’elemento centrale per la applicazione della compensatio sia quello della funzione perseguita dalla obbligazione nascente dal titolo diverso: se la funzione risulta risarcitoria viene ad operare la compensatio sulla base della regola generale della causalità giuridica, se la funzione assume invece un’ autonoma e propria causa, allora viene ad operare il cumulo.
Nella casistica amministrativa l’istituto della compensatio lucri cum damno ha solitamente posto il problema della determinazione e della prova dell’aliunde perceptum, ovvero delle somme che la parte ha percepito a diverso titolo in connessione con il fatto illecito. La questione ha soprattutto investito la disciplina degli appalti e dei contratti di lavoro, laddove l’ orientamento prevalente e più recente, in linea con la giurisprudenza civile, ritiene che l’onere di eccepirlo e provarlo incomba sul danneggiante, ed in mancanza di eccezione o di prova non sia possibile decurtare quanto riconosciuto a titolo di mancato guadagno.[25]
- La funzione della compensatio lucri cum damno nella pronuncia del Consiglio di Stato; criterio di quantificazione del danno e criterio ermeneutico.
Nel caso sottoposto alla Terza Sezione del Consiglio di Stato, il giudice amministrativo è venuto a valorizzare la funzione dell’istituto in esame per ricostruire e delimitare l’oggetto del giudicato civile che ha statuito sul risarcimento del ricorrente. La giurisprudenza, sia amministrativa che civile, hanno ritenuto che l’indennizzo previsto dalla legge 25 febbraio 1992, n.210 debba essere integralmente scomputato dalle somme corrisposte a titolo di risarcimento posto che in caso contrario : “la vittima verrebbe a godere di un ingiustificato arricchimento consistente nel porre a carico di un medesimo soggetto (il Ministero della salute) due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo”[26] .
Il giudice amministrativo, nel confermare come il giudicato civile contenesse anche implicitamente una statuizione sulla decurtazione del risarcimento anche per i ratei maturati e maturandi futuri di una rendita già percepita dal ricorrente, ha valorizzato come questa conclusione si allinei con la funzione espletata nel codice civile dalla compensatio[27] la quale: “opera certamente in tutti i casi in cui sussista una coincidenza tra il soggetto autore dell'illecito tenuto al risarcimento e quello chiamato per legge ad erogare il beneficio, con l’effetto di assicurare al danneggiato una reintegra del suo patrimonio completa e senza duplicazioni”.[28]
Nel caso di specie, dunque, ove il Ministero della salute aveva già provveduto all’erogazione della rendita di natura indennitaria ai sensi della L. 25 febbraio 1992, n. 210, a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto, la Terza Sezione del Consiglio di Stato ha confermato il percorso seguito dal giudice civile ritenendo che: “ deve essere integralmente scomputato dalle somme spettanti a titolo di risarcimento del danno, venendo altrimenti la vittima a godere di un ingiustificato arricchimento consistente nel porre a carico di un medesimo soggetto (il Ministero della salute) due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo”.
Il giudice amministrativo, partendo dal presupposto di fatto che il ricorrente avesse già ottenuto l’ erogazione periodica con cadenza bimestrale dell’assegno calcolato sulla base del danno subito, patrimoniale e non patrimoniale[29] ha ritenuto che la determinazione del giudice civile sulla “capitalizzazione” e riduzione della rendita anche per i ratei futuri, risultasse consentanea, da un punto di vista ermeneutico, a garantire il principio della compensatio lucri cum damno.
Il danno differenziale limitato ai soli ratei maturati, infatti, renderebbe la funzione della disciplina della compensatio : “ in buona parte insoddisfatta ove il defalco dall'entità del risarcimento spettante venisse limitato ai ratei già corrisposti al momento della liquidazione del danno, con esclusione di quelli futuri, volta che nella specie deve ritenersi già determinato ovvero determinabile il loro preciso ammontare” .
Da questo punto di vista, la Terza Sezione ha avuto modo di valorizzare l’istituto in esame non solo nel suo profilo strutturale tecnico di quantificazione del danno, ma nella sua preminente funzione sistematica all’interno della disciplina della responsabilità civile, offrendone un prezioso elemento ermeneutico confermativo della perimetrazione dell’oggetto del giudicato civile.
NOTE:
[1] Tribunale di Firenze n. 1519 del 2012; Corte di Appello di Firenze n. 485 del 25 marzo 2016.
[2] Cfr. Corte di Appello di Firenze n. 485 del 25 marzo 2016.
[3] T.A.R. toscana, sentenza n. 884 del 17 giugno 2019.
[4] Cfr. T.A.R. Toscana, sentenza n. 884 del 17 giugno 2019.
[5] Tribunale di Firenze n. 1519 del 2012
[6] Corte di Appello di Firenze n. 485 del 25 marzo 2016.
[7] Cfr. Corte di Appello di Firenze n. 485 del 25 marzo 2016.
[8] Cfr. Sentenza in esame.
[9] Cfr. Sentenza in esame.
[10] Cfr. Sentenza in esame.
[11] V. Lopilato, Manuale di diritto amministrativo, Giappichelli Editore - Torino , 2020, pag. 1226.
[12] In questo senso; Cass. Civ., Sez. III, 12 dicembre 2014, n. 26152; Cass. Civ., sez.un., 11 gennaio 2008, n. 581.
[13] Art. 10 della l. n. 219 del 2005, legge n. 338 del 1997 per le epatiti post-trasfusionali.
[14] Cass. civ., sez.un., 11 gennaio 2008, n. 581.
[15] L’art. 1 della legge n. 210 del 1992 prevede che: “ Chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria italiana, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, ha diritto ad un indennizzo da parte dello Stato, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla presente legge . 2. L'indennizzo di cui al comma 1 spetta anche ai soggetti che risultino contagiati da infezioni da HIV a seguito di somministrazione di sangue e suoi derivati, nonché agli operatori sanitari che, in occasione e durante il servizio, abbiano riportato danni permanenti alla integrità psicofisica conseguenti a infezione contratta a seguito di contatto con sangue e suoi derivati provenienti da soggetti affetti da infezione da HIV. 3. I benefìci di cui alla presente legge spettano altresì a coloro che presentino danni irreversibili da epatiti post-trasfusionali. 4. I benefìci di cui alla presente legge spettano alle persone non vaccinate che abbiano riportato, a seguito ed in conseguenza di contatto con persona vaccinata, i danni di cui al comma 1; alle persone che, per motivi di lavoro o per incarico del loro ufficio o per potere accedere ad uno Stato estero, si siano sottoposte a vaccinazioni che, pur non essendo obbligatorie, risultino necessarie; ai soggetti a rischio operanti nelle strutture sanitarie ospedaliere che si siano sottoposti a vaccinazioni anche non obbligatorie.”
[16] Cass. civ., sez.un., 11 gennaio 2008, n. 584; Cass. Civ., sez. III, 6 dicembre 2018, n. 31543; si v. anche Cons. Stato, Ad. Plen., 23 febbraio 2018, n.1.
[17] Cfr. sentenza in esame.
[18] V. Lopilato, Manuale di diritto amministrativo, Giappichelli Editore - Torino, 2020, pag. 1226
[19] Recentemente richiamata sotto il profilo della responsabilità medica dalla nota sentenza della Cass. Civ., III Sez., 11.11.2019, n. 28986.
[20] Cass.civ., sez.un., 22 maggio 2018, nn. 12564, 12565,12566,12567. Con. Stato, Adun.Plen., n. 1 del 2018.
[21] L’art. 1223 c.c. prevede che : “ Il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne sia conseguenza immediata e diretta.”
[22] Cass. Civ., sez. III, 22 giugno 2017, n. 15534
[23] Cass.civ., sez.un., 22 maggio 2018, nn. 12564, 12565,12566,12567.
[24] Cons. Stato, Ad. plen., n. 1 del 2018.
[25] Cons. Stato, Ad. Plen. n.1 del 2018; Cons. Stato, sez. VI, 15 settembre 2015, N. 4283; Cass, civ., sez. Lav., 11 giugno 2013, n. 14643.
[26] Nello stesso senso; Cass. Civ., sez. un. 11 gennaio 2008, n. 584; Cass. civ., sez. III, 12 dicembre2014, n. 26152
[27] Cassazione civile, Sez. III, n. 31543 del 6 dicembre 2018; Cass. Sez. U 11/01/2008, n. 584; Cass. 14/03/2013, n. 6573.
[28] Cfr. sentenza in esame
[29] Tabella B allegata alla L. 29 aprile 1976, n. 177, come modificata dalla L. 2 maggio 1984, n. 111, art. 7;L. n. 210 del 1992, art.2