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Anno XVI - n. 04 - Aprile 2024

  Studi



I criteri per la determinazione della quota del coniuge superstite quando concorre alla successione con i figli del de cuius: l’ingiusta ed ingiustificata posizione di privilegio riconosciuta al primo rispetto ai secondi.

Di Simonetta Carità
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I criteri per la determinazione della quota del coniuge superstite quando concorre alla successione con i figli del de cuius: l’ingiusta ed ingiustificata posizione di privilegio riconosciuta al primo rispetto ai secondi.

 

Di SIMONETTA CARITÀ

 

SOMMARIO: 1. Introduzione – 2. Cenni in ordine ai criteri di computo della quota del coniuge superstite – 3. La questione relativa all’applicabilità o meno della disciplina prevista dall’art. 540 cod. civ. in tema di successione testamentaria – 3. Evoluzione giurisprudenziale - 4. Il principio secondo cui il diritto di abitazione va calcolato in aggiunta alla quota di legittima del coniuge con maggiorazione della stessa – 5. Attuale operatività dei principi affermati dalla Suprema Corte nella sentenza delle S. U. n.  4847/2013 – 6. Conclusioni.  

 

1. In presente lavoro si pone l’obiettivo di verificare se i principi individuati dalla giurisprudenza per la determinazione della quota del coniuge superstite possono essere considerati ancora oggi equi nell’ottica di un giusto bilanciamento dei contrapposti interessi dei figli del de cuius che concorrono con il primo alla successione.

2. Al riguardo, vanno richiamate le seguenti disposizioni.

L’art. 581 cod. civ., che, nel titolo dedicato alla successione legittima, così dispone: “Quando con il coniuge concorrono i figli, il coniuge ha diritto alla metà dell’eredità, se alla successione concorre un solo figlio, e ad un terzo negli altri casi”.

L’art. 540 cod. civ., che, relativamente alla successione testamentaria, prevede che: “Al coniuge, anche quando concorra con altri chiamati, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni. Tali diritti gravano sulla porzione disponibile e, qualora questa non sia sufficiente, per il rimanente sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente sulla quota riservata ai figli”.

Ed, infine, l’art. 584 cod. civ. che, in materia di successione legittima, riguardo al coniuge putativo, espressamente richiama il secondo comma dell’art. 540 cod. civ., riconoscendo anche a quest’ultimo i diritti di abitazione e di uso sulla residenza familiare.    

Orbene, in virtù delle menzionate norme si deduce che, al coniuge che concorre con più figli del de cuius nell’ambito della successione testamentaria, spettano, oltre ad un terzo dell’eredità, anche i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni, mentre in tema di successione legittima, l’unica norma che fa riferimento ai predetti diritti sembrerebbe essere l’art. 584 cod. civ., che si riferisce al coniuge putativo.  

L’opinione prevalente in dottrina ritiene che la natura giuridica di siffatti diritti sia quella di legati di specie ex lege in quanto riferiti a diritti precisamente determinati. Conseguentemente, trattandosi di legati di specie, l'acquisto è immediato, ovverosia avviene ipso iure, in virtù di quanto prevede in via generale l'art. 649 cod. civ. Inoltre, acquistando il coniuge immediatamente i diritti de quibusall'apertura della successione, non si verifica un conflitto tra più acquirenti del medesimo diritto da risolversi mediante l'applicazione delle norme pubblicitarie (1): vale a dire che i menzionati diritti hanno autonomia concettuale e, pertanto, ne segue anche la possibilità di un autonomo acquisto ed un’autonoma rinunzia. L'autonomia concettuale di codesti diritti e la possibilità di acquisto ex lege comporta anche che l'eventuale possesso da parte del coniuge superstite della casa familiare non integri il requisito della fattispecie di cui all'art. 485 cod. civ., così non perfezionando l'ipotesi di «possesso dei beni ereditari da parte del chiamato all'eredità» ai sensi e per gli effetti di tale norma.

Un orientamento meno diffuso configura tali diritti come prelegati, ritenendo che il loro valore vada prelevato dalla massa ereditaria prima dello scioglimento della comunione ereditaria e che di esso non si debba tenere conto in sede di divisione. Infatti: “con il prelegato al coerede si assicura un quid pluris rispetto alla quota di eredità, poiché nel prelegato sono riuniti due acquisti paralleli che coesistono” (cfr. Caringella – Buffoni, V edizione, 2015, Parte IX, capitolo 3, p. 2079).

La finalità del riconoscimento dei diritti in esame al coniuge superstite è stata individuata dalla giurisprudenza nell’intento di tutelare l’interesse morale dello stesso alla conservazione dei rapporti affettivi e consuetudinari con la casa familiare, consentendogli di continuare ad abitare nella detta residenza, se di proprietà del de cuius o comune.

Recentemente, l'art. 1, comma 21° della L. 20.05.2016, n. 76, ha esteso le norme in materia di successione necessaria del coniuge alla “parte” superstite dell'unione civile. L'unito civilmente, quindi, va oggi annoverato tra i legittimari del de cuius, concorrendo, eventualmente, con i figli dello stesso, o con i suoi ascendenti, qualora non vi siano figli. Conseguentemente, secondo una parte della dottrina, il superstite dell'unione civile beneficerà del diritto di abitazione della casa familiare e del diritto d'uso dei mobili che la corredano, al pari del coniuge (2). Circa il “convivente di fatto”, l'art. 1, 42° comma, della L. 20.05.2016, n. 76, ha disposto che: «Salvo quanto previsto dall'art. 337 sexies, in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza, il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni e comunque non oltre i cinque anni. Ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni». Tale diritto viene meno nel caso in cui: «il convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza o in caso di matrimonio, di unione civile o di nuova convivenza di fatto» (art. 1, 43° comma, L. 20.5.2016, n. 76).

3. Orbene, così ricostruito il contesto normativo, va evidenziato che la mancata menzione, nel testo dell’art. 581 cod. civ., ai suindicati diritti, ha portato il Tribunale di Napoli a sollevare la questione di legittimità costituzionale della detta norma per contrasto con gli artt. 3 e 29, nella parte in cui, in materia di successione legittima, non attribuisce al coniuge, chiamato all’eredità in concorso con altri eredi, i diritti di abitazione e di uso sui mobili che la corredano, di cui all’art. 540, secondo comma, cod. civ.

Tale questione è stata risolta dall’adita Corte con l’ordinanza n. 527/1988 (3) con cui la medesima, nel dichiararne la manifesta infondatezza, ha evidenziato che: “Contrariamente all’assunto del giudice a quo, nella successione ab intestato il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare, nonché di uso sui mobili che la corredano (se di proprietà del defunto o comuni) sono attribuiti al coniuge nella sua qualità di legittimario.”

Oltre alla menzionata problematica, se ne è posta una ulteriore, ovvero se i diritti in parola vanno computati in aggiunta alla quota di riserva del coniuge, o nell’ambito della stessa. Su tale punto, autorevole dottrina (4) ha evidenziato che: “La legge non ha maggiorato la quota di legittima, che è una quota di valore, ma ha piuttosto attribuito al coniuge dei legati di specie, quali diritti reali limitati su determinati beni. Se, pertanto, i beni sono attribuiti in proprietà al coniuge, tali legati ex lege sono assorbiti in tutto o in parte dalla disposizione testamentaria”.

Anche la Corte Costituzionale, con la su indicata ordinanza n. 527/1988, ha specificato che: “L’omesso richiamo dell’art. 540, secondo comma, del codice civile, da parte della disposizione impugnata (come anche del successivo art. 582 c.c.) vale unicamente ad escludere che i diritti in argomento competano al coniuge autonomamente e cioè si cumulino con la quota riconosciutagli dagli articoli medesimi”.

Tuttavia, anche dopo la su indicata sentenza della Consulta, in giurisprudenza si sono registrati indirizzi ermeneutici contrastanti sia in ordine alla spettanza o meno dei detti diritti in caso di successione legittima, che in merito alle modalità di computo degli stessi.

Ed invero, in una risalente pronuncia del 06.04.2000, ovvero la n. 4329, la Cassazione ha escluso che i diritti de quibus spettino al coniuge in caso di successione legittima, evidenziando che in tale ambito non trovano ingresso gli istituti della disponibile e della riserva, necessari ai fini dell’applicazione dell’art. 540 cod. civ. Il detto orientamento è stato ribadito in un’ulteriore sentenza (Cassazione civile, n. 11018 del 05.05.2008), con cui si è affermato che: “Nella successione legittima, nella quota intestata in favore del coniuge superstite prevista dall'art. 581 c.c. non sono compresi i diritti di abitazione e di uso. Per quantificare l'asse ereditario, pertanto, non bisogna tenere conto del valore di tali diritti spettanti al coniuge superstite ex art. 540 c. c.”.

Per converso, in un’altra statuizione più recente (Cassazione Civile, n. 9651 del 19.04.2013) si è sostenuto che nel determinare la legittima riservata ai figli la consistenza dell’asse ereditario deve essere calcolata dopo aver preliminarmente detratto il valore dei diritti di abitazione e di uso spettanti al coniuge (5).

Il richiamato contrasto giurisprudenziale ha portato la Cassazione a rimettere la duplice questione alle Sezioni unite con l’ordinanza n. 6774 del 04.05.2012, del seguente tenore: “In tema di successione legittima la particolare importanza delle questioni, in ordine alle quali si è registrato un ampio dibattito dottrinale e un contrasto nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, se spettino in favore del coniuge superstite i diritti di abitazione e di uso e, nell'ipotesi affermativa, se tali diritti debbano aggiungersi alla quota intestata prevista dagli artt. 581 e 582 c.c., suggerisce l'opportunità di rimettere gli atti al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione alle sezioni unite. Va rimessa alle Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione la questione se in caso di successione legittima, spettino o meno in favore del coniuge superstite i diritti di abitazione e di uso e, nell'ipotesi affermativa, se tali diritti debbano o meno aggiungersi alla quota intestata prevista dagli artt. 581 e 582 c.c.

4. Le Sezioni unite, con la sentenza n. 4847/2013 (6), hanno aderito all’orientamento secondo cui tali diritti spettano al coniuge anche nell’ambito della successione legittima ed anche in assenza di una espressa norma che li preveda in suo favore, affermando che, trattandosi di prelegati, gravano su tutti i coeredi e vanno attribuiti in aggiunta alla quota al medesimo riservata dalla legge, con conseguente incremento quantitativo della stessa, dovendo essere stralciati dall’asse prima di procedere allo scioglimento della comunione.

Orbene, il principio secondo cui i diritti in esame vanno attribuiti al coniuge anche nella successione legittima, ovvero ab intestato,appare coerente con la tutela che la legge riserva al medesimo come legittimario, cioè garantire la sua permanenza nell’abitazione familiare. Va, tuttavia, precisato che tale regola dovrebbe trovare applicazione solo nella misura in cui non risultino intaccate le quote di riserva spettanti ai coeredi legittimari.

Viceversa, non condivisibile si appalesa - a giudizio di chi scrive - l’ulteriore assunto in base al quale, non operando il procedimento di imputazione di cui all’art. 553 cod. civ., i diritti in esame vanno stralciati dall’asse e calcolati in aggiunta alla quota di cui agli artt. 581 e ss. cod. civ., per poi procedersi alla divisione tra tutti i coeredi secondo le norme della successione legittima.

Una simile interpretazione finisce con il porsi in contrasto con la stessa disciplina prevista dal legislatore agli artt. 540 e 581 cod. civ., stravolgendone la ratio, e producendo effetti pregiudizievoli in danno degli altri legittimari. Per comprendere meglio le conseguenze dannose che tale assunto produce è opportuno effettuare un esempio pratico: si pensi al caso in cui ad una successione legittima concorrono Tizio e Caio quali figli del de cuius, unitamente al coniuge dello stesso, per un patrimonio di 100. In base alle previsioni dell’art. 581 cod. civ., valevoli nella detta successione legittima, al coniuge spetterebbe un terzo dell’asse, cioè 35 ed ai figli i due terzi, ovvero 65; tuttavia, al coniuge superstite va attribuito anche il diritto di abitazione, che, si faccia il caso, venga stimato in 40. Orbene, in virtù dell’assunto delle Sezioni unite, tale importo andrà preliminarmente stralciato dall’asse (100 meno 40 = 60) di modo che tutti i coeredi dovranno dividersi beni per un valore corrispondente alla rimanente parte di eredità pari a 60, di cui 20 (un terzo) al coniuge e 40 (due terzi) ai figli; ma il predetto coniuge ha già conseguito il diritto di abitazione, pari a 40, in quanto stralciato dall’asse prima della divisione. Ne consegue che a quest’ultimo verranno attribuiti beni per un importo complessivo di 60 (40+20) ed ai figli beni per un valore di 40, con palese violazione delle quote di legittima indicate dall’art. 581 c. c. nell’ipotesi di concorso del coniuge con più figli del de cuius!

Dall’esempio riportato emerge come non sia condivisibile il principio sostenuto dalla Suprema Corte secondo cui i diritti in questione vanno calcolati in aggiunta alla quota di legittima, gravando su tutti i successibili. Infatti, la predetta soluzione non appare coerente con il disposto dell’art. 540, secondo comma, cod. civ., che, nell’ambito della successione testamentaria, riserva a favore del coniuge - quale legittimario - i diritti in parola, stabilendo espressamente che tali diritti devono gravare sulla porzione disponibile e qualora questa non sia sufficiente, per la rimanente parte, sulla quota di legittima dello stesso coniuge ed eventualmente e, solo nell’ipotesi di ulteriore insufficienza di quest’ultima, sulla quota spettante ai figli, giammai indistintamente su tutti i successibili!

L’ interpretazione di cui si discute, si ribadisce, finisce con il ledere il dato testuale dell’art. 540 c. c., che, viceversa, nell’ambito della successione testamentaria, specifica che i predetti diritti spettano al coniuge legittimario e gravano sulla disponibile ed, in mancanza, sulla quota dello stesso coniuge e, solo in via del tutto residuale, su quella dei figli.

E’ evidente che, non trovando ingresso nella successione legittima l’istituto della disponibile - non avendo il de cuius disposto dei propri beni - la suddivisione tra i coeredi dovrebbe essere effettuata con riferimento all’intero patrimonio, applicando esclusivamente la disciplina indicata dagli artt. 581 e ss. c.c. in tema di successione ab intestato e, dunque, in base alle quote ivi previste, in conformità a quanto sostenuto dalla Cassazione nella sentenza n. 4329/2000, su indicata.

Ne consegue che il diritto di abitazione non dovrebbe essere stralciato e calcolato in aggiunta alla quota del coniuge, ma, qualora l’immobile venisse attribuito in proprietà al medesimo, dovrebbe essere assorbito in tutto o in parte nella detta quota, poiché diversamente si arrecherebbe una palese lesione in danno degli altri legittimari!

Ma v’è di più! L’orientamento sostenuto dalle Sezioni unite produce - a giudizio di chi scrive - un ulteriore effetto distorsivo, ovvero quello di comportare un indebito in favore del coniuge, atteso che l’art. 1022 c. c. consente esclusivamente il diritto di abitare la casa limitatamente ai bisogni del titolare e della sua famiglia. E’ evidente che o si garantisce al coniuge il godimento della casa familiare, oppure, in mancanza, gli si liquida l’equivalente monetario. Dunque, l’ulteriore attribuzione, oltre all’effettivo godimento, anche dell’equivalente pecuniario del diritto de quo, comporta un arricchimento privo di una valida ragione giustificativa, ponendosi in violazione non solo del disposto delle norme in esame, ma anche del principio giurisprudenziale secondo cui la conversione del diritto di abitazione spettante al coniuge superstite nel suo equivalente monetario trova ingresso solo nel caso in cui l’immobile venga assegnato per intero ad altro condividente e non sia possibile consentire la permanenza del primo nell’abitazione familiare.

A tanto occorre aggiungere che, secondo un recente orientamento della Cassazione, poichè il codice non reca una norma in ordine alla stima del diritto di abitazione, la detta stima va effettuata attraverso i medesimi criteri utilizzati per quella dell’usufrutto (7).

Orbene, risulta di palmare evidenza come tale assunto comporti un’ulteriore compromissione dei diritti dei figli che concorrono con il coniuge, soprattutto quando quest’ultimo sia giovane, in quanto le tabelle per la determinazione del valore dell’usufrutto recano un coefficiente che aumenta in misura proporzionale all’età: più si è giovani, maggiore è il valore del diritto de quo!

Inoltre, un’altra circostanza di cui si dovrebbe tenere conto è il tempo che spesso trascorre dall’apertura della successione: si pensi al caso in cui si proceda alla divisione dei beni ereditari nel 2016, a distanza di circa 17 anni dalla data del decesso del de cuius, risalente al 1999, e si debba effettuare la stima del valore capitale del diritto di abitazione del coniuge superstite che, nelle more, abbia continuato ad abitare la casa familiare. E’ evidente che qualora il coniuge abbia già goduto del diritto de quo per un lungo periodo, il valore di tale godimento non potrà che essere sottratto dalla relativa quota e non aggiunto, atteso che diversamente glielo si riconoscerebbe due volte! Inoltre, se i beni sono attribuiti in proprietà al coniuge, tali legati ex legedovrebbero essere assorbiti in tutto o in parte dalla disposizione testamentaria.

5. Nonostante le descritte conseguenze pregiudizievoli che un siffatto principio comporta in danno dei figli del de cuius, la Cassazione, ad oggi, continua ad affermarlo, laddove sostiene che: “In tema di successione necessaria, i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, riservati al coniuge ex art. 540, comma 2, c.c., si sommano alla quota spettante allo stesso in proprietà, con conseguente incremento quantitativo di tale quota, gravando in primo luogo sulla porzione disponibile e, ove questa non sia sufficiente, sulla quota riservata al coniuge in proprietà nonché, eventualmente, su quella riservata ai figli; ciò implica che la determinazione della porzione disponibile e delle quote di riserva dei legittimari deve avvenire considerando il valore del "relictum" (e del "donatum", se vi sia stato), comprensivo del valore della casa familiare in piena proprietà (8).

In un’altra recente sentenza (9) la Suprema Corte, pur ritenendo che nello specifico caso al suo esame si fosse formato il giudicato implicito, ha indirettamente ribadito l’operatività del principio di cui si discute, laddove ha statuito che: “La concreta attribuzione del (valore del) diritto di abitazione e di uso, nell'ambito di una controversia avente ad oggetto lo scioglimento della comunione ereditaria, non è subordinata alla formulazione di una espressa richiesta in tal senso. Tuttavia, ove il giudice di primo grado abbia disposto la divisione senza detrarre il valore capitale del menzionato diritto spettante al coniuge superstite (in aggiunta alla quota attribuita dagli artt. 581 e 582) e questa statuizione implicita negativa sul punto non abbia formato oggetto di uno specifico motivo di impugnazione, il riconoscimento del citato diritto di abitazione ad opera del giudice di appello è impedito dalle preclusioni processuali maturate e, in specie, dal giudicato interno formatosi al riguardo.”  

6. In virtù di quanto esposto è possibile affermare che una interpretazione coerente con il disposto dell’art. 540 cod. civ. dovrebbe portare a sostenere che la legge non ha maggiorato la quota di legittima del coniuge ed il criterio che computa i diritti in esame in aggiunta alla stessa si profila in contrasto alla previsione legislativa, nonché all’opinione, ormai prevalente in dottrina, che reputa eccessiva ed ingiustificata la posizione di favore accordata al coniuge, definito “successore egemone”, rispetto a quella, più penalizzante, riconosciuta ai figli del de cuius. Sul punto, è appena il caso di evidenziare che l’attività nomofilattica della Suprema Corte dovrebbe consistere in un’operazione interpretativa rivolta ad estrarre il principio di diritto da una norma previgente, affinchè tale principio costituisca, poi, la direttiva ermeneutica per gli interpreti. Viceversa, nel caso di specie, le S.U. sembrerebbero aver oltrepassato i confini dell’attività interpretativa, creando, di fatto, una norma non voluta dal legislatore.

Pertanto, non resta che auspicare un ulteriore intervento nomofilattico più coerente con il dettato normativo dell’art. 540 cod. civ. e che tenga in debito conto l’equo bilanciamento delle contrapposte posizioni, abbandonando l’ingiustificata visione di eccessivo favore accordata al coniuge e valorizzando anche gli interessi dei figli. Infatti, in una società come quella moderna in cui la famiglia allargata costituisce ormai quasi la regola, i figli del de cuius spesso si trovano a dover concorrere con una persona sostanzialmente estranea, ovvero il secondo coniuge di questi ed ai quali il principio di diritto di cui qui si discute finisce per arrecare un ingiusto ed ingiustificato pregiudizio.                    

 

NOTE:

1) M. BIANCA - 2 La famiglia - Le successioni, Editore Giuffrè Milano 1981- pag. 446.

 

2) (Bonilini, La successione mortis causa della parte superstite dell'unione civile, in Bonilini, Trattato di diritto di famiglia, V, Unione civile e convivenza, Torino, 2017, 476 ss.).  

 

3) Corte costituzionale, ordinanza n. 527 del 05.05.1988, Pres. F. Saja, est. P. Casavola, estratto: “Contrariamente all’assunto del giudice a quo, nella successione ab intestato il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare, nonché di uso sui mobili che la corredano (se di proprietà del defunto o comuni) sono attribuiti al coniuge nella sua qualità di legittimario; l’omesso richiamo dell’art. 540, secondo comma, del codice civile, da parte della disposizione impugnata (come anche del successivo art. 582 c.c.) vale unicamente ad escludere che i diritti in argomento competano al coniuge autonomamente e cioè si cumulino con la quota riconosciutagli dagli articoli medesimi” in Giurisprudenza on line.

 

4) A. TORRENTE e P. SCHLESINGER, editore Giuffrè, Milano 1981, Manuale di diritto privato, XI edizione.  

 

5) Cassazione Civile, n. 9651 del 19.04.2013: “In tema di successione necessaria, i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, riservati al coniuge ai sensi dell’art. 540, secondo comma, cod. civ., si sommano alla quota spettante a questo in proprietà, e gravano in primo luogo sulla porzione disponibile, determinata, a norma dell’art. 556 cod. civ., considerando il relictum (e del donato si via stato) comprensivo del valore capitale della casa familiare in piena proprietà, mentre in caso di incapienza della disponibile, comportano una proporzionale riduzione della quota di riserva del medesimo coniuge, nonché, ove pure questa risulti insufficiente, delle quote riservate ai figli o agli altri legittimari. (Nella specie, alla luce dell’enunciato principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito la quale, allo scopo di determinare la legittima riservata ai figli del de cuius, aveva calcolato la consistenza dell’asse ereditario dopo aver preliminarmente detratto il valore dei diritti di abitazione e di uso spettanti al coniuge”, in Leggi d’Italia - Gruppo Wolters Kluwer - De Agostini professionale - Repertorio di giurisprudenza on line.

 

6) Sezioni unite, n. 4847 del 27.02.2013: “Nella successione legittima spettano al coniuge del de cuius i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano previsti dall’art. 540, comma secondo, c.c.. Il valore capitale di tali diritti deve essere stralciato dall’asse ereditario, per poi procedere alla divisione di quest’ultimo tra tutti i coeredi secondo le norme della successione legittima, non tenendo conto dell’attribuzione dei suddetti diritti secondo un meccanismo assimilabile al prelegato” in Leggi d’Italia - Gruppo Wolters Kluwer- De Agostini professionale - Repertorio di giurisprudenza on line.

 

7) Cassazione civile, n. 14406 del 05.06.2018: “Nel giudizio di divisione di una comunione ereditaria, la stima del diritto di abitazione spettante al coniuge superstite può essere determinata attraverso i criteri relativi al diritto di usufrutto, nonostante tali diritti differiscano per le facoltà che ne sono oggetto e la relativa disciplina, poiché l'obiettiva attitudine del bene destinato a casa coniugale a soddisfare esigenze abitative comporta una sostanziale identità delle utilità ricavabili dall'immobile da parte dell'usufruttuario e dell'abitatore” in Leggi d’Italia - Gruppo Wolters Kluwer - De Agostini professionale - Repertorio di giurisprudenza on line.

 

8) Cassazione civile, n. 26741/2017, in Leggi d’Italia - Gruppo Wolters Kluwer - De Agostini professionale - Repertorio di giurisprudenza on line.

 

9) Cassazione civile, n. 8400/2019, in Leggi d’Italia - Gruppo Wolters Kluwer - De Agostini professionale - Repertorio di giurisprudenza on line.