Giurisprudenza Amministrativa
L’azione di mero accertamento nel processo amministrativo tra atipicità sussidiarietà.
Di Valeria Palmisano
Nota a Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 15 marzo 2024, n. 2508
L’azione di mero accertamento nel processo amministrativo tra atipicità sussidiarietà.
Di Valeria Palmisano*
Abstract:
Nella decisione in nota il Consiglio di Stato, dopo aver ribadito l’ammissibilità dell’azione atipica di mero accertamento anche a tutela dell’interesse legittimo, ne definisce i limiti rispetto al principio di sussidiarietà e all’interesse a ricorrere. La pronuncia si pone quindi in continuità con l’indirizzo giurisprudenziale, già inaugurato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, favorevole al riconoscimento della tutela atipica anche all’interno del processo amministrativo, seppure a talune condizioni.
In the decision in the note, the Council of State, after having reiterated the admissibility of the atypical action of mere investigation also to protect the legitimate interest, defines its limits with respect to the principle of subsidiarity and the interest in appealing. The ruling is therefore in continuity with the jurisprudential direction, already inaugurated by the Plenary Meeting of the Council of State, favorable to the recognition of atypical protection also within the administrative process, albeit under certain conditions.
- Descrizione del fatto
Il Comune Alfa ha indetto una procedura negoziata per l’affidamento della concessione relativa alla gestione della stazione marittima del suo porto, comprensiva, sia dell’attività di accoglienza e assistenza dei passeggeri, sia dell’erogazione del servizio di ristorazione.
Alla gara ha partecipato la ATI Beta - composta dalla mandataria A s.r.l. e le mandanti B e C s.r.l. – risultata all’esito aggiudicataria e, quindi, affidataria della concessione.
Senonché sono insorti contrasti tra le società facenti parte del raggruppamento, al punto che le mandanti B e C s.r.l. hanno sollecitato il Comune Alfa a svolgere verifiche al fine di accertare la persistenza, in capo alla mandataria, dei prescritti requisiti di partecipazione e, segnatamente, di quello tecnico-professionale previsto dal bando, legato all’esperienza di almeno due anni maturata in analogo settore (assistenza passeggeri e ristorazione).
La stazione appaltante, quindi, ha riscontrato la nota riferendo di non aver ravvisato le carenze denunciate e, pertanto, implicitamente confermando la spettanza dell’aggiudicazione disposta e della conseguenziale titolarità del rapporto contrattuale.
Le due società mandanti hanno quindi proposto ricorso al Tar competente al fine di ottenere l’accertamento e la declaratoria di decadenza dell'ATI dall'aggiudicazione della concessione e, conseguentemente, l'inefficacia del relativo contratto per mancanza dell’indicato requisito.
- La pronuncia di primo grado.
Il Tribunale amministrativo ha respinto il ricorso in rito, dichiarando l’inammissibilità per difetto d’interesse, atteso che, a giudizio dei giudici di primo grado, qualora fosse accertata la decadenza dal rapporto concessorio dell’ATI, di cui le società istanti sono mandanti, si verificherebbe una preclusione dall’esercizio dell’attività economica oggetto della controversia.
In altri termini le ricorrenti, attraverso l’accertamento giudiziario, non otterrebbero alcun vantaggio concreto considerato che, non avendo partecipato direttamente alla gara, bensì come raggruppamento, non potrebbero conseguire, neppure potenzialmente, l’aggiudicazione della stessa.
Peraltro, il Collegio ha ulteriormente argomentato che, all’accertamento dell’assenza dei requisiti, osta altresì l’art. 34 comma 2 c.p.c. nella parte in cui vieta al giudice di pronunciarsi con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati.
- La decisione del Consiglio di Stato e i principi enunciati.
La decisione di prime cure è stata appellata dalle società mandanti per una pluralità di motivi tra i quali, in particolare, la ritenuta erroneità della statuizione nella parte in cui il tribunale ha invocato i limiti frapposti al potere giudiziario dall’art. 34 comma 2 c.p.c..
Il giudice di primo grado, infatti, a parere degli appellanti, non avrebbe tenuto debitamente conto che la giurisprudenza amministrativa, sin dalla pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 15/2011 – chiamata a individuare le tecniche di tutela esperibili dal terzo a fronte dell’attività per effetto del deposito della SCIA – ha ritenuto ammissibile l’azione di mero accertamento nel caso in cui la stessa sia indispensabile per tutelare la pretesa sostanziale azionata. Tanto, quindi, avrebbe dovuto indurre il Collegio ad accogliere la domanda proposta.
Il Consiglio di Stato, tuttavia, ritenendo l’esame di tale motivo di ricorso assorbente, ha respinto l’appello.
In primo luogo, dopo aver ricostruito i fatti di causa, i giudici di palazzo Spada hanno concluso per l’immediata lesività della nota con cui l’amministrazione comunale, in riscontro a quella presentata dalle parti di causa, ha comunicato di non aver ravvisato le denunciate carenze in relazione ai requisiti di partecipazione della mandataria.
Ne consegue, quindi, che l’omessa impugnazione di tale atto entro i termini decadenziali determina l’inammissibilità della successiva azione di accertamento in quanto volta, surrettiziamente, a perseguire gli stessi risultati che, mediante l’azione costitutiva, le parti avrebbero potuto ottenere, con evidente elusione dei termini di decadenza prescritti.[1]
Inoltre, quand’anche fosse intervenuta la pronuncia di decadenza in via amministrativa, questa non avrebbe determinato lo scioglimento del rapporto, essendo a tal fine necessario un provvedimento di natura costitutiva atto a caducare la successiva aggiudicazione.
Con affermazioni di più ampio respiro, il Collegio ha rilevato che è vero, come sostenuto dagli appellanti, che la giurisprudenza amministrativa, a partire dalla sentenza dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 15 del 2011, ha ammesso espressamente l'azione generale di accertamento anche a tutela di posizioni di interesse legittimo, sebbene non tipizzata dal legislatore, ma ciò a patto che la stessa risulti “... necessaria al fine di colmare esigenze di tutela non suscettibili di essere soddisfatte in modo adeguato dalle azioni tipizzate”.
“In altre parole” si legge nella sentenza “nel processo amministrativo, l'azione di accertamento è ammessa solo eccezionalmente, in diretta applicazione del principio di effettività della tutela, là dove manchino, nel sistema, strumenti giurisdizionali a protezione di interessi certamente riconosciuti dall'ordinamento”[2].
Nel caso di specie quindi i giudici di appello hanno escluso la sussistenza del carattere della sussidiarietà dell’azione esperita, posto che gli appellanti godevano di una pluralità di rimedi, primo tra tutti l’azione impugnatoria avverso la nota con cui l’amministrazione ha ritenuto sussistenti i requisiti tecnici in capo alla mandataria.
Peraltro, anche qualora il suddetto atto non sia ritenuto munito di efficacia lesiva, non potrebbe pervenirsi ad esito diverso atteso che residuava pur sempre, in capo alle parti istanti, l’azione avverso il silenzio di cui agli artt. 31 e 117 c.p.c..
- Conclusioni
La sentenza in esame tratteggia, in forma sintetica ma al contempo puntuale, lo statuto generale dell’azione di accertamento atipica nel processo amministrativo e i suoi limiti di invocabilità, anche alla luce dei principi generali dell’ordinamento.
La pronuncia ribadisce l’atipicità del sistema di tutela dell’interesse legittimo nel cui ambito, quindi, è ammissibile ogni azione, indipendentemente dalla espressa previsione normativa. Tanto anche alla luce della riscrittura del codice del processo all’indomani dei correttivi e, prima ancora, della rinnovata lettura sostanziale dell’interesse legittimo.
Giova precisare, in ordine a tale ultimo aspetto, che trattandosi, secondo la definizione dottrinale più recente, di una situazione sostanziale differenziata, qualificata e direttamente tutelata dall’ordinamento, l’interesse legittimo gode, proprio come il diritto soggettivo, di piena tutela giudiziaria, anche se non tipizzata.
Tanto premesso, però, tale strumento rimediale non è invocabile incondizionatamente.
I giudici di Palazzo Spada, infatti, richiamano due limiti: quello dell’interesse a ricorrere e quello della sussidiarietà.
In ordine al primo, essendo la natura del processo amministrativo soggettiva, occorre pur sempre che il rimedio proposto risponda ad un interesse, cioè sia idoneo a fornire un vantaggio concreto, attuale ed effettivo alla parte che invochi l’intervento del giudice. In altri termini una statuizione di mero accertamento, finalizzata alla sola attestazione di ciò che è legittimo o ciò che non lo è, non potrà trovare accoglimento.
Inoltre, sempre nel perimetrare la rete di contenimento dell’azione atipica in esame, i giudici di appello, hanno fatto applicazione del principio di sussidiarietà in forza del quale, cioè, l’azione di accertamento ha natura di rimedio residuale, che viene in rilievo solo laddove, in astratto, non ve ne sia altro esperibile.
Detto diversamente, ogni qual volta sussiste una forma tipica di tutela prevista, anche se in concreto non più azionabile per decorso dei termini o per assenza dei presupposti o per altra ragione, l’azione di mero accertamento è preclusa con conseguente declaratoria di inammissibilità della domanda da parte del giudice adito.
* Giudice Ordinario presso il Tribunale di Trani.
[1] Cons. Stato, Sez. V, 1/12/2020, n. 7624
[2] Consiglio di Stato sez. III, 26/5/2023, n. 5207; 7/4/2021, n. 2804; Sez. IV, 7/1/2019, n. 113