Temi e Dibattiti
Tra tutela del mercato e regolazione: breve contributo allo studio delle sanzioni irrogate dalle Autorità Amministrative Indipendenti.
Di Giuseppe Maria Marsico
Tra tutela del mercato e regolazione: breve contributo allo studio delle sanzioni irrogate dalle Autorità Amministrative Indipendenti.
Di Giuseppe Maria Marsico
Abstract
Il tema della potestà sanzionatoria delle Autorità amministrative indipendenti ha assunto, negli ultimi anni, un crescente rilievo, soprattutto in ragione dell’importanza economica e sociale degli interessi sui quali essa viene a incidere. Esso è strettamente connesso alla disciplina della tutela del mercato e della regolazione
Peraltro, le sanzioni di tali Autorità, data anche la loro tendenziale maggiore gravità, sono più di frequente impugnate in sede giudiziale: ciò ha contribuito a fare sì che il settore in esame sia stato, in molti casi, una sede privilegiata per la formazione di orientamenti giurisprudenziali, spesso di rilevante portata creativa, anche in tema di contraddittorio.
Proprio nel contesto di tale esperienza pretoria, è emersa, tra l’altro, la fragilità di alcune tradizionali categorie in tema di natura delle sanzioni amministrative pecuniarie, di loro distinzione rispetto alla generalità dei poteri regolatori amministrativi, funzionali alla disciplina del mercato.
The issue of the sanctioning power of independent administrative authorities has assumed growing importance in recent years, above all due to the economic and social importance of the interests on which it affects. It is closely connected to the discipline of market protection and regulation
Furthermore, the sanctions of these Authorities, also given their tendency to be more serious, are more frequently challenged in court: this has contributed to ensuring that the sector in question has been, in many cases, a privileged forum for the training of jurisprudential orientations, often of significant creative significance, also in terms of cross-examination.
Precisely in the context of this praetorian experience, among other things, the fragility of some traditional categories regarding the nature of administrative pecuniary sanctions and their distinction with respect to the generality of administrative regulatory powers, functional to market regulation, emerged.
Sommario: 1. Introduzione. - 1.1. Tra natura deterrente e natura punitiva. – 2. Contraddittorio e autorità indipendenti: tra sanzione e regolazione. - 3. Procedimenti sanzionatori: tra vigilanza e tutela del mercato. – 4. Poteri sanzionatori della CONSOB: tra tutela del mercato e corretto esercizio del potere. – 5. Conclusioni.
- Introduzione.
Qual è lo statuto garantistico delle sanzioni amministrative? E più in particolare: si applicano a tali sanzioni le garanzie[1] che la Costituzione e le carte internazionali dei diritti — a cominciare dalla CEDU e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE) — riservano alla materia del diritto e del processo penale? La questione è da tempo discussa presso la giurisprudenza di molti paesi e dal case law della Corte EDU, ed è altresì ben nota alla dottrina[2] penalistica, amministrativistica e costituzionalistica italiana; ma è stata affrontata funditus soltanto negli ultimissimi anni dalla giurisprudenza della Corte costituzionale italiana.
La soluzione più netta è quella adottata ad esempio dalla Costituzione spagnola, che all'art. 25, primo comma, sancisce il principio di legalità con riferimento tanto alla materia penale in senso stretto, quanto alla materia delle sanzioni amministrative; il che non ha peraltro impedito alla giurisprudenza costituzionale di quel paese di declinare in maniera parzialmente differente taluni corollari del principio[3], con riferimento rispettivamente agli illeciti penali e a quelli amministrativi, ammettendo in particolare margini più ampi di integrazione del precetto ad opera di fonti regolamentari in relazione a questi ultimi.
D'altra parte, il Tribunal Constitucional ha esteso le garanzie della legalità penale “sostanziale” anche alle sanzioni tributarie e all'espulsione amministrativa dello straniero; mentre, con riferimento alla materia processuale, ha proceduto valutando, in relazione a ciascuna garanzia, se la sua ratio si estendesse all'intera materia sanzionatoria, o fosse invece da riservare al suo nucleo duro rappresentato dal processo penale in senso stretto .
L'estensione di talune garanzie penalistiche — processuali e sostanziali — riservate dalla Legge fondamentale alle sanzioni amministrative è stata attuata anche dalla Corte costituzionale tedesca, che — muovendo da una nozione sostanziale dei concetti di “pena” (Strafe) e di “punizione” (Bestrafung) utilizzati all'art. 103, secondo comma, del Grundgestez — ha considerato applicabili alle sanzioni amministrative (e in parte a quelle disciplinari) le garanzie della irretroattività e della necessaria precisione del precetto sanzionato, nonché i principi di colpevolezza e di presunzione di innocenza.
Se si eccettua una sia pur autorevole opinione favorevole all'applicabilità di numerose garanzie penalistiche, soprattutto di matrice sostanziale, alle sanzioni amministrative (in particolare, tassatività del precetto, irretroattività e retroattività in mitius, colpevolezza, umanità della sanzione, mentre dovrebbero ritenersi circoscritte alle sanzioni penali in senso stretto — tra le altre — la riserva di legge statale, la presunzione di innocenza, la finalità rieducativa e l'obbligatorietà dell'azione penale) la dottrina italiana decisamente prevalente sino a pochissimi anni or sono era orientata in senso tendenzialmente contrario a una simile estensione.
Emblematica, in proposito, la posizione di Bricola, che nella sua celebre voce “Teoria generale del reato” del 1974 negò la possibilità di estendere i principi derivati dall'art. 25, secondo comma, Cost. alle sanzioni amministrative, riconducibili a suo avviso al meno esigente ombrello garantistico rappresentato dall'art. 23 Cost.; e ciò anche allo scopo di non indebolire, per effetto di una sua applicazione eccessivamente diffusa, la tutela del nullum crimen nel suo nucleo naturale di applicazione, rappresentato dalle sanzioni privative della libertà personale, in rapporto alle quali quelle garanzie si sono storicamente formate.
La medesima chiusura fu in seguito espressa da Palazzo (in rapporto al principio di determinatezza-tassatività), e poi — a valle dell'entrata in vigore della legge di depenalizzazione n. 689 del 1981 afferrabile a prescindere dal riferimento alla tutela della libertà personale, sulla quale però soltanto la pena in senso stretto è in grado di incidere[4].
Il quadro si è modificato soltanto negli ultimissimi anni, su impulso decisivo della giurisprudenza della Corte EDU: una giurisprudenza, invero, risalente almeno alla metà degli anni Ottanta, quando la sentenza Oztürk ritiene applicabili le garanzie dell'equo processo in materia penale al procedimento applicativo di una sanzione pecuniaria amministrativa irrogata per violazione delle norme del codice stradale, sulla base dei criteri “materiali” enunciati per la prima volta nel 1976, nel celeberrimo caso Engel.
Facendo tesoro anche degli insegnamenti della giurisprudenza successiva della Corte EDU, che sulla base dei medesimi criteri aveva applicato le garanzie della legalità penale di cui all'art. 7 CEDU a sanzioni non formalmente qualificate come penali nell'ordinamento nazionale, ma dalla natura sostanzialmente “punitiva”, la Corte costituzionale italiana ha preso — a partire dalla sentenza n. 196 del 2010 — ad adottare essa pure un concetto “sostanziale” di sanzione “punitiva”, cui applicare le garanzie che la Costituzione italiana riserva alla materia penale, a cominciare dal nullum crimen, nulla poena sine lege e dal suo corollario del divieto di applicazione retroattiva delle pene sancito dall'art. 25, secondo comma, Cost.
Se la sentenza n. 196 del 2010 aveva ad oggetto una sanzione (la confisca dell'autoveicolo) dalla dubbia qualificazione anche da un punto di vista meramente formale, essendo irrogata — all'epoca — dallo stesso giudice penale in conseguenza della condanna per un reato, negli anni successivi la Corte ha esteso a sanzioni certamente di natura amministrativa vari corollari dell'art. 25, secondo comma, Cost. (in particolare, il divieto di applicazione retroattiva in peius e il principio di sufficiente determinatezza della fattispecie), nonché l'obbligo di applicazione retroattiva della legge più favorevole e il divieto di pene sproporzionate.
In altre recenti occasioni, la Corte si è posta il problema della possibile estensione alle sanzioni amministrative dei principi costituzionali in materia di processo penale: in proposito, se ha ripetutamente lasciato aperta la questione dell'applicabilità del divieto di bis in idem all'ipotesi di doppio procedimento sanzionatorio (penale in senso stretto e amministrativo-punitivo) in relazione al medesimo fatto materiale, ha invece investito la Corte di giustizia dell'Unione europea della questione se il principio nemo tenetur se accusare — corollario dei principi del giusto processo e della presunzione di innocenza — si applichi anche agli illeciti amministrativi dalla coloratura punitiva[5]. Questi sviluppi determinano, dunque, un radicale mutamento del contesto su cui si erano formate le opinioni dottrinali sopra menzionate, e sollecitano una riflessione sulla fondatezza delle ragioni poste a base dell'estensione, di fatto già operata dalla Corte costituzionale, di tutta una serie di garanzie penalistiche alle sanzioni amministrative.
Al contempo, essi sollevano l'interrogativo se il cammino intrapreso dalla Corte meriti in futuro di essere completato, attraverso la totale equiparazione degli statuti costituzionali delle sanzioni penali stricto sensu e delle sanzioni amministrative (di carattere “punitivo”), ovvero se e in che misura sia opportuno conservare l'idea di statuti ancora differenziati, nonostante la riferibilità a entrambe le categorie di sanzioni delle garanzie che la Costituzione riserva espressamente alla materia penale.
- Tra natura deterrente e natura punitiva.
Il seminal case: la sentenza n. 196 del 2010. — Dopo qualche inziale timida apertura a una nozione “sostanziale” di pena, in passato la Corte aveva sempre escluso, con una granitica giurisprudenza almeno quarantennale, che l'art. 25 Cost. potesse applicarsi a sanzioni diverse da quelle qualificate formalmente come penali dal legislatore, e in particolare agli illeciti amministrativi previsti dalla legislazione statale o regionale, oltre che agli illeciti disciplinari.
È solo con la sentenza n. 196 del 2010, diffusamente riconosciuta in dottrina come turning point nella giurisprudenza costituzionale, che la Corte sottolinea « la necessità, a fronte di ogni reazione ad un fatto criminoso che il legislatore qualifichi in termini di misura di sicurezza, di un controllo in ordine alla sua corrispondenza non solo nominale, ma anche contenutistica, alla natura spiccatamente preventiva di detti strumenti »; e ciò « al fine di impedire che risposte di segno repressivo, e quindi con i caratteri propri delle pene in senso stretto, si prestino ad essere qualificate come misure di sicurezza, con la conseguenza di eludere il principio di irretroattività valido per le pene[6] ».
Osserva ancora la Corte che «una preoccupazione analoga — e cioè quella di evitare che singole scelte compiute da taluni degli Stati aderenti alla CEDU, nell'escludere che un determinato illecito ovvero una determinata sanzione o misura restrittiva appartengano all'ambito penale, possano determinare un surrettizio aggiramento delle garanzie individuali che gli artt. 6 e 7 riservano alla materia penale — è, del resto, alla base dell'indirizzo interpretativo che ha portato la Corte di Strasburgo all'elaborazione di propri criteri, in aggiunta a quello della qualificazione giuridico-formale attribuita nel diritto nazionale, al fine di stabilire la natura penale o meno di un illecito e della relativa sanzione ».
Da tali premesse, prosegue la Corte, discende il « principio secondo il quale tutte le misure di carattere punitivo-afflittivo devono essere soggette alla medesima disciplina della sanzione penale in senso stretto ». Tale principio rileva nell'ordinamento interno ai sensi dell'art. 117, primo comma, Cost. in relazione all'art. 7 CEDU — e cioè ai sensi del parametro invocato nel caso concreto dal ricorrente —; ma, osserva obiter la Corte, il principio stesso è altresì « desumibile dall'art. 25, secondo comma, Cost., il quale — data l'ampiezza della sua formulazione (« Nessuno può essere punito... ») — può essere interpretato nel senso che ogni intervento sanzionatorio, il quale non abbia prevalentemente la funzione di prevenzione criminale (e quindi non sia riconducibile — in senso stretto — a vere e proprie misure di sicurezza), è applicabile soltanto se la legge che lo prevede risulti già vigente al momento della commissione del fatto sanzionato[7] ».
Nel caso in esame, la Corte conclude per l'appunto nel senso che la confisca dell'autoveicolo costituisse una misura dalla « natura essenzialmente sanzionatoria », in relazione in particolare alla « duplice considerazione », sviluppata dal giudice rimettente, « che tale “misura è applicabile anche quando il veicolo dovesse risultare incidentato e temporaneamente inutilizzabile” (e, dunque, “privo di attuale pericolosità oggettiva”) e che la sua operatività “non impedisce in sé l'impiego di altri mezzi da parte dell'imputato, dunque un rischio di recidiva”, sicché la misura della confisca si presenta non idonea a neutralizzare la situazione di pericolo per la cui prevenzione è stata concepita »: considerazioni, queste, che rendono insostenibile la sua possibile alternativa qualificazione in termini di misura di sicurezza, e che impongono piuttosto una sua attrazione nell'alveo garantistico delle pene in senso stretto, inapplicabili per vincolo costituzionale e convenzionale ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore della norma che le prevede.
Il divieto di applicazione retroattiva delle pene viene successivamente applicato nel 2014 — sulla base del richiamo alla sentenza n. 196 del 2010 — a una norma regionale che imponeva l'applicazione di sanzioni amministrative anche ai procedimenti in corso, senza alcuna motivazione specifica sulla natura “punitiva” delle sanzioni medesime, data evidentemente per scontata dalla Corte; e viene confermato obiter in una sentenza del 2016, avente a oggetto un'ipotesi di sospensione dalle cariche elettive introdotta dalla c.d. legge Severino, ove si distingue l'ipotesi censurata rispetto alle « misure di carattere afflittivo-punitivo », come tali soggette al divieto di applicazione retroattiva[8].
La sentenza n. 68 del 2017, esaminando una censura relativa all'applicazione retroattiva di una confisca amministrativa per equivalente, conferma poi la connotazione « prevalentemente afflittiva » di tale misura e, pertanto, la sua natura « eminentemente sanzionatoria », peraltro già affermata dalla Corte nel 2009 in relazione ad altra ipotesi di confisca penale per equivalente; e trae da tale premessa l'implicazione che « una volta acclarata la funzione punitiva propria della confisca prevista dall'art. 187-sexies impugnato, è conseguente l'applicabilità dell'art. 25, secondo comma, Cost. in punto di divieto di retroattività ». Tale garanzia costituzionale concerne infatti « non soltanto le pene qualificate come tali dall'ordinamento nazionale, ma anche quelle così qualificabili per effetto dell'art. 7 della CEDU [...], perché punire a qualsivoglia titolo la persona per un fatto privo di antigiuridicità quando è stato commesso significa violare il cuore dell'affidamento che l'individuo è legittimato a riporre nello Stato ».
Nonostante le esitazioni di un paio di pronunce pressoché coeve — interpretate da parte della dottrina come espressive di un parziale ripensamento della Corte sulla opportunità di estendere tutte o alcune garanzie penalistiche alla materia delle sanzioni amministrative, o quanto meno all'intera materia delle sanzioni amministrative —, la sentenza n. 223 del 2018, relativa alla medesima ipotesi di confisca amministrativa per equivalente in materia di abusi di mercato già scrutinata nella sentenza n. 68 del 2017, torna a ribadire l'applicabilità della « fondamentale garanzia di irretroattività sancita dall'art. 25, secondo comma, Cost., interpretata anche alla luce delle indicazioni derivanti dal diritto internazionale dei diritti umani » e segnatamente dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo sull'art. 7 CEDU, « alle sanzioni amministrative a carattere punitivo », rispetto alle quali si impone « la medesima esigenza, di cui tradizionalmente si fa carico il sistema penale in senso stretto, di non sorprendere la persona con una sanzione non prevedibile al momento della commissione del fatto ».
Infine, come vedremo, nel 2019 varie sanzioni del testo unico in materia di intermediazione finanziaria sono state qualificate in una serie di pronunce come misure di carattere « punitivo » ai fini, rispettivamente, dell'applicazione dei principi costituzionali (oltre che convenzionali e della Carta) di retroattività in mitius, della proporzionalità della sanzione e del c.d. “diritto al silenzio”, nonostante — ancora una volta — la loro qualificazione formale come sanzioni amministrative, irrogabili come tali dalla CONSOB e non già dall'autorità giudiziaria penale[9].
Dal quadro che precede emerge, dunque, che la Corte ha ormai abbracciato decisamente una nozione “sostanziale” di illecito “punitivo”, che costituisce il presupposto logico per l'estensione di una serie di garanzie previste dalla Costituzione e dalle carte dei diritti nella materia penale (sostanziale e processuale); una nozione che dichiaratamente si ispira ai criteri Engel utilizzati dalla più che quarantennale giurisprudenza sul tema della Corte EDU.
Al riguardo, le ultime pronunce sembrano assestarsi, dal punto di vista terminologico, sull'uso dell'aggettivo “punitivo” a connotare la natura della sanzione alla quale applicare le garanzie in parola, con preferenza rispetto agli aggettivi — spesso usati alternativamente nelle prime sentenze di questo filone — “sanzionatorio” e “afflittivo”. In effetti, il concetto di “sanzione” — che sottolinea la natura reattiva della misura rispetto alla commissione di un illecito, e dunque alla violazione di una norma — ben potrebbe essere riferito anche a misure non connotate da una dimensione “punitiva”, come — paradigmaticamente — il risarcimento del danno. Parimenti, il connotato di “afflittività”, che pure può certamente essere invocato (accanto ad altri fattori) come indizio per l'attribuzione di una natura “punitiva” a una determinata sanzione, si limita ad alludere all'incidenza della misura sui diritti fondamentali del destinatario, che però è comune a una quantità del tutto eterogenea di misure che non necessariamente hanno natura punitiva, e che nemmeno potrebbero essere qualificate come “sanzioni” per un comportamento illecito (come nel caso di un trattamento sanitario obbligatorio nei confronti di un malato mentale, che è certamente “misura” pesantemente incidente sulla sua libertà personale e come tale “afflittiva”, ma che certo non potrebbe essere intesa come una “pena”, né come una “sanzione” nei confronti dell'interessato[10]).
La questione cruciale è, piuttosto, quella della più precisa individuazione dei criteri per l'attribuzione di natura “punitiva” alla sanzione che di volta in volta viene in considerazione. Assai noti sono, in effetti, i criteri elaborati dalla Corte EDU a partire dalla sentenza Engel — qualificazione formale dell'illecito, natura dell'illecito e grado di severità della sanzione —, a loro volta arricchiti da vari sotto-criteri, tra i quali spicca quello della finalità della sanzione e quello, utilizzato specialmente nei casi concernenti l'art. 7 CEDU, del legame della sanzione con un procedimento penale; ma oggetto di dubbi consistenti in dottrina è la reale idoneità di questi criteri a orientare in modo coerente e prevedibile l'interprete. E ciò anche a fronte del disinvolto atteggiamento della Corte di Strasburgo, che da un lato tende a riconoscere con generosità il carattere “punitivo” delle misure di volta in volta esaminate, ricomprendendovi anche sanzioni dal bassissimo impatto sui diritti fondamentali del destinatario (come, emblematicamente, la sanzione di poche decine di marchi nel seminal case Oztürk); e che, dall'altro lato, tende spesso a declinare in forma più lasca e meno esigente per lo Stato i vincoli convenzionali in relazione alle sanzioni non formalmente penali, e in concreto meno afflittive per i rispettivi destinatari[11].
Un punto preliminare appare comunque fuori discussione: laddove sia il legislatore stesso a qualificare una sanzione come “pena” — e dunque, nell'ordinamento italiano, come ergastolo, reclusione, arresto, multa o ammenda, secondo il linguaggio utilizzato dall’art. 17 c.p., da tale qualificazione discenderà in via automatica l'applicazione delle norme del primo libro del codice penale e del codice di procedura penale alla sanzione medesima, all'illecito per il quale è prevista, nonché al relativo procedimento applicativo; e assieme ne conseguirà anche, in via altrettanto automatica, l'applicabilità a quella pena, a quell'illecito e a quel procedimento dell'insieme delle garanzie costituzionali, convenzionali e della Carta previste per la materia penale. Qualificando la sanzione e l'illecito come penale, il legislatore ne affida infatti il procedimento applicativo alla giurisdizione penale, e al tempo stesso — per così dire — riconosce come pacifico l'assoggettamento della disciplina così posta in essere ai vincoli di natura superprimaria, nonché a quelli derivanti dal diritto internazionale e dell'Unione, che presiedono all'esercizio dello ius puniendi; indipendentemente, dunque, da ogni valutazione sul grado di afflittività della sanzione, sulla finalità perseguita dal legislatore, sulla natura dell'illecito sanzionato, e così via. Giacché — a tacer d'altro — il semplice stigma associato a quella sanzione, qualificata come “pena”, giustifica l'entrata in scena dell'intero arsenale delle garanzie sostanziali e processuali che circondano, appunto, ogni pena, quale che ne sia la qualità e quantità.
Il problema della qualificazione “sostanziale” della materia penale si pone dunque — nel diritto costituzionale esattamente come in quelli convenzionale e unionale — soltanto ove la sanzione, l'illecito che ne costituisce il presupposto e il relativo procedimento applicativo non abbiano “forma” e nomen penale, in base alle scelte del legislatore; trattandosi qui di evitare la possibile “frode delle etichette” — sulla quale mette in guardia, in maniera assai chiara, la sentenza n. 196 del 2010 —, rappresentata dalla mancata configurazione in termini di “pena” di una sanzione che ne ha, però, le caratteristiche sostanziali, allo scopo di evitare l'applicazione delle garanzie sostanziali previste per la materia penale dalla Costituzione e dalle carte dei diritti.
- Contraddittorio e autorità indipendenti: tra sanzione e regolazione.
Il tema del contraddittorio nei procedimenti sanzionatori di competenza delle autorità indipendenti, in particolare di quelle preposte al settore finanziario e bancario, è stato al centro di un ampio dibattito in sede dottrinale e giurisprudenziale[12].
Per svolgere qualche considerazione sul tema, conviene anzitutto ricordare perché è importante il contraddittorio nei procedimenti innanzi alle autorità indipendenti, tra le quali va inclusa oltre che la Consob e l'IVASS, anche la Banca d'Italia. Infatti, dopo la legge 28 dicembre 2005, n. 262, la Banca d'Italia è stata ricondotta nella categoria delle autorità indipendenti, mentre fino a qualche anno prima si tendeva a non assimilarla a tale modello.
La rilevanza del contradditorio nei procedimenti innanzi alle autorità indipendenti. — In termini generali la centralità del contraddittorio nei procedimenti innanzi alle autorità indipendenti può spiegarsi essenzialmente per due ragioni.
Anzitutto, vi è il fatto che nel conferire i poteri delle autorità indipendenti il legislatore non riesce a tipizzare le fattispecie precise, ma ricorre alla tecnica dei concetti giuridici indeterminati o dei principi generali. Si verifica, pertanto, inevitabilmente una caduta della legalità sostanziale e ciò richiede un bilanciamento nel rafforzare le garanzie procedurali, che servono anche e specificamente ad aiutare a concretizzare il concetto indeterminato nel confronto con gli interessati.
Il contraddittorio serve cioè anche a tradurre il concetto giuridico indeterminato in misura concreta, tenendo conto di tutti gli elementi che servono al perseguimento di questo scopo.
In secondo luogo, le autorità indipendenti, com'è noto, soffrono di una carenza di legittimazione democratica, perché non sono sottoposte al potere di indirizzo del governo, ma sono raccordate in modo più debole al circuito della responsabilità politica attraverso il legame con il Parlamento al quale devono riferire sull'attività svolta e il quale ben potrebbe incidere sul loro statuto giuridico, in caso di grave insoddisfazione in relazione al loro operato, modificando le norme primarie.
Pertanto, la partecipazione nei procedimenti regolatori e il contradditorio in quelli individuali, servono a legittimare maggiormente il potere. Infatti, se una sanzione viene irrogata all'esito di un procedimento in cui l'interessato ha avuto pieno modo di svolgere le proprie difese, la decisione è più accettabile, e l'accettabilità (Akzeptanz, secondo la dottrina tedesca) produce una maggiore legittimazione, che rappresenta un elemento importante del modello.
Il contradditorio può distinguersi in orizzontale e verticale. Questa distinzione tra contraddittorio verticale e orizzontale, ormai recepita anche dalla giurisprudenza amministrativa, è importante per stabilire i livelli di tutela e di facoltà che vengono attribuiti alle parti anche nel confronto con il decisore.
Nei procedimenti sanzionatori il contraddittorio ha una natura essenzialmente verticale, come statuito dalla giurisprudenza perché involge l'autorità che esercita il potere e il soggetto nei cui confronti potrà essere irrogata, ove venga accertata una violazione, la sanzione.
Il contraddittorio orizzontale è in particolare quello garantito alle parti soprattutto nel processo civile. In esso non vi è l'intermediazione di un atto di un'autorità amministrativa, ma soltanto la sottoposizione a un giudice di elementi di fatto e di diritto sulla base dei quali verrà emanata una sentenza. Si può prendere come esempio un'azione risarcitoria antitrust, dove il giudice applica direttamente, senza il filtro rappresentato dalla pronuncia dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato (“AGCM”), concetti giuridici indeterminati come per esempio quello di “mercato rilevante[13]”.
In questo ambito è particolarmente necessario che vi sia un contraddittorio orizzontale pieno, tra chi propone l'azione risarcitoria antitrust e chi invece si difende.
Nei procedimenti amministrativi sanzionatori, il contraddittorio ha una natura verticale, in quanto, come già detto, si inserisce in un rapporto bilaterale tra l'autorità che esercita la potestà sanzionatoria e il soggetto privato che è oggetto del procedimento sanzionatorio.
Nel caso delle autorità indipendenti, interviene però la regola, prevista dalla legislazione italiana sulla base degli esempi anglosassoni, di porre una separazione più netta tra gli uffici istruttori e quelli decisionali in modo da introdurre un elemento di orizzontalità del contraddittorio tra soggetto sanzionando e uffici istruttori davanti a un decisore in qualche misura terzo. Questa è una tendenza, ancora non completamente sviluppata nel nostro ordinamento come principio generale, ma che si sta lentamente affermando. Se, in virtù della separazione organizzativa si possono contestare in modo pieno le risultanze degli uffici istruttori delle autorità davanti al collegio, quest'ultimo può far recuperare almeno in parte al procedimento quell'elemento di paritarietà delle parti (ufficio istruttore e impresa). Tuttavia, si tratta talora di un riequilibrio più formale che sostanziale atteso che l'ufficio istruttore e il collegio che decide fanno comunque parte di un'unica istituzione.
Con riferimento al contraddittorio, sempre in una prospettiva generale, si è affermata l'idea che esso costituisca una garanzia sostanziale e non formale. In questo senso, la giurisprudenza della Cassazione attribuisce rilevanza al vizio del contraddittorio, nella misura in cui la parte dimostri la sua funzionalità a una difesa concreta ed effettiva, andando quindi oltre al rispetto della forma. È richiesta cioè un'analisi dell'incidenza possibile sugli esiti della controversia in base al principio della strumentalità delle forme[14].
“La forma per la forma” non costituisce un valore necessariamente da enfatizzare neppure in tema di garanzie procedimentali: bisogna infatti valutare se dietro la forma c'è un interesse sostanziale che merita di essere tutelato. In ogni caso, ciò che emerge da un quadro della normativa e della legislazione a livello nazionale ed europeo in tema di contraddittorio, è che la disciplina vigente non è unitaria, ma è molto frastagliata e difficile da ricondurre a sistema.
La stessa giurisprudenza oscilla in modo vistoso. Per esempio, una sentenza del Consiglio di Stato sul caso dei procedimenti sanzionatori innanzi alla Consob ha interpretato le norme nazionali nel senso di elevare la garanzia del contraddittorio — richiedendo in particolare una possibilità di replicare alle risultanze istruttorie predisposte dagli uffici prima della decisione finale del collegio — non è stata condivisa dalla Corte di Cassazione. Infatti, in una sentenza del 2019, la Cassazione ha rigettato espressamente il precedente costituito del Consiglio di Stato ora citato, ribadendo il principio che anche per le autorità indipendenti valgono le garanzie previste in via generale dalla legge sul procedimento amministrativo 7 agosto 1990, n. 241. Ma lo stesso Consiglio di Stato non ha applicato con lo stesso grado di rigore il principio di tutela del contradditorio. Per esempio, nei procedimenti dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato in materia di pratiche commerciali scorrette, non è assicurato il livello di tutela riconosciuto in materia più propriamente del diritto della concorrenza.
Ne deriva dunque che vi è una certa disomogeneità su come si interpretano le norme nazionali in materia di contraddittorio, anche a prescindere dai criteri europei.
Occorre a questo punto richiamare alcune indicazioni della giurisprudenza europea per valutarne le ricadute sui livelli di tutela e sul contraddittorio.
La nota sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo sul caso Grande Stevens, in particolare, afferma che sussiste una certa fungibilità tra procedimento e processo. Le carenze sotto il profilo della garanzia del contraddittorio nell'ambito del procedimento davanti alla Consob possono essere compensate ove la fase processuale di contestazione della sanzione irrogata sia affidata a un giudice dotato di full jurisdiction. Nel caso del processo innanzi alla corte d'appello previsto per le sanzioni della Consob la Corte europea ha rilevato carenze molto limitate e cioè la mancata previsione di un'udienza pubblica.
L'ordinamento italiano, in relazione ai principi costituzionali (artt. 24 e 113 Cost.), è orientato invece a favore della tutela giurisdizionale, senza ricorrere in modo più ampio, come potrebbe essere opportuno data la situazione di sovraccarico del contenzioso e dei tempi lunghi dei processi, alle c.d. “ADR” (Alternative Dispute Resolution).
- Procedimenti sanzionatori: tra vigilanza e tutela del mercato.
Occorre infine porsi l'interrogativo su quali siano le implicazioni di questa fungibilità, almeno parziale, delle garanzie nei rapporti tra procedimento e processo.
Anticipando le conclusioni, molto dipende da come si ricostruisce l'oggetto del giudizio innanzi al giudice ordinario (o, in alcune materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo) nei procedimenti sanzionatori.
La sopra citata sentenza del 2019 della Corte di Cassazione richiama e ribadisce alcuni precedenti, tra i quali una sentenza del 2018 relativa a un procedimento sanzionatorio della Banca d'Italia, la quale ricostruisce il giudizio come giudizio sul rapporto giuridico dedotto in giudizio (sussistenza di un'obbligazione pecuniaria conseguente alla violazione accertata). Questo precedente, a sua volta, richiama una sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite del 2010 sulle sanzioni in materia di circolazione stradale, in riferimento a un caso di eccesso di velocità. Il punto centrale, che merita una riflessione, è come si coniughi l'idea del giudizio sul rapporto rispetto al provvedimento sanzionatorio — della Banca d'Italia, della Consob o dell'AGCM — e alle garanzie previste nel procedimento[15].
La conseguenza che la giurisprudenza civile trae dalla ricostruzione del giudizio come giudizio sul rapporto è che le garanzie procedimentali, nella fase innanzi alle autorità, non hanno particolare rilevanza. L'atto amministrativo che irroga la sanzione è semplicemente l'occasione affinché il giudice possa esaminare a fondo, libero da ogni condizionamento, il rapporto obbligatorio sorgente dal fatto illecito. La conseguenza pratica — e questo lo afferma in modo molto chiaro la sentenza del 2018 sopra citata — è che se la motivazione del provvedimento non tiene conto delle deduzioni della parte in sede procedimentale ciò non costituisce un problema, atteso che la parte privata avrà la possibilità di presentarle successivamente al giudice. Allo stesso modo, non costituisce un problema la mancata audizione orale, poiché la propria difesa potrà comunque essere esplicata in un momento successivo[16].
La citata sentenza della Corte di cassazione del 2019 menziona anche la deduzione da parte dei ricorrenti del vizio di disparità di trattamento rispetto a casi analoghi, cioè una figura sintomatica dell'eccesso di potere. Secondo la Corte di Cassazione, se il giudizio è sul rapporto, l'eccesso di potere non si può dedurre. In definitiva, la tesi del giudizio sul rapporto ha come conseguenza la svalutazione non solo delle garanzie procedimentali, ma forse, alla fin fine, anche dello stesso ruolo delle autorità indipendenti.
Esse infatti sono state istituite per garantire l'applicazione di normative complesse in quanto organismi altamente specializzati e in grado di acquisire un'esperienza diretta sul campo. Requisiti che invece mancano, di regola, nel caso di un giudice despecializzato il quale, peraltro, nell'ambito del giudizio inteso come giudizio sul rapporto a cognizione piena è legittimato ad accertare e valutare i fatti in modo del tutto indipendente.
In realtà, a livello concettuale e di attività interpretativa, vi è una sensibile differenza strutturale tra un giudizio su un'ordinanza di ingiunzione che afferma il superamento dei limiti di velocità (fatto semplice, che può essere accertato in modo univoco) e un accertamento di fattispecie complesse, sulla base di concetti giuridici indeterminati e di valutazioni opinabili, operato dalle autorità di regolazione.
La stessa istruttoria e dunque il contraddittorio assumono un significato diverso nei due casi, sia che si tratti di un procedimento innanzi a un'autorità indipendente, sia che si tratti di un processo innanzi a un giudice in senso proprio.
Queste differenze strutturali non possono essere ignorate del tutto nel momento in cui si ricostruisce l'oggetto del giudizio come giudizio sul rapporto, che è più adatto agli accertamenti di fatti semplici, o sull'atto, che tende a valorizzare l'operato e le valutazioni tecniche delle autorità indipendenti[17].
C'è quindi un problema di impostazione, al quale appare difficile trovare una soluzione soddisfacente.
La conclusione ultima, in qualche misura paradossale, della tesi del giudizio sul rapporto in materia di sanzioni è pertanto, come si è già accennato, che lo stesso ruolo attribuito alle autorità di regolazione appare sminuito, visto che il giudice è tenuto a operare un accertamento del tutto autonomo degli elementi della fattispecie.
Un'ultima riflessione conseguenziale va fatta sull'intensità del sindacato.
Se il giudizio è sul rapporto, il sindacato dev'essere pieno, completamente sostitutivo, non deve esserci alcuna deferenza rispetto alla valutazione tecnica dell'autorità amministrativa sui concetti giuridici indeterminati che lasciano spazi di opinabilità[18].
- Poteri sanzionatori della CONSOB: tra tutela del mercato e corretto esercizio del potere.
Per chiudere in quadro ricostruttivo, sembra opportuno, menzionare una recente pronuncia[19] della Corte di Cassazione: essa ha il pregio di definire il perimetro operativo dell’attività ispettiva sulle comunicazioni ex art. 195 TUF delle banche da parte di CONSOB
La Suprema Corte ha sancito che il momento dell’accertamento – ai fini della decorrenza del termine di centottanta giorni per la contestazione ex art. 195, comma 1, TUF – che presuppone un’attività istruttoria, non coincide con quello dell’acquisizione del fatto nella sua materialità da parte dell’autorità di vigilanza, ma è quello in cui l’autorità ha completato l’attività istruttoria finalizzata a verificare la sussistenza o meno dell’infrazione. In altre parole: “constatazione del fatto” e “accertamento del fatto” sono due concetti diversi»;
L’accertamento dell’illecito amministrativo in materia bancaria e di intermediazione finanziaria non s’indentifica nella fine dell’attività ispettiva o commissariale, ma si colloca in un momento successivo, da valutare a seconda delle particolarità del caso concreto.
Nel caso in cui, all’esito della verifica ispettiva da parte di Banca d’Italia, la banca sia sottoposta ad amministrazione straordinaria, si presume iuris tantum che Consob sia in grado di apprezzare le irregolarità riscontrate da Banca d’Italia nel momento in cui riceve i rapporti periodici dei commissari straordinari o del comitato di sorveglianza, o quando le vengano comunicati i provvedimenti sanzionatori[20] adottati da Banca d’Italia, rilevanti anche ai fini della vigilanza sulla trasparenza e sulla correttezza dei comportamenti della banca demandata alla Commissione.
Te.Ma., Ce.Pa., Ne.Gi., Po.Ca., Na.Lu., Or.An., Sa.Cl., Ar.Fr., Ma.Gi. hanno proposto opposizione, ex art. 195, comma 4, TUF, avverso le sanzioni amministrative pecuniarie per importi da Euro 25.000 a Euro 40.000, applicate da Consob con delibera n. 20068 del 12/07/2017, per avere violato in qualità, Te.Ma., di presidente, Ce.Pa., Ne.Gi., Ar.Fr., Ma.Gi., Po.Ca., di membri del collegio sindacale, Or.An., di consigliere del c.d.a. e membro del comitato esecutivo, Na.Lu. e Sa.Cl., di membri del c.d.a., della Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio ("BPEL"), in vari periodi dal 25/04/2010 all'11/05/2015, l'art. 94, commi 2 e 7, TUF, in relazione alla documentazione di offerta di prestiti obbligazionari pubblicata da BPEL nel periodo compreso tra il 31/07/2012 e il 12/06/2014, "per avere la banca omesso di riportare, tempo per tempo, nella citata documentazione di offerta, o in un eventuale supplemento della stessa, i rilievi formulati da Banca d'Italia nelle proprie note del 24/7/2012 e 3/12/2013 aventi ad oggetto la "Situazione aziendale" di BPEL, nonché i "Rilievi e osservazioni" del 5/12/2013, redatti all'esito dell'ispezione "a spettro esteso" terminata il 6/9/2013, considerato che le informazioni in oggetto erano certamente necessarie per consentire agli investitori di pervenire ad un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria dell'Emittente, nonché sui suoi risultati economici e sulle sue prospettive".
I ricorrenti hanno chiesto di annullare il provvedimento sanzionatorio con conseguente inefficacia della sanzione amministrativa e, in subordine, la riduzione delle sanzioni ad essi inflitte.
Per quanto qui di rilievo, come primo motivo di opposizione, è stata eccepita la decadenza di Consob dal potere sanzionatorio ex art. 195, TUF: la contestazione è stata formulata il 04/10/2016, in relazione a vicende risalenti al 2013.
La CDA di Firenze, nel contraddittorio dell'autorità di vigilanza, ha accolto l'opposizione, ha annullato la delibera Consob impugnata e ha condannato l'autorità di vigilanza alle spese.
II nucleo argomentativo della decisione è questo: a partire da dicembre 2013, Consob ha avuto conoscenza da Banca d'Italia che BPEL era sull'orlo del commissariamento e, a maggior ragione, è entrata in possesso degli elementi conoscitivi necessari e sufficienti per iniziare una verifica ispettiva sulla regolarità dei prospetti precedentemente pubblicati allorquando è venuta a conoscenza dell'esistenza del rapporto ispettivo della Banca d'Italia, ciò che è accaduto al più tardi in data 14/02/2014.
Da quel momento Consob ha acquisito tutto il materiale dal quale trarre le informazioni del caso e, quindi, anche tenendo conto di un congruo spatium deliberandi, al fine di elaborare e valutare criticamente i dati conoscitivi acquisiti, il termine di centottanta giorni di cui al primo comma dell'art. 195, TUF, per la contestazione della violazione, decorreva almeno dalla primavera del 2014 e, conseguentemente, non è stato rispettato in quanto la contestazione è stata formulata soltanto il 04/10/2016. Consob ha proposto ricorso per cassazione. Gli originari opponenti hanno resistito con controricorso. In prossimità dell'udienza pubblica il Pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte e ha chiesto l'accoglimento del ricorso con rinvio al giudice a quo; le parti hanno depositato memorie. La pronuncia in commento consente di valutare il perimetro operativo dell’attività ispettiva sulle comunicazioni delle banche da parte di CONSOB. In particolare, i soggetti apicali di una banca sottoposta a procedura di risoluzione avevano impugnato davanti alla Corte d’Appello di Firenze il provvedimento con cui la Consob aveva imposto loro sanzioni amministrative conseguenti all’omessa indicazione da parte della banca, nel prospetto d’offerta dei propri titoli, di informazioni ritenute rilevanti dall’organo di vigilanza[21].
Si trattava, in particolare, di omessa informazione circa i rilievi formulati in precedenza dalla Banca d’Italia, in occasione di alcune ispezioni[22] aventi ad oggetto la situazione aziendale e l’attività della stessa medesima negli anni tra il 2012 e il 2014, sottolineando che queste informazioni dovevano ritenersi «certamente necessarie per consentire agli investitori di pervenire a un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria dell’emittente[23]». La stessa sentenza consente di delineare i casi in cui la contestazione della Consob è tardiva e quando detta Autorità decade – in concreto - dal potere di irrogare sanzioni, quale autorità indipendente, a fronte delle violazioni riscontrate.Sul piano ricostruttivo, la Corte di Appello di Firenze, in primo grado, accoglieva la domanda dei ricorrenti e ordinava l’annullamento dei provvedimenti sanzionatori, ritenendo che la contestazione della Consob fosse tardiva e che detta Autorità era decaduta dal potere di irrogare. Secondo la Corte d’Appello, infatti, una tale contestazione della Consob doveva giudicarsi tardiva in quanto intervenuta nel 2016, mentre i fatti criticati erano successi tra il 2012 e il 2014 ed erano stati conosciuti dalla Consob fin dal 2014, a seguito delle inviatele dalla Banca d’Italia e riguardanti la prevedibile crisi a breve dell’intermediario.
Perciò, secondo la Corte territoriale di Firenze, il termine di legge per la contestazione delle violazioni sarebbe decorso almeno da quest’ultimo momento, nel 2014, mentre la Consob aveva poi contestato gli addebiti solo dopo due anni (ottobre 2016) e, quindi, oltre il termine consentito dalla legge per l’accertamento e la contestazione della violazione. La sentenza in oggetto si caratterizza per enucleare i seguenti principi:
(a) è ius receptum l'estensione ai procedimenti sanzionatori finanziari volti all'irrogazione di sanzioni amministrative dei principi sanciti dalla legge n. 689 del 1981, soprattutto per quanto riguarda la scadenza prevista per la conclusione degli stessi procedimenti;
(b) nel caso di contestazione non immediata degli addebiti agli interessati, il momento dell'accertamento (che, di per sé, presuppone un'istruttoria), in relazione al quale va collocato il termine di centottanta giorni entro il quale deve essere adottato il provvedimento motivato che applica la sanzione non coincide con il momento di acquisizione del fatto nella sua materialità da parte dell'autorità che ha ricevuto il rapporto, ma va individuato nella data in cui la stessa autorità ha completato l'attività intesa a verificare la sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi dell'infrazione[24];
(c) la pura "constatazione" dei fatti nella loro materialità non coincide necessariamente con l'"accertamento": nell'attività di regolazione e supervisione delle attività private vi sono ambiti, come quello dell'intermediazione finanziaria, che richiedono valutazioni complesse, non effettuabili nell'immediatezza della percezione dei fatti suscettibili di trattamento sanzionatorio, dovendosi tenere conto della complessità della materia e delle particolarità del caso concreto, anche con riferimento al contenuto e alle date delle operazioni;
(d) il momento dell'accertamento degli illeciti amministrativi in materia di intermediazione finanziaria non coincide, necessariamente e automaticamente, né con il giorno in cui l'attività accertativa-ispettiva o commissariale - è terminata, né con quello in cui sono stati depositati relazioni o rapporti finali degli incaricati degli accertamenti, e neppure con la data in cui l'autorità di vigilanza ha investito o riunito il suo organo volitivo per prendere in esame la situazione; occorre, pertanto, individuare, secondo le particolarità dei singoli casi, il momento - successivo alla conclusione delle verifiche di natura ispettiva o commissariale - in cui ragionevolmente la constatazione avrebbe potuto essere tradotta in accertamento. È proprio da tale momento che comincia a decorrere il termine per la contestazione dell'addebito;
(e) la valutazione dell'opportunità dell'esercizio dei poteri di indagine è rimessa all'autorità competente: il giudice non può sostituirsi all'organo di controllo nel valutare l'opportunità dell'esercizio dei poteri di indagine per riscontrare la sussistenza dell'illecito (M. Allena, L'art. 6 Cedu e la continuità tra procedimento e processo, in P.A. Persona e Amministrazione, 2018, 25 ss.)
(f) ciò non toglie che a tale valutazione si debba procedere in un tempo ragionevole e che, in sede di opposizione, al giudice, ove l'interessato abbia fatto valere il ritardo come ragione d'illegittimità del provvedimento sanzionatorio, sia consentito di individuare il momento iniziale del termine per la contestazione non nel giorno in cui la valutazione è stata compiuta, ma in quello in cui avrebbe potuto e, quindi, dovuto esserlo[25].
La ricostruzione e l'apprezzamento delle circostanze di fatto inerenti ai tempi occorrenti per la contestazione e alla congruità del tempo utilizzato in relazione alla difficoltà del caso sono rimessi al giudice di merito, il quale deve limitarsi a rilevare se vi sia stata un'ingiustificata e protratta inerzia durante o dopo la raccolta dei dati di indagine, prendendo in considerazione:
- la sussistenza di esigenze di economia che inducano a raccogliere ulteriori elementi a dimostrazione di altre violazioni rispetto a quelle accertate;
- l'interesse dell'amministrazione a pervenire all'accertamento complessivo di tutti gli aspetti di vicende che possono essere anche molto complesse e svilupparsi in periodi temporali non brevi (e le responsabilità di tutti coloro che in tali vicende possano essere a diverso titolo coinvolti) mediante un'attività istruttoria unitaria, tesa a cogliere la portata complessiva della violazione, pur quando essa si articoli in condotte diverse, riferibili a soggetti diversi, e non contigue nel tempo e nello spazio; interesse che va salvaguardato dal rischio che l'efficacia delle indagini dell'autorità di vigilanza venga posta a repentaglio da una discovery prematura, che consegua alla parcellizzazione dei risultati dell'indagine in una pluralità di contestazioni relative alle singole posizioni, atomisticamente considerate, dei soggetti coinvolti;
- che la valutazione della superfluità degli atti di indagine deve essere svolta con giudizio ex ante, ossia prendendo in considerazione l'utilità potenziale delle ulteriori iniziative istruttorie e non già i concreti esiti che tali iniziative abbiano effettivamente prodotto, restando irrilevante la loro inutilità ex post.
Quanto alle modalità delle procedure seguite, nella materia finanziaria, dalle autorità di supervisione, la stessa giurisprudenza, in primo luogo, ha messo in luce il rapporto tra esercizio dei poteri di vigilanza da parte di Banca d'Italia e Consob (come ripartiti dai commi 2-4, dell'art. 5, TUF), le quali, a norma del quinto comma del medesimo articolo, "operano in modo coordinato anche al fine di ridurre al minimo gli oneri gravanti sui soggetti abilitati e si danno reciprocamente comunicazione dei provvedimenti assunti e delle irregolarità riscontrate nell'esercizio dell'attività di vigilanza". A tal fine, l'art. 5, comma 5-bis, prescrive la stipula di un protocollo d'intesa (stipulato in data 31/10/2007), reso pubblico (comma 5-ter), avente ad oggetto altresì "lo scambio di informazioni, anche con riferimento alle irregolarità rilevate e ai provvedimenti assunti nell'esercizio dell'attività di vigilanza". Quanto alla vigilanza ispettiva in particolare, l'art. 10, TUF, dà attuazione a tali principi disponendo che le autorità si diano reciproca comunicazione delle ispezioni disposte, potendo l'autorità non ispezionante "chiedere accertamenti su profili di propria competenza" (comma 2).
In base alle disposizioni normative e del protocollo, chiarisce la giurisprudenza, si deve presumere, salvo prova contraria, che, con riferimento alle irregolarità riscontrate nell'àmbito di ispezioni svolte dall'altra autorità, l'autorità non ispezionante sia in grado di apprezzare le stesse, ai fini sanzionatori, solo dal momento del rilievo di irregolarità, ciò che di regola accade una volta che siano trasmessi i rilievi ispettivi o i provvedimenti sanzionatori dell'autorità ispezionante che valgono ad altri fini[26].
A distanza di una quarantina d'anni dalla legge n. 689 del 1981, la realtà delle sanzioni amministrative — in Italia e in molti altri ordinamenti — è però drasticamente mutata rispetto all'idealtipo appena descritto. Le sanzioni amministrative “di nuova generazione” — che si affiancano in numero crescente a quelle riconducibili alla tipologia sopra descritta — presentano, infatti, più o meno le caratteristiche seguenti:
— gli illeciti sanzionati sono di elevata gravità, incidendo su interessi di cruciale rilevanza collettiva (concorrenza tra imprese, mercati finanziari, attività bancaria e creditizia, etc.) (100), tanto che in dottrina si parla ormai di “macro-illeciti amministrativi”;
— talvolta (ad esempio, in Italia, in materia di mercati finanziari e attività bancaria e creditizia) l'area coperta dall'illecito amministrativo coincide interamente o in gran parte con quella occupata da un corrispondente reato, sì da dar luogo a un regime di doppio binario sanzionatorio per le fattispecie astratte identiche o assai simili;
— in alcuni casi, le autorità amministrative competenti per l'accertamento dell'illecito e poi per l'irrogazione della sanzione vengono dotate di una parte almeno dei poteri istruttori coercitivi normalmente riservati al pubblico ministero (emblematico in proposito l'art. 187-octies del d. lgs. n. 58 del 1998 in materia di poteri ispettivi della CONSOB), affiancati dalla previsione di apposite figure di reato o di illecito amministrativo “punitivo” a carico di chi non cooperi con l'attività di vigilanza (e di indagine!) della stessa autorità amministrativa;
— le sanzioni divengono assai afflittive, e — pur continuando a non coinvolgere la libertà personale — sono ormai suscettibili di incidere in maniera draconiana sul patrimonio del trasgressore-persona fisica o su quello dell'ente colpito dalla sanzione, tanto attraverso la sanzione pecuniaria in senso proprio quanto attraverso la confisca del profitto, del prodotto o dei beni utilizzati per commettere l'illecito; prevedendosi altresì sanzioni interdittive — che limitano fortemente la libertà di attività economica e il diritto al lavoro dei loro destinatari —, nonché meccanismi di naming and shaming, attuati attraverso la pubblicazione delle sanzioni sul sito ufficiale dell'autorità amministrativa, con un effetto stigmatizzante tra gli operatori del settore forse non così distante da quello caratteristico delle sanzioni penali[27].
Intuibili le ragioni dell'attrattività di questo modello per le agenzie amministrative (o per le autorità indipendenti) incaricate dell'enforcement delle norme di condotta di volta in volta sanzionate.
Un tale modello permette, anzitutto, una reazione rapida all'illecito, non rallentata dalla necessità di rispettare le molte garanzie caratteristiche del processo penale, le sue regole di acquisizione della prova (a cominciare dal “diritto al silenzio” della persona sospettata di aver commesso l'illecito) e il suo particolarmente elevato standard probatorio; una reazione, ancora, suscettibile di sfociare nell'inflizione di una sanzione immediatamente esecutiva e assistita da un alto grado di effettività nell'esecuzione. Ciò permette alle autorità competenti di rafforzare il proprio ruolo di vigilanza, specie in settori di attività che producono rischi elevati a carico dei delicati interessi in gioco (si pensi, ancora, al settore dei mercati finanziari e a quello bancario), in cui è essenziale che le indicazioni delle autorità medesime siano assistite da elevata compliance da parte degli operatori.
Il meccanismo della sanzione amministrativa consente d'altra parte di concentrare l'attività di indagini in capo ad agenzie altamente specializzate, che — a differenza delle ordinarie forze di polizia, coordinate dalle procure della Repubblica — hanno specifiche competenze tecniche in materie estremamente complesse e in continua evoluzione, come negli esempi appena forniti.
Inoltre, il provvedimento di irrogazione della sanzione, debitamente pubblicizzato sul sito istituzionale dell'autorità, consente alla medesima di precisare gradualmente la stessa portata del precetto sanzionato, spesso costruito dal legislatore attraverso il ricorso a clausole generali che lasciano considerevoli margini di discrezionalità all'interprete. Ciò che solleva, per altro verso, inquietanti interrogativi circa la necessaria tutela del diritto fondamentale del destinatario del precetto alla prevedibilità della stessa sanzione.
D'altra parte, non è sempre chiaro quale sia il grado di incisività del controllo giudiziario successivo, e in che misura riesca davvero a investire il merito del provvedimento impugnato — e dunque l'accertamento del fatto imputato al destinatario della sanzione, nonché la riconducibilità del fatto così accertato alla figura astratta dell'illecito —; e ciò anche in relazione all'incertezza tuttora esistente sulle regole e i principi applicabili in materia probatoria in questa tipologia di procedimenti. Situazione, questa, aggravata dall'assenza di un unico modello di disciplina per l'opposizione a questa tipologia di provvedimenti sanzionatori. Il che finisce per costituire, in pratica, un ulteriore incentivo al ricorso a sanzioni amministrative, considerate in definitiva più stabili rispetto alle condanne penali, che sono invece più difficili da ottenere in prima battuta, e sono più vulnerabili per effetto di impugnazioni che assicurano un pieno controllo di merito e poi di legittimità sulla decisione di prima istanza.
Infine, il doppio binario sanzionatorio — laddove previsto — offre l'evidente vantaggio di consentire, da un lato, all'autorità amministrativa la rapida irrogazione di una sanzione immediatamente esecutiva contro il trasgressore, lanciando così immediatamente un messaggio deterrente a tutti i destinatari del precetto; e dall'altro di riservare alla pena, irrogata dal giudice in esito a un procedimento più garantito e inevitabilmente più lento, il compito di sanzionare le condotte più gravi dal punto oggettivo e soggettivo, eventualmente anche con la pena privativa della libertà, e comunque conseguendo l'effetto di pubblica stigmatizzazione che deriva dallo stesso processo e poi dalla condanna penale.
Che lo scenario appena descritto rappresenti un punto di equilibrio ideale è, però, assai dubbio. Tale scenario altera infatti in misura significativa il trade-off sotteso alla scelta della sanzione amministrativa “di prima generazione” (che era imperniato, come si rammenterà, su sanzioni rapide ed effettive ma di bassa afflittività, in risposta a illeciti di tenue disvalore, in cambio di un basso livello di garanzie). Ciò che resta ora è il basso livello di garanzie, a fronte però di sanzioni di elevata — o elevatissima — afflittività, per illeciti anch'essi ormai di significativa gravità; illeciti contro i quali sempre più spesso viene altresì prevista una sanzione penale, irrogata in esito a un diverso e separato procedimento (nel quale peraltro rischiano di confluire le prove raccolte dall'autorità amministrativa, al di fuori delle regole garantistiche che vigono nelle indagini penali[28]).
Queste in sé banali considerazioni stanno alla radice dell'opera, intrapresa negli ultimi decenni dalle corti nazionali e internazionali, di riassestamento e rafforzamento del quadro di garanzie applicabili alle sanzioni amministrative, di “prima” e soprattutto di “seconda” generazione. La strada tracciata dalla Corte EDU — seguita nella sostanza dalla Corte costituzionale italiana a partire dalla sentenza n. 196 del 2010, in precedenza discussa — è stata, in proposito, quella di estendere alle sanzioni amministrative dalla fisionomia “punitiva” le garanzie che le carte dei diritti (CEDU, PIDCP, Carta e naturalmente la stessa Costituzione italiana) stabiliscono per la materia penale; e ciò sulla base di una nozione materiale di “reato”, “pena” e “procedimento penale”, che guarda alla sostanza — appunto — punitiva della sanzione prevista per il reato e alla cui eventuale irrogazione è finalizzato il procedimento[29].
Il che — a fugare un fraintendimento diffuso — non significa affatto omologare a ogni effetto le sanzioni amministrative a quelle penali, svuotando così di significato le iniziative di depenalizzazione periodicamente attuate dal nostro legislatore: i due illeciti restano del tutto differenti, soggetti come sono a procedimenti applicativi del tutto eterogenei, regolati da corpora normativi distinti e gestiti da autorità appartenenti addirittura a diversi poteri dello Stato; ma ciò non impedisce loro di avere in comune almeno alcune garanzie costituzionali, direttamente connesse alla loro condivisa natura “punitiva”, nel senso a suo tempo precisato.
La strada di una equiparazione di talune garanzie si è, d'altra parte, presentata come naturale alla Corte costituzionale dopo l'evento sismico delle “sentenze gemelle” del 2007, che hanno aperto porte e finestre nel nostro ordinamento alla penetrazione del diritto convenzionale, nella lettura offertane dalla Corte di Strasburgo. È così apparso naturale che la giurisprudenza della Corte EDU sulla materia penale (intesa come comprensiva dell'intero universo delle sanzioni a carattere “punitivo”, ancorché di carattere amministrativo), formatasi sugli artt. 6 e 7 CEDU[30] e — più recentemente — sull'art. 4 Prot. 7 CEDU, facesse ingresso nel sistema costituzionale italiano attraverso il canale dell'art. 117, primo comma, Cost., e finisse poi, quasi impercettibilmente, per informare di sé la lettura degli stessi parametri “penali” interni, in primis l'art. 25, secondo comma, Cost. Il tutto nel quadro di un processo di progressiva osmosi tra le garanzie costituzionali, unionali e internazionali in materia di diritti fondamentali, che si osserva ormai sempre più frequentemente nelle ordinanze di rimessione e nelle stesse sentenze della Corte.
Il cammino imboccato pone però le giurisprudenze di fronte almeno a due fondamentali alternative, che non sarà inutile schizzare, senza potere fornire qui alcuna soluzione:
(a) la prima alternativa è se estendere alle sanzioni amministrative “punitive”, e al relativo procedimento applicativo agli illeciti ai quali esse accedono l'intero spettro delle garanzie penalistiche, ovvero soltanto alcune di esse;
(b) la seconda alternativa — trasversale alla precedente — è se, una volta estesa una data garanzia penalistica alla materia delle sanzioni amministrative “punitive”, essa debba essere applicata rispetto a queste ultime in tutta la sua estensione, ovvero soltanto in un suo nucleo essenziale, potendo essere in qualche modo “flessibilizzata” al di fuori del diritto e del processo penale in senso stretto.
Come è noto, la giurisprudenza della Corte EDU appare sinora orientata nel senso di un'esportazione alle sanzioni amministrative — una volta che siano state qualificate, in esito a una valutazione caso per caso, come di natura “punitiva” — dell'intero “pacchetto” delle garanzie che circondano la materia penale: in particolare, equo processo nel suo volet pénal (art. 6 CEDU), nullum crimen (art. 7 CEDU), ne bis in idem (art. 4 Prot. 7 CEDU), essendo peraltro verosimile che la medesima conclusione, un domani, sia tratta anche per il diritto al doppio grado di giudizio in materia penale (art. 2 prot. 7 CEDU) e al risarcimento in caso di errore giudiziario (art. 3 prot. 7 CEDU).
Per altro verso, in alcune importanti pronunce — a partire dalla sentenza della Grande Camera Jussila c. Finlandia del 2006 — la Corte EDU ha ammesso che, ove trasferite al di fuori del “nucleo duro” del diritto e del processo penale in senso stretto, tali garanzie possano essere tutelate in modo più flessibile. Proprio sulla base di tale principio, la Corte EDU ha riconosciuto che, per sanzioni amministrative di modesta gravità, non sia necessario rispettare la garanzia dell'udienza pubblica in sede di opposizione giudiziaria; e che il diritto al ne bis in idem non osti necessariamente alla possibilità di perseguire due volte, in sede penale e amministrativa[31], la medesima condotta, sussistendo le condizioni enunciate nella sentenza A e B c. Norvegia su cui ci siamo poc'anzi soffermati — principio, questo, che sarebbe invece impensabile trasferire alla materia penale in senso stretto, dove l'esistenza di una sentenza definitiva certamente precluderebbe la celebrazione o prosecuzione di un nuovo processo penale avente ad oggetto lo stesso fatto, indipendentemente da quanto possa essere stretta “in substance and time” la connessione tra i due procedimenti.
La Corte costituzionale italiana ha, invece, percorso sinora una strada parzialmente diversa, estendendo soltanto alcuni dei principi costituzionali vigenti in materia penale alla materia delle sanzioni amministrative “punitive”. Come abbiamo visto poc'anzi nel dettaglio, i corollari del nullum crimen di cui all'art. 25, secondo comma, Cost. sono stati estesi anche alle sanzioni amministrative, con la significativa eccezione — però — della riserva di legge statale, che è evidentemente incompatibile con la pacifica esistenza di sanzioni amministrative stabilite da leggi regionali, nell'ambito delle rispettive competenze (esistenza che, dal canto suo, è a sua volta compatibile con il quadro di garanzie convenzionali, che richiedono soltanto che il precetto sia accessibile dal suo destinatario e la sanzione sia prevedibile, disinteressandosi della tipologia della fonte che prevede l'uno e l'altro. Nemmeno è stato esteso a tali sanzioni il principio rieducativo di cui all'art. 27, terzo comma, Cost., che continua a essere riferito specificamente alle pene in senso stretto; anche se ciò non ha impedito alla Corte di applicare comunque alle sanzioni amministrative il principio di proporzionalità della sanzione, secondo le cadenze sviluppate rispetto alle pene in senso stretto, anche sotto il peculiare profilo della proporzionalità “intrinseca[32]”.
Il futuro dirà se e in che misura il trasferimento di talune garanzie penalistiche sarà operato anche con riferimento ad altre garanzie, ad esempio il principio di “personalità” della responsabilità di cui all'art. 27, primo comma, Cost., ovvero alle garanzie in materia processuale, dove ancora mancano prese di posizione definitive da parte della Corte. E il futuro dirà se, e in che misura, la Corte costituzionale potrà percorrere la strada tracciata dalla Corte EDU di una diversa declinazione della medesima garanzia penalistica, allorché applicata alle pene o ai procedimenti penali in senso stretto ovvero alle sanzioni amministrative e ai relativi procedimenti.
Sullo sfondo, resta naturalmente la considerazione che le garanzie previste espressamente dalla Costituzione per la materia penale non esauriscono l'orizzonte della tutela che può comunque assistere le sanzioni amministrative. Ad esempio, dove non arrivi la riserva (tendenzialmente assoluta) di legge statale di cui all'art. 25, secondo comma, Cost. opererà, comunque, la riserva di legge di cui all'art. 23 Cost.: una riserva che ammetterà magari qualche margine in più di integrazione da parte di fonti secondarie, ma che dovrà pur sempre garantire la conoscibilità del precetto e la prevedibilità delle conseguenze sanzionatorie, anche per evitare la violazione — sul terreno convenzionale — dell'art. 7 CEDU. Laddove si dovessero ritenere non operanti le specifiche garanzie del giusto processo penale (di cui ai commi 3-5 dell'art. 111 Cost.), dovrebbero comunque essere rispettati i principi generali del giusto processo stabiliti dagli altri commi dell'art. 111 Cost., in combinato disposto con i corollari del diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost. e dei principi sovranazionali di cui agli artt. 6 CEDU nel suo volet civil e 47 della Carta; con — sullo sfondo — l'onnipresente principio di eguaglianza-ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. E ancora, laddove si dovesse ritenere estraneo alla materia delle sanzioni amministrative il principio di obbligatorietà dell'azione penale di cui all'art. 112 Cost., resterebbe comunque applicabile anche a questa materia il generale principio di imparzialità dell'azione amministrativa di cui all'art. 97, secondo comma, Cost., che — anche qui, in combinato disposto con l'art. 3 Cost. — imporrebbe comunque un'applicazione della legge non arbitraria in favore o a detrimento di particolari destinatari del precetto[33].
La Costituzione, e la Corte che ne è l'interprete, hanno insomma molte frecce al loro arco per assicurare una più adeguata tutela dei diritti fondamentali della persona anche rispetto alla nuova generazione di sanzioni amministrative di cui si abbiamo sin qui discusso: frecce tra le quali si annovera, ora, anche l'estensione alle stesse di alcune garanzie penalistiche, suggerita dall'acquisizione, da parte di quelle sanzioni, di un grado di afflittività comparabile, se non addirittura superiore, a quello delle pene tradizionali[34].
Bibliografia essenziale
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[1] F. Capriglione, L’ordinamento finanziario verso la neutralità, Padova, Cedam, 1994.
Vedasi anche F. Bassi, Sanzioni amministrative edilizie ed interesse pubblico, in Stato ed economia. Scritti in onore di Donatello Serrani, Milano, 1984, pp. 480 ss.
[2] Cfr. ampiamente, in proposito, F. Mazzacuva, Le pene nascoste. Topografia delle sanzioni punitive e modulazione dello statuto garantistico, 2017, p. 89 ss. e L. Masera, La nozione costituzionale di materia penale, 2018, p. 135 ss., cui si rinvia anche per gli indispensabili riferimenti.
[3] C. E. Paliero, A. Travi, La sanzione amministrativa - Profili sistematici, 1988, 137 ss.
[4] C. E. Paliero, ‘Materia penale' e illecito amministrativo secondo la Corte europea dei Diritti dell'Uomo: una questione classica ad una svolta ‘radicale', in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, 1985, p. 894 ss
[5] Sul punto cfr. anche L. Masera, La nozione costituzionale, cit., p. 212 (il quale sottolinea parallelamente come anche l'espropriazione per pubblica utilità costituisca una misura pesantemente afflittiva, ma certo non possa essere considerata di natura “punitiva”, non conseguendo ad alcuna condotta illecita da parte dell'interessato, ma soltanto a una valutazione di pubblica utilità del bene). Nello stesso senso, F. Mazzacuva, Le pene nascoste, cit., p. 27.
[6] N. Bobbio, Sanzione, in Nov. dig. it., XVI, 1969, p. 531. Sul punto, cfr. ora F. Mazzacuva, Le pene nascoste, p. 27 ss.
[7] Così la sentenza n. 24 del 2019, in continuità con quanto affermato dalla Grande Camera della Corte EDU nella sentenza 23 febbraio 2017, de Tommaso c. Italia, n. 143, con riferimento alle misure di prevenzione personali previste dal d.lgs. 159 del 2011 (considerato in diritto n. 9.7.1.: « Imperniate come sono su un giudizio di persistente pericolosità del soggetto, le misure di prevenzione personale hanno una chiara finalità preventiva anziché punitiva, mirando a limitare la libertà di movimento del loro destinatario per impedirgli di commettere ulteriori reati, o quanto meno per rendergli più difficoltosa la loro realizzazione, consentendo al tempo stesso all'autorità di pubblica sicurezza di esercitare un più efficace controllo sulle possibili iniziative criminose del soggetto. L'indubbia dimensione afflittiva delle misure stesse non è, in quest'ottica, che una conseguenza collaterale di misure il cui scopo essenziale è il controllo, per il futuro, della pericolosità sociale del soggetto interessato: non già la punizione per ciò che questi ha compiuto nel passato »).
[8] N. Bobbio, Sanzione, cit., p. 531 ss. Nello stesso senso, cfr. ora F. Mazzacuva, Le pene nascoste, cit., p. 34.
[9] E sempre che non sconfini nei c.d. punitive damages, caratterizzati dalla mancanza di corrispondenza tra la misura del risarcimento e quella del danno cagionato, ai quali la giurisprudenza di legittimità ha del tutto conseguentemente attribuito carattere “punitivo”: Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 7 febbraio-5 luglio 2017, n. 16601.
[10] V. Mongillo, Confisca proteiforme e nuove frontiere della ragionevolezza costituzionale. Il banco di prova degli abusi di mercato, in Giur. cost., 6/2019, p. 3350
[11] L. Masera, La nozione costituzionale, cit., p. 214. Sul punto, si vedano altresì le considerazioni di T. Trinchera, Confiscare senza punire?, cit., p. 382 s., formulate a proposito della confisca dei profitti illeciti, alla quale non dovrebbe essere attribuita funzione punitiva, la sua funzione “naturale” essendo quella di « riportare la situazione patrimoniale del destinatario nelle condizioni in cui si trovata prima della realizzazione dell'attività illecita ». « Se la confisca fosse una pena » — prosegue l'autore — « la sua funzione non dovrebbe essere quella di riportare il reato “a somma zero” ma piuttosto quella di portare il reato “a somma meno uno” così da rendere concreta l'idea per cui il delitto, non solo “non paga”; ma ha anche un costo (che è rappresentato, appunto, dalla sanzione) ».
[12] Le maggiori perplessità in dottrina sono emerse, in particolare, in relazione al criterio, adottato della Corte nelle due sentenze n. 68 del 2017 e 223 del 2018, della valutazione complessiva del carico sanzionatorio previsto per il reato e poi per l'illecito amministrativo, in luogo di una valutazione separata riferita alle singole tipologie di sanzioni penali e amministrative omogenee nel contenuto (pecuniarie, confisca diretta e di valore, sanzioni interdittive, etc.) previste prima e dopo la depenalizzazione: cfr. in questo senso F. Consulich, La materia penale: totem o tabù? Il caso della retroattività in mitius della sanzione amministrativa, in Dir. pen. proc., 4/2019, p. 473; V. Tigano, Successione di leggi penali ed amministrative punitive, disposizioni transitorie e condizioni di compatibilità con il principio di irretroattività, in Arch. pen., 3/2019, p. 46. Io stesso — prima del mio ingresso nella Corte costituzionale — avevo espresso un'analoga critica, commentando la sentenza n. 68 del 2017 (F. Viganò, Un'altra deludente pronuncia della Corte costituzionale in materia di legalità e sanzioni amministrative ‘punitive', in Dir. pen. cont., 4/2017, p. 269).
[13] F. Merusi e M. Passaro, Le Autorità indipendenti, Bologna, 2003.
[14] La sottolineatura dell'esigenza di « dimostrare, caso per caso, che il nuovo trattamento sanzionatorio amministrativo previsto dalla legge di depenalizzazione risulti in concreto più gravoso di quello previgente » è del resto esplicitamente riferita, nella sentenza n. 223 del 2018 (considerato in diritto n. 6.2.) ai presupposti per la dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione transitoria con cui il legislatore ha regolato la successione tra la norma penale e quella amministrativa-punitiva, e non già ad una valutazione da compiersi da parte del singolo giudice nel quadro dell'art. 2, quarto comma, c.p., che la Corte — come osservato nel testo — considera senz'altro inapplicabile alla speciale vicenda successoria in esame. Per una estesa analisi sui criteri con cui la valutazione sul carattere più favorevole o deteriore dovrebbe essere effettuata, cfr. V. Tigano, Successione di leggi, cit., p. 46 ss.
[15] P. Salvatore, A. Anastasi, Il potere sanzionatorio delle autorità indipendenti, in Cons. Stato, 2004, fasc. 2, pp. 1635 ss.; E. Bani, Il potere sanzionatorio delle Autorità indipendenti: spunti per un’analisi unitaria, Torino, Giappichelli, 2000; R. Titomanlio, Funzione di regolazione e potestà sanzionatoria, Milano, Giuffrè, 2007.
[16] E. Bindi, A. Pisaneschi, La retroattività in mitius delle sanzioni amministrative sostanzialmente afflittive tra Corte EDU, Corte di Giustizia e Corte costituzionale, in federalismi.it, 22/2019, p. 8.
[17] Sul tema più generale della diretta applicazione delle norme della CEDU in “spazi giuridici vuoti”, non regolati in modo antinomico dal legislatore, cfr. volendo anche F. Viganò, L'impatto della Cedu e dei suoi protocolli sul sistema penale italiano, in G. Ubertis, F. Viganò (a cura di), Corte di Strasburgo e giustizia penale, 2016, 26 ss. (e ivi ult. rif.). Specificamente sulla possibilità di diretta applicazione dell'art. 7 CEDU, sempre in caso di mancata indicazione contraria da parte del legislatore, cfr. ora V. Sciarabba, Metodi di tutela dei diritti fondamentali tra fonti e corti nazionali ed europee: uno schema cartesiano nella prospettiva dell'avvocato, in Consulta online, 1/2019, p. 225. Sulla possibilità, invece, di una diretta applicazione dell'art. 49 (1) CDFUE — ovviamente all'interno dell'ambito di applicazione del diritto UE — da parte del giudice comune (e prima ancora della stessa p.a.), quanto meno in assenza di una disposizione legislativa di segno contrario, cfr. anche E. Bindi, A. Pisaneschi, La retroattività in mitius, cit., p. 13, nonché P. Provenzano, Illecito amministrativo e retroattività in bonam partem: da eccezione alla regola a regola generale, in Banca, borsa, tit. cred., 1/2020, parte seconda, p. 60.
[18] A partire in particolare dalla sentenza n. 236 del 2016, in cui il tertium comparationis ha la sola funzione di offrire il trattamento sanzionatorio che la Corte sostituisce a quello dichiarato illegittimo per sproporzionalità “intrinseca” rispetto al possibile lieve disvalore dei fatti concreti abbracciati dalla figura astratta di reato. Nel medesimo senso, cfr. anche la sentenza n. 40 del 2019. Sulla recente evoluzione del sindacato della Corte in materia di proporzionalità della pena, cfr., ex multis, E. Dolcini, Pene edittali, principio di proporzione, funzione rieducativa della pena: la Corte costituzionale ridetermina la pena per l'alterazione di stato, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, 2016, 1956 ss.; V. Manes, Proporzione senza geometrie, in Giur. cost., 2016, 2105 ss.; G. Leo, Politiche sanzionatorie e sindacato di proporzionalità, in Il libro dell'anno del diritto, Treccani, 2018, 102 ss.; S. Leone, Illegittima la pena accessoria fissa per il reato di bancarotta fraudolenta. Una decisione a “rime possibili”, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, 2019, 593 ss.; R. Bartoli, La sentenza n. 40/2019 della Consulta: meriti e limiti del sindacato “intrinseco” sul ‘quantum' di pena, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, 2019, 967 ss.; A. Pugiotto, Cambio di stagione nel controllo di costituzionalità sulla misura della pena, in questa Rivista, 2019, 785 ss.; D. Pulitanò, La misura delle pene. Fra discrezionalità politica e vincoli costituzionali, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., 2/2017, p. 48 ss.; M. Ruotolo, L'evoluzione delle tecniche decisorie della corte costituzionale nel giudizio in via incidentale. Per un inquadramento dell'ord. n. 207 del 2018 in un nuovo contesto giurisprudenziale, in Rivista AIC, 2/2019, p. 644 ss.; D. Tega., La Corte nel contesto, 2020, p. 101 ss.
[19] Cass. civ. sez. II, 21 ottobre 2024, n. 27242, sent.
[20] M. D’Alberti, voce Autorità indipendenti (dir. amm.), in Enc. giur. Treccani, IV, Roma, 1995. Id e A. Pajno, Arbitri dei mercati: le autorità indipendenti e l’economia, Bologna, Il Mulino, 2010.
[21] V. Mongillo, Confisca proteiforme, cit., p. 3356. In senso analogo, cfr. anche R. Acquaroli, La confisca e il controllo di proporzionalità, cit., p. 20; L. Cuocolo, Il potere sanzionatorio delle autorità indipendenti: spunti per una comparazione, in Quaderni reg., 2007, vol. 26, fasc. 3, pp. 601 ss..
[22] F. Viganò, Garanzie penalistiche e sanzioni amministrative, in Riv. it. dir. proc. pen., 2020, 1175 ss
[23] N. Bobbio, Sanzione, in Nov. Dig. it., XVI, Torino, 1957, 537
[24] D. Labetoulle, La Commission des sanctions de l'Autorité des marchés financiers: un témoignage, in Droit et société, 2016, 337 ss
[25] F. Mazzacuva, Le pene nascoste. Topografia delle sanzioni punitive e modulazione dello statuto garantistico, Torino, 2017
[26] F. Goisis, La full jurisdiction sulle sanzioni amministrative: continuità della funzione sanzionatoria v. separazione dei poteri, in Dir. amm., 2018, 1 ss.).
[27] F. Viganò, Doppio binario sanzionatorio e ne bis idem: verso una diretta applicazione dell'art. 50 della Carta?, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., 3-4/2014, p. 219.
[28] U. Sieber, Linee generali del diritto amministrativo punitivo in Germania, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, 2019, 38 s.
[29] Per queste osservazioni, cfr. — nella letteratura internazionale — M. Dyson, B. Vogel, Administrative Sanctions Compared, in M. Dyson, B. Vogel (ed.), The Limits of Criminal Law. Anglo-German Concepts and Principles, 2018, p. 336 ss.
[30] F. Viganò, Il nullum crimen conteso: legalità “costituzionale” vs. legalità “convenzionale”?, in S. Tordini Cagli (a cura di), Il rapporto problematico tra giurisprudenza e legalità, 2017, p. 9 ss
[31] Cfr. sul punto le acute considerazioni di E. Bindi, A. Pisaneschi, La retroattività in mitius, cit., p. 19 e p. 21 ss. nonché, volendo, F. Viganò, La tutela dei diritti fondamentali della persona tra corti europee e giudici nazionali, in Quad. cost., 2/2019, p. 481 ss.
[32] L. Masera, La nozione costituzionale, cit., p. 227 ss.
[33] Sul punto, si consenta ancora il rinvio a F. Viganò, Il nullum crimen conteso, cit.
[34] M. A. Sandulli, Le sanzioni amministrative pecuniarie, cit., p. 196 ss. e da C. E. Paliero, A. Travi, La sanzione amministrativa, cit., p. 143.