Giurisprudenza Civile

Sulla validità delle clausole claim’s made
Nota a Corte di Cassazione - Sezione unite civili, Sentenza 24 settembre 2018, n. 22437. Di Ludovica Costanzo
Le Sezioni Unite, sentenza 24 settembre 2018, n. 22437, prendono posizione sulla validità delle clausole claim’s made con un’attenta disamina in materia di adeguatezza dei prodotti assicurativi[1] alla luce della normativa in materia di adeguatezza dei prodotti assicurativi alla luce della normativa contenuta nel codice di assicurazione pronunciandosi anche sulle conseguenze civilistiche in caso di distribuzione di prodotti inadeguati.
La soluzione proposta prevede che:
“Il modello della responsabilità civile con clausole “on clame made basis”, che è volto a indennizzare il rischio dell’impoverimento del patrimonio dell’assicurato pur sempre a seguito di un sinistro, inteso come accadimento materiale, è partecipe del tipo di assicurazione contro i danni, quale deroga consentita al primo comma dell’articolo 1917 c.c.[2], non incidendo sulla funzione assicurativa il meccanismo di operatività della polizza legato alla richiesta risarcitoria del terzo danneggiato comunicata all’assicuratore. Ne consegue che, rispetto al singolo contratto di assicurazione, non si impone un test di meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, ai sensi dell’articolo 1322, secondo comma, c.c. ma la tutela invocabile dal contraente assicurato può investire in termini, in termini di effettività, diversi piani, dalla fase che precede la conclusione del contratto sino a quella dell’attuazione del rapporto, co attivazione dei rimedi pertinenti ai profili implicati, ossia (esemplificando): responsabilità risarcitoria precontrattuale anche nel caso di contratto concluso a condizioni svantaggiose; nullità anche parziale del contratto per difetto di causa in concreto, con conformazione secondo le congruenti indicazioni legge o, comunque, secondo il principio dell’adeguatezza del contratto assicurativo allo scopo pratico perseguito dai contraenti; conformazione del rapporto in caso di clausola abusiva come quella di recesso in caso di denuncia di sinistro”.
A tal proposito non mancano i precedenti giurisprudenziali[3]che confermano quanto sopra detto adeguandosi all’orientamento esposto.
La questione oggetto del giudizio da cui origina l’ordinanza di rimessione alle sezioni unite riguarda un rapporto di garanzia tra la X S.r.l. e il suo assicuratore della responsabilità civile Y s.p.a.
Tra quest’ultima e la X S.r.l. erano stati stipulati due distinti contratti di assicurazione della responsabilità civile l’uno di durata dal 1 gennaio 2001 al 31 dicembre 2002, l’altro di durata dal 1 gennaio 2003 al 1 gennaio 2004.
Entrambi i contratti contenevono la c.d. “clausola di claims made”, in virtù della quale l’assicuratore si era obbligato non già per i danni da questi causati a terzi nel periodo di vigenza del contratto, ma per i danni il cui risarcimento fosse stato richiesto all’assicurato durante il periodo di efficacia della polizza. Poiché il terzo danneggiato Z aveva avanzato le proprie pretese nei confronti della X s.r.l. soltanto nel 2003, in forza della citata clausola, occorreva far riferimento alla seconda polizza che però vedeva una franchigia più alta. Da qui l’interesse del cliente a ritenere operante la prima polizza.
Il giudizio di primo grado si concluse con una sentenza che accolse la domanda risarcitoria proposta da Z e dichiarò nulla ai sensi dell’articolo 1341 c.c., la clausola claims made, accogliendo di conseguenza la domanda di garanzia spiegata dalla X s.r.l. nei confronti della Y s.p.a. Proposto l’appello da parte di quest’ultima la Corte accoglieva l’appello principale e rigettava quelli incidentali, affermando che la clausola di claims made non rendeva nullo il contratto ai sensi dell’articolo 1895 c.c. e che neppure poteva ritenersi vessatoria, non avendo come effetto quello di restringere la responsabilità dell’assicuratore, ma solo di delimitazione.
I giudici delle sezioni Unite affrontano in primis il profilo del contratto di assicurazione contro la responsabilità civile in cui sia presente la clausola di claims made. La Corte esclude che la clausola possa essere dichiarata vessatoria ai sensi dell’articolo 1341 e necessiti pertanto di specifica sottoscrizione in quanto limitativa della responsabilità. La clausola di claims made, come già affermato, è una clausola che, individuando il sinistro assicurato, rappresenta una delimitazione dell’oggetto del contratto e non della responsabilità. Si esclude anche il controllo di meritevolezza ex articolo 1322 2 comma c.c. pur rimanendo vivo e operante il fatto che la libera determinazione del contenuto contrattuale, tramite la scelta del modello claims made, rispetti, anzitutto, i limiti imposti dalla legge che il primo comma postula per ogni intervento conformativo sul contratto inerente al tipo, in ragione del suo farsi concreto regolamento degli interessi perseguiti dai paciscenti, secondo quella che suole definirsi causa in concreto del negozio.
A tal riguardo non va dimenticato di porre l’accento s un altro aspetto preso in considerazione dalla Corte relativo alla valutazione di conformità del regolamento contrattuale all’assetto degli interessi dei contraenti, non dimenticando gli obblighi di buona fede che dominano anche la fase precontrattuale.
Sul piano della fase prodromica alla conclusione del contratto secondo il modello della claims made, gli obblighi informativi sul relativo contenuto devono essere assolti dall’impresa assicurativa o dai suoi intermediari in modo trasparente e mirato alla tutela effettiva dell’altro contraente, con il precipuo scopo di far conseguire all’assicurato una copertura assicurativa il più possibile aderente alle sue esigenze. Gli obblighi di buona fede nelle trattative di cui agli articoli 1337[4] e 1338[5] c.c. trovano regole specificatamente dettate per il settore assicurativo nel codice delle assicurazioni agli artt. 120, 166, 183-187 e nella normativa secondaria da Ivass ora nei regolamenti 40-41/2018.
La violazione di suddetti obblighi, a prescindere dalla possibilità che la condotta scorretta abbia dato vita a un vizio del consenso e quindi a una annullabilità del contratto apre al rimedio risarcitorio il quale dovrebbe far conseguire al contraente pregiudicato un effettivo ristoro del danno patito commisurabile all’entità delle utilità che avrebbe potuto ottenere in base al contratto correttamente concluso.
Viene pure rilevato come il settore sia modulato sull’obbligo per le imprese e per gli intermediari di offrire contratti adeguati ai clienti e inclini a modulare un adeguato assetto degli interessi dell’operazione economica, che non abbiano poi trovato puntuale e congruente riscontro nel contratto assicurativo concluso, assumendo a tal proposito valore anche la determinazione del premio di polizza in relazione al rischio.
Ne segue che il contratto di assicurazione per responsabilità civile cn clausola claims made si caratterizza per il fatto che la copertura è condizionata alla circostanza che il sinistro venga denunciato nel periodo di vigenza della polizza, o, anche, un delimitato arco temporale secondo lo schema denominato “lossoccurrence”, o “insorgenza del danno”, sula quale è conformato il modello delineato nell’articolo 1917[6] c.c., la copertura opera in relazione a tutte le condotte, generatrici di domande risarcitorie, insorte nel periodo di durata del contratto. Pur essendo questo lo schema essenziale a cui si ispira l’istituto delle clausole di claims made, esso trova manifestazione in due grandi categorie: a) clausole c.d. miste o impure, che prevedono l’operatività della copertura assicurativa solo quando tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano nel periodo di efficacia del contratto, con retrodatazione della garanzia, in taluni casi, come quello dedotto in giudizio, alle condotte poste in essere anteriormente;
- b) clausole c.d. pure destinate alla manleva di tutte le richieste risarcitorie inoltrate dal danneggiato all’assicurato e da questi all’assicurazione nel periodo di efficacia della polizza, indipendentemente dalla data di commissione del fatto illecito. Ne deriva che, relativamente al singolo contratto, non si richiede un controllo di meritevolezza degli interessi[7], bensì, la tutela invocabile dal contraente assicurato può investire diversi piani, dalla fase che precede la conclusione del contratto sino a quella dell’attuazione del rapporto.
È noto che la disciplina codicistica dell’assicurazione per la responsabilità civile è strutturata su una nozione di sinistro inteso come fatto dannoso, individuato il fatto generatore dell’obbligazione assicurativa nel comportamento colposo posto in essere dall’assicurato durante il periodo di efficacia della polizza e produttivo di un danno al terzo. In base al disposto dell’articolo 1917 co.1, c.c. ciò che rileva al fine di stabilire l’insorgenza dell’obbligo di corrispondere l’indennizzo a carico dell’assicuratore è il momento in cui si manifestano le conseguenze dannose di quella condotta sia il momento in cui il terzo danneggiato effettua la richiesta risarcitoria dell’assicurato.
Tale modello tradizionale fondato sul momento dell’insorgenza del danno, cd. lossoccurence, è entrato in crisi sulla fine degli anni Ottanta con l’emersione della tematica dei cd. dannilungolatenti, ossia di danni che si manifestano a lunga distanza di tempo dalla condotta lesiva. Le compagnie assicurative si sono, infatti, trovate a dover fronteggiare una mole di contenzioso inatteso e risarcimenti liquidati sulla base di parametri completamente diversi da quelli cui base erano state appostate le riserve ed hanno, dunque, introdotto prodotti assicurativi strutturati su una concezione di sinistro diversa da quella formulata dal citato articolo 1917 c.c. attribuendo rilevanza-anziché al fatto dannoso posto in essere dall’assicurato- alla richiesta di risarcimento del danno svola dal danneggiato nei confronti dell’assicurato, con l’inserimento di clausole di claims made o a richiesta fatta.
Nelle polizze con clausola claims made l’assicurazione è prestata, non già per i danni materialmente causati ed emersi nel periodo di validità dell’assicurazione, ma per i danni per i quali, durante tale periodo, sia stata presentata all’assicurato per la prima volta domanda di risarcimento del danno. Nel ventennio successivo alla prima introduzione dei contratti assicurativi con clausola claims made si è assistito ad una loro progressiva e inarrestabile diffusione nel campo dell’assicurazione della responsabilità civile, al punto di soppiantare quasi completamente i contratti tradizionali lossoccurrence, in particolare nelle assicurazioni per la responsabilità professionale.
Le clausole di claims made sono state oggetto di numerose e contrastanti interpretazioni giurisprudenziali con posizioni ce spaziano dalla ritenuta nullità della clausola a quelle di piena validità, dalla tipicità alla atipicità con necessità di indagarne l’eventuale carattere vessatorio, sino alle recentissime pronunce della cassazione a partire dal 2016[8]. Merita attenzione quanto affermato a tal riguardo le Sezioni Unite, le quali avevano stabilito che: -la clausola di claims made, nella parte in cui consente la copertura dei fatti commessi dall’assicurato prima della stipula del contratto, non è nulla, e non rende nullo il contratto di assicurazone per inesistenza del rischio, ai sensi dell’articolo 1895 c.c.;
- La clausola di claims made, nella parte in cui subordina l’indennizzabilità del sinistro alla circostanza che il terzo danneggiato abbia chiesto all’assicurato il risarcimento entro i termini di vigenza del contratto, delimita l’oggetto di questo, e non la responsabilità dell’assicuratore, e di conseguenza non è vessatoria;
- La clausola claims made pur non essendo vessatoria, potrebbe tuttavia risultare in singoli casi specifici non diretta a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico, ai sensi dell’articolo 1322 c.c. Quest’ultima valutazione tuttavia va compiuta in concreto e non in astratto, valutando: -se la clausola subordini l’indennizzo alla circostanza che sia il danno, sia la richiesta di risarcimento da parte del terzo avvengano nella vigenza del contratto;
- la qualità delle parti;
- la circostanza che la clausola possa esporre l’assicurato a vuoti di garanzia.
Per effetto dell’intervento delle Sezioni Unite si giunse, pertanto, a stabilire che la clausola di claims made non rende il contratto privo di rischio, e non ne comporta la nullità ex articolo 1895 c.c. e, ancora, che la suddetta clausola non è vessatoria ai sensi dell’articolo 1341 c.c. Restando, invece, da stabilire caso per caso se quella causa possa dirsi diretta a realizzare interessi meritevoli di tutela ai sensi dell’articolo 1322 c.c., in particolare, ad esempio, escluda il diritto all’indennizzo per i danni causati all’assicurato in costanza di contratto, ma dei quali il terzo danneggiato abbia chiesto il pagamento dopo la scadenza del contratto. La clausola di claims made è un patto atipico, sorto in un ordinamento giuridico il cui diritto assicurativo è stato in passato, e resta ancor oggi, molto distante da quello italiano: per genesi, sviluppo e contenuto. In quanto patto atipico, alle parti è consentito adottarla solo se intesa a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo il nostro ordinamento giuridico. La meritevolezza di cui all’articolo 1322 c.c., comma 2, non si esaurisce nella liceità del contratto, del suo oggetto, della sua causa. Secondo la Relazione al Codice civile, la meritevolezza è un giudizio e non un requisito del contratto, e deve investire non in contratto in sé, ma il risultato con esso conseguito.
Affinchè dunque un patto atipico possa dirsi immeritevole, ai semsi dell’articolo 1322 comma 2 c.c., non è necessario che contrasti con norme positive; in tali ipotesi sarebbe infatti di per sé nullo ai sensi dell’articolo 1418 c.c. Ne consegue che l’immeritevolezza discenderà dalla contrarietà non del patto ma del risultato che il patto atipico intende perseguire con i principi di solidarietà, parità e non prevaricazione che il nostro ordinamento pone a fondamento dei rapporti privati[9].
Altro profilo problematico sorto era quello relativo alla liceità e non vessatorietà della clausola di claims made che aveva generato nuove incertezze riguardo a due tematiche: i criteri in base al quale affrontare la valutazione della meritevolezza della clausola e le conseguenze di un giudizio di immeritevolezza.
Quanto al primo aspetto la Corte nell’affermare la necessità di un’indagine da condursi in concreto, con riferimento, cioè, alla fattispecie negoziale di volta in volta sottoposta alla valutazione dell’interprete assegna al singolo magistrato il compito di individuare eventuali vuoti di copertura fornendo confusi parametri di valutazione.
Quanto, invece, alle clausole claims made impure ol vaglio di meritevolezza appare essere più problematico a partitre da quella che limita la copertura alla sola ipotesi che durante il tempo dell’assicurazione, intervengano sia il sinistro che la richiesta di risarcimento. In relazione a tali clausole occorrerà tenere conto di alcuni elementi sintomatici del concreto bilanciamento degli interessi tra le parti che possono essere ravvisati, per le clausole che estendono la garanzia al rischio pregresso, nel rilievo che a fronte di una riduzione del sinallagma nell’ultimo periodo di vita del rapporto, si realizza la copertura delle condotte antecedenti alla stipula e, per tutte, nell’entità del premio pagato dall’assicurato, nel senso di ritenere meritevole la pattuizione ove si riscontri che la copertura della valutazione assicurativa trovi un corrispettivo in una sensibile riduzione del premio. Si afferma, poi, che ogni qual volta la clausola sia prestata in vigenza di un obbligo assicurativo ex lege per il professionista, ove l’interesse protetto è prevalentemente quello del cliente terzo danneggiato, il giudizio di idoneità della polizza difficilmente potrà avere esito positivo in presenza di una clausola di claims made, la quale, comunque articolata, espone il garantito a buchi di copertura. Va, altresì, detto che prima ancora dell’intervento delle Sezioni unite del 2016, all’orientamento giurisprudenziale che sosteneva la tesi della sostituzione del regime di claims made con quello del lossoccurrence[10] se ne era venuto a contrapporre un altro secondo il quale la dichiarazione di nullità sarebbe destinata a colpire soltanto la parte vessatoria della clausola, ossia la mancata estensione della claims made ai fatti verificatisi nel decennio precedente alla stipula del contratto, con la conseguenza che la clausola sarebbe inefficace solo per la parte che concerne la limitazione di responsabilità, con conseguente applicazione della disciplina prevista dalla clausola di claims made pura.
Infine, va posta attenzione anche alla più recente ordinanza di Cass. 19 gennaio 2018 n. 1465, perché si inserisce in un dibattito molto acceso e in continua evoluzione coinvolgente non solo il settore assicurativo ma anche economico non limitandosi a delineare il problema ma prospetta una soluzione con dovizia di argomenti giungendo che l’autonomia contrattuale nel campo dell’assicurazione incontra dei limiti ben precisi, non potendo le parti attribuire alla richiesta di risarcimento la qualifica di sinistro.
La tesi appare suggestiva ma non del tutto convincente, muovendo dall’equivoco di considerare siffatta richiesta non pregiudizievole, né indesiderabile da parte dell’assicurato. Per contro, essa è pregiudizievole, perché concretizza il rischio che il patrimonio dell’assicurato venga aggredito dal terzo e non risulta di conseguenza desiderabile da parte di costui, che nutre semmai un interesse a ricevere la richiesta entro la scadenza contrattuale nel limitato caso in cui abbia compiuto un illecito.Ma questo assunto teorico per il quale tra rischio e sinistro esisterebbe un rapporto di circolarità che vede il secondo necessaria concretizzazione del primo sembra vacillare. Per contro, il rischio assicurato da una polizza non riguarda solo il verificarsi del fatto, altrimenti tutte le assicurazioni claims made retroattive sarebbero nulle in quanto avrebbero ad oggetto un rischio che ha cessato di esistere prima della conclusione del contratto ex articolo 1895 c.c. Tale concezione venne comunque superata nella pronuncia del 2016.
L’ordinanza confuta, altresì quattro argomenti con cui la dottrina ha difeso la validità della clausola assicurativa a richiesta fatta,la quale: 1) sfuggirebbe al vaglio di meritevolezza non essendo atipica, mentre l’unico dato legislativo è che per “sinistro” si deve intendere il fatto dannoso, e non la richiesta risarcitoria rilevante nel modello claims made; 2) sarebbe consentita dal principio di autonomia contrattuale che incontra invece i limiti indicati in precedenza. Seguono poi due argomenti di natura più economica che giuridica: 3) risulterebbe nocivo per l’economia nazionale vietare clausole diffuse a livello internazionale, come quelle claims made, che al contrario sono avversate dalla giurisprudenza di tutti gli ordinamenti e ammesse solo grazie all’intervento del legislatore; 4) senza claims made i costi dell’assicurazione diventerebbero insostenibili, il che è vero solo nel contesto statunitense in cui questo genere di clausole è sorto. Accanto alle regole di nullità, per tutelare l’assicurato in un contesto caratterizzato da simmetrie informative nel quale l’intermediario deve proporre o consigliare un prodotto adeguato alle esigenze del contraente, vengono prospettate le regole di responsabilità. Una simile prospettiva tutto sommato ancora inesplorata nel nostro settore consentirebbe all’assicurato di avvalersi del risarcimento del danno precontrattuale per aver concluso, a causa della condotta scorretta dell’intermediario, un contratto valido ma pregiudizievole. Alla luce di tale approccio dovrebbero essere viste con favore anche la clausole di claims made affiancate dalle cd. deeming cause: clausola diffusa nel mondo anglosassone, la cui fecondità sul piano operativo è stata di recente accolta anche dalla nostra dottrina.
Per concludere, tirando le somme, con la sentenza in commento le Sezioni Unite giungono a ribadire la validità dello schema “a richiesta fatta” secondo cui la copertura scatta quando la richiesta di risarcimento del terzo danneggiato avviene nel periodo di vigenza della polizza e la domanda viene inoltrata dal cliente alla propria compagnia.
Secondo i giudici nello spazio concesso alla derogabilità (art. 1932) del sotto-tipo delineato dal primo comma del citato articolo 1917 c.c. ben si colloca il modello claims made, da accettarsi, dunque, nell’area della tipicità legale e di quella stessa del codice del 1942, nel suo più ampio delinearsi come assicurazione contro i danni, confluendo nell’area dell’esercizio proprio dell’attività assicurativa.
Un conclusione questa che si fa apprezzare non solo in riferimento al settore sanitario e delle professioni ma in linea più generale. Cosicchè, la liceità della claims made con garanzia pregressa si apprezza perché inerisce a un solo elemento del rischio garantito, la condotta colposa posta in essere e peraltro ignorata, restando, invece, impregiudicata l’alea dell’avveramento progressivo degli altri elementi costitutivi dell’impoverimento patrimoniale del danneggiato assicurato.
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[1] L’assetto normativo e regolamentare degli obblighi di comportamento degli intermediari assicurativi è imperniato su una specifica nozione di adeguatezza quale primario obiettivo dell’attività di distribuzione assicurativa. In proposito, l’art. 120, comma 3 del d.lgs. 209/2005- codice delle assicurazioni private- impone a tali soggetti di proporre o consigliare al potenziale cliente un prodotto “adeguato alle sue esigenze”, che ovviamente sono quelle di carattere assicurativo o previdenziale nonché, ove rilevanti in relazione allo specifico prodotto legate alla propensione al rischio dell’interessato. In funzione dell’obiettivo dell’adeguatezza l’art. 52, comma 2 Reg. Isvap impone agli intermediari assicurativi di assumere dal potenziale cliente ogni informazione utile alla valutazione delle esigenze connesse alla stipulazione del contratto assicurativo “in funzione delle caratteristiche e della complessità del contratto offerto”, conservandone idonea evidenza documentale.
[2] Ai sensi dell’articolo 1917 Codice civile rubricato “Assicurazione della responsabilità civile” 1 comma: Nell’assicurazione della responsabilità civile è obbligato a tenere indenne l’assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante l tempo dell’assicurazione, deve pagare a un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto. Sono esclusi i danni derivanti da fatti dolosi.
[3]Cass. civ. sez. Unite, 6/05/2016 n. 9140: “Il contratto di assicurazione strutturato secondo la clausola del claims made (“a denuncia fatta”) puo’ essere oggetto di una valutazione di meritevolezza concreta della deroga al regime legale previsto dall’articolo 1917 c.c., in mancanza della quale il claims made deve essere sostituito con lo schema legale tipico del contratto di assicurazione che prevede una garanzia lossoccurrence (“ad insorgenza del danno”). Ancora Sentenza n. 10506 del 28/04/2017: “La clausola di claims made inserita in un contratto di assicurazione della responsabilità civile stipulato da un’azienda ospedaliera, per effetto della copertura esclusiva è prestata solo se il tanto danno causato dall’assicurato, quanto la richiesta di risarcimento formulata dal terzo, avvengano nel periodo di durata dell’assicurazione, è un patto atipico immeritevole di tutela ex articolo 1322, comma 2, c.c., atteso che realizza un ingiusto e sproporzionato vantaggio dell’assicurato, e pone l’assicurato in una condizione di indeterminata e non incontrollabile soggezione.” Cass. civ. sez. III 18/05/2017 n. 12488: “Nel contratto di assicurazione della responsabilità civile, non è vessatoria, ai sensi dell’articolo 1341 c.c. la clausola che subordina l’operatività della copertura della circostanza che tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengono entro il periodo di efficacia del contratto o, comunque, entro periodi di tempo preventivamente individuati; tuttavia, in presenza di determinate condizioni, il giudice di merito, con valutazione incensurabile in sede di legittimità, ove congruamente motivata, può dichiarare la nullità di tale clausola per difetto di meritevolezza ovvero, laddove sia applicabile la disciplina dettata dal codice del consumo, per il fatto di determinare, a carico del consumatore, un significativo squilibrio di diritti e obblighi derivanti dal contratto”. Cass. civ. sez. III, 15/02/2018 n. 3694: In tema di contratti, nel contratto di assicurazione sono da considerare clausole limitative della responsabilità, agli effetti dell’articolo 1341 c.c. con conseguente necessità di specifica approvazione preventiva per iscritto, quelle che limitano le conseguenze della colpa o dell’inadempimento o che escludono il rischio garantito, mentre attengono all’oggetto del contratto, e non sono, perciò, assoggettate al regime previsto dalla suddetta norma, le clausole che riguardano il contenuto ed i limiti della garanzia assicurativa e, pertanto, specificano il rischio garantito.
[4]Ai sensi dell’articolo 1337 c.c. rubricato “Trattative e responsabilità contrattuale”: Le parti nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede.
[5] Ai sensi dell’articolo 1338 c.c. rubricato “Conoscenza delle clausole di invalidità”: La parte, che conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa di invalidità del contratto (1418 ss.), non ne ha dato notizia all’altra parte è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per aver confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto.
[6] Ai sensi dell’articolo 1917 c.c. rubricato “Assicurazione della responsabilità civile”:Nell’assicurazione della responsabilità civile l’assicuratore è obbligato a tenere indenne l’assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione, deve pagare a un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto.
[7] Sul punto, interessante Cass. 28 aprile 2017 n 10506:” La clausola di claims made, inserita in un contratto di assicurazione della responsabilità stipulato da un’azienda ospedaliera per effetto della quale la copertura esclusiva solo se tanto il danno causato dall’interessato, quanto la richiesta di risarcimento formulata dal terzo, avvengano nel periodo di durata dell’assicurazione, è un patto atipico immeritevole di tutela ai sensi dell’articolo 1322 c.c., comma 2, in quanto realizza un ingiusto e sproporzionato vantaggio dell’assicuratore, e pone l’assicurato in una condizione di indeterminata e non controllabile soggezione.”
[8] Sentenza n. 9140 del 6 maggio 2016
[9] Non può tacersi, infine, un richiamo alla importante pronuncia delle Sezioni Unite in tema di esercizio officioso da parte del giudice, del potere di ridurre la clausola penale manifestamente eccessiva Sez. U. Sentenza 18128 del 13/09/2005. Nella motivazione di tale sentenza, infatti, in piena sintonia con il p. 603 della Relazione al Codice civile, si ribadisce che l’autonomia negoziale delle parti non è sconfinata, ma è circoscritta entro il limite della meritevolezza, travalicato il quale l’ordinamento cessa di apprestarle tutela. Riducendo a sistema le motivazioni anzidette se ne ricava che sono stati ritenuti immeritevoli di tutela, ai sensi dell’articolo 1322 c.c. comma 2, contratti o patti contrattuali che, pur formalmente rispettosi della legge, avevano per scopo o per effetto di:
- Attribuire ad una delle parti un vantaggio ingiusto e sproporzionato, senza contropartita per l’altra;
- Porre una delle parti in una posizione di indeterminata soggezione rispetto all’altra;
- Costringere una delle parti a tenere condotte contrastanti coi superiori doveri di solidarietà costituzionalmente imposti.
[10]Va sottolineato che l’intervento sostitutivo imposto dalla Suprema Corte e la riconduzione del contratto nel paradigma del lossoccurrence non costituisce necessariamente un vantaggio per l’assicurato atteso che determinerebbe automaticamente l’esclusione di copertura per fatti avvenuti prima della stipula del contratto, con la conseguenza di lasciare scoperti proprio eventi per i quali l’assicurazione era stata stipulata, in particolare nell’ipotesi di chi si assicura per la prima volta o, comunque, vuole garantirsi copertura per rischi in precedenza esclusi dai contratti di lossoccurrence. In secondo luogo, la sostituzione del regime di lossoccurrence a quello di claims made ad opera del giudice può determinare l’insorgere di una variabile di aleatorietà che non potrà che portare alla lievitazione esponenziale dei premi assicurativi calibrati non più sul tempo reale ma su quello che per così dire discrezionalmente il singolo giudice potrà applicare al caso concreto.