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Anno XVI - n. 07 - Luglio 2024

  Giurisprudenza Amministrativa



La dichiarazione di incostituzionalità per eccesso di delega della specifica fattispecie di danno all’immagine di cui all’art. 55-quater, comma 3-ter, del D.Lgs. n. 165/2001.

Di Alessandra Scafuri.
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NOTA A CORTE COSTITUZIONALE, SENT. N. 61/2020 (PRES. CAROSI)

 

La dichiarazione di incostituzionalità per eccesso di delega della specifica fattispecie di danno all’immagine di cui all’art. 55-quater, comma 3-ter, del D.Lgs. n. 165/2001

  

DI ALESSANDRA SCAFURI

 

Sommario: 1. I diritti della personalità della pubblica amministrazione 2. Le questioni giuridiche 3. La dichiarazione di illegittimità costituzionale della disciplina anti-assenteisti

 

1.   I diritti della personalità della pubblica amministrazione

La fattispecie di danno all’immagine nasce dall’interpretazione estensiva di danno erariale operata dalla giurisprudenza contabile, la cui cognizione è piena, esaustiva e sindacatoria sulla responsabilità amministrativa. La responsabilità amministrativa- contabile è la responsabilità in cui incorre un soggetto legato ad una pubblica amministrazione da un rapporto di servizio, per ogni genere di danno da lui causato all’ente di appartenenza ovvero ad altra pubblica amministrazione, in conseguenza di azioni od omissioni, poste in essere con dolo o colpa grave, in violazione delle norme che disciplinano la sua attività.

Il danno erariale consiste in un ammanco o in un pregiudizio alle casse pubbliche che può manifestarsi nelle forme classiche del danno emergente o del lucro cessante. Il danno erariale, poi, secondo una giurisprudenza più recente, viene inteso in maniera ampia. Il danno erariale ricomprende ogni compromissione di interessi di carattere generale del corpo sociale e la lesione dell’interesse pubblico generale all’equilibrio economico e finanziario dello Stato e, pertanto, viene declinato nelle tre fattispecie di danno da tangente, danno da disservizio e danno all’immagine. Quest’ultimo, in particolare, si connota per essere danno non patrimoniale, di cui all’art. 2059 del codice civile, sulla cui valutazione il giudice contabile procede in via equitativa.

Il danno all’immagine, anche detto danno reputazionale, coinvolge l’amministrazione e il suo rapporto con i cittadini poiché incrina il legame di fiducia tra decisore pubblico e amministrati. Questi, infatti, non considerano più la pubblica amministrazione quale potere preposto alla cura dell’interesse pubblico bensì ne percepiscono un’immagine distorta derivante dalla condotta opportunistica del dipendente pubblico. A causa del rapporto interorganico tra dipendente e amministrazione, il cittadino quisque de populo tende ad accomunare la responsabilità del singolo dipendente con quella dell’amministrazione nel suo complesso, la cui reputazione risulta così fortemente compromessa. Alla tradizionale natura risarcitoria della responsabilità contabile è stata affiancata quella sanzionatoria, volta a fruire da deterrente per coloro che sfruttano le proprie funzioni pubbliche per carpire vantaggi personali, soprattutto laddove

 

sussistano conflitti di interesse di tipo reale1. Il danno arrecato alla pubblica amministrazione, dunque, non può rimanere impunito perché occorre tutelare l’imparzialità e il buon andamento della stessa, ai sensi dell’art. 97, Cost. nonché dell’art. 1 della legge sul procedimento amministrativo n. 241/1990. Il bene tutelato è anche l’integrità del patrimonio pubblico, la cui destinazione naturale deve essere la soddisfazione di interessi pubblici predeterminati dalla legge. Il dispendio delle risorse pubbliche fa sorgere la giurisdizione contabile, preposta alla cura dell’interesse pubblico al legittimo uso delle stesse.

L’evoluzione del danno all’immagine, ossia del danno che l’amministrazione patisce a seguito delle condotte illecite dei propri dipendenti, specie in conseguenza del clamore e dei riflessi mediatici che queste comportano, si è avuta soprattutto per fattispecie connotate da dissipazione del denaro pubblico. Tale categoria di danno ha trovato applicazione in una serie di pronunce delle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti che hanno incrementato l’entità dei risarcimenti. Il legislatore aveva ritenuto di limitare gli effetti conseguenti a tale orientamento giurisprudenziale2, introducendo delle restrizioni ai fini della esatta determinazione del danno all’immagine. In base ad una disposizione oggi abrogata della legge n. 102/2009 c.d. «lodo Bernardo», l’esercizio della azione risarcitoria del danno all’immagine era possibile solo se collegato alla commissione di un reato da parte del dipendente contro la stessa pubblica amministrazione.

Le condotte illecite poste in essere dai funzionari infedeli a danno dell’amministrazione di appartenenza o altra pubblica amministrazione, causano non solo un danno patrimoniale all’erario, agilmente quantificabile, ma anche un danno non patrimoniale che pur sfuggendo ad una precisa valutazione patrimoniale è stimato dal giudice con prudente apprezzamento. La giurisprudenza della Corte dei conti ha affermato la propria competenza a conoscere del danno non patrimoniale, allorché si aggiunge agli effetti pregiudizievoli del danno patrimoniale in ipotesi di concorrente commissione di illecito penale, ai sensi del combinato disposto degli articoli 2059 del codice civile3 e 185 del codice penale4. Tale pregiudizialità sembra ormai sopita, con l'affermazione dell'indipendenza dal verificarsi di contestuali danni patrimoniali, in virtù del carattere esclusivo della giurisdizione contabile che impedisce la cognizione di ogni altro giudice nella materia degli eventi lesivi provocati da dipendenti pubblici.

Il prestigio della pubblica amministrazione rappresenta il bene immateriale leso dalla condotta illecita, direttamente tutelato dall’ordinamento e in quanto tale avente valore economico come altri beni immateriali tutelati. Una recente giurisprudenza contabile, infatti, ampliando il novero di beni costituzionalmente rilevanti, ha definito l’immagine della pubblica amministrazione come “l’insieme dei diritti della personalità della pubblica amministrazione, tra cui spicca il prestigio, l’autorevolezza e la credibilità”, il cui detrimento non si manifesta sempre con l’ammanco di risorse economico- finanziarie5. Interessante notare come il termine immagine sia riferito alla personalità giuridica dell’ente come anche alla persona fisica ma nell’ordinamento rileva soltanto il “riflesso” della prima nell’eco dell’opinione pubblica. Il danno all’immagine esprime, quindi, il diritto ad una buona immagine dell’amministrazione, nell’interesse della stessa ad offrire un servizio pubblico efficiente e fedele ai canoni di buon andamento e imparzialità. Il disvalore della condotta illecita posta in essere dal dipendente pubblico è volto a incentrare su questi l’antigiuridicità dell’intera vicenda mentre la pubblica amministrazione è una vittima cui il legislatore riconosce, nell’interesse pubblico alla legalità dell’azione amministrativa, il danno da risarcire.

 

 

2.   Le questioni giuridiche

La pronuncia in esame trae origine dalla questione di legittimità costituzionale dell'art. 55-quater, comma 3-quater, ultimo periodo, del D.Lgs. n. 165/2001, inserito dall'art. 1, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 116/2016, in attuazione dell'art. 17, comma 1, lett. s), della legge delega n. 124/2015 in materia di riorganizzazione delle amministrazioni 

pubbliche. La questione di legittimità costituzionale si fonda sul contrasto della normativa suddetta rispetto all’art. 76, Cost., nonché all’art. 3, Cost. anche in combinazione con gli artt. 23 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della CEDU. Le censure sono rilevate nell'ambito del giudizio di responsabilità promosso contro una dipendente pubblica che aveva falsamente attestato la propria presenza in servizio. La Corte dei Conti, con sentenza non definitiva, ha ritenuto fondata l'azione risarcitoria promossa nei confronti della convenuta, condannandola al risarcimento del danno patrimoniale derivante dalla percezione indebita della retribuzione in mancanza della prestazione lavorativa e, limitatamente all’an debeatur, anche a risarcire il pregiudizio arrecato all'immagine della pubblica amministrazione di appartenenza.

Il giudice rimettente rileva che nella fattispecie sono presenti tutti gli elementi oggettivi, soggettivi e sociali per la configurazione del danno all’immagine poiché la vicenda ha avuto anche risonanza nella stampa locale. Inoltre, secondo lo stesso giudice, la funzione sanzionatoria delle previsioni normative sarebbero ragionevoli in considerazione delle condotte asseteistiche che tende a contrastare. Tuttavia, lo stesso giudice a quo sostiene che la quantificazione del danno all’immagine come introdotta nella riforma del 2016 in attuazione della legge delega presenta dei profili di incostituzionalità rispetto all’art. 76, Cost. per eccesso di delega, l’artt. 3, 23 e 117, primo comma, Cost. in relazione all’art. 6 della CEDU e all’art. 4 del Protocollo n. 7, in quanto norme interposte, per violazione di gradualità e proporzionalità sanzionatoria.

Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo l’infondatezza delle suddette questioni di legittimità costituzionale. Sulla violazione dell’art.76, Cost., si contesta che non vi sarebbe eccesso di delega poiché la Corte Costituzionale6 ha affermato il principio secondo cui è ammissibile la determinazione dei criteri direttivi, soprattutto in riferimento ad interi settori di disciplina od organici complessi normativi. In tali casi, infatti, l’enunciazione di principi che orientano la materia nel suo complesso rappresenta un coerente sviluppo delle scelte effettuate dal legislatore delegante. Secondo la ricostruzione della Presidenza del Consiglio, quindi, il legislatore delegato sarebbe libero di individuare e tracciare i necessari contenuti attuativi, in virtù della discrezionalità legislativa a questi affidata dalla Costituzione7. Proprio in omaggio all’art. 76, Cost., il provvedimento legislativo delegato vanta la forza di legge grazie alla quale le scelte del relativo legislatore non possono essere declassate a mere valutazioni regolamentari, prive di autonomia precettiva. Ai fini della valutazione di conformità tra legge delegata e decreto legislativo, occorre verificare rispetto alla prima, la delimitazione dell’oggetto, dei principi e dei criteri direttivi, nonché le finalità e le ragioni sottese, quali elementi che fungono da base e da limite per il decreto legislativo. Al legislatore delegato spetta, dunque, l’interpretazione del contesto cui si riferisce la legge delega mediante gli strumenti che la qualificano.

La Presidenza del Consiglio ritiene, quindi, nella questione di specie, l’art. 55-quater, comma 3-quater, ultimo periodo, del D.Lgs. n. 165/2001 pienamente riconducibile ai criteri dettati dalla legge delega n. 124/2015, quale suo coerente sviluppo. La normativa impugnata sarebbe funzionale alla tutela del bene giuridico, individuato dalla legge delega, del buon andamento della pubblica amministrazione, ossia di quel fondamentale carattere che connota l’esercizio dei poteri e delle funzioni pubbliche. Per quanto riguarda le compatibilità con la normativa vigente, si sostiene che la responsabilità per danno all’immagine rientri nella generale categoria di responsabilità amministrativo-contabile, qualificata da una funzione sanzionatoria. Il carattere punitivo della responsabilità per danno all’immagine è dovuto alla grave perdita di prestigio alla personalità della pubblica amministrazione, nonché del pregiudizio arrecato al rapporto fiduciario con i cittadini, che affievolisce il desiderio di partecipazione e il sentimento di appartenenza e di affidamento alle istituzioni8.

Partendo dalla disciplina costituzionale, gli artt. 28 e 54, secondo comma, Cost. esprimono il doveroso senso istituzionale che deve guidare il funzionario pubblico nel servizio reso, con impegno e responsabilità, rispettando il principio di buon andamento e imparzialità nella sua attività. La tutela di questi beni giuridici rappresenta il fil rouge che correla la responsabilità contabile a quella disciplinare, conseguente alla violazione degli obblighi comportamentali propri del dipendente, in virtù della peculiarità del lavoro svolto presso la pubblica amministrazione. Nella responsabilità disciplinare, come in quella contabile, rileva il rispetto del pubblico interesse al buon andamento dell’amministrazione anche nell’ambito del rapporto di lavoro. Il danno all’immagine della pubblica amministrazione, quale pregiudizio al buon andamento e all’imparzialità ai sensi dell’art. 97, Cost., scaturisce dalla condotta illecita del dipendente pubblico ed è intrinsecamente collegato alle sanzioni disciplinari. La sanzione del licenziamento e l’azione di responsabilità contabile per danno erariale all’immagine, secondo la ricostruzione della Presidenza del Consiglio, è offerta dalla particolarità del pubblico impiego e alla specifica esigenza di contrastare l’odioso fenomeno di falsa attestazione della presenza in servizio. Per raggiungere tale ambizioso obiettivo, il legislatore ha previsto una disciplina singolare di un procedimento disciplinare accelerato e di un licenziamento in assenza di preavviso, insieme alla contestazione del danno all’immagine secondo una quantificazione minima. L’ambito sociale in cui opera la fattispecie della falsa attestazione in servizio si aggiunge alla sua naturale dimensione del rapporto di pubblico impiego. Mediante tali argomentazioni, quindi, non si ravvisa l’eccesso di delega per l’introduzione di norme in materia di responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti, stante la finalità comune di assicurare il prestigio, la credibilità e il corredo di diritti della personalità relativi alla buona amministrazione.

La legge delega n. 124/2015 ha voluto conseguire un potenziamento del livello di efficienza dei pubblici uffici per contrastare i fenomeni di scarsa produttività e assenteismo, anche mediante la previsione di un’azione di responsabilità per danno all’immagine. Il legislatore delegato deterrebbe il merito di aver introdotto regole stringenti per perseguire il rafforzamento delle performance della pubblica amministrazione, anche mediante l’introduzione della suddetta azione deterrente. La perpetuata condotta infedele del dipendente pubblico mina alla buona amministrazione, al prestigio e al decoro della stessa, all’interno del rapporto di impiego ma anche negli stessi amministrati, ingenerando sfiducia e malcontento nei confronti dell’amministrazione.

Sulla natura ibrida del danno all’immagine9, poi, le affermazioni della Presidenza del Consiglio riflettono sulla natura sanzionatoria oltre che risarcitoria della responsabilità amministrativa. Ne deriva che il criterio di determinazione del quantum dovuto per la violazione posta in essere dal dipendente sia ragionevole ed in linea con il perseguimento di un’azione amministrativa efficiente. La normativa impugnata tende a prevenire il comportamento assenteistico che di per sé presenta un elevato livello di offensività, contro il quale il legislatore delegato ha voluto predisporre una sanzione minima ragionevole. Tale previsione non andrebbe a precludere alcuna valutazione giudiziale di proporzionalità nel caso concreto: lo stesso articolo censurato presuppone sempre una valutazione equitativa del giudice atta a graduare la sanzione. Il disvalore della condotta, prosegue la Presidenza, è data non solo dal nocumento arrecato al rapporto tra dipendente pubblico e amministrazione ma anche nei confronti della collettività che perde fiducia nell’operato di coloro che sono preposti alla cura dell’interesse pubblico. Ecco che si evince la ragione sottesa alla predeterminazione nel minimo della misura del risarcimento del danno all’immagine, rivelandone la sua natura polifunzionale.

 

3.   La dichiarazione di illegittimità costituzionale della disciplina anti-assenteisti

La Corte Costituzionale afferma la fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art.55-quater, comma 3-quater, del D.Lgs. n. 165/2001, sollevata in riferimento all’art.76, Cost. poiché la materia delegata è unicamente quella attinente al procedimento disciplinare, senza che possa ritenersi in essa contenuta l'introduzione di nuove fattispecie sostanziali in materia di responsabilità amministrativa. Nella legge di delegazione n. 124/2015 non si rinvengono indicazioni al legislatore delegato per introdurre un nuovo risarcimento per danno all’immagine dell’amministrazione come nella legge 15/2009, avente il precipuo scopo di migliorare le performance dei dipendenti pubblici. L’art. 17, primo comma, lett. s) della l. n. 124/2015 autorizza il Governo soltanto a organizzare l’esercizio puntuale e celere dell’azione disciplinare, mediante l’inserimento di norme nella relativa materia.

L’analisi degli atti preparatori, afferma la Consulta, rivela che la finalità suddetta è stata oggetto di uno specifico emendamento, mentre la questione della responsabilità amministrativa non è mai stata oggetto di trattazione. La materia di delegazione è quindi la disciplina del procedimento disciplinare, non già quella sulla responsabilità, seppur connessa ma mai discussa nella legge delega. La natura della delega, inoltre, è di mero riordino, per cui non può ritenersi in essa ricompresa la materia della responsabilità amministrativa e la sua specifica fattispecie di danno all’immagine arrecato dalle indebite assenze dal servizio dei dipendenti pubblici.

Così la Corte Costituzionale non accoglie le argomentazioni suddette della Presidenza del Consiglio dei ministri, ritenendo sussistente l’eccesso di delega. Le riflessioni che possono svolgersi in merito a tale dichiarazione di illegittimità costituzionale sono ancorate alle fattispecie concrete che si sono e che potranno verificarsi. In primo luogo, nella fattispecie in esame la giurisprudenza tanto costituzionale quanto europea sul principio del ne bis in idem preclude alla qualificazione sanzionatoria della responsabilità per danno all’immagine arrecato alla pubblica amministrazione. La questione sui cd. punitive damages nel settore civilistico10, sembra quindi riproporsi nell’area amministrativa. La funzione di deterrenza dai comportamenti assenteistici e in generale opportunistici, nel pubblico impiego, dovrebbe esser operata dalle antitetiche condotte virtuose dei soggetti apicali e dalla promozione del senso istituzionale di coloro che svolgono un servizio pubblico. Non sembra alla scrivente una mera visione utopistica la promozione dell’etica nella pubblica amministrazione, intesa come virtù di combattività per promuovere il senso di integrità e di appartenenza all’amministrazione.

La formazione dei pubblici dipendenti, come avviene anche nel settore privato, dovrebbe essere la scommessa etica vera su cui il legislatore deve puntare, magari dimenticando di inserire clausole di invarianza finanziaria. Non si fa un solo riferimento agli istituti repressivi, quali whistleblowing, ossia il segnalatore degli illeciti, bensì alla redazione di piani triennali anticorruzione e codici etici e di condotta, rectius “aspirazionali”11che mettano la personalità di ciascuno al centro, per consentire alla responsabilizzazione concreta del dipendente.

In ultimo, si rileva la sussistenza di una seconda scommessa, di matrice tecnologica, che riguarda il futuro del pubblico impiego. In era di pandemia, l’amministrazione italiana ha scoperto l’importanza dell’investimento nel “lavoro agile”, cd. smart working, da organizzare e ripensare per evitare comportamenti opportunistici. Indefettibile sarà la vigilanza dei direttori dei singoli dipartimenti nei confronti dei propri dipendenti, volta ad assicurare lo svolgimento del servizio pubblico anche non in sede.

 

NOTE:

1 E. Di Carlo, I conflitti di interesse nelle aziende. Linee guida per imprese, amministrazioni pubbliche e non profit, Giappichelli Editore, 2020. L’Autore fornisce un’accurata definizione del conflitto di interessi, di cui ancor oggi il nostro ordinamento è privo. La definizione è stata offerta anche in occasione dell’Audizione informale nell'ambito dell'esame della proposta di legge sul conflitto di interessi presso l'Aula della I Commissione della Camera dei Deputati, Palazzo Montecitorio, il 7 novembre 2019. Il Prof. Di Carlo, Professore Associato di Economia Aziendale e Vicedirettore esecutivo del Master Anticorruzione presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, affronta la sua disamina partendo dalla visione dell’azienda come organizzazione produttiva che con sistematicità, autonomia decisionale ed economicità tende a soddisfare i bisogni attraverso la produzione di beni e servizi utili e a creare valore sostenibile. Ciò dovrebbe essere lo scopo dell’attività economica e non la mera massimizzazione del profitto per gli azionisti, che può essere una condizione di sopravvivenza e sviluppo dell’azienda. Il conflitto di interessi è definito dall’Autore come “situazione di rischio in cui un interesse secondario di un soggetto, finanziario ovvero non finanziario, tende ad interferire in modo reale, potenziale ovvero apparente, con l’interesse primario dell’azienda, verso cui questi ha precisi doveri e responsabilità”. La tendenza ad interferire distingue la situazione di conflitto di interessi dal comportamento opportunistico che sostanzia il reato della corruzione contro la pubblica amministrazione e ne gradua l’impatto. Il conflitto di interessi reale avviene nel momento in cui il soggetto decide; il conflitto di interessi potenziale si ha in un momento antecedente alla decisione; il conflitto di interessi apparente è quello che viene percepito all’esterno. Talvolta, anche in base alla funzione svolta, è importante tutelare anche le situazioni di conflitto di interesse apparente. Nell’ordinamento italiano un inquadramento della situazione di conflitto di interessi è offerto dall’art. 42 del Codice dei contratti pubblici che disciplina il conflitto di interessi apparente e per cui è previsto il rimedio dell’astensione. Nelle pubbliche amministrazioni un rimedio importante può esser quello della comunicazione del conflitto di interessi al Responsabile della Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza che in concreto valuta come gestire la delicata situazione.
2 F.G. Scoca, Sul danno all’immagine della Pubblica amministrazione, nota a Corte Costituzionale, 19 luglio 2019, n.191, in Giurisprudenza Costituzionale, fasc.4, 2019, pag. 2177. L’Autore sapientemente afferma la sussistenza di un dialogo a distanza tra legislatore e giudice contabile, che muovono in direzioni opposte. Il legislatore tenta con costanza di contenere entro limiti esattamente determinati la responsabilità di amministratori e dipendenti pubblici, il giudice contabile tende ad allargarla, fino a rivolgersi con frequenza alla Corte costituzionale sollevando questioni di costituzionalità delle disposizioni legislative che gli appaiono eccessivamente limitative.

3 La questione sull’ascrivibilità del danno all’immagine come danno non patrimoniale tout court è stata risolta da Corte Costituzionale n. 355/2010.

4 M. Sciascia, Il danno erariale non patrimoniale e il danno all’immagine della pubblica amministrazione, su www.contabilità-pubblica.it.

5 Corte dei conti sez. II 10 luglio 2007 n. 234/A, est. Longoni

6 Corte Costituzionale, sent. 10/2018, 278/2016, 194 e 146/2015 47-229/2014, 426/2008.

7 Tale assunto è rinvenibile in Corte Costituzionale, sent. n 44/1993.

8 Così Corte Costituzionale, sent. n. 355/2010.

9 La Corte Costituzionale cita la pronuncia della CEDU, 13 maggio 2014, Itali vs. Rigolio, su ricorso n. 20148/09 sulla natura della responsabilità patrimoniale ovvero sanzionatoria, anche alla luce della recente entrata in vigore del d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174, con il quale e stato approvato il «Codice di giustizia contabile» ai sensi dell'articolo 20 della legge 7 agosto 2015, n.124. Nonostante la delega legislativa indicasse esplicitamente quale obiettivo principale «la concentrazione delle tutele spettanti alla cognizione della giurisdizione contabile», alla successiva attuazione non può, tuttavia, attribuirsi il merito di aver risolto l'annosa questione del doppio processo a finalità risarcitoria del danno erariale. L'importante sentenza 'Rigolio', riferita all'ordinamento italiano, offre taluni riferimenti alla risoluzione della controversa questione circa la sussistenza della riserva di giurisdizione in favore del giudice contabile e sui profili di compatibilità del c.d. «doppio binario pieno» col principio del ne bis in idem, e della conseguente duplicazione di giudizio risarcitorio, In particolare, si analizza la questione alla luce del principio secondo il quale la giurisdizione contabile e da considerarsi «esclusiva» individuando nella Corte dei conti il giudice «naturale» nelle materie di contabilità pubblica e demandando al giudice penale l'accertamento della mera sussistenza del pregiudizio nei confronti della pubblica amministrazione costituita parte civile.

10 Corte di Cassazione civile, SS.UU., sentenza n. 16601/2017 affermano il principio di diritto secondo cui nel vigente ordinamento, alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile. Non è quindi  ontologicamente  incompatibile  con  l'ordinamento  italiano  l'istituto  di  origine  statunitense  dei risarcimenti punitivi - (punitive damages). “Il riconoscimento di una sentenza straniera che contenga una pronuncia di tal genere deve però corrispondere alla condizione che essa sia stata resa nell'ordinamento straniero su basi normative che garantiscano la tipicità delle ipotesi di condanna, la prevedibilità della stessa ed i limiti quantitativi, dovendosi avere riguardo, in sede di delibazione, unicamente agli effetti dell'atto straniero e alla loro compatibilità con l'ordine pubblico".

11 Così N. Parisi, La prevenzione della corruzione nel modello internazionale ed europeo, Atti del Convegno di Trento del 18 maggio 2018.