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Anno XVI - n. 04 - Aprile 2024

  Studi



Il principio di partecipazione: dalla concezione Weberiana-unilaterale ad un nuovo modo di intendere il rapporto autorità/libertà.

Di Giuseppe Mancazzo
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Il principio di partecipazione: dalla concezione Weberiana- unilaterale ad un nuovo modo di intendere il rapporto autorità/libertà

 

Di Giuseppe Mancazzo

 

 

Abstract

 

L’esercizio unilaterale del potere è quanto ha caratterizzato l’attività amministrativa sin dagli albori dell’Unità d’Italia. Orbene, obiettivo del presente contributo è quello di evidenziare il mutamento nel rapporto intercorrente tra autorità e libertà, partendo proprio dal contesto nel quale amministrazione e cittadino agiscono.

In primis si effettueranno delle considerazioni, da un lato, di carattere sistemico alla luce del fatto che l’agere amministrativo è necessariamente condizionato dall’ambiente politico ed istituzionale nel quale l’apparato pubblico si trova ad operare e, dall’ altro, di carattere storico attorno alla genesi della legge 7 agosto 1990, n. 241. Legge, quest’ultima, che vede le sue prime teorizzazioni nel 1944- dopo decenni di gestazione – e che ha segnato il definitivo passaggio da una amministrazione di carattere Weberiano-unilaterale ad una amministrazione più aperta al dialogo e all’accoglimento delle istanze dei privati cittadini. Successivamente, dopo aver menzionato le posizioni dottrinali e giurisprudenziali attorno alla possibile costituzionalizzazione del c.d. giusto procedimento, la lente di ingrandimento si sposterà sugli istituti partecipativi così come oggi delineati dalla legge sul procedimento amministrativo. Ulteriore oggetto d’analisi sarà la partecipazione degli interessati ai procedimenti dinanzi alle Autorità amministrative indipendenti, sganciate dal potere politico e dotate di funzioni poliedriche. Si evincerà come dottrina e giurisprudenza hanno intravisto proprio nella c.d. legalità procedimentale il perno attorno al quale far roteare la legittimità di amministrazioni spurie quali le Authorities.

Chiude l’indagine una breve disamina sulla c.d. sicurezza partecipata, la quale vede il cittadino operare in funzione collaborativa – sotto l’egida del principio di sussidiarietà orizzontale - al nuovo volto, delineato dal d.l. 20 febbraio 2017, n. 14, della sicurezza urbana.

 

The one-sided exercise of power has characterized administrative activity since the beginning of the Unification of Italy. This contribution aims to highlight the change in the relationship between authority and freedom, starting from the context in which the administration and the citizen operate together.

First of all, there will be considerations on one side of a systemic nature in the light of the fact that the administrative agency is necessarily conditioned by the political and institutional environment in which the public apparatus operates and, on the other, of the historical character around the genesis of the law 7 august 1990, n. 241. The latter law has seen its first theorizations in 1944- after decades of gestation - and marked the final transition from a Weberian-unilateral administration to a more open dialogue and acceptance of the demands of private citizens.

Subsequently, after mentioning the doctrinal and jurisprudential positions about the possible constitutionalisation of the so-called “due process”, the magnifiers will move on to the participative institutes as outlined today by the law on the administrative procedure.

A further subject of analysis will be the participation of interested parties in proceedings before independent administrative authorities, disconnected from political power and equipped with multifaceted functions.

Will be clear how doctrine and jurisprudence have glimpsed in the procedural law the centre of gravity of the legitimacy of spurious administrations such as the Authorities.

It closes the investigation with a brief examination of participatory security which sees the citizen operating in a collaborative function – under the aegis of the principle of horizontal subsidiarity - the new face of urban security, outlined by d.l. 20 February 2017, n. 14.

 

 

Sommario: 1. Premesse di sistema: il rapporto tra provvedimento amministrativo, potere amministrativo e modello costituzionale di Stato. – 2. La genesi della “rivoluzione copernicana” della attività amministrativa: dalla Commissione Forti fino alla legge sul procedimento amministrativo. - 3. Principio di partecipazione e contraddittorio alla attività amministrativa nel quadro del c.d. giusto procedimento e (im?) possibile costituzionalizzazione: dottrina e giurisprudenza a “due velocità”. - 4. La legge 241/1990: il terreno fertile del nuovo modo di intendere il rapporto autorità/libertà. Il responsabile del procedimento. Una analisi degli istituti. - 4.1. L’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento nonché la sua relazione con l’articolo 21-octies. 4.2. L’articolo 9: gli interventori eventuali e la partecipazione al procedimento dei portatori di interessi diffusi. I diritti dei partecipanti. - 4.3.  L’articolo 10-bis: la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza. Una grande novità. - 4.4. L’articolo 11 e la c.d. amministrazione per consenso. – 4.4.1 Cenni ad ulteriori ipotesi (borderline): le convenzioni di lottizzazione e cessione volontaria del bene espropriando. – 4.5. L’articolo 13: una norma, al contempo, di chiusura e apertura. -  4.6. Oltre il Capo III della legge 241/1990: la partecipazione del privato alla Conferenza di servizi: l’antitesi tra semplificazione e partecipazione. - 5. La partecipazione nelle amministrazioni di nuovo conio: le autorità amministrative indipendenti. La legalità c.d. procedimentale. - 6. La sicurezza partecipata nell’alveo della sussidiarietà orizzontale.

 

1.Premesse di sistema: il rapporto tra provvedimento amministrativo, potere amministrativo e modello costituzionale di Stato

 

Il susseguirsi delle trasformazioni dell’assetto ordinamentale dello Stato influisce sulla posizione attribuita alla amministrazione - non solo nei confronti di tutti gli altri poteri statali - ma anche sulle connotazioni dell’agere amministrativo e, conseguentemente, sulla esplicazione più tangibile di quest’ultimo: il provvedimento. Non è un caso che la storia del diritto amministrativo potrebbe essere descritta come storia della autorità e dei suoi modi di esercizio, storia del potere e delle sue trasformazioni[1].

D’altronde, usando il verbo di Massimo Severo Giannini, l’atto amministrativo “non è solo esercizio di autorità ma è anche misura di tale autorità e della altrui libertà e, per ciò stesso, garanzia della libertà di ciascuno nel rapporto regolato con il potere e con l’altro da sé”[2].

Orbene, nell’indagine circa l’evoluzione del modus agendi dell’amministrazione pubblica non si può non partire dalla visione esclusivamente autoritativa che l’ha connotata - non senza dibattiti attorno a sé - per quasi tutto l’Ottocento e per buona parte del Novecento.

Procedendo con ordine cronologico, in un contesto in cui l’amministrato è suddito[3], anziché cittadino, è lampante che non residui spazio alcuno per discorrere di termini quali “partecipazione”, “democraticità”, “motivazione” della attività amministrativa[4].

Lo Stato assoluto - da ab-solutus, sciolto da briglie e limiti - porta l’amministrazione ad essere scevra da vincoli, esattamente al pari del potere esecutivo di cui essa è espressione.

Nella genesi del diritto amministrativo, infatti, propria delle costituzioni concesse o ottriate, il potere amministrativo apparteneva alla sovranità del monarca, foriera di una concezione della potestà amministrativa che ha in nuce la autoritatività quale “male necessario” per consentire all’apparato pubblico di operare.

In questo contesto prende vita quella che è stata da molti[5] definita come la prima nozione di provvedimento amministrativo, coniata da Otto Mayer alla luce della quale questo veniva inquadrato come “…la pronuncia autoritativa di pertinenza della amministrazione, determinativa nel caso singolo per l’amministrato di ciò che per lui deve essere conforme a diritto”[6]Con l’avvento delle Costituzioni rigide e con il netto affermarsi dello Stato costituzionale di diritto, la grundnorm pone limiti formali e sostanziali all’esercizio di qualsivoglia potere. Non solo, l’affermarsi del costituzionalismo moderno porta con sé, da un lato, l’eredità delle guarentigie tipiche della tradizione liberale volte soprattutto a precludere ai pubblici poteri la possibilità di violare i diritti e le libertà del cittadino e, dall’altro, l’affermazione di tutta una serie di diritti sociali o materiali ai quali corrispondono nei confronti del pubblico potere obblighi di facere[7]. Nel primo caso saranno lampanti norme che impongono divieti e, nel secondo, norme che sanciscono obblighi di fare: in tal maniera il potere non consiste più solo nella imposizione di limiti o divieti ma vede funzionalizzarsi, allo scopo di soddisfare diritti sociali. In altre parole, muta la struttura normativa del potere e con sé il modello di Stato.

Appare evidente, quindi, che così come le trasformazioni dello Stato - citate in apertura - vedono la luce attraverso processi graduali, così l’evoluzione del provvedimento amministrativo non procede su binari rigidamente partiti ma risente - e necessita - di un collegamento ad uno specifico modello di Stato: il provvedimento è a monte inciso dagli influssi derivanti da un determinato assetto costituzionale. Un fenomeno, quello provvedimentale, che potrebbe azzardarsi essere decritto come a fisarmonica.

Infatti, tanto più il modello Statuale sarà scevro da limiti, tanto meno spazio troverà l’ingresso della voce del privato nel suo manifestarsi. Al contrario, tanto più il primo sarà - per utilizzare una espressione di Montesquieu, nel suo Esprit de Lois - “azzavorrato” tanto più spazio vi sarà per l’amministrato di intervenire, incidere, contribuire al provvedimento finale.

Prova eminente di quanto appena sostenuto è rinvenibile nel parere dell’adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella seduta del 15 dicembre 1949[8] sullo schema di una “legge generale sulla pubblica amministrazione”, assegnato dal governo Bonomi nell’ottobre del 1944. Nel citato parere è possibile scorgere una considerazione generale del Consiglio di Stato attinente alla necessità che la riforma della pubblica amministrazione avrebbe dovuto tenere conto del mutamento della forma di governo (ma anche della stessa forma di Stato) in quanto il paese si trovava in un “periodo di forte rinnovamento che avrà diretti riflessi sui principi di diritto pubblico. Ripartire nel nuovo ordinamento dalla pur mirabile elaborazione dottrinare e giurisprudenziale precedente porterebbe inevitabilmente con sé le concezioni totalitarie precedenti[9].

Sullo sfondo di quanto appena detto, campeggia il processo di “legalizzazione della pubblica amministrazione”[10] durato quasi due secoli e che vede il suo culmine nella legge 7 agosto 1990, n. 241, della cui genesi si darà conto nel successivo paragrafo.

Pietra miliare dei processi evolutivi sopra descritti è l’avvento della Costituzione italiana, il quale ha accelerato il suddetto processo, sottoponendo la legge stessa ad una legge di rango superiore, quella costituzionale, la quale riconosce - e conferisce - piena cittadinanza al principio di uguaglianza e ai diritti di libertà. In tale ambiente giuridico il principio di uguaglianza è il prisma dell’esercizio della attività amministrativa che, conseguentemente, caratterizza il provvedimento nel nuovo assetto costituzionale. Si badi, però, che il modello provvedimentale illo tempore accolto dalla giurisprudenza e dalla dottrina tradizionali è foriero di un’ottica Weberiana di amministrazione, ancora intrisa dei crismi dello Stato autoritario e che vede ancora nettamente prevalere la autorità sulla libertà, il governante (o amministratore) sul cittadino o (amministrato). In altre parole, potrebbe darsi all’atto amministrativo, alla luce della sua evoluzione morfologica, una duplice veste: manifestazione palese della superiorità del potere pubblico da cui discende il potere di conformare, ordinare, trasformare - unilateralmente - le situazioni giuridiche soggettive dei privati ma che, al tempo stesso, è espressione di garanzia per questi ultimi.

Solo nella seconda metà del secolo scorso è possibile intercettare un mutamento della già menzionata impostazione del provvedimento, il quale passa ad essere un vero e proprio momento di sintesi della dialettica fra autorità e libertà, di garanzia del privato cittadino e che vedrà nel procedimento - sua fase genetica - la concentrazione dell’interesse pubblico primario di cui ogni amministrazione è portatrice con quelli c.d. secondari dei privati.

 

  1. La genesi della “rivoluzione copernicana” della attività amministrativa: dalla Commissione Forti fino alla legge sul procedimento amministrativo

 

A quasi trentatré anni dalla approvazione della legge generale sul procedimento amministrativo giova, a fini storici e sistematici, ripercorrere brevemente le principali tappe dell’iter che ha portato alla approvazione di una legge storica per l’attività amministrativa, la legge 7 agosto 1990 n. 241.

Orbene, nel giugno del 1944, il Governo presieduto da Ivanoe Bonomi avviò degli studi per la riforma della amministrazione, affidando al Prof. Ugo Forti[11] la presidenza di quelle che - di fatto - si rivelarono essere due commissioni[12].

La prima delle due composte da ventisette giuristi tra i quali spiccava il nome del Prof. Roberto Lucifredi, che, come giurista e come deputato al Parlamento, contribuì in maniera rilevante nei due decenni successivi nel tentativo di riformare la pubblica amministrazione, nessuno andato davvero a buon fine.

Ciò che più interessa ai fini del presente scritto è il capo III[13] della relazione della Commissione in cui per la prima volta viene proposta una disciplina del procedimento amministrativo[14], tenuto distinto dal provvedimento.

Interessante notare come quest’ultima scelta della Commissione verrà – seppure a distanza di molti anni - successivamente capovolta dalle scelte del legislatore del 2005 che, con la legge 15/2005, opterà per una promiscuità - nella legge 241/90 - tra disciplina del procedimento (artt. 1- 21) e del provvedimento (artt. 21-bis - 21-decies).

Come anticipato, tra i lavori della Commissione interessa ai fini del presente scritto principalmente la parte relativa alle proposte per una «legge generale sulla pubblica amministrazione», ed in particolare il sopra citato Capo III dedicato al «procedimento amministrativo», con il relativo schema di legge. Del resto, questa parte rappresenta il più̀ originale e duraturo contributo della Commissione.

Già̀ dall’incipit della relazione di questa parte si comprende come si era orientata la Commissione. Dottrina e pratica hanno evidenziato «la necessità di una legge che riunisca quelle norme di carattere generale sparse e ripetute nelle varie leggi amministrative, nonché quei sicuri principi, ormai acquisiti nel campo del diritto amministrativo[15]».

Precisamente, lo schema proposto segue il criterio di «non imporre in ogni caso all’esplicazione dell’attività̀ della pubblica amministrazione l’onere di adempimenti formali, che, in molti casi, potrebbero intralciare il sollecito esercizio dei pubblici poteri[16]». Da qui la delimitazione dello schema ai seguenti criteri: «a) riservare le norme sul procedimento ai casi in cui l’interessato abbia diritto all’emanazione di un provvedimento amministrativo (notare qua e in molti altri punti l’uso del termine “provvedimento”, poi affermatosi definitivamente con M.S. Giannini); b) circoscrivere l’osservanza di tali norme ai casi in cui si tratti di provvedimenti che interferiscano nella sfera giuridica del cittadino; c) regolare l’esercizio della’attività̀ della pubblica amministrazione nel caso in cui essa proceda ex officio separatamente dal caso in cui essa provveda su richiesta dell’interessato». Nell’ambito di quest’ultima ipotesi, la Commissione dedicò particolare attenzione al contraddittorio con gli interessati[17].

Su questi binari, la Commissione fissò le linee dello schema di legge «in relazione all’inizio del procedimento, allo svolgimento di esso, alla decisione dell’attività amministrativa[18]». Per ognuna delle tre fasi ora dette, lo schema prevedeva rilevanti innovazioni che torneranno nei progetti dei decenni successivi così come nel testo finale della legge n. 241.

Così, una moderna disciplina della fase iniziale, inclusiva di due originali previsioni: una prima[19], che anticipava un equivalente della figura del responsabile del procedimento; una seconda[20], concernente l’obbligo dell’autorità amministrativa di dare «avviso agli interessati qualora l’atto da emanare si riferisca ad un diritto soggettivo o ad un interesse legittimo del privato», in caso di inizio d’ufficio del procedimento. Per quanto concerne lo svolgimento del procedimento erano rinvenibili un’accurata disciplina dell’istruttoria e, soprattutto, una avanguardista previsione sul contraddittorio con gli interessati, articolata in quattro punti (artt. 29-33[21]). Merita menzione anche la previsione[22], che di nuovo tornerà̀ nella legge n. 241/1990 in modo similare, sulla comunicazione della chiusura dell’istruttoria[23], con possibilità̀ per gli interessati in caso di indagini tecniche di esaminare gli atti entro un congruo termine e di presentare deduzioni.

Ancora, successivamente in seno alla seconda commissione Forti fu trattato un argomento di rilevante interesse per il thema tractandum: quello della partecipazione diretta dei cittadini alle funzioni amministrative e allo sviluppo del principio democratico[24].

Il fuoco primigenio acceso dalle Commissioni Forti - per quanto le forze politiche del tempo la trascurarono - attorno alla legge sul provvedimento amministrativo in realtà non è mai andato spento in quanto negli anni successivi i suoi apporti sono tornati ciclicamente in auge.

Successivamente, nel gennaio del 1950 fu costituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri un Ufficio poi denominato sotto la Presidenza di Alcide De Gasperi come “Ufficio per la riforma dell’amministrazione” sotto la responsabilità del già menzionato Roberto Lucifredi[25] ma con effetti modesti sulla amministrazione.

Solo alla fine del ventesimo secolo - e sotto il vento del modello del New public management - l’Italia avviò una serie di riforme amministrative[26], tra le quali quella che diede luce ad una disciplina unitaria del procedimento amministrativo.

La legge 241/1990 ha rappresentato, infatti, “una autentica rivoluzione amministrativa[27] e trova la sua genesi nella Commissione di studio presieduta dal professor Mario Nigro[28] la quale si proponeva di elaborare una legge strategica, volta a far penetrare, attraverso l'uso giurisprudenziale dei principi da essa dettati, il punto di vista dei cittadini nella disciplina dell'azione amministrativa, coniugando, così, garanzia per gli interessati e migliore perseguimento dell'interesse pubblico[29].

Il punto di partenza dei lavori della Commissione Nigro constava dalla convinzione circa il necessario mutamento nel rapporto tra collettività̀ e pubblico potere, pertanto, questa proponeva la ricerca (anche) della consensualità come strumento democraticizzante e semplificativo per regolare i rapporti tra amministrazione e cittadini. Gli sforzi della Commissione si tramutarono in uno schema di disegno di legge, presentato in Parlamento il 19 novembre del 1987 organizzato - come deducibile dai resoconti stenografici dei lavori parlamentari - in sei titoli: nel titolo I si enunciavano taluni principi generali ai quali deve ispirarsi l’attività della p.a.: semplicità, economicità, sollecitudine e pubblicità dell’azione amministrativa; obbligo di conclusione dei procedimenti; obbligo di motivazione; Il titolo II prevedeva la creazione di apposite strutture organizzative per la gestione delle singole fasi della procedura (e la nomina di funzionari «responsabili» di ogni fase del procedimento); Il titolo III era rivolto a far conseguire la più ampia partecipazione alle procedure. Si imponeva, a tali effetti, all’amministrazione di dare comunicazione dell’avvio del procedimento accordando agli interessati un’ampia possibilità di intervento ed inoltre si configuravano come figure generali l’accordo procedimentale determinativo del contenuto dell’atto e quello sostitutivo del provvedimento; Il titolo IV dettava norme rivolte alla semplificazione dell’azione amministrativa privilegiando, soprattutto, soluzioni concordate tra le pubbliche amministrazioni (istituzione di conferenze di servizi e previsione di accordi per la gestione di servizi di interesse comune). Assumevano, in questo quadro, particolare rilievo, da un lato, la fissazione di termini per la espressione di pareri e l’ esecuzione di accertamenti tecnici e, dall’altro, la previsione di ipotesi nelle quali attività, soggette, allo stato, a provvedimenti autorizzatori, potevano essere espletate sulla base del c.d. silenzio- assenso o in virtù di una semplice denuncia dell’interessato decorso un certo termine dalla presentazione dell’istanza (quelli che poi, nel corpus attuale della legge 241/1990 sono rispettivamente gli artt.20 e 19); Il titolo V accordava, poi, ai cittadini la generale facoltà di accesso ai documenti amministrativi pur non senza talune limitazioni dettate soprattutto, alla salvaguardia della segretezza; L’ultimo titolo (il VI) disciplinava i rapporti tra le norme di cui allo schema in esame e gli ordinamenti regionali.

 Lo schema di disegno di legge in esame si segnala, tuttavia, rispetto alle precedenti iniziative per il particolare «taglio» che lo caratterizza: la ricerca di un assetto capace di rispondere alle esigenze di una società mutata, che concepisce in termini diversi dal passato le relazioni tra collettività e pubblico potere.

In conclusione l’ontologia dei lavori della Commissione Nigro potrebbe sintetizzarsi  efficacemente utilizzando il verbo del Consiglio di Stato: “L’obiettivo di fondo, perseguito dalla nuova disciplina (alla quale potrebbe essere assegnata la più semplice denominazione di «legge sul procedimento amministrativo») è, infatti, quello di realizzare un nuovo tipo di rapporti tra pubblica amministrazione e cittadino assicurando – insieme alla trasparenza, alla speditezza, alla economicità dell’azione amministrativa – il coinvolgimento del cittadino nella procedura”[30].

Una delle norme più discusse e foriere di novità per l’agere amministrativo era rappresentata dall’articolo 11, inserita nel Capo III inerente agli accordi tra amministrazione e privati.

Si rende a questo punto necessaria una presa d’atto: non tutte le innovazioni di cui il Ddl Nigro era foriero sono poi state trasposte nella legge sul procedimento amministrativo definitivamente approvata. Si pensi all’articolo 10 comma 2 del disegno di legge - recante norme sull’intervento degli interessati al procedimento amministrativo - il quale prevedeva la possibilità di intervenire nel procedimento “per chiunque sian in possesso di elementi idonei a consentirne il miglioramento, sotto il profilo della rispondenza del miglioramento del pubblico interesse[31]. Tale disposizione, volendo allargare le maglie degli effettivi intenti della Commissione, evocava una postergazione del c.d. dibattito pubblico di matrice tedesca.

Ad ogni modo, dopo un percorso lungo e frastagliato, il 18 agosto del 1990 viene pubblicata in G.U. la legge 241/1990, la quale entrerà in vigore il 2 settembre dello stesso anno. In conclusione, giova menzionare le parole dell’On. Acquarone[32] nella seduta della Camera dei deputati del 24 luglio del 1990, alle porte della approvazione della legge sul procedimento amministrativo. Nel discorso in parola l’Onorevole riassume, da un lato i perché dei fallimenti delle precedenti proposte e, dall’altro, le motivazioni alla base della necessità di un nuovo modo di intendere il già citato rapporto autorità - libertà: “… La prima volta che parlammo di legge generale sull'azione amministrativa nel nostro Paese ne parlammo in sede di terza Sottocommissione per i lavori preparatori della Assemblea Costituente, con la famosa relazione Forti….di questa Commissione faceva parte il mio compianto maestro, professor Lucifredi…. Ora, il disegno di legge Lucifredi era indubbiamente un disegno di legge tipicamente post pandettistico che aveva soprattutto riguardo alla formazione degli atti amministrativi e alla loro classificazione...”. Ancora, proseguiva il deputato: “…le finalità̀ che si assegnano al procedimento amministrativo vanno via via aumentando. Dapprima l'obiettivo del procedimento veniva individuato solo nell'accertamento e nella valutazione di elementi di fatto e, insieme con questi, dei diversi interessi pubblici e privati che la pubblica amministrazione deve tener presente nell'assumere le sue determinazioni. Poi a questo si è aggiunto l'obiettivo di assicurare una garanzia al cittadino, di consentire cioè̀ al cittadino di prospettare il suo punto di vista mentre il procedimento si dispiega attraverso la partecipazione agli atti della procedura…Quindi, si dice che, in estrema sintesi, per una corretta conoscenza degli interessi coinvolti, diventa necessario che vi sia l'intervento di una pluralità̀ di figure soggettive, pubbliche o private, da coordinare fra loro e da mettere in rapporto con soggetti e organi preposti ai settori collegati, che l'istruttoria sia disciplinata in modo tale da poter raccogliere tutti gli elementi di fatto e di diritto utili per poter decidere e che soprattutto l'amministrazione, dal chiuso del preteso segreto d'ufficio, esca per aprirsi invece ad ogni utile contributo.[33]

  1. Principio di partecipazione e contraddittorio alla attività amministrativa nel quadro del c.d. giusto procedimento e (im?) possibile costituzionalizzazione: dottrina e giurisprudenza a “due velocità”.

La concreta articolazione del procedimento amministrativo incide non solo in maniera profonda sulle libertà dei cittadini ma anche sull’assetto dei poteri pubblici. Quanto appena detto fa si che il tema del procedimento amministrativo assuma una spiccata valenza costituzionale, poiché coessenziale alla dialettica autorità-libertà anche sulla scorta della considerazione per la quale il procedimento rappresenta una forma di (auto)limitazione del potere pubblico, un momento volontario volto a riconoscere la libertà sub specie di diritti propri e altrui[34]. In altre parole, seguendo il brocardo latino lego omnes servi sumus ut liberi esse possimus, potrebbe dirsi la mancanza di procedimento come mancanza di libertà, essendo questo - oggi più di prima - un terreno di confronto tra l’amministrazione e il privato. Orbene, l’attribuzione del rango costituzionale del principio partecipativo - e, in primis, del giusto procedimento su cui il primo riposa - permetterebbe, da un lato di sottrarne la disponibilità al legislatore ordinario e, dall’altro, di individuare uno zoccolo duro di istituti e regole di carattere procedimentale volte a dare un vero e proprio ubiconsistam al concetto di “giusto procedimento”. Giova ricordare che la Corte costituzionale ha avuto un atteggiamento ondivago sul tema in parola. Il giudice delle leggi ha ragionato per la prima volta in termini di “giusto procedimento” come forma di estrinsecazione della funzione amministrativa nella sentenza n. 13 del 1962[35]. In questa occasione la Corte[36] individuò il rispetto di modalità procedimentali nell’esercizio della funzione amministrativa tali da consentire “…gli opportuni accertamenti, con la collaborazione, ove occorra, di altri organi pubblici e la partecipazione dei privati siano tutela dell’interesse del privato sia a titolo di collaborazione nell’interesse pubblico[37] quale regola integrante il principio in parola. In altri termini, la Corte riconosce l’esistenza di un principio generale dell’ordinamento in forza del quale, ogni qual volta in cui si  decide di apportare limitazioni ai diritti dei cittadini, ciò deve avvenire non solo sulla base di apposite prescrizioni di legge ma anche a seguito di accertamenti svolti secondo le modalità poco sopra citate, enucleando un sistema complesso di protezione delle situazioni giuridiche soggettive articolato su tre pilastri: la riserva di legge; la rappresentanza di interessi prospettata dagli individui; la possibilità di ricorrere successivamente alla autorità giurisdizionale contro decisioni illegittime[38].

Sul punto giova menzionare la diversità di vedute intercorrenti sul tema tra dottrina e giurisprudenza. La prima, infatti, si è sin da subito sforzata di trovare appigli costituzionali al principio del giusto procedimento, attraverso varie vie interpretative. A testimonianza di ciò, già nel 1965 Umberto Allegretti[39] sosteneva la tesi del fondamento costituzionale del principio del contraddittorio (non ancora di partecipazione), collegando l’istituto sotto la copertura costituzionale del principio di imparzialità presente nella stringata disposizione dell’articolo 97 della Costituzione. Infatti, secondo l’impostazione di Allegretti, se l’imparzialità è un elemento fondamentale nel momento della composizione discrezionale degli interessi su cui il provvedimento incide, diviene conseguentemente fondamentale consentire ai titolari di quegli interessi - pubblici o privati, individuali o collettivi - di rappresentarli, sbandierarli all’interno del procedimento stesso. In siffatta logica diviene possibile ascrivere l’istituto della partecipazione al procedimento sotto l’egida costituzionale dell’articolo 97, il quale così acquisisce la capacità di permeare o inquinare - si badi, in senso positivo - l’interesse pubblico primario con quello dei privati “colpiti” dalla attività amministrativa e,  in un certo senso, valorizzando il nesso tra rappresentanza di interessi e partecipazione al procedimento amministrativo evidenziando una morfologia funzionale della partecipazione stessa[40]. Ancora, ulteriori sforzi dottrinali[41] hanno cercato di legare tramite un filo rosso lo sviluppo di moduli procedimentali partecipati e completezza della fase istruttoria del procedimento amministrativo, sotto l’egida del principio del buon andamento della pubblica amministrazione. Così come altri interpreti hanno ricercato l’agognato aggancio costituzionale con la sostanza della nostra forma di convivenza politica, configurando il principio del giusto procedimento - e il conseguente precipitato della partecipazione- quale concretizzazione del principio democratico enucleato dall’articolo 1 della nostra Costituzione. In tal maniera, secondo l’impostazione in parola la rappresentanza talvolta in crisi dal punto di vista politico poteva vedere, alla luce di siffatta interpretazione, una compensazione a livello amministrativo[42]. Continuando nella breve disamina delle posizioni dottrinali sul tema va anche menzionata la posizione di chi[43], infine, ha ancorato il principio del giusto procedimento a disposizioni costituzionali più immediatamente precettive - rispetto all’articolo 1 della Costituzione - ovverosia al diritto di difesa di cui all’articolo 24 comma 2 e alla garanzia della tutela giurisdizionale di cui all’articolo 113, comma 1. Appare interessante notare come questo parallelismo tra procedimento e processo susciterà particolare interesse in dottrina, come a breve si affronterò, nell’articolo 111 della Costituzione, così come riformato dalla legge costituzionale n. 2 del 1999.

Le prospettive dottrinali appena menzionate non hanno scalfito la giurisprudenza successiva alla sentenza n. 13 del 1962 della Corte Costituzionale: la veste procedimentale-partecipativa del giusto procedimento - la quale impone il canone audiatur et altera pars - è stata oggetto di ferma opposizione da parte della Consulta quale valore Costituzionale[44] poiché - stante la tutela effettiva accordata in via giurisdizionale dagli artt. 24 e 113 -  la tutela “anticipata” in sede procedimentale del giusto procedimento appariva superflua.

L’occasione per reimpostare nuovamente i termini del dibattito è stata offerta dall’entrata in vigore della legge costituzionale n.2 del 1999 che - come ormai noto - ha costituzionalizzato all’ articolo 111 della Costituzione il principio del “giusto processo”[45].Infatti parte della dottrina ha individuato nell’articolo 111 della Costituzione la norma giusta per conferire quel crisma di costituzionalizzazione che da anni - e senza grandi successi - cerca di attribuire al principio del giusto procedimento. Ictu oculi appare ostativa a siffatta ricostruzione la pretesa di questa di travalicare i confini tra giurisdizione e funzione amministrativa. Tuttavia, tale obiezione è stata ritenuta, da una parte della dottrina, superabile laddove si identifichi il processo come una species del genus procedimento: nella stessa relazione tra funzione amministrativa e funzione giurisdizionale, vi sarebbe un sostrato processuale comune. Il procedimento amministrativo - ancor di più dopo l’entrata in vigore della legge 241/1990 - ha, di fatto, cadenze processuali e le regole della “giustizia” nel procedimento sono state elaborate tenendo presenti le sfere giuridiche dei soggetti nell’applicazione dell’agire amministrativo. Partendo dal contenuto precettivo dell’articolo 111, si mette alla prova l’effettiva idoneità delle forme tipiche del processo a rappresentare anche i paradigmi del procedimento amministrativo[46]. Infatti, istituti - che saranno partitamente analizzati nel corso della trattazione - quali la motivazione dei provvedimenti amministrativi, il termine del procedimento, la comunicazione di avvio del procedimento, la partecipazione mediante audizione e presentazione di memorie scritte e documenti e, ancor di più, la comunicazione dei motivi ostativi di cui all’articolo 10-bis sembrano deporre per un affinamento sempre maggiore della linea di confine concettuale tra procedimento e processo. Argomentazioni, queste, che offrono una interpretazione dell’articolo 111 della Costituzione capace di oltrepassare “la staccionata” del processuale. Tuttavia, ulteriori ostacoli - questa volta derivanti dalla lettera della norma costituzionale - si frappongono alla seppur suggestiva impostazione: primo fra tutti il richiamo alle condizioni di parità delle parti che tutt’oggi appare inappropriato al procedimento amministrativo, laddove tale richiamo si traduce nella espunzione della posizione di supremazia riconosciuta alla amministrazione pubblica, inevitabilmente foriera della tutela dell’interesse generale. Ancora, di difficile malleabilità pare il riferimento allo svolgimento del processo “davanti ad un giudice terzo ed imparziale”, in quanto la terzietà è qualcosa che non appartiene alla amministrazione durante tutto il corso del procedimento, essendo questa, si, imparziale ma fermo restando l’interesse pubblico primario di cui essa è portatrice. Semmai, la terzietà - intesa come equidistanza dagli interessi in gioco - è un concetto maggiormente limitrofe alle Autorità amministrative indipendenti, caratterizzate non dall’imparzialità ma, bensì, dalla neutralità. Gli argomenti fin qui brevemente analizzati paventano delle palesi difficoltà legate all’interpretazione analogica di una norma, l’articolo 111, che ha un preciso e distante nesso genetico -funzionale.  Utilizzando una metafora, appare difficile che la finestra del processo affacci immediatamente sul panorama del procedimento. Può concludersi, allora, che se, da un lato, appare non percorribile ogni tentativo volto a dare fondamento costituzionale al giusto procedimento per il tramite dell’articolo 111 Cost., dall’altro, non vi sono grandi ragioni ostative per ritenere che la norma in parola soddisfi meglio di altre norme costituzionali scomodate fino ad oggi dagli interpreti nel tentativo di condurre alla grundnorm il giusto procedimento.

Un approccio meno drastico e rigido, invece, si rinviene a livello sovranazionale e specificamente nella interpretazione della Corte europea dei diritti dell’uomo nell’affrontare l’applicabilità dell’articolo 6 della Cedu[47]. Il suo par. 1 prevede il diritto di ogni persona …a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un Tribunale indipendente ed imparziale, costituito per legge, il quale deciderà̀ sia delle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che le venga rivolta[48]. È in sostanza previsto che la funzione giurisdizionale si svolga secondo le regole dell’equo processo, preminenti in una società democratica. Orbene, l’art. 6 CEDU ha acquistato nel tempo una pregnanza singolare: è divenuto rilevante anche per il diritto amministrativo, e non solo di carattere processuale, poiché́ è stato progressivamente esteso al procedimento amministrativo, grazie all’interpretazione fornita dalla Corte di Strasburgo alla nozione di Tribunale ivi contenuta: è stata accolta un’accezione di tipo “sostanziale”, che privilegia i profili funzionali, dovendosi scorgere i poteri che l’organo in questione esercita in concreto dai quali deriva la possibilità che questo pronunci una decisione in grado di produrre una modificazione della realtà̀ a lui esterna con effetti potenzialmente lesivi della sfera giuridica di soggetti terzi[49]. Nella visione della Corte Edu, in sostanza, è preminente l’attenzione verso gli effetti derivanti da un provvedimento amministrativo, non diversi da quelli di una sentenza[50].

 

 

  1. La legge 241/1990: il terreno fertile del nuovo modo di intendere il rapporto autorità/libertà. Il responsabile del procedimento. Una analisi degli istituti.

Storicamente – e ragionando secondo rigidi schemi polarizzati - la pubblica amministrazione può relazionarsi in due modi al cospetto dei privati: in una posizione di supremazia, utilizzando le prerogative e gli strumenti attribuiti dal diritto statuale o, in alternativa, ponendosi in una posizione di tendenziale parità con il cittadino.  Come già anticipato nel corso della trattazione, con la legge statale n. 241 del 7 agosto 1990, viene introdotto all’interno dell’ordinamento italiano un nuovo tipo di rapporto tra pubblica amministrazione, da una parte, e cittadino, dall’altra. Diversamente da come fino al 1990 era stato concepito[51], infatti, il rapporto tra autorità pubblica e cittadino supera la concezione Weberiana unilaterale-autoritativa in favore di un modello più “morbido” che vede quale punto di riferimento il cittadino,[52] il quale collabora con l’amministrazione in un’ottica polifunzionale.  Infatti, l’ontologia della odierna partecipazione configurata dalla legge 241/1990 non si presta ad una reductio ad unum, essendo influenzata dai diversi modi di intendere il procedimento amministrativo nel suo complesso (procedimento/contraddittorio, procedimento/istruzione, procedimento/collaborazione[53]). Di talché è dato riscontro anche dalla giurisprudenza, che chiaramente afferma la preordinazione degli istituti partecipativi “non solo ad un ruolo difensivo, ma anche alla formazione di una più completa, meditata e razionale volontà della amministrazione[54], consentendo alla stessa di “arricchire il proprio patrimonio di conoscenze in relazione alle determinazioni discrezionali che è chiamata ad adottare[55]”. In funzione di ciò vengono introdotti strumenti giuridici che mirano non solo ad assicurare la tutela della parte più debole del c.d. rapporto amministrativo, ma anche a trasformare morfologicamente la ratio della partecipazione del privato, elevandola a momento di apprendimento e, quindi, di maggiore conoscenza del contesto fattuale nel quale l’amministrazione si trova di volta in volta ad operare, sotto l’egida del principio del buon andamento dell’amministrazione. La legge sul procedimento, lex generalis dell’agere amministrativo, allora, si presta quale terreno fertile di sperimentazione e attuazione di strumenti partecipativi- prima sconosciuti nel nostro ordinamento - e, al contempo, fonte dalla quale zampillano ulteriori strumenti volti all’inclusione del privato nelle decisioni pubbliche in campi che esulano strictu sensu dalla attività amministrativa in senso classico di cui è risultante feconda – seppur con una formulazione laconica[56] il debat public previsto l’articolo 22 del d.lgs 18 aprile 2016, n. 50[57].

Spostandoci al cuore del thema tractandum in via preliminare giova precisare che la partecipazione del privato al procedimento amministrativo - ulteriormente implementata a seguito dell’intervento riformatore avvenuto nel 2005 per il tramite delle leggi n. 15 e 80 - è regolata nel Capo III della l. 241/1990. Invero, ad uno sguardo attento al corpus della legge sul procedimento amministrativo, è possibile giungere ad una prima presa d’atto: le norme sulla partecipazione sarebbero nella patica svuotate senza la previsione di un soggetto – il responsabile del procedimento – il quale “personalizza” l’amministrazione e funge da garante, custode e regolatore dei diritti partecipativi accordati al privato dalla stessa legge. La figura del responsabile del procedimento è disciplinata dal Capo II della legge 241/1990 e s.m.i ed è emblematicamente anteposta alla regolamentazione degli istituti partecipativi e di semplificazione della attività amministrativa. Infatti, già dalla collocazione è possibile valutare come siffatta figura sia indizio di un nuovo modo di intendere non solo l’organizzazione amministrativa ma – anche e soprattutto -        il rapporto tra amministrazione ed amministrati: una figura, quella del responsabile del procedimento, attorno alla quale ruotano le regole, gli istituti e le stesse parti – pubbliche e private – del procedimento[58]. L’importanza del responsabile è ancora più lampante proprio alla luce della rilevanza da questo acquisita all’interno della fase istruttoria[59]- cuore del procedimento - nella quale si volgono tutte quelle attività necessarie a chiarire le questioni rilevanti per la decisione finale.

È proprio nella fase istruttoria che la pubblica amministrazione anche – come si vedrà – con l’ausilio e il contributo dei soggetti privati, procede: a) ad accertare, valutare, e qualificare il fatto e la sua rilevanza per l’interesse pubblico, ad accertare ed interpretare le norme che disciplinano l’esercizio del potere rispetto al caso concreto; b) ad acquisire compiutamente tutti gli interessi pubblici e/o privati coinvolti; c) ad effettuare, ove l’amministrazione eserciti potestà discrezionali la comparazione dell’interesse pubblico primario con gli altri interessi in gioco, pubblici o privati che siano[60].

Come evincibile dalle norme dedicate[61] alla figura del responsabile del procedimento, è possibile dedurre come questo sia, da un lato, il soggetto a cui viene affidato il sollecito, efficace e completo svolgimento dell’istruttoria e, dall’altro, soggetto designato quale interlocutore primario, punto di riferimento e garante dei soggetti coinvolti dall’esercizio della azione amministrativa, concretizzando – anche - gli adempimenti in fase procedimentale volti alla partecipazione attiva e rilevante al processo decisionale della amministrazione.

In conclusione, giova menzionare le innovazioni apportate dalle leggi n. 15 e 80 del 2005 alla legge generale sul procedimento amministrativo, foriere di una ulteriore garanzia - in ottica defensionale più che collaborativa - nelle quali si specifica che, laddove l’organo competente per l’adozione del provvedimento finale sia diverso dal responsabile del procedimento, lo stesso non possa discostarsi dalle risultanze della fase istruttoria senza indicarne la motivazione nel provvedimento finale. A ben vedere, infatti, tale disposizione richiede una più puntuale motivazione del provvedimento, a tutto vantaggio di una più effettiva tutela giurisdizionale, posto che già in precedenza la giurisprudenza amministrativa era orientata nel senso di considerare viziato da eccesso di potere - ex art. 21- octies - il provvedimento amministrativo il cui dispositivo contrastasse con i risultati dell’istruttoria.[62]

4.1. L’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento nonché la sua relazione con l’articolo 21-octies.

L’obbligo di comunicazione di avvio del provvedimento - previsto dall’articolo 7 della legge 241/1990 e disciplinato contenutisticamente dal successivo articolo 8 – rappresenta la prima garanzia, l’archè per il privato che aspiri a costituire un contraddittorio con l’amministrazione procedente. Infatti, la partecipazione al procedimento amministrativo richiede, in primis, che i soggetti interessati siano informati circa l’avvio del procedimento medesimo. La comunicazione in parola rappresenta un vero e proprio obbligo per l’amministrazione verso una platea ben definita di soggetti: coloro nei confronti dei quali il provvedimento è destinato a produrre effetti diretti, ovverosia i destinatari del provvedimento finale; a coloro i quali per legge devono intervenirvi, ossia ai soggetti che possono intervenire nel procedimento, poiché legittimati da una norma di legge; infine, a coloro i quali potrebbero subire un pregiudizio dalla adozione del provvedimento finale, laddove individuati o facilmente individuabili (c.d. controinteressati procedimentali). Tale ultima categoria di soggetti merita una duplice precisazione: chi ne fa parte e quali sono le condizioni in presenza delle quali si palesa un obbligo di comunicazione per l’amministrazione. In merito al primo punto è rilevante considerare come controinteressati siano coloro i quali – pur non essendo i diretti destinatari della decisione amministrativa – possano da questa subire un nocumento. Quanto al secondo aspetto, l’amministrazione deve innanzitutto – in ossequio al principio di celerità della azione amministrativa – effettuare una valutazione di tipo prognostico circa la portata lesiva del provvedimento che successivamente andrà ad emanare e, in secundis, inviare la comunicazione di avvio del procedimento a soggetti i quali siano “individuati o facilmente individuabili”, escludendo dalla comunicazione i cc.dd. controinteressati occulti. Tale ultima categoria ha visto la giurisprudenza muoversi su sentieri ondivaghi e perviene a conclusioni non sempre coerenti con la dottrina. Mentre quest’ultima afferma che i soggetti in parola sono coloro che sarebbero legittimati ad impugnare il provvedimento favorevole nei confronti del destinatario, poiché pregiudicati dallo stesso e, quindi, titolari di una situazione differenziata rispetto alla collettività[63], i tribunali amministrativi in via tendenziale escludono che i soggetti i quali si trovano in siffatta situazione di controinteresse sostanziale debbano essere avvisati all’inizio del procedimento[64].

 A questo punto si rende necessaria, però, una presa d’atto: se è vero che le disposizioni presenti nel capo III della legge 241/1990 hanno elevato la partecipazione del privato al procedimento quale normale modalità di estrinsecazione dell’attività amministrativa, è altresì vero che questa regola - per quanto qui concerne l’obbligo di comunicazione – soffre di eccezioni, talune delle quali previste dallo stesso articolo 7 della legge sul procedimento e, talaltre, ricostruite in via giurisprudenziale.  Sul piano normativo l’amministrazione, infatti, non è tenuta a comunicare l’avvio del procedimento ove sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento stesso, conseguenti all’urgenza del provvedere. Orbene, siffatta deroga – contenuta nel primo comma dell’articolo 7[65] - è ascrivibile a quello che viene definito come “diritto amministrativo dell’emergenza” la quale ultima, come noto, restringe il campo di applicazione di tutti gli istituti di matrice garantistica, partecipazione compresa. Un caso tipico rientrante nella fattispecie normativa è rappresentato dalle ordinanze contingibili ed urgenti[66] emanate dal sindaco ai sensi degli articoli 53 e 54 comma 4 del Dlgs 18 agosto 2000, n. 267. Si badi, la giurisprudenza amministrativa ha sul punto chiarito come non ogni urgenza legittimi la deroga all’obbligo generale di comunicazione ma, bensì, occorre una “urgenza qualificata”, per tale intendendosi un’urgenza che non consenta l’adempimento del suddetto obbligo senza che venga compromesso il soddisfacimento dell’interesse pubblico cui il provvedimento finale è rivolto[67].

La legge, inoltre, prevede una seconda deroga prevista dal comma 2 dell’articolo 7, ai sensi del quale l’amministrazione può adottare – anche prima della comunicazione di avvio del procedimento – provvedimenti cautelari. A ben vedere, però, non si è al cospetto di una vera e propria deroga, essendo in tal caso l’amministrazione solo legittimata a differire nel tempo la comunicazione, non già ad ometterla del tutto. La ratio della previsione è rinvenibile nella volontà di evitare intralci procedimentali alla adozione di un provvedimento qualora ritardi possano vanificarne gli effetti.

Come sopra anticipato, ulteriori deroghe sono state individuate dalla giurisprudenza amministrativa. Un primo nucleo di deroghe deriva dalla tendenza della suddetta giurisprudenza – sulla scorta del principio di origine processual-civilistica del raggiungimento dello scopo - ad optare per una interpretazione non rigida e formalistica delle regole partecipative, con la conseguenza dell’affermazione della non rilevanza in punto di annullabilità del provvedimento, qualora il soggetto destinatario dello stesso abbia aliunde avuto modo di parteciparvi[68] o allorquando abbia ricevuto un atto equipollente alla comunicazione di cui all’articolo 7 comma 1[69]. Un secondo gruppo di deroghe, invece, poggia su una particolare interpretazione della funzione cui è preordinata la partecipazione[70]: quest’ultima deve essere garantita laddove risulti utile al procedimento. Precipitato applicativo di questa impostazione è l’esclusione della annullabilità  in assenza della comunicazione di avvio del procedimento qualora l’amministrazione sia in procinto di esercitare attività vincolata la quale, come noto, non necessita di valutazioni di carattere tecnico-scientifico – dal momento che esistenza e qualificazione dei fatti sono incontrovertibili – ne, tantomeno, di valutazioni discrezionali, dovendo la P.A. senz’altro emanare il provvedimento al ricorrere dei fatti accertati. La giurisprudenza, sulla scorta di quanto appena detto, sostiene l’inutilità della applicazione delle garanzie partecipative, le quali in un simile contesto appesantirebbero inutilmente il procedimento con nocumento della celerità della attività amministrativa. Il tema oggi va esaminato alla luce del rinnovato quadro normativo, a seguito dell’intervento nel corpus della legge 241/1990, di cui all’articolo 21-octies comma 2. La norma, successivamente alla novella di cui al d.l. n. 76/2020, recita: “Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. La disposizione di cui al secondo periodo non si applica al provvedimento adottato in violazione dell'articolo 10-bis”. Orbene, il secondo alinea della disposizione in parola detta la disciplina della non annullabilità del provvedimento adottato in mancanza della comunicazione di avvio del procedimento ma in tal caso - a differenza del primo alinea, il quale vede il suo ambito applicativo alla  (più) generale “violazione delle norme sul procedimento o sulla forma degli atti ”-il legislatore non pare limitare espressamente l’operatività della regola alla sola attività vincolata, ponendo a carico della amministrazione l’onere di fornire la prova dell’irrilevanza del vizio sul contenuto del provvedimento[71]. All’indomani della approvazione della novella legislativa dottrina e giurisprudenza si sono quindi interrogate se la norma si applichi – stante il mancato riferimento alla attività vincolata – anche in caso di attività discrezionale, aprendo le porte al sindacato giurisdizionale su profili che attengono al merito amministrativo.[72]Infatti, secondo un approccio di tal guisa, il giudice dovrebbe effettuare un giudizio prognostico e verificare se l’apporto del privato avrebbe modificato l’assetto di interessi conclamato nel provvedimento. Sullo sfondo della discussione, la apparente contraddittorietà del legislatore il quale attraverso il secondo alinea dell’articolo 21-octies ha reso, si, non annullabili i provvedimenti adottati senza la previa comunicazione di avvio del procedimento ma, al contempo, ha omesso di limitare tale possibilità alla sola attività amministrativa vincolata, come ha esplicitamente previsto invece per il primo alinea dello stesso articolo. A fronte di tale apparente contraddittorietà, dottrina e giurisprudenza si sono mostrati ondivaghi: giova qui menzionare che l’impostazione prevalente ravvisa, tra la disposizione di cui al primo periodo e quella del secondo, un rapporto di specialità alla luce del quale il provvedimento, laddove emanato in assenza della comunicazione di avvio del procedimento è disciplinato esclusivamente dal secondo. Questa impostazione presta il fianco, quindi, al sindacato giudiziale sulla mancanza di alternative “di fatto” al contenuto del provvedimento adottato e, tuttavia, subordinato alla prova da parte della amministrazione che il provvedimento non avrebbe potuto avere un contenuto diverso anche a seguito della partecipazione del privato e, conseguentemente, l’irrilevanza del vizio.[73] Giova, inoltre, menzionare come non mancano, tuttavia, tentativi di limitare la portata innovativa della previsione in parola – la quale svuoterebbe le garanzie partecipative enucleate dalla stessa legge 241/90 -  attraverso una lettura unitaria e non in rapporto di specialità tra i due periodi dell’articolo 21-octies[74]. Sulla scorta di questa impostazione viene, infatti, ridimensionata la portata applicativa dell’articolo in parola, poiché i presupposti applicativi dello stesso sarebbero quelli delineati dal primo periodo, ivi compresa la vincolatività della attività amministrativa.

Ulteriore interrogativo sorto in dottrina e giurisprudenza inerisce l’eventuale applicabilità del secondo periodo del comma 2, dell’articolo 21-octies anche al provvedimento amministrativo adottato in assenza del preavviso di rigetto, disciplinato dall’articolo 10-bis[75]. Orbene, i dibattiti sono oggi sopiti dalla previsione del legislatore, il quale è intervenuto con l’articolo 12, comma 1, lett. i) del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, inserendo nel testo un terzo periodo, il quale dispone che “La disposizione di cui al secondo periodo non si applica al provvedimento adottato in violazione dell’articolo 10-bis”.

 

In conclusione, si rende necessario menzionare l’articolo 8 della legge 241/1990, afferente al contenuto della comunicazione di avvio del procedimento, tema sul quale il legislatore ha optato per il lasciare alcun margine discrezionale alla pubblica amministrazione. Osservando la norma[76] può dedursi come questa elenchi elementi idonei a permettere la partecipazione e collaborazione del privato al procedimento. Sono da evidenziare due modifiche – le cui ratio sono rinvenibili proprio nelle esigenze di partecipazione, trasparenza, clare loqui e responsabilizzazione della attività amministrativa - intercorse prima con la legge n. 15/2005 e, successivamente, con il d.l. n. 76/2020. Il primo intervento del legislatore, ha prescritto l’ulteriore obbligo per la amministrazione di comunicare la data entro la quale deve concludersi il procedimento, nonché i rimedi esperibili laddove la amministrazione si dimostri inerte e, nei procedimenti sorti ad istanza di parte la data di presentazione della relativa istanza.

La seconda, invece, ha inserito nei procedimenti ad istanza di parte, l’obbligo di comunicazione della data di presentazione dell’istanza, delle modalità con le quali è possibile prendere visione degli atti ed esercitare telematicamente i diritti previsti dalla legge sul procedimento e, infine, l’ufficio presso il quale è possibile visionare gli atti non disponibili o non accessibili con le suddette modalità.  Giova precisare che l’omissione di taluna delle comunicazioni prescritte può essere fatta valere – ai sensi del comma 4 dell’articolo 8 - solo dal soggetto nel cui interesse è rivolta, configurandosi un esempio di invalidità relativa, sempre posto che di invalidità possa parlarsi[77]. Siffatta previsione è comprensibile laddove si consideri che la prescrizione della comunicazione ha quale scopo il rendere edotti dell’avvio del procedimento i soggetti sulla cui sfera giuridica il provvedimento finale è destinato ad incidere, oltre che i soggetti i quali – pur diversi rispetto ai destinatari diretti del provvedimento – che possono ampliare la cognizione dell’amministrazione, introducendo elementi diversi o prospettandoli da un angolo prospettico diverso. Ancora, la giurisprudenza ha più volte ribadito una interpretazione restrittiva delle cause conseguenti all’omissione degli elementi in parola, configurando, limite limitis, una mera irregolarità. Sulla scorta di tali considerazioni, la giurisprudenza ha anche avuto modo di affermare che, laddove la comunicazione – non ancora effettuata – non giunga a buon fine in tempo utile, la amministrazione pubblica non perde il potere di svolgere il procedimento ed adottare il relativo provvedimento nell’ipotesi in cui quest’ultimo debba essere emanato entro un termine a pena di decadenza[78].

 

4.2. L’articolo 9: gli interventori eventuali e la partecipazione al procedimento dei portatori di interessi diffusi. I diritti dei partecipanti.

 

La legge 241/1990 garantisce la possibilità di partecipare al procedimento amministrativo a soggetti ulteriori rispetto a quelli che de facto ricevono la comunicazione di avvio del procedimento. Infatti, ai sensi dell’articolo 9[79], comma 1 della legge sul procedimento è data tale possibilità anche a qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati nonché a portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento. Orbene, può dedursi, dal combinato disposto degli articoli 7 e 9, che il novero degli interventori al procedimento sia potenzialmente molto ampio.  Alle condizioni di cui a breve si dirà, infatti, per portatori di interessi pubblici bisogna intendere le amministrazioni pubbliche o coloro che sono legittimati a farne le veci[80], mentre per portatori di interessi privati devono intendersi sia le persone fisiche o giuridiche che gli organismi privi di personalità giuridica riconosciuta. Ai fini della individuazione dei soggetti legittimati ad intervenire vi è un criterio preliminare, ovverosia la sussistenza di un interesse (pubblico, privato o diffuso) ed un successivo elemento che è il pregiudizio che può derivare – al portatore dell’interesse e/o all’interesse medesimo) dal provvedimento o dalla sua mancata adozione[81]. L’articolo in parola pone, inoltre, almeno due problematiche da affrontare: in primis, il dibattuto problema dei rapporti intercorrenti tra partecipazione al procedimento e legittimazione processuale. La giurisprudenza su tale questione ha ormai univocamente escluso che la legittimazione accordata dall’articolo 9 nei confronti dei portatori di interessi diffusi - costituiti in associazioni e comitati - al procedimento non determini ex se la legittimazione processuale di tali soggetti esponenziali, dovendosi, concretamente valutare, case by case se sussista o meno l’interesse qualificato e differenziato e non un mero interesse alla legalità della azione amministrativa[82]. In secundis, occorre avere contezza dell’altra categoria di soggetti, facoltizzata dall’articolo 9, ad intervenire: i portatori di interessi diffusi. Dunque, punto di partenza è il fatto che per interessi diffusi si intendono quelle situazioni giuridiche soggettive indifferenziate, c.d. adespote, in quanto facenti capo alla generalità dei consociati[83]. Si badi, l’apertura della porta d’ingresso della partecipazione del procedimento nei confronti degli interessi diffusi, è dovuto al fenomeno di “personalizzazione” degli stessi, ovverosia quel processo di costituzione di un ente esponenziale – una associazione, ad esempio – di interessi collettivi che permette a questi il passaggio dalla “inconsistenza” alla consistenza giuridica. Orbene, tale categoria di interessi – frutto di una lunga e travagliata elaborazione giurisprudenziale, sviluppatasi senza qualunque riferimento normativo esplicito – sembra trovare ormai riconoscimento giuridico nella disposizione in esame, sia pure con un unico limite: ai fini della partecipazione procedimentale, infatti, è necessaria l’esistenza di un ente esponenziale, ossia un centro organizzativo deputato alla cura – e quindi portatore – dell’interesse[84].

Venendo, ora, ai diritti dei soggetti partecipanti – sia quelli indicati nell’articolo 7, comma 1, che quelli indicati nell’articolo 9, comma 1 – possono esercitare le medesime pretese che vengono dal legislatore indicate – provocando ampi dibattiti in dottrina[85] - in termini di diritti.

Ai sensi dell’articolo 10[86], infatti, essi hanno, da un lato, il diritto di visionare gli atti del procedimento e, per altro verso, il diritto di presentare memorie scritte e documenti che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare, laddove pertinenti all’oggetto del provvedimento. La partecipazione procedimentale si esplica, quindi, attraverso due distinte modalità.  La prima, il diritto di visionare gli atti del procedimento, la quale consente al soggetto partecipante di conoscere l’oggetto dello stesso nonché le valutazioni fino a quel momento compiute. Peraltro, l’accesso in parola, detto anche accesso c.d. endoprocedimentale, va distinto dall’accesso regolato dagli articoli 22 e ss. (c.d. accesso esoprocedimentale), poiché, a differenza di quest’ultimo – caratterizzato dalla autonomia rispetto al procedimento - è strumentale alla effettiva partecipazione procedimentale, consentendo l’acquisizione di quel corredo di informazioni necessarie al fine di poter interloquire con l’amministrazione procedente[87]. Stanti le differenze tra le due tipologie di accesso, si rende necessario precisare che secondo la giurisprudenza amministrativa entrambe le modalità possono essere tutelate in via giurisdizionale ai sensi dell’articolo 25, comma 5, della legge 241/1990, la quale rimanda alla disciplina del codice del processo amministrativo[88].  La seconda, il diritto di presentare memorie scritte e documenti, consente, invece, al partecipante di incidere sull’esito del procedimento, offrendo argomentazioni relative a tutti gli aspetti inerenti all’accertamento e la qualificazione dei fatti, la rappresentazione del proporlo interesse, così da tutelarlo e far si che incida sulle scelte che la amministrazione si propone di compiere[89]. Nell’esercizio di questo diritto partecipativo, il partecipante al procedimento deve presentare memorie scritte e documenti – si badi, l’interventore potrà presentare anche solo le une o solo gli altri – che siano pertinenti, in quanto esplicazione di asserzioni inerenti a fatti rilevanti per lo svolgimento dell’istruttoria procedimentale e che riguardino la posizione dell’interventore stesso.

Necessario, però, è che tali osservazioni da parte del privato siano anche rilevanti. Laddove queste siano giudicate pertinenti e rilevanti, l’amministrazione ha l’obbligo di valutarle, ossia di tenerne conto e la giurisprudenza ha sul punto affermato che non è necessaria una confutazione analitica del contenuto delle memorie scritte e dei documenti, essendo sufficiente che dalla motivazione del provvedimento finale risultino desumibili le ragioni del non accoglimento di quanto dedotto dall’interventore rispetto alla decisione finale.[90] In tal maniera, si valorizza una partecipazione non fine a se stessa ma, bensì, “qualitativamente rilevante” poiché capace – in base ad una “ragionevole presunzione”- di influire sulle scelte della amministrazione e, quindi, sull’esito del procedimento[91].

Giova, in conclusione, effettuare talune osservazioni: attraverso le modalità partecipative delineate dall’articolo 10 della legge 241/1990 il partecipante al procedimento instaura con l’amministrazione procedente un contraddittorio scritto, capace di influenzare le decisioni di quest’ultima. Quanto appena detto, però, non esclude la possibilità di sollevare talune criticità, prima fra tutti l’impostazione eccessivamente cartolare che viene conferita all’apporto del privato nel procedimento anche alla luce delle preferenze da più parti avvertite per un contraddittorio orale, ritenuto più efficace. D’altronde il testo elaborato dalla citata Commissione presieduta dal prof. Mario Nigro aveva espressamente previsto il diritto al contraddittorio per il privato che subiva dal provvedimento una lesione dei propri diritti soggettivi o interessi legittimi, diritto che non si esprimeva  nella  semplice  visione  degli  atti  prodotti  dall'Amministrazione  nel  procedimento  e  nella successiva   presentazione   di   memorie   scritte   ove   esporre   le   proprie   difese   rispetto   alle   scelte amministrative,  ma  in  un  vero  e  proprio  diritto  di  corrispondere  immediatamente,  in  via  orale,  con l'Amministrazione[92].

Forme “eccentriche” di partecipazione sono oggi previste - oltre che dalla già menzionata disposizione di cui all’articolo 22 del d.lgs. 50/2016 - da alcuni Statuti di enti locali, in special maniera nei procedimenti di formazione di atti normativi o amministrativi generali, ai quali è consentito di partecipare ad associazioni o comitati e gruppi di cittadini portatori di interessi diffusi[93].

 

4.3.  L’articolo 10-bis: la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza. Una grande novità.

Si è detto in chiusura del precedente paragrafo che una delle critiche maggiormente sollevate attorno alle modalità partecipative delineate dall’articolo 10 della legge 241/1990 è rappresentata dall’eccessiva cartolarità, cui consegue un difficile coordinamento dialogico tra amministrazione procedente e privato. Orbene, la legge n. 15 del 2005 ha introdotto l’istituto del c.d. preavviso di rigetto o preavviso di provvedimento negativo, inserendo l’articolo 10-bis nel corpus della legge sul procedimento amministrativo. L’istituto in parola rappresenta un utilissimo strumento di garanzia, nel quadro di un rapporto dialogico – collaborativo, sotto l’egida del principio, invero già affermato dalla giurisprudenza amministrativa[94], secondo cui sussiste un potere-dovere della amministrazione di attivarsi nell’ottica di una leale collaborazione con il privato. D’altronde, il principio di leale collaborazione è stato inserito nel comma 2-bis[95] dell’articolo 1 della legge 241/90, a seguito dell’intervento del d.l. 76/2020.

Come noto, la disposizione in parola dispone anzitutto che “nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l'autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda.  Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti”.

Appaiono, quindi subito lampanti gli obiettivi che il legislatore tende a realizzare con l’introduzione del preavviso di rigetto: in primis superare le asimmetrie inerenti al rapporto tra amministrazione e privato, realizzando un “contraddittorio endoprocedimentale necessario e rafforzato[96] e, al contempo, rendere le decisioni amministrative il più possibile come “il frutto di una dialettica tra le parti interessate[97]. Alla luce dell’articolo 10-bis,infatti, il privato non dispone solo  della possibilità di accedere ai documenti amministrativi del  procedimento che lo riguardano (con la conseguente facoltà di presentare memorie  al  riguardo), ma vede l’amministrazione obbligata - laddove sia intenzionata a determinarsi in senso negativo sull’istanza -  a comunicare quali siano i motivi ostativi all’accoglimento della stessa prima della adozione formale del provvedimento negativo, consentendo così al privato di attivarsi affinché l’Amministrazione cambi eventualmente la sua determinazione in senso a lui favorevole. In altre parole, a differenza delle potestà partecipative evidenziate nel precedente paragrafo, il privato - per il tramite dell’articolo 10-bis - può con maggior probabilità e più agevolmente conformare il risultato dell’attività della amministrazione che, come noto, si manifesta nel provvedimento. Ulteriore ratio dell’istituto in parola è rappresentata dalla deflazione del contenzioso[98], poiché permette al privato-istante di anticipare - in sede procedimentale - eventuali doglianze che in assenza della previsione di cui all’articolo 10-bis inevitabilmente lamenterebbe in fase processuale- contenziosa.

Descritte le finalità sottese al preavviso di rigetto, si rende necessaria una presa d’atto: se è vero che il preavviso di rigetto è inquadrabile quale corollario della “rivoluzione copernicana” che ha riguardato il rapporto amministrazione- cittadino, è altresì vero che la sua introduzione ha ridisegnato l’intera scansione del procedimento.

A ben vedere, infatti, il legislatore, statuendo che la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza debba essere effettuata prima della adozione formale del provvedimento negativo, implicitamente, colloca il preavviso di rigetto a cavallo tra la fase istruttoria e la fase decisoria. Quanto appena detto si traduce concretamente nel fatto che qualora  l’amministrazione – dopo aver esaminato gli elementi giuridici e di fatto, acquisiti d’ufficio o rappresentati dagli stessi interessati – decida di non accogliere l’istanza del privato, non potrà già adottare il provvedimento negativo - secondo i crismi della scansione procedimentale fase dell’iniziativa; fase istruttoria; fase decisoria – ma dovrà, invece, informare l’istante ed attendere nel termine di dieci giorni le osservazioni di quest’ultimo. È possibile giungere, allora, ad una duplice conclusione: in primis, la collocazione del preavviso di rigetto nella c.d. fase pre-decisoria[99], poiché la sua comunicazione presuppone, inevitabilmente, un orientamento in senso negativo della amministrazione sull’istanza del privato e, in secundis, la sua natura di atto endoprocedimentale[100], con la conseguenza della sua non immediata impugnabilità[101].

Giova, a questo punto analizzare gli effetti del preavviso di rigetto, stanti le modifiche allo stesso apportate dal legislatore tramite il già più volte nominato d.l.  n. 76 del 2020. Infatti, il legislatore ha statuito espressamente che “La comunicazione di cui al primo periodo sospende i termini di conclusione del procedimento, che ricominciano a decorrere dieci giorni dopo la presentazione delle osservazioni o, in mancanza delle stesse, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo”. Con tale modifica, dunque viene decretata la portata meramente sospensiva, e non già interruttiva, del termine di conclusione del procedimento[102] per effetto della comunicazione del preavviso di rigetto, con nuova decorrenza dello stesso al momento della presentazione delle osservazioni da parte del privato o, in assenza, dalla scadenza dei dieci giorni previsti a tal fine[103]. Concretamente, quindi, a seguito della comunicazione dei motivi ostativi, prende vita una nuova fase istruttoria all’interno della quale l’istante può rimodulare e riformulare l’istanza alla luce delle perplessità – tradotte in indicazioni - rappresentate dalla amministrazione. Sul punto, inoltre, occorre osservare come di tale supplemento istruttorio l’amministrazione è tenuta a tenerne conto in punto di motivazione del provvedimento finale. Motivazione che deve essere necessariamente più esaustiva laddove l’amministrazione disattenda le prospettazioni addotte dal privato.[104]

In conclusione, occorre effettuare delle considerazioni su una delle novità più rilevanti effettuate dal d.l. 76/2020 sulla disciplina dell’articolo 10-bis[105]. Trattasi del riesercizio del potere da parte dell’Amministrazione a seguito dell’annullamento ad opera del giudice amministrativo di un provvedimento di diniego illegittimo, che sia stato adottato a seguito della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento[106]. Il legislatore in tal maniera ha voluto evitare che l’amministrazione, nella riadozione del provvedimento di diniego, dovendosi adeguare agli effetti del giudicato di annullamento, finisca per riproporre una motivazione basata sostanzialmente sugli stessi motivi ostativi che avrebbero dovuto essere comunicati agli istanti mediante, appunto, il preavviso di rigetto[107], con la conseguente menomazione dell’istituto. Quella in parola, è una novità che a parere di chi scrive fa da pendant – ontologicamente - con almeno altre due disposizioni della legge 241/1990: la prima, l’articolo 1 comma 2-bis della legge 241/1990, inerente il principio di buona fede nei rapporti tra amministrazione e privato e, in secundis, soprattutto con la disposizione di chiusura dell’articolo 10-bis, alla luce del quale “Non possono essere addotti tra i motivi che ostano all’accoglimento della domanda inadempienze o ritardi attribuibili alla amministrazione”. D’altronde, comprendere il cambiamento dei rapporti tra amministrazione e amministrati richiede valutazioni a geometrie variabili sulla totalità degli istituti, tutele, garanzie offerti dalla legge sul procedimento.

 

4.4. L’articolo 11 e la c.d. amministrazione per consenso

 

L’attività della amministrazione può esprimersi anche attraverso moduli consensuali -in luogo di modalità unilaterali di esercizio del potere – attesa l’importanza che l’istituto dell’accordo riveste ormai nei rapporti tra le amministrazioni pubbliche e tra queste ed i privati. Siffatta centralità è il frutto di una evoluzione storica e sociale che vede il suo avvio all’inizio del ‘900, periodo storico che vede il progressivo affermarsi dello Stato sociale, il quale ha portato con sé un ingente aumento degli interventi della amministrazione pubblica nella vita economica e sociale dei cittadini[108]. Tale importante cambiamento ha reso vetusta e inadeguata l’impostazione che vedeva il diritto amministrativo come caratterizzato dalla autoritarietà. È proprio in questo contesto che iniziano a sorgere posizioni favorevoli alla nascita di una nuova figura: il contratto di diritto pubblico[109]. Tra i primi[110] ad accogliere tale figura va annoverato, peraltro, il già più volte citto Prof. Forti[111]. Siffatto processo evolutivo ha trovato conferma proprio in seno alla Commissione Nigro. Secondo la concezione di Nigro, infatti, l’esercizio del potere pubblico come un quid non negoziabile e distaccato dalle influenze esterne, era ormai convinzione solo dei giuristi[112].

Al contrario, l’azione amministrativa doveva apparire come elastica e conformabile alle circostanze concrete, in modo da “riconoscere la soddisfazione dell’interesse privato come causa (concausa) dell’agire pubblico”[113]La Commissione Nigro iniziò i suoi lavori proprio con la consapevolezza dell’ormai mutato contesto nel quale si diramano i rapporti tra amministrazione e cittadino ed enunciando, nello schema di disegno di legge da essa elaborato, un principio di contrattualità. Tale riferimento al principio di contrattualità – tipico della tradizione tedesca – venne però successivamente stralciato nel passaggio dalla Commissione al progetto di Governo. Tale espunzione, in un certo senso, ha detonato la portata innovativa e il favor per la conclusione di accordi.

Ciò detto, l’accordo diviene uno strumento di carattere generale della azione amministrativa attraverso la legge 241/1990 la quale, si badi, ne disciplina due diverse tipologie: la prima – ex art. 11, inserita nel Capo III sulla partecipazione al procedimento - inerente agli accordi tra amministrazione e privati e, la seconda – enucleata nell’articolo 15, ed inserita nel capo IV, inerente alla semplificazione amministrativa – la quale disciplina gli accordi tra amministrazioni[114].

Orbene, l’articolo 11[115] della legge sul procedimento amministrativo, a differenza dell’ordinamento tedesco nel quale vige il già menzionato principio di contrattualità della azione amministrativa[116] – limita il ricorso all’esercizio consensuale della azione amministrativa ai soli accordi integrativi e sostitutivi in esso previsti.

Conseguenza immediata di ciò è che la amministrazione pubblica ed il privato, pur essendo liberi di determinare il contenuto dell’accordo, possono esplicare la potestà consensuale solo mediante suddetti moduli[117].

Giova, sin da subito distinguere le due diverse tipologie di accordi previste dall’articolo in parola. I primi, gli accordi integrativi o procedimentali hanno lo scopo di realizzare una posizione mediana tra posizioni altrimenti polarizzate ed aventi ad oggetto il contenuto del provvedimento – il quale rimane l’unica fonte dell’effetto giuridico – laddove il tenore di quest’ultimo difficilmente sarebbe accettato dal privato. Il contenuto dell’accordo non sostituisce, in tal modo, il provvedimento finale poiché quest’ultimo viene poi emanato in attuazione e successivamente all’accordo stesso[118]. In tale tipologia di accordi, il privato accetta clausole per lui gravose, con una implicita rinuncia ad un eventuale futuro contenzioso, stante la garanza che l’amministrazione non potrà adottare - immotivatamente - un provvedimento dal contenuto diverso da quello concordato. Si badi, in tale categoria di accordi, il privato non potrà vantare un vero e proprio diritto soggettivo alla emanazione del provvedimento ma, al più, una posizione di interesse legittimo di carattere pretensivo[119]. Conseguentemente, non potrà ottenere dal giudice amministrativo una sentenza che statuisca né l’imposizione per la amministrazione di provvedere né, tantomeno, che operi in sostituzione del provvedimento finale.

I secondi, invece, sono i c.d. accordi sostitutivi, i quali godono di una certa autonomia funzionale, sostituendo integralmente il provvedimento: manca, infatti, il provvedimento unilaterale e gli effetti dell’accordo stesso incidono immediatamente e direttamente sulle posizioni giuridiche coinvolte.

L’articolo 11, ad ogni modo, delinea strumenti particolarmente funzionali ad una migliore realizzazione del contraddittorio tra privati e P.A., stante il fatto che la norma stessa prevede che - in accoglimento delle osservazioni e delle proposte presentate dai privati nel procedimento-  l’amministrazione possa concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, ed in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con il privato al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento, ovvero, in sostituzione di esso. Gli accordi, infatti, rappresentano la massima espressione partecipativa del privato al procedimento, permettendo all’interesse del cittadino di svolgere un ruolo penetrante nel confronto con la pubblica amministrazione e definendo un assetto di interessi – compatibile con l’interesse pubblico – condiviso e vincolante tra le parti[120].

Fatte queste premesse giova ora effettuare una prima presa d’atto sugli istituti in parola: stante la diversa impostazione delle due tipologie di accordo, la disciplina dettata dall’articolo 11 è comune, uguale per entrambe: stipulazione per atto scritto a pena di nullità, conclusione deli accordi nel perseguimento del pubblico interesse e senza pregiudizio dei diritti dei terzi, applicazione – ove non diversamente statuito – dei principi del codice civile i materia di obbligazioni e contratti, possibilità per l’amministrazione di recedere dagli accordi per sopravvenuti motivi di pubblico interesse. Proprio sul tema della recedibilità da parte della amministrazione giova soffermarsi. Infatti, se chiara appare la ratio della previsione, volta a permettere in ogni caso alla amministrazione di curare interessi pubblici, non altrettanto chiara è la sua natura giuridica. Per l’impostazione maggioritaria in dottrina[121] e giurisprudenza la previsione in parola configura non un recesso di stampo privatistico – peraltro oggi previsto dall’articolo 21- sexies della l. 241/1990 - ma, bensì, una ipotesi di autotutela, sub specie di revoca onerosa.

Sul piano applicativo tale conclusione non è priva di effetti: l’opzione della natura provvedimentale del recesso, infatti, porta con sé la applicazione delle norme del Capo III, dovendo la P.A. comunicare l’avvio del procedimento, corredare l’atto di recesso (de facto revoca) con le motivazioni di carattere logico deduttivo e fattuali e, si ritiene, che l’atto – in ossequio al principio del contrarius actus – debba essere emanato con le stesse formalità previste per la stipulazione dell’accordo.

Ad ogni modo, dalla natura “pubblicistica” del recesso può desumersi che il perseguimento dell’interesse pubblico non solo caratterizza la disciplina ma costituisce la causa degli accordi in parola[122].

Soffermandoci, ora, sull’ambito applicativo della norma di cui all’articolo 11, si discute se siffatto strumento consensuale possa trovare applicazione anche nei casi in cui – stante il riferimento contenuto nello stesso articolo 11 al fatto che l’accordo determina “il contenuto discrezionale” del provvedimento – all’amministrazione non siano riservati alcuni margini di discrezionalità. A seguito di una interpretazione letterale della norma, ne deriverebbe una esclusione a tutto tondo nei casi in cui il contenuto del provvedimento non sia lasciato alla “disponibilità” delle parti, poiché determinato “a monte” dalla legge[123]. In una prospettiva più possibilista, invece, si è posto il Consiglio di Stato[124] secondo cuoi l’accordo procedimentale è concluso al fine di determinare il contenuto del provvedimento finale, essendo la nozione di accordo di portata più ampia: il modulo consensuale in parola, seguendo tale impostazione, potrà essere utilizzato anche in relazione a provvedimenti a contenuto vincolato[125], con riferimento ad aspetti che possono connotarsi del carattere della discrezionalità[126]. Tanto più se l’accordo assicura ad amministrazione e privato un’utilità maggiore[127].

Su tutt’altro piano si colloca la disposizione - degna di nota - introdotta dalla legge 15/2005, la quale ha aggiunto il comma 4-bis nella norma dell’articolo 11. Ai sensi della novella legislativa “a garanzia della dell’imparzialità e del buon andamento della azione amministrativa, in tutti i casi in cui l’amministrazione conclude accordi nelle ipotesi previste al comma 1, la stipulazione dell’accordo è preceduta da una determinazione dell’organo che sarebbe competente per l’adozione del provvedimento”. Tale disposizione, per quel che interessa il thema tractandum, imponendo l’obbligo nei confronti della amministrazione di esternare le ragioni che l’hanno indotta a preferire il modulo consensuale rispetto a quello unilaterale, rappresenta un momento di garanzia per il privato, in ossequio al principio di trasparenza e clare loqui[128].

 

4.4.1 Cenni ad ulteriori ipotesi (borderline): le convenzioni di lottizzazione e cessione volontaria del bene espropriando.

 

Si è detto che il modulo consensuale, in luogo del provvedimento autoritativo-unilaterale, abbia trovato grandissima diffusione negli anni. Campo da gioco privilegiato per siffatta diffusione si è rivelato essere – invero già prima della legge 241/1990[129] - il settore dell’urbanistica, laddove maggiore appare la conflittualità tra autorità e libertà. Le convenzioni di lottizzazione, “centauresse” [130] degli accordi, sono disciplinate dall’articolo 28[131] della legge 17 agosto 1942 n. 1150.

Orbene, oggi appare pacifico come l’organizzazione conformativa del territorio comunale venga stabilita attraverso un rapporto consensuale con i privati, infatti, lo schema fattuale che conduce alla stipula di una convenzione di lottizzazione è sintetizzabile grossomodo nei seguenti termini:

  1. I proprietari, o più spesso degli imprenditori predispongono un piano di assetto urbanistico di una determinata area e lo sottopongono alla amministrazione, la quale può o meno condividerne il contenuto. Nella maggioranza dei casi, a seguito di trattative, si giunge ad una ipotesi di organizzazione del territorio che soddisfi entrambe le parti[132]
  2. Sulla base di tale accordo i privati assumono una serie di obbligazioni relative alla realizzazione di opere di urbanizzazione[133].

Rilevantissimo è constatare come secondo la giurisprudenza amministrativa la convenzione di lottizzazione rappresenta un accordo sostitutivo del provvedimento, in quanto espressione dell’esercizio consensuale di un potere pianificatorio, il quale sfocia in un progetto e in una serie di disposizioni urbanistiche generanti obblighi ed oneri. Essa, producendo un vincolo bilaterale tra le parti, è assoggettata alla disciplina di cui all’articolo 11, l. 241/1990[134].

Dunque, le convenzioni di lottizzazione sono inquadrabili come species del genus degli accordi sostitutivi di provvedimento ex articolo 11 le quali - inserendosi nell’alveo dell’esercizio di un potere – ne mutano caratteristiche e natura.

Potrebbe affermarsi, pertanto, che alla luce del riconoscimento delle tecniche di pianificazione negoziata con il privato le scelte urbanistiche rappresentano sempre più il frutto di una negoziazione tra l’ente detentore della potestas variandi ed i singoli privati o aggregazioni di essi che da tali scelte verranno incisi.

La ratio a sostegno di siffatta negoziazione è rinvenibile nella maggiore efficacia, efficienza, celerità ed economicità nel conseguimento degli obbiettivi[135].

Non solo, il novero delle ragioni poste alla base delle Convenzioni ha in nuce la democraticità del rapporto tra autorità e libertà in modo che queste meglio sintetizzino – favorendo l’assunzione di scelte dettate, si, dall’uso del territorio ma anche comprendenti gli interessi socioeconomici della collettività – mire e propositi pubblici e privati.

Altra figura ricostruita dalla giurisprudenza amministrativa in termini di accordi ex art. 11, l. 241/1990 è rappresentata dalla cessione volontaria del bene quale modulo di conclusione alternativo della procedura espropriativa. Si badi, però, che di differente avviso è la giurisprudenza della Cassazione[136] la quale, spesso, ha affermato il carattere civilistico dell’accordo in questione.  Ciò detto, la cessione volontaria è disciplinata dall’articolo 45 del d.p.r. 8 giugno 2001, n. 327[137].  Infatti, la procedura espropriativa può concludersi con l’emanazione del decreto d’esproprio – unilaterale - o, in alternativa, con la cessione volontaria: dal momento in cui interviene la dichiarazione di pubblica utilità e fino a quando non venga eseguito il decreto di esproprio, il soggetto espropriando può concludere con il beneficiario dell’espropriazione un accordo di cessione volontaria del bene, destinato così a sostituire il provvedimento finale unilaterale[138].  Per effetto dell’accordo raggiunto l’amministrazione diventa con effetto ex nunc - e dietro pagamento del corrispettivo pattuito e superiore alla c.d. indennità di esproprio - proprietaria del diritto dominicale sull’area oggetto del procedimento espropriativo.

Giova in conclusione precisare che siffatto modulo convenzionale ha quale ratio - più che una necessità di democraticizzazione dell’agere amministrativo – sia la deflazione del contenzioso che esigenze di maggiore speditezza del procedimento espropriativo.

 

4.5. L’articolo 13: una norma, al contempo, di chiusura e apertura

 

Il capo III della legge 241/1990, come noto, si chiude con la deroga generale di cui all’articolo 13[139], il quale esclude l’applicabilità delle disposizioni in tema di partecipazione ai procedimenti diretti all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di programmazione e pianificazione, nonché ai procedimenti tributari.

In tutti questi casi, recita la norma, restano ferme le particolari norme che li regolano.

Quella di cui all’articolo in parola è una esclusione che ha attratto non poche critiche derivanti dall’opinione secondo cui proprio in questi procedimenti sarebbe avvertita una maggiore necessità di collaborazione del privato, alla luce della delicatezza e complessità degli interessi che coinvolgono. Di tali rilievi si sono fatti carico dottrina e giurisprudenza poiché hanno inteso l’articolo 13 come contenente una disposizione che, più che precludere in maniera tassativa ed assoluta la partecipazione procedimentale, si limita ad esentare dalla applicazione dello specifico modello di partecipazione procedimentale contemplato nel Capo III. Valorizzando il rinvio effettuato dall’articolo 13 alle particolari norme che regolano tali procedimenti, si garantisce che l’esigenza di contraddittorio dalle parti pubbliche e private risulti comunque salvaguardata dalla previgente disciplina, evitando una inutile duplicazione delle forme di partecipazione procedimentale, senza eliminarle del tutto[140]. Interpretata in tal guisa, la disciplina partecipativa rappresenta una sorta di standard minimo di tutela che le disposizioni normative devono rispettare e, al contempo, norma di “apertura” verso discipline della partecipazione che implementino facoltà e diritti del partecipante ulteriori rispetto a quelle specificatamente designate dalle norme della 241/1990.

Tra le esclusioni annoverate dall’articolo 13 giova soffermarsi brevemente su quella inerente al procedimento tributario. Secondo l’opinione prevalente, nel procedimento tributario la tutela della sfera giuridica individuale va contemperata con l’esercizio della potestà tributaria dello Stato e, al fine di garantire il più possibile il concreto successo dell’attività impositiva il legislatore avrebbe posticipato le istanze partecipative dalla fase iniziale del procedimento alla fase successiva alla conclusione delle ispezioni o verifiche[141].  Esemplificativo in tal senso è il c.d. accertamento per adesione, disciplinato dal d.lgs 218/1997.

 

4.6. Oltre il Capo III della legge 241/1990: la partecipazione del privato alla Conferenza di servizi: l’ antitesi tra semplificazione e partecipazione.

 

Particolarmente problematica si è presentata nel corso degli anni la questione della partecipazione del privato alla conferenza dei servizi[142], strumento di concentrazione in un unico contesto logico e temporale, delle valutazioni e posizioni delle diverse amministrazioni portatrici degli interessi pubblici rilevanti in un determinato procedimento amministrativo[143] e disciplinata nel corpus della legge 241/1990 dagli articoli 14 e ss. In altre parole, l’interrogativo da porsi appare il seguente: dal momento che la legge parla di esame contestuale di interessi pubblici, è possibile pensare che vi possano partecipare anche i privati?

Le motivazioni del dibattito sorgono attorno all’atteggiamento ondivago del legislatore, il quale espressamente non prevede – ma tantomeno vieta – al privato di partecipare a tale modulo organizzatorio. Ancora, posto che al quesito si dia risposta affermativa, quale posizione effettivamente viene attribuita al privato partecipante.

Orbene, per quanto la collocazione dell’istituto – inserito nel Capo IV, sulla semplificazione amministrativa e non già nel III, inerente alla partecipazione – suggerirebbe il contrario,  da un punto di vista concettuale, una serie di elementi sembra spingere a favore della partecipazione del privato alla conferenza, seppure senza diritto di voto: in primo luogo, la fungibilità̀ della conferenza rispetto al procedimento, da cui si ricaverebbe la necessità di garantire la partecipazione procedimentale prevista dagli artt.7 e ss. della legge n. 241/90; la coerenza rispetto al principio di contestualità̀ e semplificazione, che richiede la massima apertura della conferenza agli interessati; la maggiore efficacia di una partecipazione orale, o meglio non documentale, consentita dal procedimento in conferenza[144].

Volgendo lo sguardo alla (timida) giurisprudenza sul tema, questa pur affermando, da un lato, la mancanza di un obbligo per l’amministrazione di invitare il privato interessato, trattandosi di una riunione di (e tra) pubbliche amministrazioni, dall’altro, ha talvolta escluso la illegittimità di conferenze di servizi che avevano ivi previsto la partecipazione dei soggetti proponenti l’intervento.

Sul piano normativo, invece, le modifiche apportate dal d.lgs 30 giugno 2016, n. 127, attuativo della delega contenuta nella l. 124/2015, è possibile individuare diversi riferimenti normativi che inducono verso il riconoscimento di una forma di partecipazione – anche come osservatore - del privato alla conferenza di servizi: l’articolo 14, comma 5, ai sensi del quale l’indizione della conferenza è comunicata ai soggetti di cui all’articolo 7 i quali possono intervenire nel procedimento, con le facoltà riconosciute dall’articolo 9 della legge sul procedimento amministrativo; l’articolo 14-ter, comma 6, il quale dispone che alle riunioni della conferenza dei servizi possono essere invitatigli interessati, ivi inclusi i soggetti proponenti il progetto eventualmente dedotto in conferenza; l’articolo 14 – bis comma 5 il quale statuisce che la determinazione motivata di conclusione della conferenza avviene sentiti i privati e, laddove si tratti di procedimenti ad istanza di parte tale determinazione produce gli effetti del preavviso di rigetto ex art. 10-bis[145].

Anche il Consiglio di Stato, nel Parere n. 890/2016, in tema di riordino della disciplina in materia di conferenza dei servizi prospettata proprio dalla legge 124/2015, rileva proprio l’opportunità di reintrodurre in modo espresso nel nuovo testo illo tempore predisposto la possibilità per il privato di partecipare ai lavori della conferenza, con pieno accesso ai relativi atti. Il Consiglio di Stato, in tale parere ha avuto l’occasione di effettuare talune considerazioni: “Un aspetto importate nel vigente regime della conferenza è la possibilità di una attiva partecipazione del privato. Tale partecipazione non è esplicitamente confermata dallo schema in esame né in relazione alla conferenza preliminare né in relazione a quella definitiva. Pertanto, già per quanto riguarda l’articolo 14, si rappresenta l’opportunità di prevedere in modo espresso la facoltà del richiedente di partecipare come osservatore alla conferenza preliminare onde avere pieno accesso ai relativi atti…[146]. Ancora, giova menzionare la recentissima sentenza n. 11296 della Corte di Cassazione del 29 aprile 2021, relativamente alla conferenza di servizi in materia ambientale prevista dalla legge provinciale di Bolzano n. 2 del 2015 nella quale hanno rilevato come  l’invito alla seduta in conferenza di servizi degli interessati ha lo scopo di permettere la partecipazione di questi al procedimento, tuttavia, poiché le garanzie procedimentali sono poste a tutela di interessi concreti e non devono, poi, sul piano concreto risultare come inutili aggravi, la tardività del predetto invito non determina, ex se, l’annullabilità del provvedimento finale. Annullabilità non paventabile soprattutto laddove l’eventuale partecipazione del privato non avrebbe potuto contribuire in alcun modo una effettiva influenza, laddove la pubblica amministrazione dimostri che i provvedimenti non sarebbero stati diversi anche in caso di intervento degli interessati.

In conclusione, può dirsi che la questione di cui si discute soffre anche della ratio primaria che si ritiene di affidarle: se, come suggerisce la su collocazione nel Capo IV della legge sul procedimento, vengono predilette funzioni semplificatorie-acceleratorie dell’azione amministrativa, la partecipazione del privato appare come un mero aggravio dell’iter procedimentale. Ove, invece, si intravede nella conferenza, metaforicamente, una agorà nella quale tutte le posizioni coinvolte -incluse quelle dei privati – vengono prese sotto esame, il punto di vista del privato, allora, troverebbe piena cittadinanza in tale modulo procedimentale. Ad ogni modo, le prospettive sullo strumento in parola mal si prestano a previsioni future: basti pensare che la Conferenza dei servizi rappresenta uno degli istituti della legge 241/1990 maggiormente oggetto dell’accanimento terapeutico del legislatore[147].

  1. La partecipazione nelle amministrazioni di nuovo conio: le autorità amministrative indipendenti. La legalità c.d. procedimentale.

Prima di procedere a qualsivoglia riferimento alla partecipazione alle autorità amministrative indipendenti, si necessita di una indagine inerente alle ragioni dell’irrompere di queste ultime nel panorama italiano, nonché una disamina su cosa renda le c.d. Authorities spurie e diverse rispetto alle amministrazioni “classiche” con la consapevolezza che i risultati di tale indagine hanno indubbie ricadute sul concetto di partecipazione in seno a tali modelli organizzativi. Il fenomeno delle autorità amministrative indipendenti nasce e si sviluppa nel Nord America a partire dalla fine dell’Ottocento[148],  sono state definite come “enti od organi dotati di sostanziale indipendenza dal Governo, caratterizzati da autonomia organizzatoria, finanziaria e contabile e dalla mancanza di controlli e di soggezione al potere di direttiva dell’esecutivo, forniti di garanzia di autonomia nella nomina, nei requisiti soggettivi e nella durata delle cariche dei vertici ed aventi funzione tutoria di interessi costituzionali in campi socialmente rilevanti”[149]Le Authorities, infatti, si presentano come piuttosto eccentriche in primis, sotto il profilo genetico -ordinamentale, essendo assistite in massima parte dalla garanzia dell’indipendenza, da intendersi soprattutto come indipendenza dal potere di indirizzo politico del Governo. Tale caratteristica, infatti, viene garantita in maniera diversa per ciascuna Autorità dalle proprie leggi istitutive, le quali predispongono un sistema di guarentigie inerenti alla nomina[150], i poteri, l’autonomia organizzatoria. Potrebbe dirsi, a parere di chi scrive, che le Autorità fuoriescono dall’ “imbuto” della struttura organizzativa statale di carattere Cavouriano, di cui l’articolo 95 della Costituzione è espressione.  Quanto appena detto porta inevitabilmente ad una riflessione concernente la differenza tra ii concetti di indipendenza di cui si parla e di autonomia, propria, ad esempio, degli enti locali. Ebbene, quest’ultimo concetto implica, a fortiori una relazione tra due soggetti, uno dei quali pone dei limiti, dei vincoli o delle direttive e, l’altro, che di questi vincoli e direttive tiene conto nell’esercizio dell’autonomia, appunto, ad esso concessa. Diversamente, l’indipendenza, evoca l’assenza di controlli e mancanza di qualsivoglia relazione con gli altri organi, il cui nucleo indefettibile è rappresentato per le AA.II. proprio dalle caratteristiche di cui si è sopra discorso e si discorrerà.

Infatti, la menzionata eccentricità delle Autorità è rinvenibile anche - e soprattutto per quel che attiene al thema tractandum – nei tratti funzionali: a ciascuna di queste è spesso attribuita la titolarità di molteplici attività, le quali possono essere di carattere normativo (c.d. di regolazione), ispettivo, para-giurisdizionale, consultivo e di amministrazione attiva. In altre parole, potrebbe dirsi che le autorità amministrative indipendenti rappresentano una deroga alla separazione dei poteri “classica” poiché dotate di funzioni capaci di sovrapporsi – di volta in volta – al potere esecutivo, legislativo e giudiziario. Ulteriore, rilevante, caratteristica è data dal diverso canone della neutralità- diverso da quello della imparzialità, tipico delle amministrazioni classiche - di cui le AA.II. sono foriere, in special maniera nelle funzioni contenziose. L’insieme di tali peculiarità ben si concilia con le motivazioni sottese alla diffusione delle Autorità, avvenuta nel nostro paese negli anni 90 del secolo scorso: in primo luogo, una risposta alla c.d. “crisi della legge”, da intendersi come l’incapacità della stessa di predefinire in  determinati settori, caratterizzati da elevato tecnicismo e soggetti in continua evoluzione, un sistema cristallizzato di comportamenti tali da consentire ai destinatari di valutare ex ante i propri e gli altrui comportamenti in termini di liceità o illiceità[151]. Inoltre, si avverte la necessità di svincolare la gestione di determinati settori sensibili, i quali richiedono una posizione non di imparzialità, quanto di neutralità rispetto agli interessi in gioco e di indipendenza dal potere politico. Necessità, queste, soddisfatte dall’affidamento di siffatti settori alle Authorities, in grado di assicurare un esercizio terzo e tecnicamente adeguato.

Ancora, di rilevanza fondamentale ai fini della diffusione del fenomeno delle autorità è il processo di progressiva abdicazione dello Stato dall’intervento diretto in economia, il quale passa da essere “Stato- giocatore a “Stato – arbitro” che vede nel processo di privatizzazione degli anni 90 del secolo scorso il suo inizio e che richiede la presenza di soggetti capaci di impedire il passaggio da un monopolio pubblico ad un monopolio privato, non meno pericoloso[152].

Ciò detto, l’ingresso - ed il proliferare - delle Autorità amministrative indipendenti nel nostro ordinamento ha ingenerato un complesso dibattito attorno a due fondamentali – e tra loro connesse – questioni: quella della loro natura e della costituzionalità della loro istituzione. Riguardo il primo profilo – esclusa la seppur affascinante via della configurazione delle Autorità come tertium genus fra potere amministrativo e giurisdizionale[153] - è opportuno riportare che sebbene la questione sembrava sopita a seguito di una pronuncia della Corte di Cassazione con la quale questa ha sancito la natura di pubblica amministrazione della autorità garante per la protezione dei dati personali[154], la questione è tornata in auge a seguito dell’ordinanza 3 maggio 2018, n. 1 con la quale la Agcm (Autorità garante per la concorrenza e il mercato) ha sostenuto la propria legittimazione quale giudice a quo, alla luce delle caratteristiche che deporrebbero per la sua collocazione tra “i soggetti che svolgono funzioni giurisdizionali[155]. La Corte costituzionale così sollecitata, ha sul punto ridimensionato le “mire giurisdizionali” dell’Autorità, dichiarando la questione inammissibile, mettendo in evidenza come questa possa essere al tempo stesso, da un lato, parte resistente di un processo avente ad oggetto l’impugnazione di un suo provvedimento e, dall’altro, parte processuale ricorrente per l’impugnazione davanti al giudice amministrativo degli atti di qualsivoglia amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato. Alla luce di queste considerazioni la Consulta ha ritenuto di specificare la funzione di carattere amministrativo- discrezionale dell’Agcm[156]. Ad avviso della Corte, la veste processuale di parte riflette la natura del potere attribuito alla Autorità garante per la concorrenza e il mercato: una funzione di carattere amministrativo – discrezionale, il cui esercizio comporta, non diversamente dalle altre amministrazioni, la ponderazione dell’interesse primario con gli altri interessi pubblici e privati in gioco.

 Come anticipato, strettamente connesso al tema della natura giuridica delle Autorità amministrative indipendenti è quello della compatibilità costituzionale dell’eccentrico modello organizzativo in questione.

In particolare, in Italia, gli studiosi hanno constatato l’esistenza di una antinomia tra il modello delle Autorità indipendenti e il dettato costituzionale: infatti, non solo le Authorities non sono contemplate nella Carta, ma, alla luce delle caratteristiche sopra esposte – in special maniera quella dell’indipendenza dal potere esecutivo, da cui deriverebbe mancanza, al contempo, di responsabilità e legittimazione – sembrerebbero porsi in contrapposizione con il paradigma normativo dell’articolo 95 della Costituzione. In altre parole, gli organismi in discussione, quanto più operano in posizione di assoluta indipendenza, tanto più pongono in termini significativi il problema del controllo che le peculiarità genetiche e ordinamentali di tali autorità richiede, stante l’assenza di guarentigie che deriverebbero, invece, da un sindacato raccordabile al circuito politico - parlamentare. Esigenze, avvertite nell’ambito dei poteri normativi (o c.d. di regolazione) di cui le Autorità sono dotate i quali dettano regole immediatamente vincolanti per i soggetti che agiscono nei singoli settori di riferimento ed esprimono un potere rispettivamente di attuazione, esecuzione, integrazione di norme primarie o di disciplina di settori delegificati o no regolati da alcuna norma di rango legislativo[157].  Il problema dell’esercizio di siffatti poteri normativi da parte di soggetti posti al di fuori della tradizionale     ripartizione dei poteri e del meccanismo di imputazione della responsabilità, ex art. 95 della Costituzione, viene in qualche misura “sterilizzato” tenendo conto del procedimento partecipativo attraverso cui vengono prese le decisioni delle autorità[158]. Potrebbe dirsi, quindi, che al possibile deficit di legittimazione delle AA.II è consentito supplire con un rinfoltimento delle garanzie procedimentali: si introduce, così, il concetto di legalità procedurale, in relazione inversa con il concetto di legalità sostanziale. Quanto meno quest’ultima sarà garantita, tanto più ingente è la necessità che vi sia un potenziamento delle forme di coinvolgimento di tutti i soggetti interessati al procedimento finalizzato all’assunzione delle decisioni del caso concreto. Alla stregua di queste considerazioni, la legittimazione delle Authorities proviene proprio dalla collaborazione, costituita dal prendere in considerazione i contributi partecipativi degli interessati all’interno dei poteri decisionali.  In tal guisa, allora, attraverso l’esercizio del potere regolamentare diviene lampante un “nuovo” modo di fare amministrazione che vede la punta del compasso nelle logiche partecipative, collaborative e negoziali. Di rilevantissimo interesse, ancora, appare la sentenza del Consiglio di Stato n.1216 del 2 marzo del 2010, nella quale i giudici di Palazzo Spada hanno nuovamente avuto modo di confermare che, stante la più volte menzionata assenza di responsabilità e soggezione nei confronti del Governo, l’indipendenza e la neutralità delle Authorities possono trovare un fondamento “dal basso” così che, da un lato,  siano assicurate le garanzie del giusto procedimento e, dall’altro, le Autorità vedano assicurarsi la accountability tradizionalmente derivante al potere pubblico dai suoi collegamenti con gli uffici politici, legittimati, a loro volta, dai principi della democrazia diretta[159]. Ancora, la sentenza in parola ha rappresentato per il Consiglio di Stato l’opportunità di interrogarsi circa il ruolo svolto in materia dalla legge 241/1990 e di rilevare che le soluzioni concrete previste dalla legge sul procedimento amministrativo si dimostrano non totalmente adeguate a consentire il raggiungimento delle finalità tipiche  della partecipazione nei procedimenti di regolazione e di suggerire, per altro verso, forme di garanzia del contraddittorio rinforzate rispetto alle norme contenute nel Capo III della legge sul procedimento.

Viene confermata, ancora una volta, la valenza di lex generalis della legge 241/1990, in quanto tale suscettibile di essere derogata in melius. Forte riecheggia, sullo sfondo, quanto riportato sulla concezione più dinamica della partecipazione di cui il Prof. Mario Nigro era foriero nella Commissione da egli presieduta ma i cui frutti – forse per l’assetto amministrativo e politico del tempo – non sono stati in toto accolti nella legge 241/1990. Infine, preme effettuare una considerazione: la partecipazione procedimentale alle Autorità, se valorizzata solo sul piano teorico, rischia di favorire fenomeni di cattura del regolatore sul regolato, in assoluta controtendenza con la pretesa democratizzazione dell’attività delle Autorità indipendenti[160].

  1. La sicurezza partecipata nell’alveo della sussidiarietà orizzontale

La riforma Costituzionale n.3/2001 ha sancito all’ultimo comma dell’articolo 118 della Costituzione il riconoscimento della sussidiarietà orizzontale, ovverosia dello svolgimento di attività di interesse generale da parte di cittadini singoli e/o associati a seguito di una loro autonoma iniziativa. Siffatta disposizione costituzionale ha spalancato le porte al passaggio da una partecipazione formale ai processi decisionali pubblici ad una partecipazione attiva volto prodromica alla cura diretta di un bene pubblico[161]. Orbene, la partecipazione dei privati alle attività volte a garantire la sicurezza delle comunità locali- da intendersi come bene relazionale e plurale - costituisce, invero, una tendenza che si è consolidata a partire dall’ultimo decennio del secolo scorso, e che è sfociata nella adozione da parte del legislatore – regionale e statale – di una specifica disciplina.

Si badi, la partecipazione dei privati si è concretizzata in un apporto di tipo sussidiario, complementare, integrativo rispetto alle forze di polizia e che in quanto tale non può – e non dovrà mai – essere sostitutivo dell’esercizio di attività riservate all’amministrazione di pubblica sicurezza[162]. Questa, si è manifestata anche attraverso il coinvolgimento in procedure decisionali pubbliche di natura programmatica non riconducibili direttamente al concetto di ordine pubblico e sicurezza ma riguardanti, di regola, la sicurezza delle città come la prevenzione e la promozione sociale e la riqualificazione urbana, anche sotto la nuova luce che il decreto-legge n. 14 del 2017[163] (c.d. Decreto Minniti) ha dato alla nozione di sicurezza urbana.

Le ipotesi principali di sviluppo di forme di sicurezza partecipata coinvolgenti i privati – sia come singoli che in forma associata – si sono tradizionalmente ricondotte allo sviluppo di forme ausiliarie o privatistiche di controllo del territorio. In particolare, la legge 94/2009 disciplina, dai commi 40-44 dell’articolo 4, le associazioni di osservatori volontari privati (di cui a breve si tratterà), le quali hanno costituito uno strumento nelle mani del Sindaco - da utilizzare anche attraverso il coordinamento con il Prefetto – per lo sviluppo di politiche di sicurezza nel proprio territorio.[164] Il contenzioso sorto dalle normative contenute nella legge del 2009 e i limiti mostrati  dalle esperienze partecipative con funzione del controllo del territorio, hanno portato il legislatore a produrre strumenti di coinvolgimento dei privati più ampi nel citato d.l. 14/2017: anzitutto è prevista la possibilità di accordi – a latere dei patti sottoscritti tra Sindaco e Prefetto - con le reti territoriali di volontari per la tutela e la salvaguardia dell’arredo urbano, delle aree verdi e dei parchi cittadini[165].   Un secondo settore in cui il legislatore sembra aver dato maggiore spazio alla partecipazione dei privati – anche in tal caso in forma aggregata – è costituito dalla possibilità di “collaborare con enti o associazioni operanti nel privato sociale per la promozione dell’inclusione, della protezione e della solidarietà sociale mediante azioni e progetti per l’eliminazione di fattori di marginalità[166]. Ancora, una ulteriore ipotesi peculiare è statuita per gli accordi volti a consentire l’installazione di sistemi di sorveglianza[167].

Ciò detto, nella communis opinino, la locuzione “sicurezza partecipata” porta inevitabilmente a considerare il fenomeno delle c.d. ronde, disciplinate dalla menzionata legge 94/2009 all’articolo 3, commi 40,41,42,43 tramite il quale il legislatore riconosce ai Sindaci la facoltà di avvalersi – previa intesa con il Prefetto – della collaborazione di associazioni di cittadini non armati[168] al precipuo fine di segnalare alle forze dell’ordine eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale.  Le condizioni previste dal legislatore per la collaborazione delle associazioni son l’assenza di impiego di risorse economiche a carico dello Stato e l’iscrizione degli osservatori in un apposito elenco detenuto dalle Prefetture, infatti, gli ulteriori requisiti soggettivi, modalità operative sono demandate a un decreto ministeriale, intervenuto l’8 agosto del 2009. Tale decreto statuisce che può essere svolta attività di mera osservazione in specifiche aree del territorio comunale e da nuclei di persone non superiore al numero di 3 componenti, senza l’ausilio di animali e senza il possesso di armi o altri oggetti contundenti atti ad offendere. Il decreto ministeriale, inoltre, statuisce che l’attività di segnalazione deve avvenire esclusivamente mediante apparecchi di telefonia mobile, privilegiando quale primario destinatario delle segnalazioni la polizia municipale la quale, a sua volta, in relazione alla fattispecie concreta, dovrebbe rivolgersi alle forze di polizia statali[169].

Ciò che qui, in conclusione, preme sottolineare è che il legislatore attraverso l’introduzione delle (divisive, per gli abusi che da queste possono scaturire) c.d. ronde ha inteso coinvolgere i cittadini nel sistema nazionale della sicurezza pubblica, attraverso la mera “denuncia”. Occorre chiedersi, a parere di chi scrive, quale sia il “binario” delle funzioni effettivamente e concretamente affidate alle ronde: apprezzabile, infatti, sarebbe l’incanalarsi della loro attività sotto il segno del decoro urbano, degli aspetti più meramente “estetici” delle nostre città, mentre, indubbiamente l’utilizzo di tale strumento potrebbe prestarsi ad abusi, laddove – come la legislazione vigente pare suggerire – siano utilizzate ai fini di denuncia, poco foriera di garanzie dei cittadini o come strumento per politicizzare l’assetto valoriale del concetto di sicurezza.

 

 

[1] P. Silvestri, Dal giusto procedimento alla democrazia di tipo partecipativo, in Democrazia e Sicurezza, 2020

[2] M.S. Giannini, Diritto amministrativo III edizione, Giuffrè, 1993.

[3] Può riportarsi, a titolo esemplificativo l’articolo 24 dello Statuto Albertino del 1848 il quale recitava “Tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinanzi alla legge”. A parere di chi scrive il termine “regnicoli” si colora di una duplice sfumatura: da un lato, sconfessa l’utilizzo della parola “suddito” ma al tempo stesso non designa ancora la figura del “cittadino”.

[4] Invero, già la l. 20 marzo 1865, n. 2248 all’allegato E - art. 3, comma 1 - prescriveva che eccettuati gli affari nei quali si facesse “questione di un diritto civile o politico”, le autorità amministrative, prima di provvedere, dovessero ammettere “le deduzioni e le osservazioni in iscritto delle parti interessate”.

Nella pratica però tale norma non ha trovato che rarissime applicazioni, essendo intesa quale norma meramente programmatica.

[5] Tra i quali D. DE PRETIS, L’atto amministrativo autoritativo nell’esperienza tedesca, in L’atto autoritativo. Convergenze e divergenze tra ordinamenti, in Atti del Convegno Annuale, Bari, 30 settembre-1° ottobre 2011, Napoli.

[6] O. Mayer, Deutches Verwaltungsrecht, Leipzig, 1895-96, vol. I, nella tradizione di Massimo Severo Giannini, voce Atto Amministrativo, in Enc. Dir, vol. IV, Milano, 1959, pag. 161

[7] S. Perongini, Stato costituzionale di diritto e provvedimento amministrativo, in Aldilà del nesso autorità/libertà: tra legge e amministrazione, Giappichelli, 2017

[8] Pubblicato come Consiglio di Stato, Parere dell’Adunanza Generale del 15 febbraio 1949, Roma, I.P.S., 1950

[9] M.P. Chiti, Alle origini della legge sul procedimento amministrativo. Il periodo 1943-1947, in Istituzioni del Federalismo, 2020, pag.741.

[10] In tal modo di esprime S. Cassese, Il diritto alla buona amministrazione, in Europa. Rev. pub. Lav., 3 2009, pag. 1037 e ss.

[11] Professore di Diritto Amministrativo all’Università di Napoli e Maestro della materia

[12] La prima, istituita dal Governo Bonomi e la seconda dal Governo Parri e incardinata nel Ministero per la Costituente.

[13] Nel corpus di quella che molto decenni dopo sarà la legge 241/1990, sarà proprio il Capo III ad essere dedicato alla partecipazione del privato al procedimento

[14] M.P. Chiti, op. cit.

[15] Tratto dalla Relazione intitolata «La legge generale sulla pubblica amministrazione. L’organizzazione amministrativa dello Stato. L’organizzazione amministrativa degli enti pubblici. La giustizia amministrativa», edita nel 1948 dall’Istituto Poligrafico dello Stato.

[16]  Vedi supra

[17] M.P. Chiti, op. cit.

[18] Vedi supra

[19] Art. 25, recante «Comunicazioni relative all’istanza».

[20] Art. 27, recante «Inizio del procedimento d’ufficio».

[21] Particolarmente interessante la disposizione (art. 30), recante «convocazione dell’interessato», che al di là di una formulazione alquanto autoritaria prevede modernamente che «quando sia indispensabile per lo svolgimento dell’istruttoria, l’autorità può̀ invitare l’interessato a presentarsi per essere interrogato, dare chiarimenti o esibire ulteriori documenti. L’avviso di convocazione deve contenere le specificazioni del motivo per il quale essa viene fatta e, salvo che sia disposto altrimenti, deve essere comunicata a mezzo di lettera raccomandata con ricevuta di ritorno».

[22]  Art. 33

[23]  « L’amministrazione deve dare notizia all’interessato, mediante lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, del completamento delle indagini, qualora queste abbiano carattere tecnico, fissandogli un congruo termine per l’esame degli atti e la presentazione di deduzioni, salvo che trattasi di materia riservata ».

[24] D. Novacco, L’officina della Costituzione italiana 1943-1948.Feltrinelli, 2011

[25] G. Capano, L’improbabile riforma. Le politiche di riforma amministrativa nell’Italia repubblicana, Bologna, Il Mulino, 1992, pag. 96

[26] Altra riforma rilevantissima è quella intervenuta con l. 142/1990 sulle autonomie locali, la quale ha costituto anche a parere di S. Cassese nel suo Le basi del diritto amministrativo “il più importante cambiamento, dopo circa mezzo secolo, nell’ordinamento delle amministrazioni locali”

[27] G. Melis, Storia della amministrazione italiana, Il Mulino, Bologna, 2020, pag. 520

[28] Durante la nona legislatura il governo Craxi istituì̀ una commissione di studio, coordinata da Massimo Severo Giannini, articolata in tre sotto­ commissioni (presiedute da Renato Laschena, Mario Nigro e Sabino Cassese), aventi il compito di approfondire le tematiche relative, rispettivamen­te, alla giustizia amministrativa, ai procedimenti amministrativi ed alla de­legificazione.

[29]  M. Ramajoli, Lo statuto del provvedimento amministrativo a vent’anni dall’approvazione della legge n. 241/1990, ovvero del nesso di strumentalità triangolare tra procedimento, atto e processo, in Dir. proc. amm., fasc.2, 2010, pag. 17

[30] Consiglio di Stato, adunanza generale, parere 19 febbraio 1987 n. 7 sullo schema di Disegno di legge della commissione Nigro, in LexItalia.it

[31] Resoconto stenografico della seduta del 24 luglio 1987 presso la Camera dei deputati

[32] Avvocato, giurista, politico e accademico italiano

[33] Resoconto stenografico, Senato della Repubblica, Prima Commissione permanente affari costituzionali, affari della Presidenza del Consiglio e dell’Interno, ordinamento generale dello Stato e della Pubblica Amministrazione, seduta del 18 luglio 1990.

[34] F. Benvenuti, Prefazione in G. Pastori (a cura di), La procedura amministrativa, Milano, 1964, pag. 13 e ss.

[35] L. Buffoni, Il rango costituzionale del giusto procedimento e l’archetipo del giusto processo, in Forum di quaderni costituzionali, 2008

[36] La quale aveva già trattato nella sentenza n. 4 e 52 del 1958 l’esigenza di garanzie per l’interessarti “anche nello stadio di formazione degli atti” alla facoltà “di presentare istanze” preventive rispetto all’atto finale. Qui può già inquadrarsi una delle primigenie funzioni della partecipazione: quella defensionale.

[37] Corte Cost., sentenza n. 13 del 1962, punto 3 del Considerato in diritto.

[38] G. Colaviti, Il dibattito pubblico e la partecipazione degli interessi nella prospettiva costituzionale del giusto procedimento, in Amministrazione in cammino, 2020

[39] U. ALLEGRETTI, L’imparzialità amministrativa, Cedam, Padova, 1965.

[40] Come evidenziato anche da F. Giglioni, S. Lariccia, Partecipazione dei cittadini alla attività amministrativa, in Enc. Dir. Agg., IV, Milano, Giuffrè, 2000.

[41] Tra cui A. Andreani, Buon andamento dell’amministrazione, partecipazione dei cittadini e decentramento dei Comuni, in La partecipazione popolare alla funzione amministrativa e l’ordinamento dei consigli circoscrizionali comunali, Atti del XXII Convegno di Varenna, Milano, 1977, p. 377. O anche Il principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione, Padova 1979.

[42] Tra i quali L. Carlassare, Amministrazione potere politico, Padova, 1974.

[43] Come riportato da L. Buffoni, op.cit. ricostruzioni di tal guisa sono state proposte da F. Delfino, Amministrazione e diritto di difesa, in Rass. Dir. pubbl., 1972.

[44] Tra le altre, Sentenza Corte cost. n. 212 del 1972, la quale peraltro, non inquadrò nell’alveo della garanzia del giusto procedimento posizioni giuridiche non tutelate come diritti.

[45] Giova rilevare come è opinione largamente diffusa in dottrina che anche anteriormente alla riforma dell’articolo 111 della Costituzione le garanzie inerenti al principio del “giusto processo” fossero già presenti nel nostro ordinamento. A siffatta conclusione si è giunti in via interpretativa combinando tra loro i disposti normativi contenuti negli articoli 2,3,24,25 comma 1, 101,104,107,108,111 e 113 della Costituzione.

[46] S. Mangiameli, “Giusto procedimento” e “giusto processo”. Considerazioni sulla giurisprudenza amministrativa tra il modello dello Stato di polizia e quello dello stato di diritto, in associazionedeicostituzionalisti.it, 2009

[47] M.P. CHITI, Diritto amministrativo europeo, Giuffrè, Milano, 2008, pag. 444.

[48] Il testo è molto simile a quello presente nell’art. 47 della Carta di Nizza, inerente al diritto ad un ricorso effettivo e ad un giudice imparziale, ove tra l’altro si legge che “ogni individuo ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge”

[49] C. FOCARELLI, Equo processo e convenzione europea dei diritti dell’uomo, Padova, 2001, 249 ss.

[50] P. Lombardi, Le parti del procedimento amministrativo. Tra procedimento e processo, Giappichelli, Torino, 2018, pag.13

[51] Sulla partecipazione dei privati al procedimento amministrativo, prima della legge 241/1990 cfr. G. Barone, L’intervento dei privati al procedimento amministrativo, Milano, 1969; M.P. Chiti, Partecipazione popolare e pubblica amministrazione, Pisa, 1977.

[52] G. Lauricella, Appunti sul nuovo procedimento amministrativo e la partecipazione dei soggetti privati, Giuffrè, Milano, 2008

[53] S. Perongini, S. Cognetti, A. Contieri, S. Licciardiello, F. Manganaro, F. Saitta, Percorsi di Diritto Amministrativo, Giappichelli Torino, 2014, pag. 249

[54] T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 16 gennaio 2009 n. 155, in giustiziamministrativa.it

[55] T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 23 dicembre 2000 n. 1999, in Rass. Amm. Sic., 2001, 130

[56] Sul tema G. Colavitti, Il “dibattito pubblico” e la partecipazione degli interessi nella prospettiva costituzionale del giusto procedimento, in Amministrazione in Cammino, 2020

[57] Di tale norma non si tratterà specificatamente nella trattazione. Basti qui ricordare come l’articolo in parola del codice dei contratti pubblici si limiti ad inquadrare il contesto nel quale il dibattito pubblico debba svolgersi, ovverosia quello delle grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale, aventi impatto sull’ambiente, sulle città e sull’assetto del territorio”.

[58] M. Renna, Il responsabile del procedimento a dieci anni dall’entrata in vigore della legge 241, in La legge 241/90: fu vera gloria? Una riflessione critica a dieci anni dall’entrata in vigore, a cura di G. Arena, C. Marzuoli, E.R. Acuna, Edizioni scientifiche Italiane, pag. 299

[59] Infatti, statuiscono rispettivamente gli articoli 4 e 5 della legge sul procedimento, che le pubbliche amministrazioni sono tenute a determinare per ciascun procedimento relativo agli atti di loro competenza l’unità organizzativa responsabile dell’istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale e che il dirigente di ciascuna unità organizzativa provvede ad assegnare a sé o ad altro dipendente addetto all’unità il ruolo di responsabile del procedimento.

[60] F.G. Scoca, Diritto Amministrativo, Giappichelli, Torino, 2021, pag.213

[61]  Art. 4. 1. “Ove non sia già direttamente stabilito per legge o per regolamento, le pubbliche amministrazioni sono tenute a determinare per ciascun tipo di procedimento relativo ad atti di loro competenza l'unità organizzativa responsabile della istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale, nonché dell'adozione del provvedimento finale.

  1. Le disposizioni adottate ai sensi del comma 1 sono rese pubbliche secondo quanto previsto dai singoli ordinamenti.

Arti. 5, Responsabile del procedimento 1. Il dirigente di ciascuna unità organizzativa provvede ad assegnare a sé o ad altro dipendente addetto all'unità la responsabilità della istruttoria e di ogni altro adempimento inerente il singolo procedimento nonché, eventualmente, dell'adozione del provvedimento finale. 2. Fino a quando non sia effettuata l'assegnazione di cui al comma 1, è considerato responsabile del singolo procedimento il funzionario preposto alla unità organizzativa determinata a norma del comma 1 dell'articolo 4. 3. L'unità organizzativa competente, il domicilio digitale e il nominativo del responsabile del procedimento sono comunicati ai soggetti di cui all'articolo 7 e, a richiesta, a chiunque vi abbia interesse.

Art. 6, Compiti del responsabile del procedimento

  1. Il responsabile del procedimento: a) valuta, ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l'emanazione di provvedimento;
  2. b) accerta di ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all'uopo necessari, e adotta ogni misura per l'adeguato e sollecito svolgimento dell'istruttoria. In particolare, può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete e può esperire accertamenti tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni documentali;c) propone l'indizione o, avendone la competenza, indìce le conferenze di servizi di cui all'articolo 14;d ) cura le comunicazioni, le pubblicazioni e le notificazioni previste dalle leggi e dai regolamenti;e) adotta, ove ne abbia la competenza, il provvedimento finale, ovvero trasmette gli atti all'organo competente per l'adozione. L'organo competente per l'adozione del provvedimento finale, ove diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell'istruttoria condotta dal responsabile del procedimento se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale.

Art. 6-bis, Conflitto di interessi 1. Il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale.

 

[62] D. Di Carlo, Il principio del contradditorio nel diritto amministrativo: profilli sostanziali e procedimentali e processuali, 2008

[63] E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 2016

[64] In tal senso, T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 26 gennaio 2011 n. 117, in giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, sez. IV, 6 luglio 2009 n.4.300, ibidem.

[65] Art 7, legge 241/1990: 1. “Ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento…”

[66] Sul tema delle Ordinanze Contingibili ed urgenti si rinvia a M. Galliani, I poteri sindacali durante l’emergenza Covid – 19 in ildirittoamministrativo.it, 2021

[67] In tal senso: Cons. Stato, Sez. III, 30 novembre 2020, n. 7588; Cons. Stato, sez. III 14 gennaio 2019, n 352; T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, Sez. I 27 maggio 2017, n. 740

[68] In tal senso Cons. Stato, sez. II, 30 ottobre 2020, n. 6687

[69] In tal senso T.A.R. Campania. Napoli, Sez. I, 10 settembre 2013, n.4216

[70] F, Scoca, op. cit., pag. 220.

[71] R. Garofoli, G. Ferrari, Manuale di Diritto Amministrativo, Nel diritto editore, 2021

[72] Osservazioni critiche in tal senso sono state effettuate, tra gli altri, da F. Saitta, L’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento: il lupo perde il pelo ma non il vizio (ovvero “in claris… fit interpretatio”, in giustamm.it, 2008

[73] R. Garofoli, G, Ferrari, op. cit.

[74] C. Caldore, La partecipazione al procedimento amministrativo: il punto di equilibrio tra garanzia ed efficienza, in cisluniversità.lecce.it

[75] Sul tema G. D’arienzo, Brevi note sull’applicabilità dell’articolo 21-octies al preavviso di rigetto alla luce della giurisprudenza amministrativa in www.giustamm.it

[76] Art. 8. (Modalità e contenuti della comunicazione di avvio del procedimento)

  1. L’amministrazione provvede a dare notizia dell’avvio del procedimento mediante comunicazione personale.
  2. Nella comunicazione debbono essere indicati:
  3. a) l’amministrazione competente;
    b) l’oggetto del procedimento promosso;
    c) l’ufficio, il domicilio digitale dell’amministrazione e la persona responsabile del procedimento;)
    c-bis) la data entro la quale, secondo i termini previsti dall'articolo 2, commi 2 o 3, deve concludersi il procedimento e i rimedi esperibili in caso di inerzia dell'amministrazione;
    c-ter) nei procedimenti ad iniziativa di parte, la data di presentazione della relativa istanza;
    d) le modalità con le quali, attraverso il punto di accesso telematico di cui all’
    articolo 64-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82o con altre modalità telematiche, è possibile prendere visione degli atti, accedere al fascicolo informatico di cui all’articolo 41 dello stesso decreto legislativo n. 82 del 2005ed esercitare in via telematica i diritti previsti dalla presente legge;
    d-bis) l’ufficio dove è possibile prendere visione degli atti che non sono disponibili o accessibili con le modalità di cui alla lettera d).
    Qualora per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l’amministrazione provvede a rendere noti gli elementi di cui al comma 2 mediante forme di pubblicità idonee di volta in volta stabilite dall’amministrazione medesima.
  4. L’omissione di taluna delle comunicazioni prescritte può esser fatta valere solo dal soggetto nel cui interesse la comunicazione è prevista.

 

[77] P. Provenzano, I vizi nella forma e nel procedimento amministrativo fra diritto interno e diritto dell’Unione Europea, Milano, 2015

[78] Cons. Stato, Sez. V, 15 luglio 2013, n. 3803

[79] Art. 9. (Intervento nel procedimento)

  1. Qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, hanno facoltà di intervenire nel procedimento.

[80] Si pensi, ad esempio, ai concessionari di pubblico servizio.

[81] S. Perongini, S. Cognetti, A. Contieri, S. Licciardiello, F. Manganaro, F. Saitta, op.cit. pag. 264.

[82] G. Falcon, Lezioni di diritto amministrativo, I, Padova, 2005

[83] Si pensi alla salubrità dell’aria, dell’acqua e, in generale, alla tutela ambientale.

[84] A. Oddi, La partecipazione del privato al procedimento amministrativo in eius.it, 2003

[85] Sul tema e per una esaustiva analisi di tutti gli orientamenti, M. Occhiena, Situazioni giuridiche soggetti e procedimento amministrativo, Milano, 2002

[86] Art. 10. (Diritti dei partecipanti al procedimento)

“1. I soggetti di cui all’articolo 7 e quelli intervenuti ai sensi dell’articolo 9 hanno diritto:

  1. a) di prendere visione degli atti del procedimento, salvo quanto previsto dall’articolo 24;
    b) di presentare memorie scritte e documenti, che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare ove siano pertinenti all’oggetto del procedimento
    .”

[87] A, Zito, Il procedimento amministrativo, in F.G. Scoca (a cura di), Diritto Amministrativo, Torino, 2008.

[88] Cons. Stato, Sez. V, 10 marzo 2021, n. 2050; Cons. Stato, Sez. VI, 22 maggio 1998, n. 706

[89] F.G. Scoca, op. cit.

[90] Ibidem.

[91] F. Saitta, Garanzie partecipative ed “ansia” di provvedere, in Nuove autonomie, 2002, pag. 330.

[92] M.R. Calderaro, Il preavviso di rigetto ai tempi della semplificazione amministrativa, in Federalismi, 2022

[93] L. Vandelli, Il sistema delle autonomie locali, Il Mulino, Bologna, 2018.

[94] Tra le più recenti, ad esempio, in tema di responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione, nel caso di mancata conclusione del procedimento di project financing, per non aver osservato i canoni di correttezza e buona fede: Cons. Stato, Sez. V, 12 agosto 2021, n. 5870, in l’Amministrativista.it

[95] Art. 1, comma 2-bis: I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai principi della collaborazione e della buona fede

 

[96] Bacosi - Lemetre, La legge n. 15 del 2005: ecco il nuovo volto della legge 241, in www.reform.it

[97] Così V. CERULLI IRELLI, Verso un più compiuto assetto della disciplina generale dell'azione amministrativa (un primo commento alla legge 11 febbraio 2005, n. 15, recante «Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990 n. 241»), in Astrid Rassegna, n. 4 del 2005

[98] D’altronde, anche la Commissione Affari Costituzionali in sede deliberante ha osservato come la disposizione in parola “…è tesa ad introdurre un istituto procedimentale attraverso il quale ci si propone di limitare il contenzioso tra cittadino e pubblica amministrazione mediante la previsione di un ulteriore canale di comunicazione tra le parti, precedente alla decisione finale

[99] F. Lacava, La comunicazione preventiva dei motivi che ostano all’accoglimento di un’istanza di parte: un’anticipazione del contraddittorio alla fase precedente. Il provvedimento in chiave deflativa del contenzioso, in Amministrazione in cammino, 2019

[100] Sul punto vale la pena menzionare, la decisione del T.A.R. Campania n.  1614/2006 (quindi, all’indomani della riforma del 2005) nella quale i giudici rilevano come “il preavviso di cui all’art. 10-bis della l. 241/1990 riveste natura di atto endoprocedimentale, poiché tale articolo impone all’amministrazione, prima di adottare un provvedimento sfavorevole nei confronti del richiedente, di comunicargli le ragioni ostative all’accoglimento della sua istanza, sì da rendere possibile l’instaurazione di un vero e proprio contraddittorio endoprocedimentale, a carattere necessario, ed aumentare così le chances del cittadino di ottenere dalla stessa p.a. ciò che gli interessa, con la conseguenza che lo stesso non è immediatamente lesivo degli interessi del privato e non è passibile di impugnativa dinanzi al giudice amministrativo”.

[101] F.G. Scoca, op. cit. e, in punto di giurisprudenza, recentemente T.A.R. Campania, Sez. VII, 3 gennaio 2020

[102] Termini che, come noto, sono ordinariamente fissati dall’art. 2 della medesima legge n. 241 del 1990 in trenta giorni o per le Amministrazioni statali in novanta giorni e che in alcuni casi particolari possono giungere sino ad un massimo di centottanta giorni

[103] D. Profili, Decreto semplificazioni e provvedimento amministrativo – il nuovo preavviso di rigetto, in ildirittoamministrativo.it, 2021.

[104] F. Lacava, op.cit.

[105] Art. 10- bis, comma 1 “…In caso di annullamento in giudizio del provvedimento cosi' adottato, nell'esercitare nuovamente il suo potere l'amministrazione non puo' addurre per la prima volta motivi ostativi gia' emergenti dall'istruttoria del provvedimento annullato”.

[106] M.TRIMARCHI, L'inesauribilità del potere amministrativo, Napoli, Editoriale Scientifica, 2018, spec. 224 ss.

[107] La previsione oggetto di analisi fornisce l’occasione per richiamare il principio di carattere giurisprudenziale del c.d. one shot temperato, alla luce del quale l’amministrazione, successivamente all’annullamento di un proprio atto può, si, rinnovarlo ma per una sola volta.

 

[108] R. Bin, G. Pitruzzella, Diritto Costituzionale, Giappichelli, Torino, 2012

[109] Sul tema storico del contratto di diritto pubblico si segnala U. Forti, Natura giuridica delle concessioni amministrative, in Giur.it, 1900; O. Ranelletti, Facoltà create dalle autorizzazioni e concessioni amministrative, in Riv. It. Sc. giur., vol.22,1896; G. Miele, La manifestazione di volontà del privato nel diritto amministrativo, Anonima Romana Editoriale, Roma, 1931; M. Gallo, I rapporti contrattuali nel diritto amministrativo, Cedam, Padova, 1936; P. Bodda, Ente pubblico, soggetto privato e atto contrattuale, F.lli Treves, Pavia, 1937; F. Ledda, Il problema del contratto di diritto amministrativo. Contributo ad uno studio dei c.d. contratti di diritto pubblico, Giappichelli, Torino, 1964, ed ora in Scritti giuridici, Cedam, Padova, 2002.

[110] G. Greco, Accordi amministrativi tra provvedimento e contratto, Giappichelli, Torino, 2003, pag. 11

[111]   Forti, ispirato dalla dottrina tedesca, realizzava una distinzione tra concessioni unilaterali (con riferimento ai beni pubblici) e bilaterali (con riferimento ai servizi pubblici).

[112] M. Vallegra, Accordi ed attività consensuale delle pubbliche amministrazioni. Atti amministrativi e negozi di diritto privato, Giuffrè, Milano, 2012, pag.19 e ss.

[113] Come riportato in M. Nigro, Convenzioni urbanistiche e rapporti tra privati. Problemi generali in convenzioni urbanistiche e tutela dei rapporti tra privati, in Scritti giuridici, Giuffrè, Milano, 1996, pag. 1311

[114] Di cui rappresentano una apposita e rilevante categoria i c.d. accordi di programma ex art. 34 del Testo unico degli Enti locali.

[115] Art. 11. (Accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento)

  1. In accoglimento di osservazioni e proposte presentate a norma dell’articolo 10, l’amministrazione procedente può concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo.

1-bis. Al fine di favorire la conclusione degli accordi di cui al comma 1, il responsabile del procedimento può predisporre un calendario di incontri cui invita, separatamente o contestualmente, il destinatario del provvedimento ed eventuali controinteressati.

  1. Gli accordi di cui al presente articolo debbono essere stipulati, a pena di nullità, per atto scritto, salvo che la legge disponga altrimenti. Ad essi si applicano, ove non diversamente previsto, i princìpi del Codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili. Gli accordi di cui al presente articolo devono essere motivati ai sensi dell’articolo 3.
  2. Gli accordi sostitutivi di provvedimenti sono soggetti ai medesimi controlli previsti per questi ultimi.
  3. Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse l’amministrazione recede unilateralmente dall’accordo, salvo l’obbligo di provvedere alla liquidazione di un indennizzo in relazione agli eventuali pregiudizi verificatisi in danno del privato.

4-bis. A garanzia dell'imparzialità e del buon andamento dell'azione amministrativa, in tutti i casi in cui una pubblica amministrazione conclude accordi nelle ipotesi previste al comma 1, la stipulazione dell'accordo è preceduta da una determinazione dell'organo che sarebbe competente per l'adozione del provvedimento.

[116] L’articolo 54 della legge federale tedesca del 1976 dispone, infatti, che:” un rapporto giuridico di diritto pubblico può essere costituito, modificato o estinto da un contratto in quanto non sia vietato da disposizioni di legge”.

[117] R. Garofoli, G. Ferrari, op. cit.

[118] Ha chiarito, infatti, il Consiglio di Stato che gli accordi integrativi non rappresentano una ipotesi di negozi di diritto privato, bensì contratti ad oggetto pubblico, per la conclusione dei quali l’amministrazione, diversamente dalla parte privata, non esercita alcuna autonomia privata, bensì un potere unilaterale non privatistico.

[119] V. Cerulli Irelli, Osservazioni generali sulla legge di modifica della legge n. 241/1990 – II parte, in giustamm.it, 2005.

[120] G. Manfredi, Accordi e azione amministrativa, Giappichelli, Torino, 2003, pag. 136

[121] Sul tema V. Mengoli, Gli accordi amministrativi tra privati e pubbliche amministrazioni, Giuffrè,   Milano 2003.

[122] F.G. Scoca, op. cit.

[123] F. Tigano, Gli accordi sostitutivi o integrativi del provvedimento, in M. Sandulli, Codice dell’azione amministrativa, Giuffrè, Milano, 2017

[124] Cons. Stato, Sez. VI, 5 febbraio 2002, n. 2636

[125] Figura, peraltro, residuale

[126] Si pensi a profili attinenti al quando o a clausole accidentali che possono accompagnare il provvedimento.

Sul tema si è espresso il Consiglio di Stato con sentenza n. 6344 del 2007, secondo cui anche nel caso di procedimenti volti alla adozione di provvedimenti di natura vincolata risulta pienamente configurabile la stipulazione di un opportuno accordo, trattandosi di un vero e proprio strumento di semplificazione, idoneo a permettere il conseguimento a tutte le parti – pubblica e privata – un’utilità ulteriore rispetto a quella che sarebbe consentita dal provvedimento finale unilaterale

[127] M Clarich, Manuale di diritto amministrativo, Il Mulino Bologna, 2015

[128] Vedi supra

[129] Si pensi alle convenzioni previste dalla legge 865/1971 relative alla attuazione dei pieni per l’edilizia economica e popolare e dei piani per insediamenti produttivi.

[130] Espressione utilizzata da M.S. Giannini nella prefazione in V. Mazzarelli, Le convenzioni urbanistiche, Bologna, 1979

[131] Art. 28. Lottizzazione di aree

  1. Prima dell’approvazione del piano regolatore generale o del programma di fabbricazione di cui all’articolo 34 della presente legge è vietato procedere alla lottizzazione dei terreni a scopo edilizio.
  2. Nei Comuni forniti di programma di fabbricazione ed in quelli dotati di piano regolatore generale fino a quando non sia stato approvato il piano particolareggiato di esecuzione, la lottizzazione di terreno a scopo edilizio può essere autorizzata dal Comune previo nulla osta del provveditore regionale alle opere pubbliche, sentita la Sezione urbanistica regionale, nonché la competente Soprintendenza (nulla osta soppresso - n.d.r.).
  3. (omissis)
  4. (omissis)
  5. L’autorizzazione comunale è subordinata alla stipula di una convenzione, da trascriversi a cura del proprietario, che preveda:

1) la cessione gratuita entro termini prestabiliti delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria, precisate all’articolo 4 della legge 29 settembre 1964, n. 847, nonché la cessione gratuita delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione secondaria nei limiti di cui al successivo n 2;
2) l’assunzione, a carico del proprietario, degli oneri relativi alle opere di urbanizzazione primaria e di una quota parte delle opere di urbanizzazione secondaria relative alla lottizzazione o di quelle opere che siano necessarie per allacciare la zona ai pubblici servizi; la quota è determinata in proporzione all’entità e alle caratteristiche degli insediamenti delle lottizzazioni;
3) i termini non superiori ai dieci anni entro i quali deve essere ultimata l’esecuzione delle opere di cui al precedente paragrafo;
(i termini sono prorogati di 3 anni per le convenzioni stipulate prima del 31 dicembre 2012, ai sensi dell'
art. 30, comma 3-bis, della legge n. 98 del 2013)
4) congrue garanzie finanziarie per l’adempimento degli obblighi derivanti dalla convenzione.

  1. La convenzione deve essere approvata con deliberazione consiliare nei modi e forme di legge.

6-bis. L'attuazione degli interventi previsti nelle convenzioni di cui al presente articolo ovvero degli accordi similari comunque denominati dalla legislazione regionale, può avvenire per stralci funzionali e per fasi e tempi distinti. In tal caso per ogni stralcio funzionale nella convenzione saranno quantificati gli oneri di urbanizzazione o le opere di urbanizzazione da realizzare e le relative garanzie purché l'attuazione parziale sia coerente con l'intera area oggetto d'intervento.
(comma introdotto dall'
art. 17, comma 4, legge n. 164 del 2014)

  1. Il rilascio delle licenze edilizie nell’ambito dei singoli lotti è subordinato all’impegno della contemporanea esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria relative ai lotti stessi.
  2. 9. 10. (omissis)

 generale anche se non si è provveduto alla formazione del piano particolareggiato di esecuzione, il sindaco ha facoltà di invitare i proprietari delle aree fabbricabili esistenti nelle singole zone a presentare entro congruo termine un progetto di lottizzazione delle aree stesse. Se essi non aderiscono, provvede alla compilazione d’ufficio.

  1. Il progetto di lottizzazione approvato con le modificazioni che l’autorità comunale abbia ritenuto di apportare è notificato per mezzo del messo comunale ai proprietari delle aree fabbricabili con invito a dichiarare, entro 30 giorni dalla notifica, se l’accettino. Ove manchi tale accettazione, il sindaco ha facoltà di variare il progetto di lottizzazione in conformità alle richieste degli interessati o di procedere all’espropriazione delle aree.

 

[132] P. Urbani, Diritto Urbanistico – organizzazione e rapporti, Giappichelli, Torino, 2020, pag. 188

[133] M. Costantino (a cura di), Convenzioni urbanistiche e tutela dei rapporti tra privati, Milano 1978

[134] T.A.R. Calabria, Sez. II, 12 aprile 2019 n. 789

[135] M. Di Iasio, Il nucleo di democraticità effettiva degli accordi tra amministrazione ne e privati, in Camminodiritto.it, 2022

[136] Cass. Civ. Sez. un., 6 dicembre 2010, n. 24687

[137]  Art. 45. Disposizioni generali

  1. Fin da quando è dichiarata la pubblica utilità dell'opera e fino alla data in cui è eseguito il decreto di esproprio, il proprietario ha il diritto di stipulare col soggetto beneficiario dell'espropriazione l'atto di cessione del bene o della sua quota di proprietà.
  2. Il corrispettivo dell'atto di cessione:
  3. a) se riguarda un'area edificabile, è calcolato ai sensi dell'articolo 37, con l'aumento del dieci per cento di cui al comma 2;
    b) se riguarda una costruzione legittimamente edificata, è calcolato nella misura venale del bene ai sensi dell'articolo 38;
    c) se riguarda un'area non edificabile, è calcolato aumentando del cinquanta per cento l'importo dovuto ai sensi dell'articolo 40, comma 3;
    d) se riguarda un'area non edificabile, coltivata direttamente dal proprietario, è calcolato moltiplicando per tre l'importo dovuto ai sensi dell'articolo 40, comma 3. In tale caso non compere l'indennità aggiuntiva di cui all'articolo 40, comma 4.
  4. L'accordo di cessione produce gli effetti del decreto di esproprio e non li perde se l'acquirente non corrisponde la somma entro il termine concordato.
  5. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del capo X.

[138] R. Garofoli, G. Ferrari, op. cit. pag. 1300

[139] Art. 13. (Ambito di applicazione delle norme sulla partecipazione)

  1. Le disposizioni contenute nel presente capo non si applicano nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione.
  2. Dette disposizioni non si applicano altresì ai procedimenti tributari per i quali restano parimenti ferme le particolari norme che li regolano.

 

[140] Così, Cons. Stato, sez. IV, 24 maggio 2011 n. 3120 in giustizia-amministrativa.it

[141] R. Garofoli, G. Ferrari, op. cit.  

[142] Sul tema della conferenza dei servizi tout court si rinvia a D. D’Orsogna, Conferenza dei servizi e amministrazione della complessità, Torino, 2002; F.G. Scoca, Analisi giuridica della conferenza dei servizi, in Dir. Amm., 1999

[143] R. Garofoli, G. Ferrari, op. cit.

[144] G. Gardini, La conferenza di servizi: la complicata esistenza di un istituto di semplificazione, in Astrid.it., 2006

[145] R. Garofoli, G. Ferrari, op. cit.

[146] Parere Cons. Stato, n. 890/2016

[147] Senza pretesa di esaustività può riferirsi che hanno concorso sulla disciplina della conferenza dei servizi la legge 24 dicembre 1993, n. 537, il decreto legge 12 maggio 1995, n. 163, convertito in legge 11 luglio 1995, n. 273; la legge 15 maggio 1997, n. 127, la legge 16 giugno 1998, n. 191; la legge 24 novembre 2000, n. 340; la legge 1 febbraio 2005, n. 15, la legge 18 giugno 2009, n.69, modificata dal decreto legge 31 maggio 2010,n.78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122; il decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito dalla legge 12 luglio 2011, n. 106; il decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134; il decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito  dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221; il decreto legge 12 settembre 2014,n. 133, convertito dalla legge 11 novembre 2014,n. 164; il d.lgs. 127/2016; il d.l. 16 luglio 2020,n 76 convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 settembre 2020, n. 120,  D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito con modificazioni dalla Legge 29 luglio 2021, n. 108.

 

[148] A. Scalia, Le indipendent regulatory agency nell’ordinamento statunitense, in AA.VV (a cura di), Attività regolatoria e autorità indipendenti. L’autorità per l’energia elettrica e il gas, Giuffrè Editore, Milano, 1996, pagg. 31 e ss

[149] G. Amato, Le autorità indipendenti nella Costituzione Economica, in AA.VV., Regolazione e garanzia del pluralismo. Le Autorità amministrative indipendenti, Milano, 1997.

[150] Si pensi alla Autorità garante per la concorrenza e il mercato i cui componenti sono nominati dai Presidenti delle Camere

[151] F. Dimundo, Autorità amministrative indipendenti: poteri e sindacato giurisdizionale sui loro atti, in Ratio Iuris, 2022

[152] A. Golia, Le autorità amministrative indipendenti, Stamen Editore, Roma, 2015

[153] Ibidem.

[154] Cass. Civ. Sez. I, 20 maggio 2002, n. 7341

[155] R. Garofoli, G. Ferrari, op. cit.

[156] Corte Cost., 31 gennaio 2019, n. 13

[157] A. Golia, op. cit., pag. 63.

[158] P. Sirena, La partecipazione dei soggetti interessati ai procedimenti innanzi alle Autorità indipendenti, in AA.VV.

[159] S. Del Gatto, commento alla Sent. Cons. Stato, Sez. VI, 2 marzo 2010, n. 1215 in giornale di diritto amministrativo, 2010

[160] M. Condorelli, La partecipazione ai procedimenti regolatori delle Autorità amministrative indipendenti come strumento di democrazia partecipativa: mito o realtà? in Jus- rivista di scienze giuridiche, 2020.

[161] F. Giglioni, Le ronde devono essere autorizzate, in www.labsus.org, 2009 ritiene che “non vi è dubbio che la sicurezza rientri tra i beni comuni perché rappresenta la condizione essenziale per consentire a ciascuna persona di realizzare i propri desideri in un contesto adeguato di convivenza”.

[162] V. Antonelli, La sicurezza delle città tra diritti ed amministrazione, Cedam, 2018

[163] D.l. 14/2017, art. 4: 1. Ai fini del presente decreto, si intende per sicurezza urbana il bene pubblico che afferisce alla vivibilità̀ e al decoro delle città, da perseguire anche attraverso interventi di riqualificazione, anche urbanistica, sociale e culturale, e recupero delle aree o dei siti degradati, l'eliminazione dei fattori di marginalità̀ e di esclusione sociale, la prevenzione della criminalità̀, in particolare di tipo predatorio, la promozione della cultura del rispetto della legalità̀ e l'affermazione di più̀ elevati livelli di coesione sociale e convivenza civile, cui concorrono prioritariamente, anche con interventi integrati, lo Stato, le Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti locali, nel rispetto delle rispettive competenze e funzioni.

 

[164] M. Iannella, Le “sicurezze” nell’ordinamento italiano: l’allontanamento dal modello stato centrico e l’affermazione di una rete plurale, in Forum di quaderni costituzionali, 2020

[165] Art. 5 comma 2, Lett. a), d.l. 14/2017.

[166] Art. 5, comma 2, Lett. c-bis), d.l. 14/2017.

[167] Art. 7, comma 1-bis, d.l. 14/2017.

[168] Il legislatore ha tenuto ben presente il fatto che le ronde dovrebbero costituire esercizio del diritto di associazione previsto dall’articolo 18 della Costituzione, il quale proibisce espressamente le associazioni segrete e le associazioni che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare.

[169] Per una analisi completa delle disposizioni del decreto 8 agosto del 2009, si rimanda a V. Antonelli, op. cit. pag. 338 e ss.