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Anno XVI - n. 07 - Luglio 2024

  Giurisprudenza Amministrativa



Funzionari pubblici e spese processuali: nuovi chiarimenti dalla Consulta.

Di Cristian D'Orazi
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NOTA A CORTE COSTITUZIONALE, SENTENZA 31 luglio 2020, n. 189

Funzionari pubblici e spese processuali: nuovi chiarimenti dalla Consulta

Di CHRISTIAN D’ORAZI

  1. Premessa

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 189 del 2020, pone un altro importante tassello nel puzzle intricato delle spese processuali sostenute da pubblici funzionari. La questione di legittimità costituzionale decisa dalla Corte con la pronuncia in commento era stata sollevata dalle Sezioni riunite della Corte dei conti per il Trentino-Alto Adige/Sudtirol1 , le quali rilevavano di non poter parificare un capitolo del rendiconto generale della Provincia autonoma di Trento per l’esercizio del 2018. Esso, infatti, contemplava somme per rimborsi di spese di giustizia che le Sezioni rimettenti ritenevano non dovuti, a causa della illegittimità delle norme provinciali che li prevedevano. La Provincia autonoma di Trento, con l’art. 92 della legge provinciale 29 aprile 1983 n. 12, come autenticamente interpretata dall’art. 18 della legge provinciale 27 agosto 1999 n. 3, aveva infatti previsto un regime più favorevole rispetto a quello statale in materia di rimborso delle spese giudiziali sostenute dai propri dipendenti per la difesa nei giudizi civili, penali e contabili nei quali fossero stati coinvolti per fatti o cause di servizio. La regola prevista dal legislatore provinciale prevedeva, infatti, il rimborso delle «spese, peritali e di giustizia», quand’anche «sostenute [dai propri funzionari] per la difesa nelle fasi preliminari di giudizi civili, penali e contabili», pure nell’ipotesi in cui fosse stata «disposta l'archiviazione […] del procedimento volto all'accertamento della responsabilità amministrativa o contabile».

La disciplina statale, invece, perlomeno nell’interpretazione largamente maggioritaria delle disposizioni di riferimento2 , sembrerebbe limitare la rimborsabilità delle predette spese ai soli casi in cui sia intervenuto il proscioglimento nel merito del convenuto3 . Le Sezioni rimettenti, ritenuta la propria legittimazione a sollevare l’incidente di costituzionalità, sulla scorta dell’ormai consolidato indirizzo della Consulta4 , avevano prospettato la violazione di molteplici parametri costituzionali, ed in particolare gli articoli 3; 81, comma 3; 97, comma 1; 103, comma 2, 117, comma 2, lett. l) e 119, comma 1. Prima di analizzare nel dettaglio il tenore delle censure mosse dal giudice a quo vale la pena descrivere in premessa la “mole” del problema rappresentato dalla rimborsabilità (anche) delle spese sostenute rispettivamente dall’incolpato, quando dall’incolpazione non derivi la citazione in giudizio, e dal convenuto nei giudizi amministrativo-contabili conclusi con pronunce di rito, per loro natura prive di statuizione sulla sussistenza o meno degli elementi della responsabilità erariale. La medesima ordinanza di rimessione rende contezza del tema, laddove osserva che la sola Provincia autonoma di Trento ha erogato, limitatamente all’esercizio finanziario 2018, €188.145,75, dei quali € 146.17,08 riferiti, nello specifico, al rimborso degli oneri sostenuti nell’ambito di procedimenti contabili archiviati ai sensi dell’art. 69 del Codice di giustizia contabile (c.g.c.) o conclusi con pronunce di rito. Pertanto, l’incidenza delle somme erogate in casi diversi dal proscioglimento nel merito è pari al 77,69%. degli importi rimborsati ai funzionari per spese legali. Purtroppo, non sono disponibili dati analoghi riferiti all’intero territorio nazionale5 , ma il dato riferito alla (ridotta) realtà locale trentina lascia trasparire l’incidenza della problematica6.

2. Le censure del giudice a quo e la posizione della Corte costituzionale

La prima delle censure mosse dalle Sezioni riunite rimettenti riguarda la violazione dell’art. 117, comma 2, lett. l), in quanto le norme censurate inciderebbero sulle materie “ordinamento civile”, “giurisdizione e norme processuali” e “giustizia amministrativa”, riservate alla legislazione statale. Peraltro, alla luce della scelta del legislatore costituzionale di riservare allo Stato tale settore della legislazione, cui è sottesa una ratio di uniformità, la contraria previsione di criteri di rimborso più “accomodanti” per i funzionari pubblici alto-atesini si sarebbe risolta in un vulnus al principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. La Corte costituzionale ha rigettato tali censure, ritenendo che le norme oggetto del giudizio attenessero a profili “pubblicistico-organizzativi” dell’Ente, come tali rimesse alla competenza legislativa residuale delle Regioni e delle Province Autonome. Del resto, l’infondatezza della censura relativa alla violazione dell’art. 117, unitamente a quelle inerenti la violazione degli artt. 81 e 119 Cost., sarebbe potuta pervenire anche applicando il principio per cui «lo Stato, quando non concorre al finanziamento di una spesa, non ha titolo per dettare norme di coordinamento finanziario» 7.

In altre parole, prosegue la Corte, le norme sulla rimborsabilità delle spese legali per fatti attinenti all’attività dei funzionari pubblici incidono sul rapporto di servizio che lega il funzionario medesimo all’Amministrazione di appartenenza, e non già al rapporto d’impiego, quand’anche si tratti di dipendenti “privatizzati”. La Consulta offre una lettura teleologica delle norme impugnate, che ne riconduce la ratio alla più generale esigenza di «evitare che il pubblico dipendente possa subire condizionamenti in ragione delle conseguenze economiche di un procedimento giudiziario, anche laddove esso si concluda senza l’accertamento di responsabilità». In tale prospettiva, la sentenza in commento ribadisce la necessità di trovare un punto di equilibrio tale da configurare la disciplina sulla responsabilità erariale – e l’intervento della magistratura contabile – come una “ragione di stimolo, e non di disincentivo” 8 . Il ragionamento svolto dalla Consulta nella pronuncia in commento9 disvela la vera essenza del problema della rimborsabilità delle spese processuali ai dipendenti pubblici, con particolare riferimento ai giudizi contabili. Non si tratta tanto di stabilire a quale livello di governo compete la fissazione della disciplina in materia, ma piuttosto di garantire che l’attività amministrativa proceda spedita, senza eccessive remore da parte dei funzionari. In altri termini, si tratta di allocare il rischio della medesima attività secondo parametri di ragionevolezza, onde garantire la massima efficienza, efficacia e buon andamento dell’azione amministrativa, secondo i principi di cui all’art. 97 Cost.10 . Il perseguimento di tali obiettivi passa necessariamente per la razionalizzazione della disciplina in materia di spese processuali, in particolare sotto il profilo della loro rimborsabilità in tutti i casi di procedimenti o giudizi contabili da cui non emergano responsabilità giuridicamente rilevanti per il funzionario. L’attività amministrativa è intrinsecamente “pericolosa”, essendo chiamata la PA a perseguire, anche in via autoritativa, il fine pubblico, valorizzando, al contempo, le istanze di tutela provenienti dagli amministrati, spesso confliggenti fra loro, oltre che con gli obiettivi dell’Amministrazione. Ma la PA non può operare che attraverso i propri organi, e dunque attraverso i propri funzionari, sui quali – in assenza di forme di manleva o, comunque, di tutela – ricadrebbe personalmente il rischio dell’attività amministrativa. La Corte costituzionale non ha mancato di rappresentare come le norme censurate fossero ispirate alla medesima ratio della disciplina statale. Si considerino, in particolare, le norme che limitano la responsabilità amministrativa dei funzionari alle sole azioni od omissioni commesse per dolo o colpa grave11; la previsione del c.d. “potere riduttivo” 12 della Corte dei conti13; nonché la disciplina in materia di compensazione delle spese nel processo contabile, espressamente vietata in caso di assoluzione del convenuto14 .

3. La piena rimborsabilità degli oneri di difesa nei giudizi contabili: qualche considerazione una proposta.

Per assicurare la realizzazione effettiva delle esigenze sopra evidenziate – ad avviso di chi scrive – dovrebbe ricavarsi la regola generale della piena rimborsabilità, particolarmente nei giudizi contabili, di ogni onere economico sostenuto dal funzionario indagato o incolpato nei cui confronti non venga pronunciata sentenza di condanna, a prescindere dallo stadio procedimentale o processuale in cui tali oneri sono maturati. A tale conclusione – come appresso cercherò di sostenere – potrebbe giungersi anche attraverso una lettura costituzionalmente orientata del diritto positivo, ed in particolare dell’art. 18 del d.l. n. 67/1997 (convertito con modificazioni dalla l. n. 135/1997), il quale, mai formalmente abrogato, statuisce che «le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato». Ma andiamo con ordine. La disciplina in materia di spese contenuta nel c.g.c. non si occupa del tema della rimborsabilità delle spese sostenute dal funzionario incolpato nella fase preprocessuale, tanto nell’ipotesi in cui il pubblico ministero, all’esito dell’istruttoria, ritenga di non esercitare l’azione contabile, tanto in quella in cui essa sia stata esercitata ma l’imputato venga prosciolto in giudizio. Anzi, l’interpretazione letterale dell’art. 31 c.g.c. sembra escludere tale possibilità laddove consente al giudice contabile di condannare la parte soccombente al rimborso delle spese solo con la “sentenza che chiude il processo davanti a lui”: di qui l’immanenza della condanna alle spese rispetto al processo, che subordina la celebrazione del secondo alla refusione delle prime. Tuttavia, la prassi giudiziaria dimostra chiaramente come l’incidenza maggiore sugli oneri di difesa non sia da attribuirsi alle spese sostenute nella fase processuale, ma piuttosto agli esborsi affrontati durante la fase precedente, derivanti dalla necessità di adeguatamente contro dedurre a seguito dell’invito della Procura regionale. Mi pare utile ricordare quanto sostenuto da autorevole dottrina15 circa il dovere dei giudici – di natura morale, prima ancora che giuridica – di «assicurare il livello massimo di protezione alle situazioni soggettive private, nel rispetto di una Costituzione che garantisce i diritti dei cittadini e non le prerogative dei giudici». Invero, al cospetto del giudice contabile, il funzionario si spoglia del munus pubblico ed assume le vesti del comune cittadino, accusato dall’Autorità giudiziaria del danno subito dall’Amministrazione a causa della propria condotta dolosa o gravemente colposa, ed è chiamato a ristorarlo. Non si tratta, allora, di un giudizio fra pari16 – o al più fra organi dell’apparato amministrativo –, ma propriamente di un processo condotto dalla pubblica accusa17 contro un individuo, in relazione al quale la funzione amministrativa esercitata rimane sullo sfondo, costituendo l’occasione del presunto illecito erariale e il presupposto per l’attivazione della repressione statuale. Di qui anche l’inconsistenza delle preoccupazioni esternate in alcune pronunce della Corte dei conti circa l’effetto deterrente che avrebbe, nei confronti della Procura contabile, un’interpretazione rigorosa del divieto di compensazione delle spese del processo contabile nei casi di assoluzione del convenuto18 . Invero, ai sensi del mentovato art. 18 d.l. n. 67/1997, la regola della rimborsabilità delle spese legali – dettata solo per i “dipendenti di amministrazioni statali”19 – in relazione a giudizi su atti o fatti connessi al rapporto di servizio esige, per la propria operatività, una “sentenza” o un “provvedimento” che escluda la responsabilità del funzionario. La terminologia utilizzata dal legislatore – salvo volerla ridurre ad una mera endiadi – risulta significativa: infatti, mentre la “sentenza” presuppone l’esistenza di un giudizio, il “provvedimento” può anche prescinderne, potendo essere sussunto in tale categoria anche il decreto con cui il PM contabile dispone l’archiviazione delle indagini. Ne deriverebbe, così argomentando, la rimborsabilità anche delle spese giudiziali sostenute prima e al di fuori della fase strettamente processuale. Infatti, appare irragionevole discriminare, sotto il profilo della rimborsabilità, le spese sostenute dal funzionario nella fase istruttoria e preliminare al giudizio rispetto a quelle sostenute durante quest’ultimo: entrambe le categorie di esborso sono funzionali ad assicurare al funzionario il pieno ed effettivo esercizio del proprio diritto di difesa, costituzionalmente tutelato dall’art. 24 Cost.. Inoltre, l’interpretazione proposta consentirebbe al dipendente pubblico di svolgere la propria funzione istituzionale al riparo da ogni conseguenza pregiudizievole che potrebbe derivarne. Ciò, naturalmente, a patto che l’operato del funzionario vada esente da profili di responsabilità erariale, e dunque a condizione che gli esborsi di cui trattasi siano connessi ad addebiti privi di fondamento, a causa dell’“errore” della magistratura contabile inquirente. La disciplina di posta dal menzionato art. 18 d.l. 67 del 1997 – la cui ratio è ispirata a garantire l’efficienza e l’indipendenza del soggetto investito di funzioni pubbliche – lascia inappagati anche con riferimento all’ambito soggettivo di applicazione della norma.

La giurisprudenza ha osservato che, trattandosi di norma a carattere eccezionale, essa non è suscettibile di applicazione analogica20: pertanto, la tutela ivi prevista non può essere accordata a soggetti che, pur non essendo “dipendenti di Amministrazioni statali”21 , risultano comunque investiti di funzioni pubbliche e possono essere chiamati a rispondere personalmente degli atti e dei fatti compiuti nell’esercizio delle stesse. Sul punto si è recentissimamente pronunciata la Corte costituzionale con la sentenza n. 267 del 2020, decidendo una questione di legittimità costituzionale sollevata dal TAR Lazio. Il giudice rimettente era stato adito da un magistrato onorario (nella specie, un giudice di pace), il quale si era visto negare dal Ministero della Giustizia una richiesta di rimborso di spese legali sostenute in occasione di un processo penale nel quale egli, imputato di corruzione in atti giudiziari, era stato assolto con sentenza definitiva. Il Ministero aveva motivato il diniego del rimborso sulla circostanza che il richiedente non rientrava fra i beneficiari della norma, difettando l’imprescindibile rapporto di impiego con l’Amministrazione. Il TAR Lazio, impossibilitato ad estendere in via interpretativa il beneficio previsto dalla norma anche ai funzionari onorari con «funzioni sostitutive o integrative, e comunque equivalenti», si è trovato costretto a sollevare l’incidente di costituzionalità. La Consulta – avvertendo, probabilmente, la portata dirompente della questione prospettata dal giudice a quo – ha ritenuto, preliminarmente, di “ridimensionarne” il petitum additivo alla sola condizione dei giudici di pace, «onde garantirne l’aderenza alla fattispecie soggettiva del giudizio a quo». La Consulta22 ha ritenuto che la norma censurata, limitando la rimborsabilità delle spese legali ai soli “dipendenti di Amministrazioni statali”, si ponesse in contrasto con l’art. 3 Cost., discriminando irragionevolmente la posizione dei magistrati onorari rispetto ai giudici “togati”. Particolare rilievo riveste l’osservazione per cui entrambe le categorie di soggetti «ricorre, con eguale pregnanza, l’esigenza di garantire un’attività serena e imparziale, non condizionata dai rischi economici connessi ad eventuali e pur infondate azioni di responsabilità», attesa «l’identità della funzione del giudicare» da essi svolta. Conclusivamente, dai recenti arresti del Giudice delle leggi si avverte una certa insofferenza verso la disciplina legislativa in materia di spese processuali, tanto con riferimento all’ambito oggettivo, quanto a quello soggettivo di applicazione. Tuttavia, tale insofferenza appare mitigata dai timori per le ripercussioni che avrebbe sulle casse degli Enti pubblici una netta e generale presa di posizione della Consulta nel senso qui suggerito. Attesa la crucialità degli interessi in gioco, e l’esigenza di garantire il buon andamento e l’imparzialità dell’azione amministrativa, sarebbe auspicabile un intervento legislativo, anche in via di interpretazione autentica, che espliciti la rimborsabilità delle spese legali sostenute in qualunque stato e grado di procedimenti civili, penali e amministrativi, dove si faccia questione di atti o fatti compiuti nell’esercizio di funzioni pubbliche, da parte di qualsiasi soggetto chiamato, anche occasionalmente, a svolgere tali funzioni.

 

NOTE:

1 Ordinanza del 29 luglio 2019 n. 174, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 23 ottobre 2019, 1a Serie speciale – n. 43

2 Come si chiarirà in seguito, l’interpretazione restrittiva comunemente accolta non è affatto appagante, e necessiterebbe di una più profonda riflessione, anche alla luce dei recenti approdi della giurisprudenza costituzionale.

3 Cfr. D.L. 23 ottobre 1996, art. 3, comma 2-bis: «In caso di definitivo proscioglimento ai sensi di quanto previsto dal comma 1 dell'art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, come modificato dal comma 1 del presente articolo, le spese legali sostenute dai soggetti sottoposti al giudizio della Corte dei conti sono rimborsate dall'amministrazione di appartenenza».

4 Cfr., ex multis, Corte cost., sentt. 165 del 1963; 121 del 1966; 213 del 2008; 181 del 2015; 196 del 2018; 138 del 2019. Si veda, in particolare, quanto affermato dalla sentenza n. 181 del 2015, punto 2 del Diritto: «In particolare, ricorrono integralmente nel caso del procedimento di parifica tutte le condizioni per le quali questa Corte ha ammesso la possibilità di sollevare questione di legittimità costituzionale in via incidentale nell'ambito dell'attività di controllo di legittimità della Corte dei conti: applicazione di norme di legge, rimanendo la verifica di conformità del rendiconto soggetta solo alla legge; esito del procedimento vincolato al parametro normativo, cosicché «Nell'una e nell'altra ipotesi, la situazione è, dunque, analoga a quella in cui si trova un qualsiasi giudice (ordinario o speciale), allorché procede a raffrontare i fatti e gli atti dei quali deve giudicare alle leggi che li concernono» (sentenza n. 226 del 1976). Si può pertanto ribadire anche per il procedimento di parifica davanti alla sezione di controllo che lo stesso «non è un giudizio in senso tecnicoprocessuale [ma] ai limitati fini dell'art. 1 della legge cost. n. 1 del 1948 e dell'art. 23 della legge n. 87 del 1953, la funzione in quella sede svolta dalla Corte dei conti è, sotto molteplici aspetti, analoga alla funzione giurisdizionale, piuttosto che assimilabile a quella amministrativa, risolvendosi nel valutare la conformità degli atti che ne formano oggetto alle norme del diritto oggettivo, ad esclusione di qualsiasi apprezzamento che non sia di ordine strettamente giuridico. Il controllo effettuato dalla Corte dei conti è un controllo esterno, rigorosamente neutrale e disinteressato, volto unicamente a garantire la legalità degli atti ad essa sottoposti, e cioè preordinato a tutela del diritto oggettivo, che si differenzia pertanto nettamente dai controlli c.d. amministrativi, svolgentisi all'interno della pubblica Amministrazione; ed è altresì diverso anche da altri controlli, che pur presentano le caratteristiche da ultimo rilevate, in ragione della natura e della posizione dell'organo cui è affidato […]. Deve soggiungersi che non mancano nel procedimento in oggetto elementi, formali e sostanziali, riconducibili alla figura del contraddittorio. [...] In tal modo è garantita la possibilità che gli interessi ed il punto di vista dell'amministrazione, nelle sue varie articolazioni, siano fatti valere nel corso del procedimento. [...] D'altronde, sul piano sostanziale, il riconoscimento di tale legittimazione si giustifica anche con l'esigenza di ammettere al sindacato della Corte costituzionale leggi che, come nella fattispecie in esame, più difficilmente verrebbero, per altra via, ad essa sottoposte» (sentenza n. 226 del 1976)».

5 O comunque, quand’anche disponibili, questi non sono accessibili a chi scrive. Informazioni utili al fine del corretto inquadramento del fenomeno possono trarsi dalle Relazioni annuali stilate dai diversi Procuratori regionali della Corte dei conti in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, dall’analisi delle quali può evincersi, con qualche fatica, il numero delle “indagini contabili” conclusesi con provvedimento di archiviazione, talvolta giunto solo in seguito ad invito a dedurre.

6 Si consideri, poi, la naturale tendenza all’espansione da parte della giurisdizione contabile, su cui v. soprattutto G. D’AURIA, Memorandum sulle giurisdizioni e Corte dei conti, in Foro It., 2018, V, 127: l’A. osserva come «proprio mediante l’esercizio della giurisdizione di responsabilità, la Corte dei conti abbia contribuito a richiamare l’attenzione – di altre giurisdizioni e del legislatore – su nuove forme di gestione amministrativa, che hanno rilevato, come nel caso delle società pubbliche, fenomenologie complesse e non omogenee, alcune delle quali del tutto estranee all’area del diritto civile e, invece, pienamente “organiche” all’assetto funzionale delle pubbliche amministrazioni». Per una rassegna casistica dei casi in cui tale vis expansiva si è in concreto verificata, sia consentito rinviare a C. D’ORAZI, Il perimetro incerto della giurisdizione contabile (nota a Cass., S.U., 4 ottobre 2019, n. 24858), in , 6 febbraio 2020.

7 Così Corte cost., sentt. 79 del 2018 e 125 del 2015

8 Così anche Corte cost. sent. 371 del 1998. Come si è altrove rilevato (C. D’ORAZI, Riflessi sull’accertamento della colpa lieve nella disciplina delle spese del processo contabile, alla luce della sentenza n. 41/2020 della Corte Costituzionale, in Riv. Corte Conti, 4, 2020, 97), «l’elevata complessità della disciplina amministrativa si traduce, dal punto di vista psicologico, in un deterrente per il funzionario, spinto verso i placidi lidi dell’inazione, piuttosto che verso attività potenzialmente foriere di responsabilità erariale, civile ed anche penale». In dottrina, v. M. NUNZIATA, Azione amministrativa e danno da disservizio, Torino, Giappichelli, 2018, 238 ss.; A. POLICE, La giurisdizione della Corte dei conti: evoluzione e limite di una giurisdizione di diritto oggettivo, in F.G. SCOCA, A.F. DI SCIASCIO (a cura di), Le linee evolutive della responsabilità amministrativa e del suo processo, Napoli, Esi, 2014, 33; S. BATTINI, Responsabilità e responsabilizzazione dei funzionari e dei dipendenti pubblici, in Riv. trim. dir. pubbl., 2015, 5; C. GIUSTI, Danno all’immagine e pubblica amministrazione, in Resp. civ. prev., 2019, 998.

9 La quale deve essere letta in correlazione alla sentenza n. 41 del 2020, con la quale presenta molti punti di contatto.

10 Peraltro, l’art. 97 Cost. era stato invocato dal giudice a quo quale parametro della questione di legittimità costituzionale, ma la censura, sotto questo profilo, è stata ritenuta inammissibile dalla Corte, giacché i principi enunciati dalla norma non sono correlati alla gestione della finanza pubblica (nello stesso senso, citate nella pronuncia, Corte cost., sentt. 146 del 2019; 138 del 2019; 196 del 2018).

11 Art. 1, comma 1, l. n. 20 del 1994

12 Secondo una terminologia avversata da Corte cost., sentt. 183 e 184 del 2007.

13 Art. 130 c.g.c.

14 Art. 31, comma 2, c.g.c.. Sul punto, v. Corte cost. n. 41/2020 cit.

15 S. CASSESE, L. TORCHIA, La Costituzione dei diritti e la Costituzione delle prerogative, in Foro it. 2018, V, 104 ss.

16 La subordinazione del funzionario incolpato dinanzi al giudice contabile emerge anche dalla tralatizia conservazione di alcune “bizzarre” norme di rito. Si pensi, esemplarmente, che, all’udienza di discussione nei giudizi sul conto, ai sensi dell’art. 148, comma 2, c.g.c., l’agente contabile, se presente in udienza, “può anche essere ascoltato direttamente dal Collegio”, ma non può svolgere “difese orali” senza il patrocinio del difensore.

17 Che agisce indipendentemente dalla volontà dell’Amministrazione presunta danneggiata di recuperare le somme oggetto dell’ammanco.

18 Preoccupazioni cui la medesima Corte costituzionale, nella mentovata sentenza n. 41 del 2020, non ha attribuito alcuna rilevanza, pur avendo il giudice a quo sostenuto che l’interpretazione tassativa delle ipotesi di deroga al divieto di compensazione delle spese in caso di assoluzione avrebbe potuto costituire per il Pubblico Ministero «una remora all’esercizio della relativa azione, in quanto potenzialmente idonea a tradursi in un esborso per l’amministrazione, ulteriore rispetto al danno altrimenti patito» (Corte conti, Sez. giur. Campania, ord., 24 gennaio 2020).

19 Con riferimento agli amministratori di enti locali, analoga disciplina è posta dall’art. 86, comma 5 TUEL, secondo cui «Il rimborso delle spese legali per gli amministratori locali è ammissibile, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, nel limite massimo dei parametri stabiliti dal decreto di cui all' articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247 , nel caso di conclusione del procedimento con sentenza di assoluzione o di emanazione di un provvedimento di archiviazione, in presenza dei seguenti requisiti: a) assenza di conflitto di interessi con l'ente amministrato; b) presenza di nesso causale tra funzioni esercitate e fatti giuridicamente rilevanti; c) assenza di dolo o colpa grave».

20 Cfr. ex multis, Cass., Sez. I, 10 dicembre 2004, n. 23138; Cons. Stato, Sez. IV, 13 gennaio 2020, n. 281.

21 Oppure “Amministratori locali”, ex art. 86, comma 5 TUEL.

22 Che richiama in motivazione i propri recenti arresti in materia di spese processuali, e dunque le sentenze n. 41 e 189 del 2020.