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Anno XVII - n. 05 - Maggio 2025

  Giurisprudenza Amministrativa



Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale d’Appello per la Regione Siciliana, Sent. n. 85/A/2024, sulla responsabilità amministrativa del pubblico dipendente connessa alla mancata adozione di ordinanze-ingiunzione entro il termine di prescrizione.

Di Giuseppe Lonero
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Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale d’Appello per la Regione Siciliana, Sent. n. 85/A/2024, sulla responsabilità amministrativa del pubblico dipendente connessa alla mancata adozione di ordinanze-ingiunzione entro il termine di prescrizione.

 

Di Giuseppe Lonero

 

Il Collegio si è pronunciato in merito alla responsabilità amministrativa di un dirigente dell’Ispettorato territoriale del lavoro per il pregiudizio erariale cagionato all’amministrazione regionale conseguente alla mancata adozione di numerose ordinanze-ingiunzione, ai sensi dell'art. 18 della Legge 24 novembre 1981, n. 689, entro il termine quinquennale di prescrizione.

In particolare, la Sezione ha osservato che nel verbale di consegna predisposto dal precedente dirigente non fosse presente alcun accenno ai numerosi rapporti ancora da definire e non caricati nel portale informatico in spregio alle norme che ne prevedevano l’utilizzo obbligatorio per la gestione dei procedimenti contenziosi e delle sanzioni amministrative; pertanto, la Corte ha ritenuto esente da responsabilità per colpa grave l’appellante che, subentrato nella carica, non era consapevole della taciuta disfunzione.

I Giudici di Appello hanno, al riguardo, sottolineato che, in virtù del principio di continuità dell’azione amministrativa e del buon andamento, il verbale redatto in occasione dell’avvicendamento tra dirigenti è un documento di fondamentale importanza per la corretta trattazione degli affari, che non deve subire alcuna cesura o interruzione per effetto della rotazione tra dirigenti. Non può, pertanto, essere considerata come gravemente colposa la condotta del nuovo titolare dell’ufficio che abbia fatto affidamento sulle dichiarazioni rese dal suo predecessore, posto che, in presenza di strumenti informativi predisposti dall’amministrazione, la ricognizione degli affari pendenti non può consistere in un capillare controllo fisico delle pratiche custodite all’interno degli armadi, sulla base di mere supposizioni o di sospetti sull’operato del predecessore.

Il Collegio ha, invece, affermato la responsabilità amministrativa dell’appellante a partire dal momento in cui lo stesso ha interamente assunto le competenze della trattazione delle sanzioni amministrative; l’intervenuta prescrizione del diritto ad emettere le ordinanze-ingiunzioni è, in questo caso, imputabile allo stesso a titolo di colpa grave, poiché, nell’esercizio delle proprie attribuzioni, avrebbe dovuto impedire che si producesse un effetto pregiudizievole per l’erario regionale.

Entrando nel merito della decisione, viene in rilievo la qualificazione della condotta dell’appellante, ritenuta dal primo giudice connotata da colpa grave e unica causa del pregiudizio arrecato all’erario regionale, in conseguenza della prescrizione del termine per emettere l'ordinanza ingiunzione relativa ai rapporti indicati in citazione.

La Sezione, al fine di scrutinare il primo motivo di gravame, richiama i principi fondamentali che informano l’operato dei pubblici funzionari: in primo luogo, il principio di buon andamento della pubblica amministrazione enunciato dall’art. 97 della Costituzione, a sua volta declinato dall’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nel principio di “buona amministrazione”.

Il Collegio rileva che, come noto, il canone del buon andamento presenta diverse sfaccettature, di volta in volta enucleate ed interpretate dal giudice costituzionale, e che esso presenta ambiti di sovrapposizione e concorrenza sia con i valori costituzionali contenuti nello stesso art. 97 (equilibrio dei bilanci e sostenibilità del debito pubblico, imparzialità, organizzazione degli apparati, accesso ai pubblici impieghi mediante concorso), sia con i principi espressi in altre norme della Costituzione (a titolo esemplificativo e non esaustivo: il principio di eguaglianza, il diritto al lavoro, alla salute, la tutela dell’unità familiare, la responsabilità dei pubblici funzionari, ecc.).

Sul piano dei significati, afferma la Sezione, il principio in esame è stato talvolta identificato con la predisposizione di strutture e moduli di organizzazione volti ad assicurare un’ottimale funzionalità degli uffici pubblici (Corte cost. sentenza n. 234 del 1985), o rappresentato come obiettivo di tempestività, efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa (Corte cost. sentenze n. 404 del 1997 e n. 40 del 1998), o assimilato al “principio di efficienza” (Corte cost. sentenza n. 104 del 2007) o, ancora, inteso come economicità di gestione e contenimento dei costi dei servizi pubblici (Corte cost. sentenza n. 60 del 1991 e n. 356 del 1992).

Soprattutto in seguito all’introduzione della fondamentale legge n. 241 del 1990, recante la disciplina del procedimento amministrativo e del diritto di accesso, ricorda la Corte, il giudice costituzionale ha enfatizzato la valenza del buon andamento come strumento destinato a migliorare la tempestività, l’efficienza e l’economicità dell’operato della pubblica amministrazione; le descritte articolazioni del principio, a loro volta, dice il Collegio, garantiscono che, nello svolgimento dell'attività amministrativa, si realizzi una sana gestione finanziaria e la razionalizzazione della spesa pubblica, nell’ottica del miglior contemperamento dei vari interessi in gioco (art. 97, primo e secondo comma, Cost.).

A completamento di tale sintetica trattazione, per la Sezione va altresì evidenziata la naturale attinenza dell’illustrato principio alla materia dell’organizzazione dei pubblici uffici, quanto al profilo dell’articolazione interna delle competenze e delle correlate responsabilità dei pubblici funzionari (Corte cost. sentenza n. 40 del 1998, n. 135 del 1998 e n. 300 del 2000).

Il Collegio, quindi, ricorda che il canone di buon andamento è strettamente legato al ruolo del dirigente il quale, a seguito della riforma della dirigenza, ne è divenuto il principale interprete, avendogli il legislatore intestato il compito di impiegare le risorse assegnate in modo da perseguire la migliore realizzazione dell’interesse pubblico, nel rispetto dei principi di ragionevolezza, imparzialità ed economicità.

Per la Sezione, in particolare, non è utile indagare i rapporti tra politica e amministrazione, bensì il contenuto delle funzioni dirigenziali, per come disegnate dagli artt. 4 e 17 del d.lgs. 165/2001 (“Testo unico del pubblico impiego”), e le connesse responsabilità descritte dal successivo art. 21.

L’art. 4, comma 2, così descrive, in via generale, la funzione dirigenziale: “Ai dirigenti spetta l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via esclusiva dell'attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati”.

Il testo unico del pubblico impiego, evidenzia la Corte, attribuisce quindi al dirigente pubblico poteri manageriali, dai quali deriva una responsabilità di risultato legata al sistema di valutazione della performance, così come previsto dal d.lgs. 150/2009: l’avvicinamento del lavoro pubblico ai principi aziendalistici ha, cioè, reso necessaria una figura di perno dell’intero sistema che, disponendo di risorse e di poteri di natura datoriale e gestionale, si rendesse garante dell’ottimale perseguimento degli obiettivi della pubblica amministrazione.

Nello specifico, prosegue la Corte, i compiti e i poteri attribuiti ai dirigenti sono così enucleati dall'art. 17 del t.u.p.i.: " 1. I dirigenti, nell'ambito di quanto stabilito dall'articolo 4, esercitano, fra gli altri, i seguenti compiti: a) formulano proposte ed esprimono pareri ai dirigenti degli uffici dirigenziali generali; b) curano l'attuazione dei progetti e delle gestioni ad essi assegnati dai dirigenti degli uffici dirigenziali generali, adottando i relativi atti e provvedimenti amministrativi ed esercitando i poteri di spesa e di acquisizione delle entrate; c) svolgono tutti gli altri compiti ad essi delegati dai dirigenti degli uffici dirigenziali generali; d) dirigono, coordinano e controllano l'attività degli uffici che da essi dipendono e dei responsabili dei procedimenti amministrativi, anche con poteri sostitutivi in caso di inerzia; d-bis) concorrono all'individuazione delle risorse e dei profili professionali necessari allo svolgimento dei compiti dell'ufficio cui sono preposti anche al fine dell'elaborazione del documento di programmazione triennale del fabbisogno di personale di cui all'articolo 6, comma 4; e) provvedono alla gestione del personale e delle risorse finanziarie e strumentali assegnate ai propri uffici, anche ai sensi di quanto previsto all'articolo 16, comma 1, lettera l-bis; e-bis) effettuano la valutazione del personale assegnato ai propri uffici, nel rispetto del principio del merito, ai fini della progressione economica e tra le aree, nonché della corresponsione di indennità e premi incentivanti”.

Il contenuto delle illustrate competenze, precisa il Collegio, riceve ulteriore connotazione e chiarimento dal successivo art. 21, in materia di responsabilità dirigenziale, ove si prevede che “Il mancato raggiungimento degli obiettivi accertato attraverso le risultanze del sistema di valutazione di cui al Titolo II del decreto legislativo di attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni ovvero l'inosservanza delle direttive imputabili al dirigente comportano, previa contestazione e ferma restando l'eventuale responsabilità disciplinare secondo la disciplina contenuta nel contratto collettivo, l'impossibilità di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale. In relazione alla gravità dei casi, l'amministrazione può inoltre, previa contestazione e nel rispetto del principio del contraddittorio, revocare l'incarico collocando il dirigente a disposizione dei ruoli di cui all'articolo 23 ovvero recedere dal rapporto di lavoro secondo le disposizioni del contratto collettivo”.

La responsabilità dirigenziale, afferma la Sezione, nasce dunque da una inidoneità organizzativa e datoriale, ovvero da un esercizio non ottimale delle funzioni manageriali, che si traduce nel mancato raggiungimento degli obiettivi assegnati, con conseguente ripercussione sull’organizzazione amministrativa: si tratta, in definitiva, di una responsabilità di risultato, anche laddove si manifesti nell’inosservanza delle direttive imputabile al dirigente, sanzionata con il mancato rinnovo dell’incarico e, nei casi più gravi, con la revoca dell’incarico o con il recesso dal rapporto di lavoro. Il dirigente è, nella sostanza, la figura alla quale il legislatore affida, mediante l’attribuzione di risorse, poteri e responsabilità, la concreta attuazione del principio di buon andamento, per la cui compiuta realizzazione è tuttavia necessaria la convergente azione di tutti coloro che operano alle dipendenze dell’amministrazione; alla peculiare forma di responsabilità (di tipo manageriale) attribuita al dirigente (in aggiunta a quella civile, penale, amministrativo-contabile e disciplinare) si affianca così, conclude la Corte, la responsabilità dei pubblici funzionari in base al criterio generale di riparto delle competenze, a sua volta specifica articolazione del canone di buon andamento (art. 97, comma 3, Cost.).

A quanto appena detto, per la Sezione occorre infine aggiungere che la durata temporalmente limitata degli incarichi dirigenziali (art. 19 d.lgs. 165/2001) ed il conseguente avvicendamento al vertice degli uffici (cd. “principio di rotazione”) pone in luce una ulteriore declinazione del parametro costituzionale del buon andamento, ossia il principio di continuità dell’azione amministrativa (Corte cost. sentenze n. 331 del 1988, n. 878 del 1988, n. 103 del 2007 e n. 104 del 2007), a tenore del quale la pubblica amministrazione ha il dovere di assicurare la permanenza del risultato utile per la collettività, pur a fronte del mutato contesto organizzativo, essendo indifferente in tale prospettiva (ossia dall’angolo visuale del cittadino), l’individuazione di un diverso soggetto come titolare dell’ufficio.