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Anno XVI - n. 07 - Luglio 2024

  Giurisprudenza Amministrativa



Adunanza Plenaria: ricade sul curatore fallimentare l’onere di ripristino e smaltimento dei rifiuti ai sensi dell’art. 192 D. lgs. n. 152/2006.

Di Francesca Carlotta Tedeschi
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CONSIGLIO DI STATO, ADUNANZA PLENARIA, SENTENZA DEL 26 GENNAIO 2021, N. 3.

 

Adunanza Plenaria: ricade sul curatore fallimentare l’onere di ripristino e smaltimento dei rifiuti ai sensi dell’art. 192 D. lgs. n. 152/2006.

 

Di FRANCESCA CARLOTTA TEDESCHI

 

Sommario: 1. Introduzione. 2. Normativa. 3. La pronuncia dell’Adunanza Plenaria. 4. Possibile ampliamento dei soggetti responsabili degli obblighi di bonifica: spunti di riflessione.

 

Con l’ordinanza del 15 settembre 2020 n. 5454 la Quinta Sezione del Consiglio di Stato ha richiesto all’Adunanza Plenaria di chiarire se “a seguito della dichiarazione di fallimento, perdano giuridica rilevanza gli obblighi cui era tenuta la società fallita ai sensi dell’art. 192 – D. lgs. n. 152/2006- pur se il curatore fallimentare - in un’ottica di continuità - “gestisce” proprio il patrimonio del bene della società fallita e ne ha la disponibilità materiale”. [1]

In riferimento alla questione erano emersi, in giurisprudenza, due orientamenti principali: una prima interpretazione sosteneva che il curatore fallimentare non potesse essere considerato soggetto responsabile della rimozione dei rifiuti, ai sensi dell’art. 192, comma 3 d. lgs. n. 152/2006 (di seguito Codice dell’Ambiente), rispetto ai beni del soggetto fallito, non subentrando nei diritti della società fallita.[2]

Secondo invece l’ulteriore interpretazione, condivisa dalla Quinta Sezione, gli obblighi di rimozione dei rifiuti, previsti dalla citata disposizione normativa, ricadrebbero sul curatore fallimentare in quanto esso, a seguito della dichiarazione di fallimento, acquista la qualifica di detentore dei siti nei quali è avvenuto l’abbandono o il deposito incontrollato.

Codesto orientamento risulterebbe conforme alle disposizioni comunitarie, che individuano quali soggetti obbligati alla rimozione dei rifiuti i detentori ed i gestori, comunque denominati [3] ed in applicazione del principio “chi inquina paga” stabiliscono che i costi della gestione dei rifiuti vadano attribuiti al produttore iniziale, ai detentori precedenti dei rifiuti oppure “ai detentori del momento”.[4]

Secondo l’opinione della Sezione “la detenzione dei rifiuti fa sorgere automaticamente un’obbligazione avente un duplice contenuto: il divieto di abbandonare i rifiuti e l’obbligo di smaltire gli stessi”. Pertanto la curatela fallimentare, anche nel caso in cui non proseguisse l’attività dell’impresa, proprio poiché assume la qualità di detentore dei rifiuti, non potrebbe consentire la permanenza di rifiuti in stato di abbandono, derivanti dall’attività precedentemente svolta.

Inoltre, a sostegno della tesi è stato rammentato come il Consiglio di Stato avesse già in precedenza riconosciuto la qualifica di detentore in capo al curatore, indipendentemente dal verificarsi di un fenomeno successorio fra la società fallita e la curatela. [5]

Preso atto del contrasto giurisprudenziale emerso in materia, la Quinta Sezione rimettendo la risoluzione della questione all’Adunanza Plenaria, ha individuato il punto nevralgico della problematica,  proprio nella corretta qualificazione da attribuire al concetto di “detentore dell’area su cui sono situati i rifiuti”, poiché in forza del principio di precauzione, sarebbe possibile riconoscerlo quale soggetto onerato della rimozione degli stessi, ai sensi dell’art. 192, comma 3 del Codice dell’Ambiente.

Ulteriormente sia il principio di prevenzione sia il principio “chi inquina paga” non richiederebbero la prova dell’elemento soggettivo rispetto al soggetto detentore né la sua successione al soggetto responsabile dell’inquinamento originario.

Infine, ai sensi della normativa eurounitaria, la responsabilità ambientale si configura quale responsabilità oggettiva, ed assurge a criterio interpretativo per le disposizioni nazionali degli Stati membri. [6]  

 

 

La direttiva 2008/98 rappresenta la normativa di riferimento, a livello eurounitario, in materia di rifiuti, sia per quanto concerne la loro definizione sia per la loro gestione. Ad essa sono state affiancate Direttive specifiche inerenti singoli settori di dettaglio.[7]

A livello nazionale il titolo I della Parte Quarta del Codice dell’Ambiente contiene le disposizioni inerenti la gestione dei rifiuti: gli articoli 178 e 192 costituiscono le disposizioni più rilevanti per la tematica in analisi.

L’art. 178 stabilisce i principi generali applicabili alla gestione dei rifiuti, fra i quali si rinvengono il principio di precauzione, di prevenzione, di responsabilizzazione e di “chi inquina paga”.

Al primo comma dell’art. 192 è stato invece introdotto il divieto di abbandono. Esso si configura sia quale impossibilità di abbandono e deposito incontrollato dei rifiuti, sul suolo e nel suolo, sia quale divieto di immissione dei rifiuti “di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee”. [8]

I successivi commi delineano l’obbligo di rimozione attribuibile ai soggetti che violino i divieti stabiliti dai primi commi. Letteralmente la disposizione prevede che essi siano tenuti “alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area”.[9]

Inoltre, il quarto comma, compie un’ulteriore estensione dei soggetti responsabili dell’obbligo di rimozione, prevedendo che nel caso in cui sia possibile imputare il fatto illecito ad amministratori o rappresentanti di una persona giuridica, gli obblighi di rimozione ricadranno anche sulla persona giuridica o sugli eventuali soggetti ad essa subentrati, conformemente alle disposizioni inerenti la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, ai sensi del D. lgs. n. 231/2001. [10]

 

  1. La Pronuncia dell’Adunanza Plenaria.

 

Con la sentenza del 26 gennaio 2021, n, 3 l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha accolto la tesi sostenuta dalla Quinta Sezione, ed affermato il seguente principio di diritto “ricade sulla curatela fallimentare l’onere di ripristino e di smaltimento dei rifiuti di cui all’art. 192 d. lgs. n. 152/2006 e i relativi costi gravano sulla massa fallimentare”.

La pronuncia ha chiarito come nel caso in esame non si verifichi un fenomeno successorio fra i soggetti, pertanto il curatore non andrà considerato quale “avente causa del fallito nel trattamento dei rifiuti”.

Tuttavia, l’obbligo di rimozione dei rifiuti, ai sensi dell’art. 192, comma 3 del Codice dell’Ambiente, sussiste nei confronti del curatore fallimentare in quanto esso diviene detentore dei beni oggetto del fallimento, a seguito della dichiarazione, a seguito dell’inventario degli stessi ai sensi degli artt. 87 e ss della Legge Fallimentare. [11]

Nello specifico “ la responsabilità alla rimozione è connessa alla qualifica di detentore acquisita dal curatore fallimentare non in riferimento ai rifiuti ( che sotto il profilo economico a seconda dei casi talvolta si possono considerare “beni negativi”), ma in virtù della detenzione del bene immobile inquinato ( normalmente un fondo già di proprietà dell’imprenditore) su cui i rifiuti insistono e che, per esigenze di tutela ambientale e di rispetto della normativa nazionale e comunitaria, devono essere smaltiti)”.

Proprio in considerazione dei principi di prevenzione e di responsabilità, affermati dalla normativa eurounitaria nonché come analizzato in precedenza dall’art. 178, la disposizione codicistica deve essere interpretata nel senso di attribuire all’Amministrazione la facoltà di poter adottare provvedimenti affinchè i curatori fallimentari adottino adeguate misure per la rimozione dei rifiuti.

Infatti, secondo il diritto eurounitario, i rifiuti devono essere in ogni caso rimossi, anche qualora l’attività dell’impresa cessi: il soggetto responsabile potrà essere individuato nello stesso imprenditore non fallito, oppure in colui che amministra il patrimonio fallimentare. In quest’ultima ipotesi non viene richiesta un’analisi del titolo sottostante al soggetto responsabile degli obblighi di rimozione, in quanto i costi della gestione dei rifiuti vanno imputati sia al loro produttore inziale, che ai detentori del momento ed ai detentori precedenti.[12]

L’esimente prevista all’art. 192, comma 3 del D. lgs. n. 152/2006 può essere riconosciuta unicamente a favore di chi non sia detentore dei rifiuti, pertanto ad esempio nei confronti del proprietario incolpevole del terreno. [13]

Dunque il costo della rimozione potrà ricadere sull’attivo fallimentare, quale conseguenza della funzione di garanzia che assume il detentore dei siti in cui sono abbandonati i rifiuti, in precedenza sede dell'impresa fallita, in conformità del principio di “chi inquina paga”.

Infatti “poiché l’abbandono dei rifiuti e, più in generale, l’inquinamento costituiscono “diseconomie esterne” generate dall’attività di impresa (cd. “esternalità negative di produzione”), appare giustificato e coerente con tale imposizione ritenere che i costi derivanti da tali esternalità di impresa ricadano sulla massa dei creditori dell’imprenditorialità stesso che, per conto, beneficiano degli effetti dell’ufficio fallimentare della curatela in termini di ripartizione degli eventuali utili del fallimento”.

Devono dunque essere imputati al fallimento gli obblighi “di porre in essere le attività strumentali alla bonifica”, e la Pubblica Amministrazione potrà rivalersi sull’attivo fallimentare delle spese eventualmente sostenute, nel caso in cui sia intervenuta direttamente per eliminare il pericolo ambientale.

 

  1. Possibile ampliamento dei soggetti responsabili degli obblighi di bonifica: spunti di riflessione.

 

Seppur la tematica specifica del fatto sotteso alla pronuncia dell’Adunanza Plenaria riguardi propriamente gli obblighi di rimozione dei rifiuti, ai sensi dell’art. 192, comma 3 del Codice dell’Ambiente, la sentenza offre interessanti spunti di riflessione anche in merito all’individuazione dei soggetti responsabili di porre in essere le attività di bonifica.

Essa sembrerebbe inserirsi in una recente filone giurisprudenziale che sta progressivamente estendendo il novero dei soggetti responsabili in materia di bonifica ambientale.

Infatti, in risposta alle osservazioni sollevate dalla difesa fallimentare, la quale sosteneva che il curatore avesse la possibilità di rinunciare all’acquisizione del fondo sul quale gravasse un eventuale obbligo di bonifica in applicazione dell’art. 42, comma 3 della Legge Fallimentare, in applicazione del principio “chi inquina paga”, l’Adunanza Plenaria ricorda che la responsabilità ambientale vada interpretata come avente carattere oggettivo[14].

Inoltre, riprendendo quanto affermato nella precedente sentenza n. 10 del 2019, “in tema di prevenzione il principio “chi inquina paga” non richiede, nella sua accezione comunitaria, anche la prova dell’elemento soggettivo, né l’intervenuta successione”.

L’istituto della bonifica deve essere infatti considerato come “uno strumento pubblicistico” teso a garantire il recupero materiale del bene, avente pertanto una funzione reintegrativa dello stesso, la quale può essere ricondotta alla reintegrazione in forma specifica prevista all’art. 2058 c.c.

In considerazione di quanto esposto, l’Adunanza Plenaria giunge ad affermare che “la responsabilità della curatela fallimentare – nell’eseguire la bonifica dei terreni di cui acquisisce la detenzione per effetto dell’inventario fallimentare dei beni, ex artt. 87 e ss L. F. può analogamente prescindere dall’accertamento dell’esistenza di un nesso di causalità fra la condotta e il danno contestato”.

Codesta affermazione sembrerebbe riconoscere la responsabilità del curatore per la realizzazione delle attività di bonifica in riferimento ai siti di cui esso acquisisca la detenzione, a seguito della dichiarazione di fallimento, indipendentemente dall’originaria responsabilità di chi commise il fatto.

La pronuncia pertanto si conformerebbe all’orientamento giurisprudenziale che sta sempre maggiormente ampliando i soggetti individuabili quali responsabili della bonifica, pur non essendo i responsabili originari dell’inquinamento ed indipendentemente dal legame intercorrente con il responsabile.

In tal senso con la sentenza del 22 ottobre 2020 n. 10 l’Adunanza Plenaria aveva già  chiarito come “la bonifica del sito inquinato può essere ordinata anche a carico di una società non responsabile dell'inquinamento, ma che sia ad essa subentrata per effetto di fusione per incorporazione, nel regime previgente alla riforma del diritto societario, e per condotte antecedenti a quando l'istituto della bonifica è stato introdotto nell'ordinamento giuridico, ove gli effetti dannosi dell'inquinamento permangano al momento dell'adozione del provvedimento.”[15]

Successivamente il Tar Brescia con la sentenza del 02 marzo 2020, n. 192 ha confermato che la società incorporante assume gli obblighi della società incorporata anche in riferimento alla bonifica delle aree inquinate, egualmente nei casi in cui non risulti responsabile dei fenomeni di inquinamento, qualora gli effetti si protraggano nel tempo.[16]

Inoltre, con la successiva pronuncia dello scorso aprile il Consiglio di Stato ha chiarito come “in caso di inquinamento ambientale, la responsabilità ricade sulla holding del gruppo, anche se a commettere i fatti è stata una società controllata nel frattempo ceduta a un altro gruppo societario.”

In conclusione, la pronuncia dell’Adunanza Plenaria in esame pone indubbiamente un significativo principio di diritto per quanto concerne l’individuazione dei soggetti sui quali ricadono gli obblighi di rimozione dei rifiuti, ai sensi dell’art. 192, comma 3 del Codice dell’Ambiente.

Al tempo stesso offre spunti di riflessione per quanto concerne anche i soggetti responsabili degli obblighi di bonifica, ponendosi in linea con precedenti pronunce giurisprudenziali, che tendono ad ampliare sempre in maniera più incisiva i soggetti responsabili dell’attuazione delle misure di bonifica e ripristino dei luoghi, indipendentemente dalla propria responsabilità per i fatti di inquinamento e del legame con il soggetto originariamente responsabile.

 

 

NOTE:

[1] Consiglio di Stato, Ad. Pl., ordinanza 15 settembre 2020, n. 5454.

[2] In tal senso si è espresso il Tar Trento chiarendo come “il curatore fallimentare non è custode degli immobili di proprietà del fallito, con la conseguenza che non è assoggettabile agli obblighi previsti dall’articolo 192, comma 4, d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152”. Egualmente il Tar Milano ha escluso la responsabilità del curatore fallimentare per quanto riguarda gli obblighi stabiliti all’art. 192, comma 3 del d. lgs. n. 152/2006. T.A.R., Trento, sez. I, sent. 20 marzo 2017, n. 93; T.A.R., Milano, sez. III, sent. 03 marzo 2017, n. 520.

[3] Ai sensi dell’art. 3, par. 1 punto 6, della direttiva n. 2008/98/CE è qualificabile quale detentore la persona fisica o giuridica che sia in possesso dei rifiuti. Art. 3, par. 1, punto 6, Direttiva n. 2008/98/CE.

[4] Art. 14, par. 1 Direttiva n. 2008/98/CE.

[5] Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 25 luglio 2017, n. 3672.

[6] Direttiva n. 2004/35/UE.

[7] G. ROSSI, Diritto dell’Ambiente, Quarta Edizione, G. Giappichelli Editore, 2017, p. 296 e ss.

[8] Art. 192, commi 1 e 2, D. lgs. n. 152/2006.

[9] Art. 192, comma 3, D. lgs. n. 152/2006.

[10] Art. 192, comma 4, D. lgs. n. 152/2006.

[11] Art. 87 e ss, R. D. 16 marzo 1942, n. 267.

[12] Art. 14, par. 1 Direttiva n. 2008/98/CE.

[13] In tal senso di è pronunciato il Consiglio di Stato con la sentenza del 3 dicembre 2020, n, 7657 ove ha affermato che “prima di ordinare la rimozione dei rifiuti abbandonati ed il rispristino dello stato dei luoghi, il Comune deve accertare l’elemento soggettivo (dolo o colpa) in capo al proprietario non responsabile dello sversamento dei rifiuti.” Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 03 dicembre 2020, n. 7657.

[14] La direttiva n. 2004/35/CE afferma infatti che la responsabilità ambientale si configuri non come una responsabilità di posizione, ma quale oggettiva, rappresentando un canone interpretativo per le disposizioni degli Stati membri.

[15] Consiglio di Stato, Ad. Pl. 22 ottobre 2020, n. 10.

[16] T.A.R., Brescia, sez. I, 02 marzo 2020, n. 192.