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Anno XVI - n. 05 - Maggio 2024

  Giurisprudenza Amministrativa delle Corti Supreme
  A cura di Anna Laura Rum



L’Adunanza Plenaria si esprime in materia di sospensione del processo: la c.d. sospensione impropria “in senso lato” del processo costituisce, al pari della c.d. sospensione impropria “in senso stretto”, una sospensione necessaria ai sensi dell’art. 295 c.p.c., per la definizione di una questione avente carattere “pregiudiziale”.

Di Anna Laura Rum
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NOTA A CONSIGLIO DI STATO, ADUNANZA PLENARIA, 22 MARZO 2024, N. 4

 

L’Adunanza Plenaria si esprime in materia di sospensione del processo: la c.d. sospensione impropria “in senso lato” del processo costituisce, al pari della c.d. sospensione impropria “in senso stretto”, una sospensione necessaria ai sensi dell’art. 295 c.p.c., per la definizione di una questione avente carattere “pregiudiziale”.

La Plenaria chiarisce, altresì, che la sospensione impropria “in senso lato” va adottata previo contraddittorio ai sensi dell’art. 73, comma 3, c.p.a. e solo se le parti o almeno una di esse non chiedano di poter interloquire davanti la Corte costituzionale, la CGUE, la Plenaria, nel qual caso va disposta una nuova rimessione.

Di Anna Laura Rum

 

Sommario: 1. I fatti di causa 2. I quesiti della Sesta Sezione del Consiglio di Stato 3. Le argomentazioni dell’Adunanza Plenaria 4. I principi di diritto

 

  1. I fatti di causa

I fatti di causa vedono una s.p.a. impugnare innanzi al Tar per il Lazio, Sede di Roma:

- il provvedimento dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, con cui la società è stata condannata al pagamento di una sanzione pecuniaria, per aver posto in essere una pratica commerciale scorretta, ai sensi degli artt. 20 e 22 del d.lgs. n. 206/2005;

- il provvedimento dell'AGCM n. 20399 del 6.8.2009, con cui è stata rigettata l’istanza della società per la presentazione di impegni.

Il Tar adìto ha accolto il ricorso, ritenendo fondata e assorbente la censura di incompetenza dell’AGCM.

Avverso la citata sentenza ha proposto appello l’AGCM, formulando motivi così rubricati:

(i) sulla disapplicazione delle norme settoriali per contrasto con la direttiva 2005/29/CE;

(ii) sul rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea.

All’udienza pubblica, tuttavia, la Sezione VI del Consiglio di Stato, con ordinanza 7.3.2017 n. 1068, ha disposto la sospensione del giudizio “ai sensi del combinato disposto degli artt.79 c.p.a. e 295 c.p.c.”, in attesa della risoluzione da parte della Corte di Giustizia UE del quesito sollevato con l’ordinanza n. 167/2017, in un diverso giudizio avente ad oggetto la medesima questione di merito di cui al pendente processo.

La Corte di giustizia dell’Unione europea ha, poi, definito la questione con la sentenza 13.9.2018, in C-54/17 e C-55/17.

Successivamente, è stata fissata nuova udienza d’ufficio. In esito a tale udienza, è stata adottata l’ordinanza 17.11.2023 n. 9876, di rimessione all’Adunanza Plenaria.

L’ordinanza di rimessione ritiene che l’ordinanza di sospensione del processo n. 1068/2017 costituisca “una sospensione cd. impropria”, e, sulla base di tale presupposto, rimette all’Adunanza Plenaria tre quesiti, sia in base all’art. 99, comma 1, c.p.a., per un “potenziale contrasto di giurisprudenza”, sia in base all’art. 99, comma 3, c.p.a., per una “potenziale non condivisione di un principio di diritto enunciato dall’Adunanza Plenaria”.

 

  1. I quesiti della Sesta Sezione del Consiglio di Stato

La Sesta Sezione del Consiglio di Stato ha formulato all’Adunanza Plenaria i seguenti quesiti:

“A) se, alla luce della richiamata giurisprudenza costituzionale sopravvenuta alla pronuncia dell’Adunanza plenaria n. 28/2014, debba confermarsi quanto ritenuto da tale Adunanza plenaria in ordine alla ammissibilità della prassi della sospensione cd. impropria nel giudizio amministrativo;

  1. B) ove la risposta sia affermativa, se, nel caso in cui in un giudizio amministrativo sia disposta una sospensione cd. impropria, in attesa che la Corte di giustizia UE si pronunci su un rinvio pregiudiziale ex art. 267 del TFUE sollevato su medesima questione in un altro giudizio, si abbia una sospensione in senso tecnico, con la conseguenza che la prosecuzione del giudizio è subordinata necessariamente all’impulso di parte, ovvero una situazione differente, di mero rinvio della causa, tale da non giustificare l’applicazione dell’art. 80 co. 1, c.p.a.
  2. C) ove si risponda nel primo senso anche al quesito sub B), così confermandosi quanto a suo tempo ritenuto dall’Adunanza plenaria 28/2014, visto il contrasto tra la pronuncia della Quarta Sezione n. 1686/2021 e la pronuncia della Sesta Sezione n. 82/2023 (art. 99, comma 1, c.p.a.), quale interpretazione occorra dare all’articolo 80 del c.p.a. secondo il quale: «In caso di sospensione del giudizio, per la sua prosecuzione deve essere presentata istanza di fissazione di udienza entro novanta giorni dalla comunicazione dell'atto che fa venir meno la causa della sospensione», in particolare se il termine previsto dalla disposizione citata abbia natura perentoria o ordinatoria”.

L’ordinanza prospetta, infine, il proprio avviso su tali questioni, osservando che: “Il Collegio è dell’avviso che la prassi giurisprudenziale della sospensione impropria possa prestarsi a delle obiezioni, per i profili sopra evidenziati, laddove assimilata in tutto e per tutto ad una sospensione propria e laddove da ciò sia fatta discendere la necessità che per la sua prosecuzione debba essere presentata istanza di fissazione di udienza in un termine ritenuto perentorio.

 

  1. Le argomentazioni dell’Adunanza Plenaria

L’Adunanza Plenaria premette che una Sezione del Consiglio di Stato può rimettere “un punto di diritto” all’esame dell’Adunanza Plenaria se “rileva che lo stesso ha dato luogo o possa dare luogo a contrasti giurisprudenziali” (art. 99, comma 1, c.p.a.), o se ritiene di non condividere un principio di diritto enunciato dall’Adunanza Plenaria (art. 99, comma 3, c.p.a.).

L’Adunanza Plenaria ha osservato che un presupposto implicito per tale rimessione sia la rilevanza della questione sollevata rispetto alla res controversa, nel senso che il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla sua risoluzione, sicché, qualora la questione sia meramente ipotetica e ininfluente sull’esito del giudizio, va disposta la restituzione degli atti alla Sezione.

La Plenaria rileva che l’ordinanza di rimessione muove dal presupposto che l’ordinanza della VI Sezione n. 1068/2017 (che a suo tempo ha sospeso il giudizio) avrebbe comportato una sospensione “facoltativa” e “impropria”, che, in quanto tale, non avrebbe un fondamento normativo.

Al riguardo, l’Adunanza Plenaria:

- rileva che tale sospensione facoltativa è stata definita dalla giurisprudenza anche quale sospensione “impropria in senso lato” (poiché la sospensione impropria “in senso stretto” consegue alla rimessione, nel processo, di una questione alla Corte costituzionale o alla CGUE);

- constata che l’ordinanza n. 1068/2017 ha disposto la sospensione necessaria del processo ai sensi dell’art. 295 c.p.c., sull’accordo delle parti raccolto a verbale;

- ritiene che tale statuizione non possa essere modificata o sindacata in questa sede, non essendo consentito al giudice né riqualificare né sindacare d’ufficio un provvedimento giurisdizionale in assenza di un rimedio giuridico azionato dalla parte nei termini di legge.

Malgrado l’immodificabilità dell’ordinanza n. 1068/2017, la Plenaria osserva che i quesiti sollevati con l’ordinanza di rimessione risultano comunque rilevanti, poiché vanno verificati il regime giuridico e le conseguenze processuali dell’ordinanza che ha disposto, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., la sospensione impropria “in senso lato” (per la pendenza di un giudizio presso la Corte di Giustizia), in considerazione delle pronunce della Corte costituzionale menzionate dall’ordinanza di rimessione.

Prima dell’esame dei quesiti, la Plenaria procede ad una ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento e ad un chiarimento terminologico sull’uso delle espressioni “sospensione impropria” e “sospensione propria”, contenute nell’ordinanza di rimessione: l’art. 79, comma 1, c.p.a., dispone che “la sospensione del processo è disciplinata dal codice di procedura civile, dalle altre leggi e dal diritto dell’Unione europea”. In disparte la disciplina specifica che il c.p.a. reca della sospensione del processo in caso di incidente di falso (artt. 77 e 78 c.p.a.), esso non reca una disciplina generale dei casi di sospensione del processo, ma si limita ad operare un triplice rinvio, di tipo mobile, al c.p.c., alle altre leggi, e al diritto eurounitario.

La Plenaria, quindi, ricorda, a titolo meramente esemplificativo, che il c.p.a. recepisce i seguenti casi di sospensione del processo contemplati dal c.p.c.:

- la sospensione necessaria di cui all’art. 295 c.p.c., in ragione della necessità della previa risoluzione di una “controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa”;

- la sospensione facoltativa di cui all’art. 296 c.p.c., “su istanza di tutte le parti, ove sussistano giustificati motivi (…) per un periodo non superiore a tre mesi” e con fissazione dell’ “udienza per la prosecuzione del processo”;

- la sospensione facoltativa di cui all’art. 337, secondo comma, c.p.c., quando in un processo è invocata l’autorità di una sentenza che è oggetto di impugnazione;

- la sospensione discrezionale di cui all’art. 367, primo comma, c.p.c., in pendenza del regolamento preventivo di giurisdizione;

- la sospensione necessaria in pendenza di un regolamento di competenza ai sensi dell’art. 48 c.p.c.

Quanto ai casi di sospensione previsti “dalle altre leggi”, la Plenaria ricorda che le leggi speciali, in ragione di emergenze che di volta in volta si presentino, dispongono temporanee sospensioni ex lege generalizzate dei processi o limitate a talune attività processuali o a talune parti del territorio nazionale (v. ad es. l’art. 6 del d.l. n. 74/2020), e a volte sospensioni ex lege o rimesse alla valutazione del giudice, in ragione di situazioni specifiche (v. l’art. 243-bis, d.lgs. n. 267/2020 in tema di sospensione dei giudizi di esecuzione in pendenza delle procedure di riequilibrio finanziario degli enti locali, nonché, prima che la giurisdizione venisse trasferita per legge dal giudice amministrativo al giudice ordinario, l’art. 14 d.lgs. 22.6.2007 n. 109).

Un rilievo specifico ha l’art. 23 della legge 11.3.1953 n. 87, sulla rimessione alla Corte costituzionale, da parte di un giudice, di una questione di legittimità costituzionale, con contestuale sospensione del giudizio a quo.

Quanto al richiamo del diritto eurounitario operato dall’art. 79, comma 1, c.p.a., la Plenaria ricorda che il par. 25 delle Raccomandazioni della Corte di giustizia dell’Unione europea ai giudici nazionali (2019/C 380/01), in connessione con il rinvio pregiudiziale alla CGUE previsto dall’art. 267 TFUE, dispone che il giudizio a quo venga sospeso.

L’Adunanza Plenaria ricorda, a questo punto, un suo precedente (sent. 13.2.2023 n. 7) al riguardo, con il quale ha chiarito che i casi di sospensione del processo sono tassativi, poiché “la sospensione (…) determina una potenziale lesione del principio di ordine costituzionale della ragionevole durata del processo (oggi sancito per il processo amministrativo dall’art. 2, comma 2, c.p.a.)”.

Quindi, il Collegio, all’esito di tale elencazione, non esaustiva, dei casi di sospensione del processo, procede a chiarire alcune espressioni terminologiche usate dalla giurisprudenza e dalla dottrina, le quali distinguono la sospensione “propria” da quella “impropria”, e, nell’ambito di quest’ultima, la sospensione impropria “in senso stretto” e la sospensione impropria “in senso lato”, ripercorrendo le statuizioni di un precedente del Consiglio di Stato (Cons. St., III, 29.11.2019 n. 8204): per sospensione “propria”, si intende il caso in cui il processo è oggetto di una sospensione necessaria ai sensi dell’art. 295 c.p.c., perché lo stesso o altro giudice devono decidere una controversia, avente carattere pregiudiziale, dalla cui definizione dipende la definizione della causa; per sospensione impropria “in senso stretto”, si intendono i casi in cui il processo è sospeso perché un incidente ad esso relativo deve essere deciso da un diverso giudice: sono i casi di sospensione per rinvio alla Corte costituzionale, per rinvio pregiudiziale alla CGUE, per regolamento di giurisdizione, per regolamento di competenza.

In questi casi, ricorda la Plenaria, a differenza che nella sospensione “propria”, il processo in realtà non è “fermo” in attesa della definizione di una diversa causa avente carattere pregiudiziale, ma “prosegue in diversa sede”, ossia presso il giudice ad quem competente a deciderne uno specifico incidente (quello di legittimità costituzionale, di compatibilità con il diritto eurounitario, l’incidente sulla giurisdizione o sulla competenza).

Per sospensione impropria “in senso lato”, prosegue la Plenaria, si intende la sospensione del processo per questione di costituzionalità o eurounitaria (Cons. St., III, 29.11.2019 n. 8204) o per rimessione all’Adunanza Plenaria (Cons. St., IV, 26.5.2020 n. 3330), sollevata da altro giudice, su questione rilevante anche nel giudizio che viene sospeso.

È questa specifica ipotesi che viene rimessa all’esame dell’Adunanza Plenaria dall’ordinanza di rimessione, anche se essa si limita alla qualificazione dell’ipotesi come sospensione impropria, in contrapposizione alla sospensione propria.

L’Adunanza Plenaria, quindi, dà conto dell’orientamento della Corte costituzionale in ordine all’istituto della sospensione del processo: già prima della pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 28/2014, la Corte costituzionale, con la sentenza 6.7.2004 n. 207, a fronte di una prospettazione del giudice a quo secondo cui l'art. 295 c.p.c., “pur sotto la rubrica ‘sospensione necessaria’ offre al giudice una vasta gamma di facoltà” e dunque contemplerebbe una sospensione facoltativa per ragioni di opportunità, ha osservato che “Tale presupposto interpretativo non trova, tuttavia, conforto nel diritto vivente, essendosi la giurisprudenza di legittimità, dopo talune oscillazioni iniziali, ormai consolidata, in sede di regolamento di competenza avverso i provvedimenti con i quali è disposta dal giudice la sospensione del processo (art. 42 cod. proc. civ.), nel senso che non sussiste una discrezionale, e non sindacabile, facoltà di sospensione del processo, esercitabile dal giudice fuori dei casi tassativi di sospensione necessaria”.

Per la Corte, precisa la Plenaria, va “escluso, dunque, che il giudice statuale abbia la facoltà di sospendere il giudizio per mere ragioni di opportunità”.

Dopo la pubblicazione dell’ordinanza dell’Adunanza Plenaria n. 28/2014, la Corte costituzionale:

- ha affermato che, nei giudizi incidentali di legittimità costituzionale davanti ad essa, non è ammesso l’intervento di soggetti che non siano parti dei processi a quo (ma che hanno analogo interesse, essendo parti di altri giudizi sulla medesima questione, e che hanno formato oggetto di sospensione impropria “in senso lato”);

- ha ribadito, richiamando la propria sentenza n. 207/2005, che deve escludersi la sussistenza di una discrezionale facoltà del giudice di sospendere il processo fuori dei casi tassativi di sospensione necessaria, e “per mere ragioni di opportunità”;

- ha, al contempo, stigmatizzato la prassi della cosiddetta “sospensione impropria”, “vale a dire di quella sospensione disposta, senza l’adozione di un’ordinanza di rimessione a questa Corte, in attesa della decisione sulla questione di legittimità costituzionale, avente ad oggetto le stesse norme, sollevata da altro giudice. Questa prassi, che si esprime nell’adozione di un provvedimento di sospensione ‘difforme da univoche indicazioni normative’, priva le parti interessate della possibilità di accedere al giudizio di legittimità costituzionale e riduce, nel giudizio stesso, il quadro, offerto alla Corte, delle varie posizioni soggettive in gioco. Ciò, tuttavia, non è sufficiente a legittimare la parte a intervenire davanti la Corte costituzionale, perché altrimenti risulterebbe alterata la struttura incidentale del giudizio di legittimità costituzionale” (Corte cost., 17.9.2020 n. 202; Id., 23.11.2021 n. 218).

La Plenaria, poi, si sofferma sulla prassi processuale, precisando che la giurisprudenza ha più volte affermato che la sospensione impropria “in senso lato” consente di evitare plurime rimessioni alla Corte costituzionale (v. Cons. St., Ad. Plen., ord.15.10.2014 n. 28), alla CGUE (Cons. St., V, 3.7.2023 n. 6461; Id., 17.8.2023 n. 7791), all’Adunanza Plenaria (Cons. St., Ad. Plen., 26.10.2020 n. 23; IV, 26.5.2020 n. 3330), di una identica questione sollevata in altro giudizio.

Viene ricordato, inoltre, che la stessa Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in una vicenda in cui era stata investita di una questione esegetica relativa all’art. 42-bis del t.u. espropriazioni (d.P.R. n. 327/2001), con ordinanza 15.10.2014 n. 28, ha disposto siffatta sospensione impropria, essendo pendente davanti alla Corte costituzionale, in relazione ad un diverso giudizio, la questione di legittimità costituzionale del citato art. 42-bis.

In quell’occasione, l’Adunanza Plenaria ha ritenuto ammissibile la sospensione impropria “in senso lato” sulla base di alcuni precedenti del Consiglio di Stato e sul presupposto dell’assenza di un espresso divieto nel c.p.a. L’Adunanza Plenaria ha in particolare affermato: “nel processo amministrativo, secondo un consolidato indirizzo (cfr., fra le tante, ordinanza Sez. V, 27 settembre 2011, n. 5387; Sez. IV, 11 luglio 2002, n. 3926), trova ingresso la c.d. sospensione impropria del giudizio principale per la pendenza della questione di legittimità costituzionale di una norma, applicabile in tale procedimento, ma sollevata in una diversa causa; […] non si rinviene, infatti, nel sistema della giustizia amministrativa (arg. ex artt. 79 e 80, c.p.a.) una norma che vieti una tale ipotesi di sospensione (cfr. Cass., Sez. un., 16 aprile 2012, n. 5943), né si profila una lesione del contraddittorio allorquando (come nel caso di specie), le parti, rese edotte della pendenza della questione di legittimità costituzionale, non facciano richiesta di poter interloquire davanti al giudice delle leggi sollecitando una formale rimessione della questione; tale esegesi, inoltre, è conforme sia al principio di economia dei mezzi processuali che a quello di ragionevole durata del processo (che assumono un particolare rilievo nel processo amministrativo in cui vengono in gioco interessi pubblici), in quanto, da un lato, si evitano agli uffici, alle parti ed alla medesima Corte costituzionale dispendiosi adempimenti correlati alla rimessione della questione di costituzionalità, dall’altro, si previene il rischio di prolungare la durata del giudizio di costituzionalità (e di riflesso di quelli a quo)”.

La Plenaria n. 28/2014 ha dunque ancorato l’istituto al consenso, quanto meno tacito, delle parti: esse possono opporsi e chiedere che vi sia una specifica rimessione della loro causa alla Corte costituzionale (o alla Corte di giustizia, o all’Adunanza Plenaria), per poter interloquire davanti al giudice ad quem.

Dal verbale dell’udienza dell’Adunanza Plenaria di data 8.10.2014, in esito alla quale è stata pronunciata l’ordinanza n. 28/2014, risulta che “Il Presidente sottopone ai difensori delle parti, ai sensi dell'art. 73, co 3 c.p.a., la questione concernente la pendenza, davanti alla Corte Costituzionale, del giudizio avente ad oggetto la legittimità della norma sancita dall'art. 42 bis t.u. espr.”.

In definitiva, la Plenaria osserva che, per come l’istituto è stato ricostruito dall’ordinanza n. 28/2014, e per come viene applicato attualmente, esso può costituire un’alternativa alla sospensione impropria “in senso stretto”, ossia alla rimessione alla Corte costituzionale o alla CGUE della medesima questione sollevata già in altro giudizio, con conseguente sospensione del giudizio, ovvero alla riproposizione di una questione simile a quella già rimessa all’esame della Adunanza Plenaria.

L’utilità pratica della sospensione impropria “in senso lato”, quale alternativa alla sospensione impropria “in senso stretto” (o a una ulteriore ordinanza di rimessione all’Adunanza Plenaria), si basa sui principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo, rilevanti avendo riguardo alla giurisdizione nel suo insieme e non circoscritta a un solo plesso giudiziario o a un singolo Collegio.

La Plenaria osserva che la sospensione di un giudizio, in attesa che venga definita una questione già sollevata innanzi alla Corte costituzionale, alla CGUE, all’Adunanza Plenaria, comporta un risparmio di tempi e costi sia per il giudice a quo che per il giudice ad quem, e per le stesse parti processuali, e quindi evita un inutile dispendio di attività processuali e accelera i tempi di definizione delle liti.

Basti pensare che la rimessione di un’identica questione in più giudizi alla CGUE comporta, per quest’ultima, un aggravio dei tempi e costi di traduzione. Basti ancora fare menzione di una vicenda riguardante la rimessione in Corte costituzionale, da parte del CGARS, di una questione di legittimità costituzionale di una legge regionale siciliana, riguardante un contenzioso seriale di circa cento affari. In quella vicenda, la rimessione in Corte costituzionale di due cause pilota, e la sospensione impropria “in senso lato”, con il consenso delle parti, disposta in ciascuna delle altre cause, hanno consentito di definire l’intero contenzioso fuori udienza, con decreti monocratici, una volta intervenuta una sola decisione della Corte costituzionale sulla questione controversa (le ordinanze di sospensione impropria adottate dal CGARS sono citate nel par. 15.7. della presente decisione).

La Plenaria, nella sentenza de qua, ha più volte affermato che la sospensione del giudizio può dirsi necessaria, ai sensi dell'art. 295 c.p.c., soltanto quando la previa definizione di “un’altra” controversia civile, penale o amministrativa pendente davanti ad altro giudice, sia imposta da un’espressa disposizione di legge, ovvero quando, per il suo carattere pregiudiziale, costituisca l'indispensabile antecedente logico-giuridico dal quale dipenda la decisione della causa pregiudicata ed il cui accertamento sia richiesto con efficacia di giudicato (Cass., VI-1, 14.12.2010 n. 25272; Cons. St., VI, 28.1.2013 n. 511) e che la sospensione per pregiudiziale costituzionale o eurounitaria non sarebbe un caso di sospensione “propria” perché manca la “alterità” della causa pregiudicante.

Va, tuttavia, ancora osservato per il Supremo Consesso, che la “pregiudizialità” può concernere, oltre che “cause”, anche “questioni”, ove si consideri l’ampia formulazione letterale dell’art. 295 c.p.c. che fa riferimento a “una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa”. Per il Collegio, l’espressione “controversia” può ritenersi riferita non solo ad una causa autonoma pregiudiziale, ma anche a una questione pregiudiziale sorta nella causa de quo. È quanto accade nel caso di rimessione, in un dato giudizio, di una questione alla Corte costituzionale, alla CGUE, questione che, in quel giudizio, ha appunto portata “pregiudiziale”, vale a dire nel caso della sospensione impropria “in senso stretto”. Si deve dunque anzitutto ritenere che la c.d. sospensione impropria “in senso stretto” disposta nel giudizio de quo in cui viene sollevata questione di legittimità costituzionale o questione pregiudiziale eurounitaria (e prevista da fonti normative puntuali, sopra enunciate), sia da qualificare come una species della sospensione necessaria di cui all’art. 295 c.p.c. In secondo luogo, per il Collegio, si deve considerare che la portata pregiudiziale di una questione non ha, nella sospensione impropria “in senso lato”, una consistenza diversa da quella che ha nella sospensione impropria “in senso stretto”. Invero, una pronuncia della Corte costituzionale di accoglimento, o interpretativa di rigetto, e una pronuncia della CGUE che affermi il contrasto del diritto nazionale con il diritto eurounitario, hanno una portata normativa, e come tale erga omnes, sicché, una volta sollevata una data questione davanti la Corte costituzionale o la CGUE, non può negarsi la prospettica pregiudizialità della questione rispetto a tutte le cause pendenti in cui rilevi la medesima questione. Quanto ai casi di rimessione all’Adunanza Plenaria, giova anzitutto osservare, secondo il Collegio, che nel giudizio in cui viene disposta una rimessione all’Adunanza Plenaria, non viene disposta nessuna “sospensione” del processo, perché il giudice a quo (la Sezione rimettente) e il giudice ad quem (l’Adunanza Plenaria), sono il medesimo giudice (Consiglio di Stato), in diversa composizione; sicché si ha, in luogo della sospensione, un rinvio della causa, senza fissazione del termine nell’ordinanza di rimessione, e con fissazione d’ufficio della data dell’udienza dell’Adunanza Plenaria. Quanto alla rilevanza di una questione pendente davanti l’Adunanza Plenaria in un diverso giudizio dove sorge la medesima questione, va considerato che le sue pronunce, pur non avendo portata normativa secondo il modello delle decisioni della Corte costituzionale e della CGUE, hanno una valenza di “precedente” che crea un vincolo di fatto per i giudici di primo grado, e un “vincolo relativo” vero e proprio per i giudici del Consiglio di Stato. Sicché, anche la definizione di una questione pendente davanti all’Adunanza Plenaria, ha una portata pregiudiziale rispetto a un giudizio in cui viene in rilievo la medesima questione.

In tale prospettiva, ricorda la Plenaria, la sospensione impropria “in senso lato”, per come si atteggia nella prassi applicativa, non può essere considerata una sospensione facoltativa praeter contra legem, frutto di giurisprudenza creativa, ma deve essere qualificata come una species della c.d. sospensione impropria “in senso stretto” normata espressamente dall’art. 23, l. 11.3.1953 n. 87, e dal par. 25 delle Raccomandazioni della Corte di giustizia dell’Unione europea ai giudici nazionali (2019/C 380/01). Sicché va anche essa ricondotta all’art. 295 c.p.c., al pari della sospensione impropria “in senso stretto”, fintanto che venga disposta per la rilevanza, nel giudizio de quo, della medesima questione già pendente davanti la Corte costituzionale o la CGUE.

In tal senso, ricorda il Collegio, si è già pronunciata l’Adunanza Plenaria, sia pure in via di obiter dictum, nella decisione 26.10.2020 n. 23, la quale ha qualificato la sospensione disposta in pendenza di questione rimessa all’Adunanza Plenaria in diverso giudizio come sospensione disposta “ex artt. 79 c.p.a. e 295 c.p.c.”. Inoltre, anche nel presente giudizio, osserva la Plenaria, la sospensione era stata disposta dalla VI Sezione - in pendenza di pregiudiziale eurounitaria sollevata in diverso processo - ai sensi dell’art. 295 c.p.c. Va poi evidenziato che si rinviene un considerevole numero di ordinanze di sospensione impropria “in senso lato” che richiamano espressamente l’art. 295 c.p.c.: può dirsi, quindi, diritto vivente che le ordinanze di sospensione impropria “in senso lato” vengono fondate sull’art. 295 c.p.c.

Ancora, la Plenaria osserva che l’opzione alternativa, caso per caso, tra sospensione impropria “in senso lato” e “in senso stretto”, entrambe da ricondurre all’art. 295 c.p.c., riposa sulla volontà delle parti, elemento determinante  nella ricostruzione dell’ordinanza dell’Adunanza Plenaria n. 28/2014.

Secondo il Collegio, va infatti tenuto conto che:

- nel giudizio incidentale di costituzionalità, non possono proporre intervento le parti di un giudizio diverso da quello a quo in cui l’incidente di costituzionalità sia stato sollevato, neppure se si tratta di parti di un giudizio oggetto di sospensione impropria “in senso lato” (v. Corte cost. n. 202/2020 e n. 218/2021);

- per il caso di rinvio pregiudiziale alla CGUE, l’art. 129 del regolamento di procedura della Corte di giustizia UE dispone che “L’intervento può avere come oggetto soltanto l’adesione, totale o parziale, alle conclusioni di una delle parti. Esso non attribuisce gli stessi diritti processuali riconosciuti alle parti; in particolare, quello di chiedere lo svolgimento di un’udienza”;

- davanti all’Adunanza Plenaria non è sufficiente a consentire l’intervento la sola circostanza che l’interventore sia parte di un giudizio in cui venga in rilievo una quaestio iuris identica o analoga a quella oggetto del giudizio pendente innanzi all’Adunanza Plenaria (Cons. St., Ad. Plen., 4.11.2016 n. 23; Id., 3.7.2017 n. 3; Id., 30.8.2018 n. 13; Id., 27.2.2019 n. 4; Id., 2.4.2020 n. 10; Id., 26.10.2020 n. 23; Id., 13.9.2022 n. 13).

Per il Collegio, in ragione dei divieti o limiti all’intervento davanti alla Corte costituzionale, alla CGUE e all’Adunanza Plenaria, nei giudizi in cui sorge una questione già pendente davanti a tali Consessi, alle parti deve essere consentita l’opzione tra l’attesa della definizione della questione, senza poter interloquire innanzi ad essi (nel qual caso è sufficiente la sospensione impropria “in senso lato”), e l’interlocuzione davanti a detti Consessi, per la quale è strumentale una nuova ordinanza di rimessione e la sospensione impropria “in senso stretto” per la rimessione alla Corte costituzionale o alla CGUE, mentre nessuna sospensione occorre in caso di rimessione all’Adunanza Plenaria. Va solo precisato, a dire del Collegio, che se una questione, già pendente in Plenaria, viene in rilievo in un giudizio davanti a un Tar, che non può disporre una rimessione per saltum alla Plenaria, alle parti va prospettata la possibilità di una sospensione impropria “in senso lato” (o un’altra delle possibilità che si illustreranno nel par. 18), senza che le parti abbiano possibilità di fruire di una rimessione diretta alla Plenaria, in ragione del grado in cui pende la lite.

In definitiva, secondo la Plenaria, la sospensione impropria “in senso lato” assolve alla medesima finalità della sospensione impropria “in senso stretto”, vale a dire attendere la definizione di una questione che ha portata pregiudiziale anche nel giudizio de quo, sebbene sollevata in un diverso giudizio, e l’opzione tra i due istituti riposa su ragioni di economia processuale e ragionevole durata del processo, e sulle scelte difensive delle parti dei giudizi de quo.

Si osserva, poi, che la prassi seguita dalle Sezioni del Consiglio di Stato risulta essere in tal senso.

La Plenaria chiarisce che, a sostegno dell’assunto che la sospensione impropria “in senso lato” ha un fondamento normativo nell’art. 295 c.p.c. giovano i seguenti dati normativi e di sistema:

(a) il c.p.a. non disciplina in via diretta tutti i casi di sospensione del processo (menzionandone uno solo, la sospensione per querela di falso), ma fa un rinvio dinamico al c.p.c., alle altre leggi, al diritto eurounitario (art. 79, comma 1, del c.p.a.);

(b) l’art. 44, comma 1, della l. 18.6.2009 n. 69, ha indicato, tra le finalità della codificazione del processo amministrativo, l’adeguamento della legge “alla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori”;

(c) in un sistema connotato da riserva di legge in materia di processo (art. 111, comma 1, Cost.), i precedenti giurisprudenziali non costituiscono autonoma fonte del diritto, e devono pertanto trovare sempre fondamento in una norma scritta di rango primario.

La Plenaria ricorda che, le sopra citate pronunce della Corte costituzionale (nn. 207/2004; 202/2020; 218/2021) hanno affermato che il “diritto vivente” non conosce la sospensione del processo per mere ragioni di opportunità. Basti ricordare, come esempio di tale diritto vivente:

- l’arresto delle Sezioni Unite della Corte di cassazione 1.10.2003 n. 14670, secondo cui nel quadro della disciplina di cui all'art. 42 c.p.c. non vi è più spazio per una discrezionale, e non sindacabile, facoltà di sospensione del processo, esercitabile dal giudice al di fuori dei casi tassativi di sospensione legale: ove ammessa, infatti, una tale facoltà - oltre che inconciliabile con il disfavore nei confronti del fenomeno sospensivo, sotteso alla riforma del citato art. 42 del codice di rito - si porrebbe in insanabile contrasto sia con il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) e della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.), sia con il canone della durata ragionevole, che la legge deve assicurare nel quadro del giusto processo ai sensi dell’art. 111 Cost.

- l’arresto della Corte di cassazione, Sez. I, 26.3.2013 n. 7580, secondo cui “appare più che dubbia la potestà del giudice di imporre autoritariamente una sospensione (arbitraria, più che facoltativa) in deroga al normale iter processuale, fuori dei casi obbligatori di pregiudizialità-dipendenza in senso stretto”. Sicché quella che viene definita sospensione impropria “in senso lato” per pendenza di questione di costituzionalità in un diverso processo, è ammissibile solo nell’ambito del paradigma della sospensione sull’accordo delle parti ai sensi dell’art. 296 c.p.c.: “Il sistema appare informato ad una dicotomia tra ipotesi tipiche ed obbligatorie di sospensione, e scelte lato sensu concordate, pur se non formalmente strutturate secondo l'archetipo dell'art. 296 c.p.c. (…) la sospensione del processo - "anomala", secondo la definizione empirica in uso in dottrina, in ragione dell'estraneità delle parti istanti al processo pregiudicante - appare, piuttosto, riconducibile nell'alveo concettuale della comune istanza delle parti; configurabile, anch'essa, come una parentesi processuale entro termini contenuti, seppur non predeterminati mediante fissazione ab initio dell'udienza di prosecuzione come formalmente richiesto dall'art. 296 c.p.c. (…)”.

Ancora, secondo il Collegio, in base al combinato disposto del sopra ricordato principio della legge delega, e dell’art. 79 comma 1, c.p.a., deve trarsi la conclusione che il c.p.a. ha inteso richiamare i casi di sospensione del processo previsti dal c.p.c., da interpretare alla luce della giurisprudenza della Corte di cassazione e della Corte costituzionale, sopra richiamata.

In definitiva, la Plenaria conclude che la sospensione impropria “in senso lato” deve ritenersi ammessa nel perimetro dei casi di sospensione già previsti dall’ordinamento: se la Cassazione ha ricondotto la fattispecie all’art. 296 c.p.c., con “adattamenti”, la Plenaria, nella sentenza in esame, ritiene che l’istituto sia ordinariamente riconducibile all’art. 295 c.p.c. Le due soluzioni differiscono più nella forma che nella sostanza, perché in entrambi i casi si richiede il consenso delle parti e non si ritiene necessario fissare il termine della nuova udienza. La stessa Corte di cassazione, con la citata pronuncia n. 7580/2013 riconduce la sospensione impropria “in senso lato” nel perimetro dell’art. 296 c.p.c., ammettendo tuttavia la possibilità che la sospensione non sia disposta per un termine prefissato non superiore a tre mesi e con fissazione della nuova udienza nell’ordinanza di sospensione del processo, come esige l’art. 296 c.p.c., bensì “entro termini contenuti, seppur non predeterminati mediante fissazione ab initio dell'udienza di prosecuzione come formalmente richiesto dall'art. 296 c.p.c.”.

Come rilevato dalla Plenaria in questa sede, vi è dunque una sostanziale convergenza, al di là dell’uso di diverse espressioni lessicali, tra la soluzione di cui alla Plenaria n. 28/2014 e quella di cui alla Cassazione n. 7580/2013. Né vi è una divergenza sostanziale tra la qualificazione della sospensione impropria “in senso lato” come sospensione ex art. 295 c.p.c. ovvero come sospensione ex art. 296 c.p.c., una volta che sia acquisito che in entrambi i casi le parti devono acconsentire e che in entrambi i casi non viene fissata (rectius, può non essere fissata) la nuova udienza.

La Plenaria, tuttavia, aggiunge che la varietà dei casi pratici che possono presentarsi sfugge ad una soluzione univoca e che entrambi gli strumenti (295 c.p.c. e 296 c.p.c. e altri che saranno indicati) possono essere utilizzati in base alle circostanze: esemplificando, se la questione già pendente in Corte costituzionale, o CGUE, o Plenaria, non è perfettamente identica a quella che si ritiene rilevante nel giudizio de quo, o se il giudice non sia convinto che sia effettivamente rilevante, lo strumento più appropriato da utilizzare potrebbe essere la sospensione su istanza e con l’accordo delle parti di cui all’art. 296 c.p.c. e non la sospensione ex art. 295 c.p.c.

Allora, la Plenaria esclude che il suo precedente n. 28/2014, nonché la successiva prassi applicativa, abbiano inteso creare un nuovo caso di sospensione del processo praeter legem contra legem: sebbene, come evidenziato dall’ordinanza di rimessione, la Plenaria n. 28/2014 faccia riferimento ai precedenti giurisprudenziali e al silenzio del c.p.a., ciò non significa che essa abbia considerato i precedenti alla stregua di fonte del diritto processuale o ammesso la sospensione del processo fuori dai casi espressamente contemplati. Piuttosto, secondo la Plenaria, in tale suo precedente si è inteso motivare sinteticamente sull’esistenza dell’istituto (che non era in contestazione in quel giudizio), secondo il quadro normativo vigente come interpretato dalla giurisprudenza, e ha fondato la possibilità di sospensione del processo, nella sostanza, sul consenso delle parti e sull’assenza di una lesione del contraddittorio, così bilanciando le esigenze di economia processuale con quelle della tutela del contraddittorio. Tanto più che all’epoca di adozione della Plenaria n. 28/2014 era già noto l’orientamento della Corte costituzionale, espresso dalla decisione n. 207/2004.

Il Collegio, poi, ritiene necessario fare ulteriori precisazioni sul contenuto necessario di un’ordinanza di sospensione impropria “in senso lato”, al fine di assicurarne l’effettiva coerenza con le prescrizioni delle decisioni della Corte costituzionale nn. 207/2004; 202/2020; 218/2021. Si ricorda, anzitutto, che se sul piano dogmatico la soluzione preferibile è quella che qualifica la sospensione impropria “in senso lato” come sospensione ex art. 295 c.p.c., tuttavia, da un lato, ai fini pratici, si realizza un effetto equivalente anche se siffatta sospensione venga disposta ai sensi dell’art. 296 c.p.c., e dall’altro lato, ci sono casi in cui la soluzione più appropriata è quella di una ordinanza ex art. 296 c.p.c.

Quindi, nel paradigma normativo dell’art. 295 c.p.c., la sospensione impropria “in senso lato”, secondo la Plenaria, va disposta sentite le parti ai sensi dell’art. 73, comma 3, c.p.a., e solo se le parti, o anche una sola di esse, non rappresenti l’esigenza di interloquire direttamente davanti la Corte costituzionale, la CGUE, la Plenaria: nel qual caso, andrà disposta una nuova rimessione alla Corte costituzionale, alla CGUE, alla Plenaria, con sospensione impropria “in senso stretto”, nei primi due casi. L’ordinanza di sospensione impropria “in senso lato” adottata ai sensi dell’art. 295 c.p.c., non contiene la data della nuova udienza, e onera le parti di presentare un’istanza di fissazione di udienza ai sensi dell’art. 80, comma 1, c.p.a., dopo la cessazione della causa di sospensione del processo.

Invece, il paradigma normativo della sospensione ex art. 296 c.p.c. esige:

- l’istanza di tutte le parti;

- giustificati motivi per la sospensione;

- la sospensione per un periodo non superiore a tre mesi;

- la fissazione, nell’ordinanza di sospensione del processo, dell’udienza per la prosecuzione del processo medesimo.

La Plenaria aggiunge che, oltre a quanto affermato da suo precedente n. 28/2014 e a quanto dispongono, nella prassi applicativa, le ordinanze di sospensione impropria “in senso lato”, la sospensione impropria “in senso lato” deve essere espressamente qualificata come sospensione ai sensi dell’art. 295 c.p.c. (o ai sensi dell’art. 296 c.p.c.), e, per l’effetto, le parti devono essere informate, ai sensi dell’art. 73, comma 3, del c.p.a., della possibilità di siffatta sospensione quale alternativa alla diretta rimessione, nella causa de quo, della questione alla Corte costituzionale (o alla CGUE o all’Adunanza Plenaria) e devono concordare su tale alternativa. Di tale accordo dovrà darsi atto nel verbale di udienza e nell’ordinanza di sospensione. Inoltre, sulla base di una valutazione prospettica in ordine ai tempi di decisione dell’incidente in ragione del quale la causa viene sospesa, l’ordinanza dovrà già indicare il termine massimo di sospensione e fissare la nuova udienza, ovvero potrà non fissare alcun termine. In questa seconda evenienza, l’ordinanza dovrà espressamente rendere edotte le parti che esse hanno l’onere di presentare istanza di fissazione di udienza finalizzata alla prosecuzione del processo ai sensi dell’art. 80 comma 1, c.p.a.

L’Adunanza Plenaria aggiunge che l’esigenza di economia processuale sottesa all’istituto della sospensione impropria “in senso lato”, da qualificarsi come sospensione ex art. 295 c.p.c. o ex art. 296 c.p.c., può essere soddisfatta anche attraverso altri istituti, consentiti dal c.p.a., sempre a condizione che le parti non dichiarano di avere interesse a interloquire davanti al giudice ad quem. In particolare vengono in rilievo le seguenti opzioni:

(a) il rinvio della causa a data fissa, motivando nel verbale di udienza, ai sensi dell’art. 73, comma 1-bis, c.p.a., sulle ragioni del rinvio e sull’accordo delle parti ad attendere la definizione di un incidente di costituzionalità, o eurounitario, o di una rimessione all’Adunanza Plenaria, in un diverso processo; con tale soluzione, non vi è alcun onere delle parti di chiedere la fissazione dell’udienza per la prosecuzione del processo;

(b) la cancellazione della causa dal ruolo, sentite le parti e dandone atto nel verbale di udienza; la cancellazione dal ruolo onera le parti di presentare una nuova istanza di fissazione di udienza entro il termine di perenzione ordinaria del processo; tale possibilità deve però ritenersi ammessa solo nei processi soggetti a impulso di parte, perché la cancellazione della causa dal ruolo non è logicamente compatibile con i giudizi soggetti a riti processuali in cui non occorre istanza di parte per la fissazione dell’udienza (es. riti ex artt. 87, 120, 130, c.p.a.) (Cons. St., V, 1.6.2023 n. 697, decr.);

(c) in linea di principio, deve ritenersi non ammessa la possibilità di un “rinvio a data da destinare” che talora si riscontra nella prassi, perché il concetto stesso di “rinvio” implica che venga anche stabilita la nuova data di udienza; non si può tuttavia escludere che eccezionali esigenze pratiche giustifichino l’adozione di tale tipologia di rinvio, ad es. perché va disposto un rinvio a lungo termine e non è ancora disponibile il calendario delle udienze; inoltre può accadere che un siffatto tipo di rinvio sia di fatto disposto; ove ciò accada, è compito delle segreterie e dei presidenti monitorare tali rinvii, per la fissazione d’ufficio della nuova udienza, mentre non vi è alcun onere delle parti di chiedere la fissazione dell’udienza per la prosecuzione del processo.

Per il Collegio, giova infine aggiungere che sia nel caso di ordinanza ex art. 296 c.p.c. a termine, che di rinvio a data fissa, nulla preclude, ove in prossimità della nuova udienza risulti che la questione pregiudiziale sollevata in altro giudizio non sia stata ancora definita, che le parti chiedano, anche fuori udienza, un ulteriore rinvio, che può essere disposto anche con motivato decreto presidenziale fuori udienza (art. 73, comma 1-bis, c.p.a.).

La risposta al primo quesito sottoposto all’Adunanza Plenaria è contenuta nel successivo par. 4.

 

La Plenaria, dunque, procede con la trattazione del secondo quesito: in particolare, l’ordinanza di rimessione chiede, per il caso in cui si ammetta la perdurante operatività della sospensione impropria “in senso lato”, se “si abbia una sospensione in senso tecnico, con la conseguenza che la prosecuzione del giudizio è subordinata necessariamente all’impulso di parte, ovvero una situazione differente, di mero rinvio della causa, tale da non giustificare l’applicazione dell’art. 80 co. 1, c.p.a.”.

Per la Plenaria, la risposta al secondo quesito deriva come naturale corollario dalla risposta già data al primo: posto che le esigenze di economia processuale e ragionevole durata del processo sottese alla sospensione impropria “in senso lato” possono essere perseguite attraverso la sospensione ex art. 295 c.p.c., quella ex art. 296 c.p.c., o mediante il rinvio della causa o la cancellazione dal ruolo, a seconda dell’istituto prescelto, diverse sono le conseguenze in ordine ai meccanismi di prosecuzione del giudizio:

(i) nei casi di sospensione ex art. 295 c.p.c., occorre un impulso di parte ai sensi dell’art. 80, comma 1, c.p.a.;

(ii) altrettanto è a dirsi per il caso di sospensione ex art. 296 c.p.c. senza fissazione di nuova udienza;

(iii) nei casi di sospensione ex art. 296 c.p.c. con previsione della data della nuova udienza, non è previsto (né necessario) alcun impulso di parte;

(iv) nel caso di rinvio a data fissa, o, eccezionalmente, a data da destinare, non è previsto (né necessario) alcun impulso di parte;

(v) nel caso di cancellazione della causa dal ruolo (quando è consentito, ossia nei riti soggetti a impulso di parte), occorre un’istanza di fissazione di udienza entro il termine di perenzione ordinaria.

Il Collegio, offrendo una risposta completa al secondo quesito, aggiunge che può patologicamente verificarsi che venga disposta una sospensione impropria “in senso lato” senza interpellare le parti o senza il loro consenso: mentre un’ordinanza disposta ex art. 296 c.p.c. con l’accordo delle parti, ma senza fissazione della nuova udienza, deve ritenersi legittima, un’ordinanza di sospensione impropria “in senso lato”, disposta senza il consenso delle parti, deve ritenersi viziata. Per la Plenaria, si tratta di ordinanza viziata, ma tuttavia non abnorme, e quindi soggetta ai rimedi che l’ordinamento prevede e, in difetto di esperimento di tali rimedi, l’ordinanza va considerata alla stregua di un’ordinanza di sospensione che non contiene il termine per la prosecuzione del processo, sicché le parti sono onerate, ai sensi sia dell’art. 297 c.p.c. che dell’art. 80, comma 1, c.p.a., di chiedere la fissazione dell’udienza, nel termine previsto dall’art. 80, comma 1, c.p.a.

Il Collegio ricorda che l’art. 297 c.p.c. dispone che, se col provvedimento di sospensione non è stata fissata l’udienza in cui il processo deve proseguire, le parti debbono chiederne la fissazione, nel termine ivi previsto. L’art. 297 c.p.c., che è collocato sistematicamente sia dopo l’art. 295 che dopo l’art. 296 c.p.c., si riferisce a tutti i casi di sospensione del processo, e a tutte le ordinanze di sospensione, sia quelle che fisiologicamente non fissano l’udienza di prosecuzione (art. 295 c.p.c.), sia quelle per le quali la mancata fissazione della data della nuova udienza costituisca una patologia che non ha trovato rimedio. A sua volta l’art. 80 c.p.a. dispone che, in caso di sospensione del processo, per la sua prosecuzione deve essere presentata istanza di fissazione, senza fare distinzione tra i diversi casi di sospensione del processo, e tra i casi di ordinanze che fisiologicamente non fissano l’udienza di prosecuzione e i casi di ordinanze che patologicamente non fissano la data della nuova udienza.

La Plenaria, inoltre, esclude che l’onere di parte di chiedere la fissazione dell’udienza, anche quando l’ordinanza di sospensione sia illegittima, possa essere supplito da un impulso d’ufficio.

A questo punto, il Collegio dà conto della previsione recata dall’art. 80, comma 3-bis, c.p.a., di ambigua formulazione, che potrebbe prestarsi alla lettura che un impulso d’ufficio sia consentito: infatti, dispone l’art. 80, comma 3-bis, c.p.a., che in tutti i casi di sospensione del giudizio (oltre che di interruzione), il presidente può disporre istruttoria per accertare la persistenza delle ragioni che la hanno determinata e “l’udienza è fissata d’ufficio trascorsi tre mesi dalla cessazione di tali ragioni”, ossia dopo che è scaduto il termine per l’impulso di parte (pari a novanta giorni nell’ipotesi dell’art. 80, comma 1, c.p.a. e a tre mesi nell’ipotesi dell’art. 80, comma 3, c.p.a.). Tale previsione, per la Plenaria, sembra, in base al suo tenore letterale, prevedere un impulso d’ufficio sia nella verifica del perdurare delle cause di sospensione che nella prosecuzione del giudizio, ma una siffatta esegesi, a dire del Collegio, contrasterebbe:

(i) con la perdurante regola secondo cui è onere della parte proseguire o riassumere il giudizio sospeso o interrotto, entro un termine imposto a pena di estinzione del processo (art. 80, commi 1, 2, 3, c.p.a.; art. 35, comma 2, lett. a), c.p.a.);

(ii) con la natura dispositiva del processo e con il principio di parità delle parti;

(iii) con l’eccezionalità della rimessione in termini di una parte per un adempimento processuale, che postula il presupposto dell’errore scusabile, interpretato in senso restrittivo dall’Adunanza Plenaria (Cons. St., Ad. Plen., 2.12.2010 n. 3; Id., 10.12.2014 n. 33, ord.; Id., 27.7.2017 n. 22);

(iv) con la stessa natura discrezionale del potere officioso presidenziale.

Il meccanismo officioso di cui all’art. 80, comma 3-bis, c.p.a., quindi, secondo la Plenaria, va interpretato nel senso che esso mira a eliminare situazioni di stallo nella verifica del perdurare delle cause di sospensione, in relazione a giudizi sospesi da lungo tempo e in cui le parti non informano l’ufficio dell’esito della vicenda pregiudiziale, attraverso un’istruttoria presidenziale. Una volta accertato che la causa di sospensione è cessata, e acclarato che sono decorsi i tre mesi che costituiscono lo spatium deliberandi per l’impulso di parte, la previsione non consente di sostituire con un’iniziativa d’ufficio l’onere di impulso di parte per la riattivazione del processo a seguito della cessazione di una causa di sospensione del processo. La fissazione di ufficio dell’udienza è finalizzata non già necessariamente alla prosecuzione del processo, ma alla verifica da parte del Collegio se la causa di sospensione sia effettivamente cessata e se l’inerzia delle parti sia o meno giustificata; ove ingiustificata, ne consegue l’estinzione del processo per mancata tempestiva prosecuzione. Invero, il citato comma 3-bis dispone che l’udienza è fissata d’ufficio “trascorsi tre mesi dalla cessazione di tali ragioni”, ossia “dopo” il decorso del termine per l’iniziativa di parte. Il che implica che l’udienza viene fissata per trarre le conseguenze processuali dell’inerzia delle parti. E sempre che non sia possibile, a fronte di situazioni di inerzia manifesta e che non danno àdito a dubbi, definire la causa con decreto monocratico di estinzione del processo preso fuori udienza. Un’esegesi diversa, nel senso della sostituzione dell’impulso di parte con quello d’ufficio, creerebbe un insanabile contrasto del comma 3-bis con i commi 1, 2, e 3 dell’art. 80 c.p.a., e farebbe porre un dubbio di legittimità costituzionale della previsione per disparità di trattamento tra i giudizi in cui non viene fatta istruttoria sul perdurare degli eventi sospensivi (nei quali rimane l’impulso di parte) e quelli in cui viene fatta istruttoria, nei quali l’impulso di parte è sostituito dall’impulso d’ufficio. Se il razionale della disposizione in commento fosse l’impulso d’ufficio in funzione acceleratoria, dice la Plenaria, non si comprenderebbe perché l’impulso d’ufficio non è attivabile fintanto che è possibile l’impulso di parte (ossia nei tre mesi decorrenti dalla cessazione della causa di sospensione), così come non si giustificherebbe un’iniziativa d’ufficio dopo che le parti, con la loro inerzia protratta tre mesi, hanno manifestato disinteresse per la causa.

Il Collegio rassicura, comunque, sul fatto che l’affermazione sopra fatta, secondo cui anche un’ordinanza di sospensione illegittima non esonera la parte dall’onere di chiedere la fissazione dell’udienza una volta cessata la causa di sospensione, non lascia la parte priva di tutela a fronte di una sospensione illegittima. L’ordinamento infatti appresta adeguati e proporzionati rimedi alla parte che si dolga, per quel che qui interessa, che un’ordinanza di sospensione impropria “in senso lato” del processo è stata adottata senza il contraddittorio delle parti, precludendo ad essa la facoltà di interloquire davanti la Corte costituzionale, la CGUE, l’Adunanza Plenaria, come sarebbe stato possibile se il giudice avesse rimesso in quel giudizio la questione pregiudiziale a uno di tali Consessi.

Quanto all’individuazione di tali rimedi, la Plenaria chiarisce che, anzitutto, qualificata l’ordinanza di sospensione impropria “in senso lato” come ordinanza riconducibile all’art. 295 c.p.c., ne discende la sua appellabilità ai sensi dell’art. 79, comma 3, c.p.a. Inoltre, il Collegio ricorda che la Corte di cassazione ha dato un’interpretazione estensiva dell’art. 42 c.p.c., che formalmente contempla il rimedio del regolamento di competenza solo per impugnare le ordinanze di sospensione del processo ai sensi dell’art. 295 c.p.c. Secondo le Sezioni unite, dall’esclusione della configurabilità di una sospensione facoltativa ope iudicis del giudizio, fuori dai casi tassativamente previsti dall’ordinamento deriva sistematicamente, come logico corollario, l’impugnabilità, ai sensi dell'art. 42 c.p.c., di ogni sospensione del processo, quale che ne sia la motivazione, e che il ricorso deve essere accolto ogni qualvolta non si sia in presenza di un caso di sospensione ex lege (Cass., Sez. Un., 1.10.2003 n. 14670). Più in generale, ricorda la Plenaria, il rimedio dell’art. 42 c.p.c. è stato ritenuto estensibile a casi di ingiustificata quiescenza del processo in ragione di sospensioni non consentite ab origine o il cui mantenimento non si giustifica (Cass., Sez. Un., 29.7.2021 n. 21763; Id., VI – 2, 1.4.2021 n. 9057).

Il Collegio ritiene che siffatto ragionamento della Corte di cassazione possa essere seguito nell’esegesi dell’art. 79 comma 3, c.p.a., a tenore del quale le ordinanze di sospensione del processo emesse ai sensi dell’art. 295 c.p.c. sono appellabili. Ad avviso del Collegio il rimedio dell’appello va esteso alle ordinanze di sospensione del processo diverse da quelle adottate ai sensi dell’art. 295 c.p.c., quando si intenda contestare che la sospensione del processo sia stata disposta al di fuori dei relativi presupposti processuali (arg. da CGARS, 25.2.2021 n. 144), ferma la preclusione del rimedio per contestare il merito di un’ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale o alla CGUE (Cass., Sez. Un., 31.5.1984 n. 3317; Id., 11.12.2007 n. 25837; Cons. St., III, 29.11.2019 n. 8204; CGARS, 25.2.2021 n. 144; Cons. St., V, 19.7.2023 n. 7076).

Ancora, viene ricordato che, in relazione ad ordinanze di sospensione adottate dal giudice di primo grado al di fuori dei parametri normativi, oltre al suddetto rimedio dell’appello, alle parti è aperta la possibilità di sollecitare il potere presidenziale di cui all’art. 80, comma 3-bis, c.p.a. di fissazione dell’udienza, negli stretti limiti in cui l’esercizio di tale potere è consentito, come sopra indicati.

Il Collegio ricorda che il rimedio dell’appello, ex art. 79 comma 3, del c.p.a., riguarda le ordinanze di sospensione del processo rese nei giudizi davanti al Tar, e non si estende alle ordinanze di sospensione del processo rese dal Consiglio di Stato-CGARS. In tal caso, avverso le ordinanze di sospensione disposte in grado di appello, soccorrono:

- il rimedio in senso lato, attivabile d’ufficio, se del caso su sollecitazione delle parti, di cui all’art. 80 comma 3-bis, c.p.a., nei limiti sopra visti;

- la possibilità di chiedere la revoca dell’ordinanza di sospensione impropria, come ammesso dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (v. Cons. St., V, 12.2.2017 n. 457; Id., V, 11.11.2016 n. 4687, ordd.).

La risposta al secondo quesito sottoposto dall’ordinanza di rimessione è riportata al paragrafo 4.

 

Proseguendo con l’iter argomentativo, l’Adunanza Plenaria passa ad analizzare il secondoquesito, con il quale si chiede se il termine per la prosecuzione del processo previsto dall’art. 80, comma 1, c.p.a., abbia natura perentoria o ordinatoria.

Alla luce delle risposte date al primo e al secondo quesito, la Plenaria ritiene che la questione della natura - perentoria o ordinatoria- del termine di cui all’art. 80, comma 1, c.p.a., debba avere una soluzione identica per ogni ipotesi di sospensione del processo, e anche quando una sospensione del processo sia disposta al di fuori dei relativi presupposti normativi e non sia stata contestata con i rimedi che l’ordinamento appresta.

Ciò posto, il Collegio ritiene che il termine per l’istanza di fissazione di udienza finalizzata alla prosecuzione del giudizio, previsto dal citato art. 80, comma 1, c.p.a., sia un termine perentorio: sebbene, infatti, l’art. 80, comma 1, c.p.a., non rechi una qualificazione espressa del termine ivi previsto come perentorio, a differenza di quanto fa il comma 3 del medesimo articolo in relazione al termine per la riassunzione del processo a seguito di interruzione, tale dato letterale non è affatto decisivo per trarne la conclusione che il termine sia ordinatorio.

Già la formulazione letterale dell’art. 80, comma 1, c.p.a., secondo la Plenaria, depone nel senso della natura perentoria del termine posto che vi si afferma che l’istanza di fissazione dell’udienza “deve” essere presentata entro il detto termine. A tale risultato ermeneutico conduce anche il canone dell’interpretazione sistematica. Come già ricordato, l’art. 79, comma 1, c.p.a., richiama, per la sospensione del processo, la disciplina contenuta nel c.p.c. Sicché ogni lacuna o dubbio esegetico inerente le norme sulla sospensione del processo, contenute nel c.p.a., va colmato mediante ricorso alla disciplina recata dal c.p.c. Orbene, l’art. 297 comma 1, c.p.c., che costituisce norma speculare dell’art. 80, comma 1, c.p.a., dispone che, se col provvedimento di sospensione non è stata fissata l’udienza in cui il processo deve proseguire, le parti debbono chiederne la fissazione entro un termine espressamente qualificato come “perentorio”. Le due previsioni contengono una minima differenza sulla durata del termine, quantificato in “tre mesi” dall’art. 297 comma 1, c.p.c. e in “novanta giorni” dall’art. 80, comma 1, c.p.a. Per ragioni di coerenza dell’ordinamento normativo nel suo complesso, ricorda la Plenaria, non può che ritenersi che il termine per l’istanza di fissazione di udienza finalizzata alla prosecuzione del processo a seguito di sua sospensione, abbia la stessa natura nel processo civile e nel processo amministrativo, e dunque sia perentorio anche nel processo amministrativo, essendo tale nel processo civile. In entrambi i casi il principio di ragionevole durata del processo e quello di leale collaborazione delle parti, in una con il divieto di abuso del processo, esigono che il processo non subisca stasi irragionevoli e che gli adempimenti delle parti siano tempestivi.

Inoltre, il Collegio afferma che esigenze di coerenza normativa si impongono anche nell’esegesi congiunta dell’art. 80, comma 1 e dell’art. 80, commi 2 e 3, c.p.a. Invero, i commi 2 e 3 dell’art. 80 prevedono, a seguito di interruzione, sia la possibilità di prosecuzione che di riassunzione del giudizio: la giurisprudenza ha ritenuto che il termine per la prosecuzione del giudizio a seguito di interruzione, previsto dal comma 2, è perentorio come il termine di riassunzione del comma 3, e tanto sebbene l’art. 80, comma 2 non contempli alcun termine né lo qualifichi. Tanto, in applicazione dell’art. 305 c.p.c. (Cons. St., VI, 29.1.2015 n. 405; Id., IV, 8.8.2016 n. 3534; Id., IV, 3.10.2017 n. 4587; Id., IV, 20.1.2020 n. 447; CGARS 22.9.2022 n. 964).

Ancora, la Plenaria aggiunge che, ai sensi dell’art. 35, comma 2, lett. a), c.p.a., il giudice dichiara estinto il giudizio se, nei casi previsti dal c.p.a., “non viene proseguito o riassunto nel termine perentorio fissato dalla legge o assegnato dal giudice”. Il riferimento alla prosecuzione del giudizio deve ritenersi fatto anche al caso dell’onere di prosecuzione a seguito di sospensione del giudizio.

Non convince il Collegio il fatto che l’affidamento che la decisione della IV Sezione n. 1686/2021 fa sull’art. 152, comma 2 c.p.c. a tenore del quale i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori, per inferirne che il silenzio dell’art. 80, comma 1, c.p.a. sulla natura del termine comporti che si tratta di un termine ordinatorio. Tale esegesi non dimostra perché l’art. 152, comma 2 c.p.c. deve ritenersi applicabile alla sospensione del giudizio nel processo amministrativo. Invero, l’art. 39, comma 1, c.p.a. dispone che, per quanto non disciplinato dal c.p.a., “si applicano le disposizioni del codice di procedura civile in quanto compatibili o espressione di principi generali”. L’applicazione dell’art. 152, comma 2, c.p.c. nel processo amministrativo presuppone dunque, la doppia verifica che ci sia una lacuna nel c.p.a., e che l’art. 152, comma 2, c.p.c. sia espressione di un principio generale o sia compatibile con il c.p.a.

Ora, non risulta dimostrata l’esistenza di una lacuna nella disciplina della sospensione del processo da colmare con l’art. 152, comma 2, c.p.c., perché in materia di sospensione del processo si applicano le norme del c.p.c. oggetto di richiamo puntuale, e in particolare il citato art. 297, comma 1 c.p.c., che qualifica come perentorio il termine per la prosecuzione del giudizio a seguito di sospensione. Manca perciò in radice il presupposto per applicare l’art. 152, comma 2, c.p.c., ossia l’assenza di qualificazione normativa del termine come perentorio, perché la qualificazione normativa espressa esiste, essendo contenuta nell’art. 297 c.p.c., che trova applicazione nel processo amministrativo in via immediata e diretta, per via di richiamo espresso e puntuale. Sicché, nemmeno occorre verificare se l’art. 152, comma 2 c.p.c. sia espressione di un principio generale o sia compatibile con il processo amministrativo, perché nel caso di specie difetta in radice il primo dei presupposti che consentono l’integrazione del processo amministrativo con il c.p.c.

Ancora, ritiene la Plenaria che non sarebbe coerente con un sistema processuale governato dal principio della ragionevole durata del processo (art. 111, comma 2, Cost., e art. 2, comma 2, c.p.a.) rimettere alla mera volontà delle parti la ripresa della trattazione, con il rischio di provocare una quiescenza del giudizio sine die o perlomeno una quiescenza coincidente con il ben più lungo termine di perenzione. Infine, il canone dell’interpretazione storica, secondo la Plenaria, conforta la soluzione della natura perentoria del termine. Invero, prima dell’entrata in vigore del c.p.a., si delineava un contrasto interpretativo tra la tesi secondo cui per la prosecuzione del giudizio sospeso occorreva un’istanza di fissazione di udienza, da presentarsi nel termine di perenzione (che prima del c.p.a. era biennale). La Plenaria ricorda che, il c.p.a., avendo consapevolmente optato per una delle due tesi previgenti e svincolato l’istituto della sospensione del giudizio da quello della perenzione, e avendolo ancorato al c.p.c., ha anche optato per la soluzione dell’onere di prosecuzione del giudizio a cura delle parti entro un termine perentorio, e non entro il termine di perenzione del giudizio, in coerenza, peraltro, con il principio di delega secondo cui il processo amministrativo deve assicurare la ragionevole durata del processo.

Viene ricordato, inoltre, che nel senso della perentorietà del termine di cui all’art. 80, comma 1, c.p.a., è la pressoché univoca giurisprudenza del Consiglio di Stato (oltre al precedente della VI Sezione richiamato dall’ordinanza di rimessione - ossia Cons. St., VI, 3.1.2023 n. 82 - ex multis, Cons. St., III, 2.8.2023 n. 7489; Id., III, 7.6.2023 n. 5603; Id., V, 24.11.2022 n. 10364) Vanno inoltre ricordati, per il Collegio, i numerosi decreti monocratici decisori, che hanno dichiarato l’estinzione del processo per mancata prosecuzione ai sensi dell’art. 80, comma 1, c.p.a., che esplicitamente o implicitamente hanno ritenuto tale termine perentorio, diversamente non potendo ricollegare all’inattività delle parti l’effetto giuridico dell’estinzione del giudizio (ex multis, Cons. St., IV: 6.2.2014 n. 122; 10.3.2014 n. 205; 18.4.2016, nn. 463-466; 9.9.2016 n. 1188).

Secondo la Plenaria, alla conclusione che il termine in questione ha natura perentoria non osta la circostanza, addotta dall’ordinanza di rimessione, che occorrerebbe assicurare un’applicazione effettiva delle pronunce della CGUE, dato anche il loro carattere “normativo”, laddove gli effetti di una pronuncia della CGUE sarebbero “attenuati se non addirittura vanificati se non fosse assicurato alla parte che ha interesse a valersene in giudizio e ai giudici nazionali di tenerne conto in quanto componente del diritto UE, tanto più se l’impedimento fosse legato all’esistenza di una prassi processuale di creazione giurisprudenziale - la sospensione impropria - e di una regola processuale ad esso applicabile non codificata ma derivante dall’applicazione in via analogica o estensiva di quanto stabilito per la sospensione propria, ove l’art. 80, comma 1, fosse letto nel senso della perentorietà del termine” (così, testualmente, l’ordinanza di rimessione).

Per il Collegio, quindi, va ribadito, in linea di principio, quanto già affermato dalla stessa Adunanza Plenaria, secondo cui “le sentenze pregiudiziali interpretative della Corte di Giustizia hanno la stessa efficacia vincolante delle disposizioni interpretate: la decisione della Corte resa in sede di rinvio pregiudiziale, dunque, oltre a vincolare il giudice che ha sollevato la questione, spiega i propri effetti anche rispetto a qualsiasi altro caso che debba essere deciso in applicazione della medesima disposizione di diritto (in tal senso è costante la giurisprudenza comunitaria […]” (Cons. St., Ad. Plen., 9.6.2016 n. 11).

Tuttavia, viene affermato nella sentenza in esame che, per principio generale dell’ordinamento, fuori dal campo dei giudizi permeati dall’impulso d’ufficio in connessione con l’esigenza di un’applicazione officiosa e imperativa del diritto (es. processo penale), la corretta applicazione del diritto obiettivo nel caso concreto, in presenza di contrasto tra le parti, postula la via processuale, che è onere della parte interessata diligentemente perseguire e coltivare. Il principio dispositivo permea sia la tutela dei diritti che quella degli interessi legittimi, come si evince dall’art. 24 Cost., secondo cui tutti “possono” agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi, mentre non esiste un principio costituzionale di sostituzione dell’iniziativa di parte con l’impulso d’ufficio, fuori dal processo penale. Inoltre, nel processo amministrativo, la rimessione in termini di una parte che sia decaduta dall’osservanza di un termine perentorio, passa per gli stretti presupposti, già ricordati, della scusabilità dell’errore, a garanzia non solo della certezza del diritto, ma anche del principio di parità delle armi e di non discriminazione in favore di una parte processuale e a detrimento dell’altra.

A tali generalissimi e basilari principii, ricorda la Plenaria, non fa eccezione la corretta applicazione del diritto eurounitario, ivi comprese le pronunce della CGUE: la Corte europea, infatti, riconosce il principio dell’autonomia processuale degli Stati membri, ribadendo l’importanza che riveste, sia nell’ordinamento giuridico dell’Unione che negli ordinamenti giuridici nazionali, il principio di stabilità del diritto e dei rapporti giuridici e una buona amministrazione della giustizia, purché l’autonomia procedurale degli Stati membri rispetti i principi di equivalenza e di effettività (CGUE, 10.7.2014 C-213/13), vale a dire purché il processo davanti ai giudici nazionali non renda impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio di diritti di derivazione eurounitaria, attraverso l’imposizione di oneri inutili o sproporzionati (CGUE, 14.9.2017 C-184/16, §§ 58-60; Id., 13.3.2014 C-29/13 e C-30/13, § 33).

Secondo la CGUE, nell’ambito di tale autonomia procedurale, la fissazione di termini di ricorso a pena di decadenza, purché ragionevoli nell’interesse della certezza del diritto, a tutela sia del singolo sia dell’amministrazione, è compatibile con il diritto dell’Unione (CGUE, 14.9.2017 C-184/16, § 60; Id., 17.11.2016 C-348/14, § 41; Id., 16.1.2014 C-429/12, § 29; Id., 18.10.2012 C-603/10, § 23; Id., 15.4.2010 C-542/08, § 28; Id., 6.10.2009 C-40/08, §§ 41-43 che ha ritenuto ragionevole un termine processuale di 60 giorni).

Da numerosi arresti della CGUE la Plenaria afferma potersi desumere il principio generale secondo cui i processi davanti ai giudici nazionali non devono imporre oneri manifestamente sproporzionati che rendono impossibile o estremamente difficile l’esercizio di diritti di derivazione eurounitaria, ma anche il corollario di tale principio, vale a dire che la certezza del diritto giustifica la decadenza o prescrizione di siffatti diritti di derivazione eurounitaria, se non coltivati entro i termini processuali previsti dalle leggi nazionali, purché si tratti di termini ragionevoli. In aggiunta, la Corte di giustizia ha affermato, persino in un settore connotato da relazioni asimmetriche, quale è quello della tutela dei consumatori, che il rispetto del principio di effettività non può giungere al punto di esigere che un giudice nazionale debba compensare un’omissione procedurale di una parte o supplire integralmente alla completa passività della parte interessata (CGUE, 6.10.2009 C-40/08, § 47) e che il rispetto del principio di effettività non può supplire integralmente alla completa passività del consumatore interessato (CGUE, 1.10.2015 C-32/14, § 62; Id., 17.5.2022 C-693/19 e C-831/19, § 58). In maniera ancora più pertinente al caso oggetto del presente giudizio, la CGUE ha affermato che, purché siano rispettati i suddetti principi di equivalenza ed effettività, non contrasta con il diritto eurounitario “il principio di diritto nazionale secondo il quale in un procedimento civile il potere o dovere del giudice di sollevare motivi d'ufficio è limitato dall'obbligo per lo stesso di attenersi all'oggetto della lite e di basare la sua pronuncia sui fatti che gli sono stati presentati”. Secondo la CGUE, “tale limitazione è giustificata dal principio secondo il quale l'iniziativa di un processo spetta alle parti, e il giudice può agire d'ufficio solo in casi eccezionali in cui il pubblico interesse esige il suo impulso. Questo principio attua concezioni condivise dalla maggior parte degli Stati membri quanto ai rapporti fra lo Stato e il singolo, tutela i diritti della difesa e garantisce il regolare svolgimento del procedimento, in particolare preservandolo dai ritardi dovuti alla valutazione dei motivi nuovi” (CGUE 14.12.1995 C-420/93 e C-431/93, §§ 20 e 21).

In definitiva, dice la Plenaria, anche se lo spirare dei termini processuali previsti dalle leggi processuali nazionali impedisce, di fatto, l’esercizio dei diritti riconosciuti dal diritto dell’UE, ciò non si traduce in una violazione del diritto dell’UE, purché i termini siano ragionevoli, proporzionati e non discriminatori, sicché ne risultino rispettati i principi di effettività e di equivalenza (CGUE, 17.7.1997 C-90/94, § 48). E pertanto, se ne può concludere che il diritto UE, ivi comprese le pronunce della CGUE a portata “normativa”, non deve trovare applicazione d’ufficio, e non giustifica un soccorso istruttorio in favore della parte inerte nell’attivazione dei propri diritti fintanto che i termini siano chiari, proporzionati, non discriminatori.

Secondo la Plenaria, è questa la mediazione tra il “primato” del diritto eurounitario, che ne impone un’applicazione “effettiva”, e i principi di certezza del diritto e parità delle parti del processo, raggiunta attraverso il principio eurounitario di proporzionalità, che non differisce, in tale applicazione, dal principio costituzionale di ragionevolezza.

E tale ragionamento, riferito dalla CGUE ai termini di ricorso, deve ritenersi estensibile ai termini infraprocessuali per adempimenti all’interno del processo, per identità di ratio e di esigenza di assicurare la certezza del diritto. Soccorrono in tal senso taluni precedenti della CGUE riferiti a preclusioni processuali di diritto nazionale che, secondo la CGUE, possono legittimamente precludere la piena applicazione del diritto eurounitario (CGUE, 6.10.2021 C-561/19, §§ 61--65; CGUE, 15.3.2017 C-3/16, § 56; CGUE 17.3.2016 C-161/15, §§ 24-31; CGARS, 26.4.2021 n. 371; Id., 28.10.2021 n. 972; Cons. St., IV, 9.7.2020 n. 4403).

Con riferimento all’istituto della sospensione impropria “in senso lato”, la Plenaria afferma non ricorrere alcuna violazione dei suddetti principi processuali affermati dalla CGUE, alla luce delle considerazioni che seguono.

(i) Per il caso della sospensione impropria “in senso lato”, il termine perentorio di prosecuzione non è di creazione giurisprudenziale, posto che la sospensione impropria “in senso lato” va qualificata come sospensione ai sensi dell’art. 295 c.p.c. (o, con effetto equivalente, ai sensi dell’art. 296 c.p.c.); non viene imposto alle parti alcun onere incerto, oscuro, o sproporzionato.

(ii) Il termine per presentare istanza di fissazione di udienza finalizzata alla prosecuzione del processo, pari a novanta giorni, è coerente con la giurisprudenza eurounitaria che ha ritenuto congrui e ragionevoli anche termini processuali ben inferiori (CGUE, 6.10.2009 C-40/08, §§ 41-43; Id., 27.2.2003 C327/00, §§ 52-56; CGCE, 12.12.2002 C-470/99, §§ 17 e 76).

(iii) Non ricorre nemmeno una situazione di cambiamento normativo in peius quanto al termine processuale, senza adeguato periodo transitorio (CGUE, 24.9.2002 C-255/00, § 42), perché la vicenda de quo si è svolta molti anni dopo l’entrata in vigore del c.p.a. che, come ricordato, tra la tesi della prosecuzione del ricorso entro il termine di perenzione e quella di prosecuzione entro il termine perentorio di novanta giorni/tre mesi, ha optato per quest’ultima.

(iv) Infine, non ricorre una situazione di “comportamento mutevole” di una pubblica autorità (CGUE, 27.2.2003 C-327/00, §§ 58-61) per il fatto che l’art. 80 c.p.a., da un lato prevede, al comma 1, l’iniziativa di parte per la prosecuzione del processo e dall’altro lato prevede, al comma 3-bis, la fissazione d’ufficio dell’udienza, perché, come già affermato, la fissazione d’ufficio dell’udienza ai sensi e per gli effetti dell’art. 80, comma 3-bis, c.p.a., dopo che è scaduto il termine per l’impulso di parte, è finalizzata alla verifica delle conseguenze dell’inerzia delle parti, non è un inammissibile soccorso in favore di una parte inerte e a detrimento dell’altra, che in quell’inerzia ha confidato, e non è pertanto finalizzata a sostituire l’iniziativa di parte con un’iniziativa d’ufficio.

A tale conclusione il Collegio perviene avendo tenuto conto del ruolo dell’art. 80 c.p.a. “nell’insieme del procedimento, del suo svolgimento e delle sue peculiarità, nonché dei principi che sono alla base del sistema giurisdizionale italiano, e segnatamente la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento” (CGUE, 17.5.2022 C-693/19 e C-831/19, § 60; Id., 22.4.2021 C-485/19, § 53; Id., 15.3.2017 C-3/16, § 53; Id., 14.12.1995 C-430/93 e C-431/93, § 19).

I principi di diritto enunciati in risposta al terzo quesito, sono riportati al successivo paragrafo 4.

 

  1. I principi di diritto

Al primo quesito sottoposto dall’ordinanza di rimessione, la Plenaria risponde che:

“(a) nel processo amministrativo la sospensione del processo è disciplinata - ai sensi dell’art. 79, comma 1, c.p.a. - dal codice di procedura civile, dalle altre leggi e dal diritto dell’Unione europea; a sua volta il c.p.c., come interpretato dal diritto vivente della Corte di cassazione, nella lettura datane dalla Corte costituzionale, non contempla la sospensione del processo per ragioni di opportunità;

(b) la c.d. sospensione impropria “in senso lato” del processo, ossia disposta, in un dato giudizio, nelle more della soluzione, in un diverso giudizio, di un incidente di costituzionalità, o di una pregiudiziale eurounitaria, o di una rimessione all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato avente carattere pregiudiziale anche nel giudizio de quo, costituisce, al pari della c.d. sospensione impropria “in senso stretto” (ossia disposta nel giudizio in cui viene sollevata questione di costituzionalità o questione pregiudiziale eurounitaria) una sospensione necessaria ai sensi dell’art. 295 c.p.c., per la definizione di una questione avente carattere “pregiudiziale”, avuto riguardo alla portata “normativa” delle decisioni della Corte costituzionale e della CGUE, e al valore di precedente parzialmente vincolante delle pronunce dell’Adunanza Plenaria;

(c) la sospensione impropria “in senso lato” va adottata previo contraddittorio ai sensi dell’art. 73, comma 3, c.p.a. e solo se le parti o almeno una di esse non chiedano di poter interloquire davanti la Corte costituzionale, la CGUE, la Plenaria, nel qual caso va disposta una nuova rimessione (con conseguente sospensione impropria “in senso stretto” nelle prime due ipotesi);

(d) un effetto equivalente a quello sub (c) può essere conseguito mediante una sospensione sull’accordo delle parti ex art. 296 c.p.c.; una sospensione ai sensi dell’art. 296 c.p.c. è inoltre adottabile allorché la questione rilevante nel giudizio de quo sia analoga, ma non identica, a quella già pendente davanti la Corte costituzionale, la CGUE, la Plenaria; in ogni caso, la sospensione ex art. 296 c.p.c. va disposta nel rispetto dei relativi presupposti normativi, tenendo conto che il termine massimo di durata della sospensione, ivi previsto, non è né perentorio né elemento indefettibile della fattispecie, e va modulato caso per caso sulla scorta di una valutazione prognostica circa il tempo necessario per la definizione della questione pregiudiziale pendente in diverso giudizio;

(e) le esigenze di economia processuale e di ragionevole durata del processo, sottese alla c.d. sospensione impropria “in senso lato” possono essere soddisfatte, oltre che con la sospensione ex art. 295 c.p.c. (o 296 c.p.c.), anche a mezzo del rinvio dell’udienza a data fissa (o eccezionalmente a data da destinarsi) o della cancellazione della causa dal ruolo, nel rigoroso rispetto dei relativi presupposti normativi”.

 

Al secondo quesito sottoposto dall’ordinanza di rimessione l’Adunanza Plenaria risponde che:

“(a) nella fisiologica applicazione delle vigenti norme processuali, se il processo subisce una stasi per attendere la definizione di una questione di costituzionalità, di una pregiudiziale eurounitaria, o di una rimessione all’Adunanza Plenaria pendente in un diverso giudizio, attraverso, alternativamente, gli istituti (1) della sospensione ex art. 295 c.p.c., (2) della sospensione ex art. 296 c.p.c. senza indicazione della data della nuova udienza, (3) della sospensione ex art. 296 c.p.c. con indicazione della data della nuova udienza, (4) del rinvio dell’udienza a data fissa o, eccezionalmente, a data da destinare, (5) della cancellazione della causa dal ruolo: (i) nella prima e seconda ipotesi le parti hanno l’onere di presentare istanza di fissazione di udienza al fine della prosecuzione del processo ai sensi dell’art. 80, comma 1, c.p.a.; (ii) nella terza e quarta ipotesi il processo prosegue, senza impulso di parte, all’udienza indicata nell’ordinanza di sospensione o nel verbale di udienza che dispone il rinvio o comunque fissata d’ufficio; (iii) nella quinta ipotesi il processo prosegue se la parte presenta istanza di fissazione di udienza entro il termine di perenzione ordinaria;

(b) ove venga adottata un’ordinanza di sospensione impropria “in senso lato” senza l’audizione e/o il consenso delle parti, tale ordinanza, se non contestata con i rimedi che l’ordinamento appresta, onera le parti di presentare istanza di fissazione di udienza al fine della prosecuzione del processo ai sensi dell’art. 80, comma 1, c.p.a.”.

 

Al terzo quesito sottoposto dall’ordinanza di rimessione, l’Adunanza Plenaria risponde che:

“(a) ove l’ordinanza di sospensione del processo non fissi già la data dell’udienza di prosecuzione, il termine di cui all’art. 80, comma 1, c.p.a., entro cui le parti devono presentare istanza di fissazione di udienza al fine della prosecuzione del processo, a seguito di qualsivoglia ipotesi di sua sospensione senza indicazione della nuova data di udienza, ha natura di termine perentorio;

(b) la perentorietà di tale termine va ribadita anche ove si traduca, nell’inerzia delle parti, in un ostacolo di fatto all’applicazione del diritto eurounitario, perché (i) il diritto eurounitario riconosce l’autonomia processuale degli Stati membri a condizione del rispetto dei principi di equivalenza ed effettività, (ii) il diritto eurounitario non impedisce la previsione di termini processuali perentori, purché proporzionati e non discriminatori, e (iii) il termine di cui all’art. 80, comma 1, c.p.a., alla luce della giurisprudenza eurounitaria, è proporzionato, non discriminatorio, e la complessiva disciplina contenuta nell’art. 80 c.p.a. non è ambigua”.