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Anno XVI - n. 09 - Settembre 2024

  Studi



ll principio di legalità alla prova delle concessioni demaniali marittime.

Di Lucia Casale
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ll principio di legalità alla prova delle concessioni demaniali marittime

Di Lucia Casale

 

Abstract

Con le sentenze gemelle 17 e 18 del 2021, l’Adunanza Plenaria, su deferimento d’ufficio ex art. 99, comma 2, c.p.a. del Presidente del Consiglio di Stato, si è pronunciata sull’annosa questione della legittimità delle proroghe ex lege delle concessioni demaniali marittime a scopo turistico ricreativo.

Tali pronunce sono prese qui in esame in quanto offrono inediti spunti di riflessione sulla portata del principio di legalità nell’ordinamento contemporaneo, con particolare riguardo al valore prescrittivo dei principi nella trama sia del diritto eurounitario che, a cascata, di quello nazionale.

Le pronunce offrono, inoltre, l’occasione per indagare la permanente utilità di istituti inveterati come quello di concessione a seguito della frantumazione del sistema delle fonti del diritto.

 

With the twin sentences 17 and 18 of 2021, the Plenary Assembly, upon official referral pursuant to art. 99, paragraph 2, c.p.a., of the President of the Council of State, ruled on the age-old question of the legitimacy of the ex lege extensions of state maritime concessions for recreational tourism purposes.

These rulings are examined here as they offer unprecedented food for thought on the scope of the principle of legality in the contemporary legal system, with particular regard to the prescriptive value of the principles in the framework of both Eurounitary law and, in cascade, national law.

The rulings also offer the opportunity to investigate the permanent usefulness of established institutions such as that of concession following the fragmentation of the system of sources of law.

 

Sommario: 1. Premessa. - 2. L’Adunanza Plenaria e la concretizzazione dei principi eurounitari di pubblicità, trasparenza e parità di trattamento. – 3. Il tramonto della nozione tradizionale della concessione di beni pubblici. - 4. L’attuazione nel diritto interno: la gara ad evidenza pubblica secondo il diritto giurisprudenziale. – 5. Conclusioni: è ancora necessario un intervento del legislatore?

 

  1. Premessa

Il sistema del diritto pubblico si sta incamminando verso nuovi sentieri, che tuttavia non rappresentano nuove forme di attentato al principio di legalità[1] ma il segno di un’evoluzione che non possiamo ignorare, per certi versi assimilabile a quella che vive il diritto privato: non si tratta, però, della privatizzazione del diritto pubblico, piuttosto dell’oltre-passamento del principio di stretta legalità con l’ampliamento delle fonti di produzione legislativa, in una doppia direzione: dall’alto, a livello del diritto europeo, e dal basso, a livello giurisprudenziale.

Il tema delle concessioni demaniali marittime è interessante proprio nell’angolazione prospettica appena sopra tratteggiata, per le implicazioni di teoria generale che esso racchiude ove investe la tematica del rapporto tra ordinamenti, sovranazionale e nazionale, con il superamento, sotto la spinta del diritto unionale, di categorie inveterate nel diritto pubblico come quella della concessione (di beni) e l’ampliamento dei margini di discrezionalità amministrativa della Pubblica Amministrazione, da un lato, e di discrezionalità interpretativa del giudice, dall’altro,  che la tecnica della “legislazione” per principi porta con sé.

Le note sentenze gemelle 17 e 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria[2] saranno prese in esame, qui, dunque, non tanto per il portato della decisione in sé nell’arena delle concessioni demaniali marittime, quanto per le ricadute di carattere sistematico sulla disciplina del pubblico potere.

Importa evidenziare, a tali fini, sin d’ora che l’Adunanza Plenaria, con le note sentenze gemelle 17 e 18 del 2021, nel ricomporre lo strappo tra diritto europeo e diritto nazionale, sia pure nel ristretto ambito delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative, ha interpretato un ruolo inedito: essa non si è limitata, infatti, a svolgere una funzione nomofilattica ma ha dettato una serie di indicazioni conformative al legislatore (che valgono anche quali linee guida per le Amministrazioni chiamate ad attuare l’obbligo di evidenza pubblica) [3] congeniando una proroga “tecnica” dei rapporti concessori in essere praeter legem, in attesa dell’esperimento delle nuove procedure ad evidenza pubblica (e nelle more dell’auspicato intervento legislativo).

Al di là delle criticità, reali o presunte, delle due pronunce[4], ciò che preme qui far risaltare è che l’Adunanza Plenaria, richiamando la nota sentenza della Corte di Giustizia Europea Promoimpresa[5], si è elevata a cassa di risonanza delle ragioni del primato del diritto europeo sul diritto interno, sancendo l’obbligo di previa procedura ad evidenza pubblica per il tramite di una “disapplicazione” della normativa interna contrastante con la direttiva europea, pur in difetto di una disciplina medio tempore applicabile.

Ciò che ha finito per ingenerare nei destinatari finali (le Amministrazioni locali) un diffuso sentimento di spiazzamento nell’apprendere di essere chiamati a disapplicare la normativa vigente senza una disciplina positiva da applicare, dovendo “cercare” le regole tra le pieghe della clausola di concorrenza e nell’immediato scegliere tra il ritirare gli atti di proroga già rilasciati o il prorogare, di propria iniziativa o su impulso di parte, i rapporti in essere fino al 31 dicembre 2023[6] ovvero, ancora, restare inerte in attesa della promessa riforma di settore.  In certi casi, a conferma della intrinseca problematicità derivante dall’assenza di una normativa di diritto positivo interno, sono state indette procedure ad evidenza pubblica sul modello dei contratti pubblici per l’assegnazione della concessione demaniale marittima per una sola stagione balneare[7].

A fronte della protratta inerzia del legislatore nazionale, è intervenuta di recente, su rinvio pregiudiziale del TAR Lecce, la Corte di Giustizia UE[8] con la sentenza del 20.04.2023 nella causa C-348/22, che ha impresso l’ulteriore (e auspicabilmente definitivo) sigillo di validità sulla direttiva c.d. Bolkestein, superando ogni incertezza ancora residua sull’ambito di applicabilità di tale direttiva, sulla sua base giuridica e sul suo impatto nell’ordinamento interno[9].

 

  1. L’Adunanza Plenaria e la concretizzazione dei principi eurounitari di pubblicità, trasparenza e parità di trattamento.

Proprio per gli effetti di carattere generale sul sistema di regole del diritto pubblico cui in premessa si è fatto cenno, vale la pena in via preliminare ripercorrere i punti salienti della decisione dell’Adunanza Plenaria nella nota sentenza n. 18/2021.

Con decreto n. 160 del 2021 il Presidente del Consiglio di Stato, per la prima volta, ha deferito all’Adunanza plenaria, ex art. 99, comma 2, c.p.a., la decisione di un ricorso[10], per la “particolare rilevanza economico-sociale” della questione oggetto del ricorso e per la opportunità di una pronuncia che assicuri “certezza e uniformità di applicazione del diritto da parte delle amministrazioni interessate nonché uniformità di orientamenti giurisprudenziali”.

La questione di massima importanza sottoposta alla Plenaria, come noto, verteva sulla materia delle concessioni demaniali marittime, c.d. balneari, ad uso turistico- ricreativo, interessata nell’ultimo decennio da una convulsa attività legislativa tesa, per il tramite di una girandola di proroghe “tattiche”, a eludere l’obbligo di recepimento della direttiva n. 123/2006/CE, c.d. Direttiva Bolkestein, formalmente recepita nel nostro ordinamento con il D.lgs. 59/2010.

Il notevole impatto socio-economico, che trascendeva il caso concreto sub judice, era dunque in buona misura dipeso dal ritardo maturato dal legislatore nazionale nel dettare una disciplina organica della materia nel rispetto dei vincoli di derivazione euro-unitaria. Con la pronuncia in commento l’Adunanza Plenaria ha “suggerito” alle Amministrazioni la “giusta misura” da seguire nella transizione verso il modello giuridico proposto.

A fronte della latitanza del legislatore nazionale, che ha proseguito nel frusto copione di “congelare” le concessioni demaniali marittime per  il tramite di proroghe ope legis di tali titoli concessori via via reiterate nel tempo con lo slittamento in avanti del termine finale di validità, l’Adunanza plenaria ha dovuto sostituirsi al legislatore nazionale nel colmare il vuoto normativo lasciato, spingendosi anche più in là di quanto atteso allorquando ha tracciato le coordinate per la predisposizione delle procedure competitive sulle concessioni demaniali marittime e ha proposto alle Amministrazioni interessate una proroga tecnica generalizzata fino al 31 dicembre 2023, da ritenersi ragionevole in prospettiva della organizzazione e avvio delle procedure ad evidenza pubblica.

Per uniformarsi alla normativa euro-unitaria, per l’apertura alla concorrenza di quello che è stato individuato come un vero e proprio mercato, la Plenaria ha, praeter legem, indicato un termine finale alle Amministrazioni, che ha risuonato come un monito al legislatore affinché – finalmente – intervenisse a dare concretizzazione normativa ai principi di imparzialità, trasparenza e pubblicità intorno a cui ruota la disposizione di cui all’art. 12 della direttiva 2006/123.

Al di là dei pure interessanti risvolti della pronuncia sul nodo dei rapporti tra giudicato (specie se favorevole) e principio di prevalenza del diritto euro-unitario sul diritto interno e sulla forza normativa delle pronunce della CGUE (nella prospettiva delle sopravvenienze normative), in grado di integrare la fonte di produzione normativa euro-unitaria, importa qui evidenziare che la Plenaria, dopo aver ribadito l’applicabilità della direttiva servizi c.d. Bolkstein, e in specie dell’art. 12 della direttiva, alla materia delle concessioni demaniali marittime, ha sancito che l’obbligo di evidenza pubblica discende, comunque, dall’applicazione dell’art. 12 della direttiva 2006/123, senza, dunque, la necessità di un’interpositio legislatoris,in virtù della forza self-executing della fonte europea.

Una tale decisione rispondeva ad esigenze di certezza del diritto nella misura in cui intendeva perseguire la stabilità dei rapporti amministrativi (discendenti dalle concessioni marittime ad uso turistico-ricreativo) per il tramite della enucleazione dai principi di matrice euro-unitaria (imparzialità, trasparenza e pubblicità) della regola dell’evidenza pubblica per l’affidamento di tutte le concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative.

Il percorso logico-giuridico seguito dal Supremo Consesso nella pronuncia può, in sostanza, riassumersi come segue: i) la direttiva non ha per obiettivo di armonizzare le discipline nazionali che prevedono ostacoli alla libera circolazione, ma di “liberalizzare” il settore con la rimozione di tali ostacoli; ii) non impinge direttamente la materia del turismo, ma riguarda più propriamente la materia della tutela della concorrenza; iii) la nozione comunitaria di “autorizzazione di servizi”, secondo una lettura di impronta sostanzialistica che guarda agli effetti economici del provvedimento, ben si attaglia alla concessione demaniale marittima; iv) il bene demaniale marittimo rappresenta un bene scarso, e dunque rivale, e ciò dal duplice punto di vista della percentuale di costa già oggetto di concessioni, nella media del 50% (che giunge in certe Regioni fino al 70%), che dal punto di vista della porzione di costa ancora concedibile, tenuto conto dei limiti ambientali, naturali (per i frequenti fenomeni di erosione delle coste), e “amministrativi” (in molte Regioni è previsto un limite quantitativo massimo di costa assentibile); v) la direttiva servizi 2006/123 trova diretta  applicazione, essendo oramai ampiamente decorso il termine finale di recepimento, in quanto direttiva auto-esecutiva, dotata di un sufficiente grado di dettaglio e  precisione, alla luce sia del risultato che intende perseguire che del tipo di prescrizione necessaria a realizzarlo: essa persegue la sostituzione di un sistema in cui l’utilizzo delle risorse naturali scarse viene assegnato in via automatica e generalizzata con un regime di evidenza pubblica che assicuri la par condicio tra i soggetti potenzialmente interessati, secondo principi che la giurisprudenza, europea e nazionale, ha ormai declinato in concreto.

Venendo alle conseguenze dell’applicabilità della direttiva al settore in esame, non solo, come scontato, tutte le Amministrazioni sono tenute a “non applicare” la normativa nazionale (o regionale) contrastante con quella europea – come di recente ribadito anche dalla CGUE con la sentenza 20.04.2023 nella causa C.348/22 - ma sono altresì chiamate ad avviare procedure competitive, de jure condendo, secondo i principi ricavabili direttamente dalla direttiva, che la Plenaria, sempre nel tentativo di tracciare una via di applicazione uniforme del diritto nel settore, ha declinato fino ad ipotizzare criteri di selezione da assumere a base di gara.

 

  1. Il tramonto della nozione tradizionale della concessione di beni pubblici

La sentenza in commento, come concluso nel paragrafo che precede, guarda nella direzione indicata dalla CGUE lasciandosi alle spalle il retaggio di una tradizione, ormai avvertita come anacronistica sotto la spinta dell’acquis communautaire, che “tramanda” una nozione formalistica (e statica) di concessione di beni pubblici.

Il Supremo Consesso, infatti, aderisce dichiaratamente alla qualificazione giuridica della concessione demaniale con finalità turistico-ricreativa in termini di autorizzazione di servizi ai sensi dell’art. 12 della direttiva 2006/123, secondo un’impostazione di matrice funzionale e pragmatica che conduce a rileggere l’istituto giuridico in una chiave sostanzialistica, valorizzandone l’oggetto, non più costituito dal bene ma dalle particolari utilitas da esso ricavabili. Invero, già il legislatore nazionale nel codice dei contratti pubblici agli artt. 164 e ss. si riferisce all’istituto in parola dal punto di vista degli effetti da esso ritraibili, tanto da qualificarlo in termini di autorizzazione “all’esercizio di un’attività economica che può svolgersi anche mediante l’utilizzo di impianti o altri beni immobili pubblici” e definitivamente attraendo l’istituto nell’ambito privatistico, dove appare più visibile l’esigenza della trasformazione del bene originario in un bene nuovo[11].

Si tratta, in altre parole, di un istituto già in profonda crisi, almeno nella classica qualificazione che di esso ci consegna la tradizione giuridica quale provvedimento autoritativo, ampliativo della sfera giuridica del privato, traslativo del godimento di beni pubblici, demaniali e patrimoniali indisponibili[12]. Seppure la nozione di concessione, di cui non è dato rinvenire nel nostro ordinamento una definizione normativa, al pari di quella di provvedimento, atto, comportamento e finanche di azione amministrativa[13], non abbia mai raggiunto una definitiva e condivisa elaborazione nemmeno a livello dottrinale e giurisprudenziale, per la eterogeneità del suo oggetto e delle sue funzioni, la categoria della concessioni di beni pubblici, tuttavia, si è distinta per specifici caratteri che ne hanno identificato la impronta pubblicistica.

La Plenaria si inserisce nel solco di quella tendenza al superamento delle categorie giuridiche classiche che autorevole dottrina ha, con grande lucidità, messo in luce evidenziando come per effetto della frantumazione del sistema delle fonti del diritto sotto la spinta (centrifuga) di una varietà e precarietà di norme – regionali, nazionali, europee e internazionali – difficilmente oggi può ancora parlarsi di un sistema (interno o esterno che sia)[14]: il Supremo Consesso ha sciolto in senso affermativo il dilemma della sussumibilità delle concessioni di beni pubblici sotto la nozione di autorizzazione di servizi accolta a livello europeo, e in specie, per quel che interessa, nella Direttiva Servizi n. 123/2006, e lo ha fatto interpretando l’istituto giuridico sulla base dei valori in gioco, in primis la tutela della concorrenza, elevata a criterio supremo di decisione giudiziaria, di cui sono corollari i principi di trasparenza, parità di trattamento e pubblicità, che si celano o si calano nella normativa europea, primaria e derivata[15].

E così, le concessioni demaniali marittime vengono considerate dalla Plenaria nella loro proiezione dinamica, al di là della nota tripartizione tra uso normale, speciale ed eccezionale, come occasione per il destinatario di procurarsi “vantaggi economicamente rilevanti in grado di incidere sensibilmente sull’assetto concorrenziale del mercato e sulla libera circolazione dei servizi”, e dunque, come provvedimento che, sia pure, dal punto di vista dell’Amministrazione, è diretto, per il tramite del privato, alla massima valorizzazione del bene per un uso che risponda ad un rilevante interesse pubblico (si veda, in tal senso, art. 37 cod. nav.), per il privato è strumentale all’esercizio di un’attività economica, che può rivelarsi anche particolarmente lucrosa tenuto conto della modesta entità dei canoni concessori.

Ed ecco che una simile operazione di “qualificazione giuridica” da parte della Plenaria lascia, per un momento, lo studioso del diritto amministrativo smarrito, senza solidi punti di riferimento e senza un definitivo ambito oggettivo di analisi in quanto vengono, questa volta dichiaratamente, lasciate da parte le tradizionali (e tranquillizzanti) categorie concettuali – non si distingue più tra regime concessorio e regime autorizzatorio – considerando, ai fini della disciplina applicabile, solo gli effetti economici del provvedimento considerato.

Se nell’ordinamento nazionale le concessioni di beni pubblici sono fatte rientrare nell’ambito degli accordi di diritto pubblico, dove al provvedimento concessorio accede una convenzione che regola il rapporto tra parte pubblica e privata, anche se in certi casi l’atto può essere unitario alla stregua di un accordo sostitutivo di provvedimento amministrativo, con la sentenza in commento passa decisamente sotto traccia la nozione di bene pubblico, che, quasi si trasfigura in quella, invero diversa e opposta, di servizio pubblico: se la concessione di servizio pubblico non ricade nell’ambito applicativo della direttiva servizi n. 123/2006, la concessione di beni pubblici viene invece ricondotta sotto il suo raggio applicativo, in quanto, da un lato, viene considerata alla stregua di un contratto di locazione (considerando 15°), dall’altro, viene evidenziato come il termine oggettivo della posizione giuridica soggettiva del destinatario del provvedimento è non già il bene ma l’esercizio di un’attività economica diretta a garantire la proficua utilizzazione del bene demaniale nell’interesse pubblico. È così che la Plenaria, nel sollecitare l’apertura al mercato del settore con l’avvio di procedure ad evidenza pubblica, si spinge fino a indicare un novero di criteri selettivi collegati all’oggetto del contratto, che tenga conto della capacità tecnica, professionale, finanziaria ed economica degli operatori, nonché “ulteriori elementi di valutazione dell’offerta” che “potranno riguardare gli standard qualitativi dei servizi (da incrementare rispetto ad eventuali minimi previsti) e sostenibilità sociale e ambientale del piano degli investimenti, in relazione alla tipologia della concessione da gestire”, che pare più avvicinare la concessione di beni pubblici a una concessione di servizi, che ricadrebbe invece nell’ambito della Direttiva 2014/23, nota appunto come “Direttiva concessioni”.

Le difficoltà di adeguamento del nostro ordinamento alla direttiva c.d. Bolkestein in parte possono individuarsi nella ambiguità della terminologia adottata dalla norma europea: per l’art. 4, comma 1, n. 1 per “servizio” è da intendere “qualsiasi attività economica non salariata di cui all’art. 50 del Trattato fornita normalmente dietro retribuzione”. La definizione tuttavia non è esaustiva tanto da richiedere un numero significativo di “considerando” (ben 118); che tuttavia mal si conciliano con gli istituti giuridici di tradizione nazionale. Ciò si deve probabilmente al fatto che la direttiva n. 2006/123 è una delle tante sulle quali l’apporto dell’Italia è stato poco rilevante; così che il testo finale mal si concilia con la disciplina codicistica e di settore. Ciò che spiega la difficile attuazione nel nostro ordinamento e le continue discussioni sulla sua portata[16].

 

  1. L’attuazione nel diritto interno: la gara ad evidenza pubblica secondo il diritto giurisprudenziale

Se la Plenaria ha raccolto la sfida lanciata dai giudici europei guardando nella direzione indicata dalla CGUE, come detto il legislatore nazionale si è attestato, all’opposto, su una posizione di retroguardia ergendosi a protezione degli interessi della categoria dei concessionari uscenti, puntando, nella sostanza, a “guadagnar tempo”, al fine tagliare, almeno e nella sostanza, l’obiettivo di prolungare i rapporti concessori in scadenza ben oltre il termine finale originari.

Malgrado il mancato intervento di una normativa di riforma organica della materia e il succedersi di proroghe ope legis dei rapporti concessori abbia alimentato un diffuso disorientamento degli operatori economici e nei soggetti pubblici chiamati a gestire il demanio marittimo, il ruolo supplente giocato dai giudici, nazionali ed europei, ha finito per conformare il settore alle direttive sprigionate dal principio di concorrenza, finendo per sostituirsi al legislatore attraverso una ragionata esegesi di tale principio e dei suoi corollari.

Si veda, ad esempio, come, mentre la chiusura del settore alla concorrenza ha agevolato    una rendita di posizione a favore dei vecchi concessionari, che, dunque, non sono stati motivati a migliorare il servizio offerto con investimenti tesi a valorizzare la risorsa ambientale utilizzata, il Supremo Consesso abbia mostrato di tenere in debito conto tale importante profilo di tutela della costa sollecitando le parti pubbliche a inserire nei bandi di gara per l’assegnazione delle spiagge “ulteriori elementi di valutazione dell’offerta” con riguardo agli “standard qualitativi dei servizi (da incrementare rispetto ad eventuali minimi previsti) e sostenibilità sociale e ambientale del piano degli investimenti, in relazione alla tipologia della concessione da gestire”[17].

La stessa decisione della Plenaria sopra richiamata ha apposto in via risolutiva il sigillo della gara ad evidenza pubblica quale modulo di assegnazione delle spiagge, andando oltre il quesito sottopostole - avente per oggetto le proroghe legali, automatiche e generalizzate, delle concessioni demaniali marittime per finalità turistica-ricreativa – per conformare, con la massima autorevolezza che ad essa è riconosciuta dall’ordinamento, l’operato delle amministrazioni interessate in senso spiccatamente pro-concorrenziale, configurando la gara come la soluzione migliore e più efficiente per la tutela dei plurimi interessi pubblici che la risorsa demaniale intercetta.

L’interrogativo pratico che si pone in sede di applicazione (in seconda istanza, a livello giurisprudenziale) è come vada interpretato il riferimento alla gara ad evidenza pubblica alla luce del dato normativo vigente. Detto in altri termini, si rende necessario decifrare l’imperativo della “gara ad evidenza pubblica” considerato che le concessioni demaniali marittime si pongono al di fuori del campo applicativo della Direttiva 2014/23 e ricevono una disciplina, sia pure oramai obsoleta, oltreché dal codice civile, dal codice della navigazione[18].

Il codice della navigazione e il relativo regolamento di esecuzione di cui al d.P.R. 15 febbraio 1952, n. 328 prevedono che, nel caso di più domande di concessioni di beni demaniali marittimi, “è preferito il richiedente che offra maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione e si proponga di avvalersi di questa per un uso che, a giudizio dell’amministrazione, risponda ad un più rilevante interesse pubblico” (art. 37 codice) e, al fine di provocare la presentazione di domande concorrenti, opposizioni e reclami nelle ipotesi di concessioni di particolare importanza, stabiliscono la pubblicazione della prima domanda di concessione, che “deve specificare l’uso che il richiedente intende fare del bene demaniale” e “deve essere corredata da una relazione tecnica delle opere da eseguire, dal piano della località e dai disegni particolari degli impianti” (artt. 6 e 18 regolamento esecuzione).

Già il Consiglio di Stato, in altre pronunce, ha avuto modo di affrontare la questione.

Con sentenza della Sezione V, 9 dicembre 2020, n. 7837, il Consiglio di Stato, in riforma della sentenza Tar Toscana, Firenze, appellata, ha respinto il ricorso di primo grado che chiedeva l’annullamento degli atti di una procedura competitiva che il Comune di Piombino aveva indetto per l’assegnazione di titoli demaniali marittimi per l’attività di noleggio di lettini, ombrelloni e attrezzature sportive per attività balneari. In particolare, il ricorrente, con il ricorso in primo grado, domandava, in via principale, l’annullamento dell’assegnazione in quanto riteneva che dovesse essere preferita la sua offerta rispetto a quelle risultate rispettivamente prima e seconda classificata (a pari merito) e, in via subordinata, l’annullamento degli atti della procedura per violazione dei principi di segretezza delle offerte e di predeterminazione dei criteri di valutazione in quanto le offerte non erano state presentate in busta chiusa e i criteri di valutazione erano stati determinati dopo la conoscenza del contenuto delle proposte. Il Tar Toscana aveva accolto la domanda proposta, in via subordinata, di annullamento di tutti gli atti della procedura, ivi compreso l’avviso pubblico, da rieditarsi secondo i principi enunciati.

Risalta in questa pronuncia la spaccatura a livello giurisprudenza in ordine alla declinazione e attuazione in concreto dei principi concorrenziali in materia.

E infatti, il primo giudice aderisce a quell’orientamento secondo cui, in forza del principio comunitario di concorrenzialità, le concessioni demaniali, aventi ad oggetto beni economicamente contendibili, devono essere affidate mediante procedure di gara sulla scorta del modello applicabile agli appalti pubblici, concludendo nel caso sottoposto al suo scrutinio che la segretezza delle domande e la predeterminazione dei criteri di valutazione costituiscono due principi basilari di quel modello, che dunque, anche nel settore in oggetto, devono essere rispettati, pena la illegittimità per violazione dei principi concorrenziali, aventi valore ed efficacia prescrittiva, degli atti della procedura.

Il Consiglio di Stato aderisce, invece, ad un orientamento decisamente meno rigoroso, e richiama quella giurisprudenza (Cons. St., Sez. V, 16 febbraio 2017, n. 688) secondo cui “non sussiste un obbligo di legge di procedere all’affidamento delle concessioni demaniali marittime nelle forme tipiche della procedura a evidenza pubblica prevista per i contratti d’appalto della pubblica amministrazione, e che l’applicabilità del principio della previa definizione dei criteri di valutazione delle offerte alla stessa materia, perché avente ad oggetto beni demaniali economicamente contendibili (Cons. Stato, Ad. Plen., 25 febbraio 2013, n. 5), va valutata alla luce della norma speciale di cui all’art. 37 del Codice della navigazione, che non la prevede”.

Sottolinea, poi, richiamando la stessa giurisprudenza, come l’assenza di un obbligo per l’amministrazione di indire una tipica procedura a evidenza pubblica risiede nella fondamentale circostanza che l’art. 37 del Codice della navigazione contempla l’ipotesi di una domanda che perviene dal mercato privato, al contrario dell’ipotesi tipica dei contratti pubblici, in cui è invece l’amministrazione a rivolgersi a quest’ultimo[19].

Da tanto emerge la complessità (da più parti sottovalutata) del ruolo di mediatore assunto dalla Plenaria nel ricucire lo strappo tra il diritto interno e il diritto europeo con il compito di assolvere alla funzione “nomofilattica” cui è stata chiamata a fronte della (o malgrado l’) abdicazione da parte del legislatore al potere- dovere di dettare la disciplina della materia in senso conforme alla normativa europea, cedendo o “cadendo” in una funzione più tipicamente “nomopoietica”.

Non si tratta di un vero e proprio sconfinamento nel potere normativo, che per Costituzione non compete agli organi giudiziari, ma di un’operazione (ermeneutica) di raccordo tra norma europea e realtà nel tentativo di prospettare, in      attesa di un intervento del legislatore più volte sollecitato, un potenziale punto di arrivo, come un traguardo auspicato.

 

  1. Conclusioni: è ancora necessario un intervento del legislatore?

Nelle due pronunce gemelle del 2021 l’Adunanza Plenaria identifica il contenuto dell’art. 12 Direttiva 2006/123 con l’obbligo dell’evidenza pubblica, osservando che, anche sulla base degli approdi della giurisprudenza euro-unitaria, tale obbligo debba ritenersi sufficientemente preciso e determinato.

Cionondimeno, viene da chiedersi se davvero il richiamo ai principi propri di libera concorrenza (di cui quelli di trasparenza, parità di trattamento e pubblicità sono un corollario) possa ritenersi di per sé soddisfacente nella prospettiva indicata della certezza del diritto: tale interrogativo è ricco di suggestioni nella misura in cui evoca anche il tema della forza cogente e “nomogenetica” che i principi hanno assunto nell’ordito del nuovo codice dei contratti pubblici, codificazione per la prima volta dichiaratamente costruita per principi[20].

Nell’ultima sentenza della Corte di Giustizia UE[21] similmente si parla di “un obbligo di risultato preciso e assolutamente incondizionato riguarda l’applicazione della norma da essa enunciata”: il riferimento all’obbligo di risultato è denso di significato proprio nella scienza del diritto amministrativo in quanto si riconnette alla tematica dell’interesse pubblico cui deve tendere l’azione della pubblica amministrazione, e che, nel settore dei servizi interni che ricadono sotto l’egida della direttiva Bolkestein, si declina secondo il principio della concorrenza.

Ma il riferimento è significativo anche sotto altro importante versante, che poi si intreccia con il primo: l’ampliamento dell’esercizio del pubblico potere per effetto dell’ingresso, per via legislativa e giurisprudenziale, delle clausole generali, nozione che è stata indagata quasi esclusivamente nella dottrina e giurisprudenza civilistica, ma che ora con forza sempre crescente investe anche il settore del diritto amministrativo con ricadute e influssi sull’attività discrezionale[22].

Con specifico riguardo alla materia indagata i principi di libera concorrenza si declinano nella pratica come obbligo di adottare una procedura selettiva che presenti garanzie di pubblicità, trasparenza e imparzialità, limitando dall’interno, e non già dall’esterno come avviene per i principi, la decisione pubblica[23].

E tuttavia, se i principi del nuovo codice dei contratti pubblici vanno a meglio chiarire e integrare la portata delle norme puntuali, nel settore indagato la clausola generale declinata dall’Adunanza Plenaria come “obbligo dell’evidenza pubblica” non si abbina ad una disciplina di dettaglio, se non a quella del codice della navigazione, che pure è richiamat0 dalla Corte di Giustizia UE nell’ultima sentenza intervenuta nella materia già più volte richiamata.

L’art. 37 cod. nav., approvato con R.D. del 30 marzo 1942 n. 327, prevede una procedura di valutazione comparativa dei candidati sia pure solo nel caso in cui siano presentate più domande di rilascio di una concessione sul medesimo bene demaniale. Tale norma, benché depurata da ogni riferimento ad un automatico diritto di rinnovo e/o insistenza in favore del concessionario uscente, è tuttora vigente. Il legislatore, infatti, dopo le note decisioni dell’Adunanza Plenaria, si è limitato ad approvare la legge delega n. 118/2022 per l’adozione da parte del Governo della disciplina di dettaglio, e in particolare della normativa in materia di affidamento delle concessioni demaniali marittime, lacuali o fluviali con finalità turistico-ricreativa, ma la delega è rimasta inattuata.

All’art. 4 della legge delega il legislatore ha individuato i principi e i criteri direttivi cui deve attenersi il Governo per l’esercizio della delega “anche in deroga al codice della navigazione”, tra cui “affidamento delle concessioni sulla base di procedure selettive, nel rispetto dei principi di imparzialità, non discriminazione, parità di trattamento, massima partecipazione, trasparenza e adeguata pubblicità, da avviare con adeguato anticipo rispetto alla loro scadenza” (art. 4, co. 2, lett.b). Pur in disparte il riferimento successivo nella stessa norma menzionata ai criteri di selezione, è utile considerare che, nella permanente vigenza del codice della navigazione, la pubblica amministrazione è tenuta a dare ad essa attuazione in conformità con la normativa europea. E dunque anche indipendentemente dalla provenienza dell’iniziativa, pubblica o privata, la concessione demaniale dovrà essere affidata previa procedura competitiva, pubblicizzata adeguatamente e rispettosa dei canoni di imparzialità e trasparenza, conseguendone che, anche in presenza di una sola domanda di rilascio, dovrà essere avviata una procedura competitiva.

Le valutazioni in relazione ai presupposti della procedura, e quindi sulla “scarsità delle risorse e capacità tecnica”, dovranno essere svolte, supplendo alla lacuna normativa, direttamente dalle amministrazioni, nell’esercizio di un potere vincolato, ove si ritenga che la norma europea ponga una condizione verificabile tramite criteri oggettivi, misurabili e certi, ovvero tecnico-discrezionale, ove si ritenga invece di essere al cospetto di un concetto giuridico indeterminato, salvo verificare se tale concetto si connoti più per essere di carattere qualitativo o quantitativo.

Del pari le regole della procedura comparativa dovranno essere individuate dalle amministrazioni nell’esercizio di un potere quasi normativo, nella misura in cui sono chiamate a definire una fattispecie attraverso un’operazione di interpretazione ragionevole, completa, ripetibile dell'insieme dei precetti che riguardano l'accadimento della vita sul quale il potere si distende ed esplica il suo effetto proprio[24]. Nell’individuare le regole potranno tener conto anche di altri profili dell’interesse pubblico (politica sociale, sicurezza dei lavoratori, protezione dell’ambiente, salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto comunitario), sebbene la ponderazione comparativa tra i vari obiettivi di tutela pubblica non potrà mai portare a elidere il canone di concorrenza, che risulta prevalente rispetto agli altri.

Alla luce di quanto sopra, l’Adunanza plenaria ha fatto buon governo dei principi di matrice euro-unitaria, dimostrandosi sensibile ai nuovi influssi, apparentemente forzando il proprio ruolo nomofilattico al fine di alleggerire il compito delle amministrazioni che sono chiamate,  attraverso la integrazione della norma attributiva del potere colpita in più parti dagli strali del giudizio di incompatibilità eurounitaria, a “produrre” le regole della fattispecie per via esegetica a partire dalla clausola generale della concorrenza. Tale interpretazione per così dire “creativa”, che sembra assorbire ogni aspetto di volizione della fattispecie, sarà verosimilmente esposta all’ulteriore vaglio giurisprudenziale: tuttavia, il rischio di asimmetrie tra gli operatori economici a causa della frammentarietà tipica della tutela giurisdizionale potrà essere efficacemente scongiurato dalla forza di un’univoca interpretazione giurisprudenziale, europea e nazionale, del principio di concorrenza nella materia de qua, con i suoi corollari di pubblicità, trasparenza e parità di trattamento.

In tale solco si inserisce l’Adunanza Plenaria nell’ultimo arresto menzionato, che, sulla scia delle sentenza della CGUE in materia, ha ribadito come i principi di concorrenza siano sufficientemente precisi da porsi come fonte di un obbligo di risultato preciso, anche se qualche incertezza residua rispetto alla sorte del codice della navigazione e del suo regolamento di settore alla luce del diritto euro-unitario.

Resta aperto, infatti, l’interrogativo se sia conforme alla direttiva servizi, e in particolare al principio di tutela della concorrenza, una procedura che prenda le mosse dall’istanza dello stesso soggetto interessato al rilascio della concessione demaniale, concedendo agli altri soggetti solo la possibilità di presentare osservazioni o eventuali domande concorrenti nel termine indicato dall’art. 18 del Regolamento per l’esecuzione del codice della navigazione approvato con d.P.R.  15 febbraio 1952, n. 328[25].

Al percorso logico-giuridico seguito dal massimo organo di giustizia amministrativa nelle richiamate pronunce sembra sottesa l’inaccettabilità del perpetuarsi di una procedura ad istanza di parte sul modello del codice della navigazione e del suo regolamento.

Conclusivamente, se l’obbligo a carico delle Amministrazioni locali di indire, a normativa vigente, procedure competitive per l’assegnazione della risorsa demaniale sulla base dei principi di pubblicità, trasparenza e parità di trattamento possa dirsi conforme al principio di legalità[26], secondo un’accezione rinnovata ed evoluta che vede nelle clausole generali un valido strumento di rinvio ad altro ordinamento giuridico, la “certezza e uniformità di applicazione del diritto” può dirsi salvaguardata anche in difetto dell’intervento dello Stato legislatore.

 

 

[1] Il riferimento corre alla celebre opera di F. Merusi, Sentieri interrotti della legalità, 2007, Bologna, dove l’Autore si interroga sullo stato del principio di legalità nel nostro ordinamento.

[2] Sulle sentenze gemelle nn. 17 e 18 del 2021 esistono molti commenti e la vicenda delle concessioni demaniali marittime è al centro del dibattito, non solo giuridico, proprio per la carica divisiva che ha assunto, intercettando interessi di categoria che si pongono in posizione antitetica, verrebbe da dire “ostinata e contraria”, rispetto all’interesse pubblico veicolato dal principio di concorrenza di matrice euro-unitaria.

 

[3] Capo 49 della pronuncia in commento.

[4] Come noto, le criticità delle pronunce sono state portate all’attenzione della Corte Costituzionale su iniziativa di taluni parlamentari in sede di conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato[4] e dinanzi alla Corte di Cassazione per eccesso di potere giurisdizionale ai sensi dell’art. 111, comma 8, Cost.

[5] Corte di Giustizia, Sez. Quinta, sentenza del 14 luglio 2016 in cause riunite C-458 /14 e C-67/15.

[6] Termine ratificato legislativamente dall’art. 3, comma 2, L. n. 118/2022 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021), sia pure prevedendo al successivo comma 3 che “In presenza di ragioni oggettive che impediscono la conclusione della procedura selettiva entro il 31 dicembre 2023, connesse, a titolo semplificativo, alla pendenza di un contenzioso o a difficoltà oggettive legate all’espletamento della procedura stessa, l’autorità competente, con atto motivato, può differire il termine di scadenza delle concessioni in essere per il tempo strettamente necessario alla conclusione della procedura e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2024. Fino a tale data l’occupazione dell’area demaniale da parte del concessionario uscente è comunque legittima anche in relazione all’articolo 1161 del codice della navigazione”.

[7] Certamente non sfugge nemmeno che al disorientamento si associ una generale ritrosia (politica e amministrativa) ad aprire il settore alla concorrenza per le sue peculiari caratteristiche e dimensioni (i tratti di litorale sono gestiti per lo più da piccole realtà imprenditoriali, sovente di dimensione familiare, che traggono il loro reddito, in via pressocché esclusiva, proprio dall’attività economica svolta nei lidi in concessione, da considerarsi quale bene aziendale infungibile); ciò che tuttavia avrebbe potuto essere meglio affrontato a tempo debito e nelle competenti sedi europee.

[8] Si tratta della Corte Giustizia UE, Sez. III, sent. (data ud. 20.04.2023) 20.04.2023, causa C- 348/2022, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 267 TFUE, dal Tar Puglia, Lecce, con ordinanza dell’11.05.2022. La questione verteva ancora sulla validità della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12.12.2006, nonché sull’interpretazione dell’art. 12 di detta normativa e degli artt. 49 e 115 TFUE.

[9] La direttiva pone un obbligo di risultato preciso, assolutamente incondizionato riguardo all’applicazione della norma da essa enunciata, in quanto, pur lasciando un margine di discrezionalità agli Stati membri in relazione ai criteri applicabili alla valutazione della scarsità delle risorse naturali e nell’adozione delle modalità di attuazione, determina la tutela minima a favore dei candidati potenziali che deve in ogni caso essere applicata, e nella specie l’adozione di una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e trasparenza che preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento.

[10] Si tratta del ricorso n. r.g. 1975/2021 presentato dal Comune di Lecce per la riforma della sentenza Tar Lecce, che ha annullato il provvedimento di rigetto emanato dall’Amministrazione comunale sull’istanza di proroga ex lege 145/2018 avanzata da Andrea Cerretto nella sua qualità di concessionario demaniale marittimo.

[11] Se ne veda una lucida illustrazione in G.P. Cirillo, Sistema istituzionale di diritto comune, Milano, 2021 271.

[12] Cfr. Mario P. Chiti, Le concessioni demaniali tra diritto europeo e codice dei contratti pubblici. Simmetrie ed asimmetrie, in In litore maris, poteri e diritti in fronte al mare, a cura di D. Granara, 2019, Torino, 194 e ss.

[13] Sull’assenza di una definizione normativa di provvedimento amministrativo L. Casale, La funzione amministrativa. Il provvedimento come epilogo del procedimento, in Diritto amministrativo profili formativi, a cura di F. Monceri e apporti di A. Azzena, 2020, Pisa, 47 e ss.

 

[14] N. Irti, La Crisi della fattispecie, in Riv. Dir. Proc., 2014, 1, 36 così magistralmente espone “Non sciolgo qui il dubbio se oggi di sistema (interno o esterno che sia) possa ancora parlarsi, se la varietà e precarietà delle norme – regionali, nazionali, europee, internazionali – non lo degradi o converta in semplice “ordinamento”, ossia in scala logica che soltanto spieghi e costruisca la validità delle norme, il loro nascere e modificarsi ed estinguersi in base a criteri predefiniti. Il sistema, qualunque sistema, implica un nesso unitario di contenuti, una sostanza comune a tutte le norme; ed è proprio ciò che il nostro tempo rifiuta al diritto.

S’indeboliscono così quegli strumenti logici, con cui il sistema suole, o soleva, fronteggiare l’imprevedibile: appunto, l’interpretazione detta “sistematica” e l’analogia iuris: modi di colmare le lacune, ossia di allargare la capacità di previsione e di non arrendersi agli eventi inattesi”.

[15] Con le parole di N. Irti in La Crisi della fattispecie, cit. “Si celano, se i valori sono intesi come principi storici, creature del tempo, che l’interprete scopre e scova nel fondo delle norme positive. Si calano, se essi sono insediati fuori dalla storia, dati da sempre e per sempre, e tali che si “positivizzano”, di volta in volta, dentro singole norme”.

 

[16] Cfr. M. P. Chiti, Le concessioni demaniali tra diritto europeo e Codice dei contratti pubblici cit., 197.

 

[17] Sull’interesse pubblico sotteso alle concessioni demaniali marittime che comprende anche la valorizzazione ambientale del bene demaniale si veda V. Caputi Iambrenghi, L’interesse pubblico nelle concessioni demaniali marittime, in In litore maris poteri e diritti in fronte al mare, a cura di D. Granara, 2018, Torino, 67 e ss.

L’Autore evidenzia come la resistenza e la forza degli operatori interessati abbia di fatto impedito di mettere a frutto quanto concordato con il protocollo sulla GIZC, gestione integrata delle zone costiere, sottoscritto dalle stesse parti pubbliche della convenzione per la protezione dell’ambiente marino e del litorale del Medi terraneo, adottata a Barcellona il 16 febbraio 1976 e modificata il 10 giugno 1995. Cfr. “…si tratta di un programma di centrale rilievo – [che] con significativo ritardo di sei anni viene – sia pure senza molto impegno – divulgato dal Minambiente in una sintesi che sostanzialmente tende a superare le competenze pubbliche differenziate (“processo …. Interdisciplinare e interattivo intesto a promuovere l’assetto sostenibile delle zone costiere” avvalendosi, nelle decisioni da assumere, “della collaborazione e della partecipazione informata di tutte le parti interessate al fine di valutare gli obiettivi della società in una determinata zona costiera, nonché le azioni necessarie a perseguire tali obiettivi”. La GIZC equilibra gli obiettivi economici con quelli sociali, culturali e ricreativi “nei limiti imposti dalle dinamiche naturali”. Politiche, settori coinvolti e “amministrazione a tutti i suoi livelli” vengono integrati, insieme all’”integrazione nel tempo e nello spazio delle componenti terrestri e marine del territorio interessato”).

La Commissione, in data 27 settembre 2000 con COM(2000)547, aveva comunicato al Consiglio ed al Parlamento europeo il testo del protocollo 2008/2009 sulla GIZC considerandolo “una strategia per l’Europa”.

 

[18] Sul punto M. Ceruti, La procedura negoziata competitiva nel campo dei beni demaniali e pubblici: problemi di definizione, disciplina e prassi nell’ordinamento giuridico nazionale, in Riv. It. Dir. Pubb. Com., I, 2018, 27 e ss. L’Autore affronta il tema partendo dalle direttive 2006/123 e 2014/23, fonti europee tra cui l’istituto giuridico della concessione demaniale sembra rimbalzare come in un gioco di specchi, perché, avverte, “la questione ermeneutica sorge dalla constatazione che il confine tra concessioni di beni e quelle di servizi è assai labile, rendendo così le fattispecie tutt’altro che nitide”. Sul piano procedurale, l’ambiguità di inquadramento giuridico dell’istituto della concessione demaniale provoca – commenta l’Autore – grande incertezza sul piano procedurale, specialmente in fase di esecuzione della “concessione”.

 

[19] Osserva il Consiglio di Stato nella decisione citata “In altri termini, “la concomitanza di domande di concessione prevista dall’art. 37 determina già di per sé una situazione concorrenziale che preesiste alla volontà dell’amministrazione di stipula un contratto e […] pertanto non richiede le formalità proprie dell’evidenza pubblica” sicchè “la fissazione dei criteri in questo caso non assolverebbe alla sua funzione tipica di assicurare un confronto competitivo leale, perché verrebbe fatta quando le proposte di affidamento sono già state presentate”. E prosegue, richiamando l’indirizzo giurisprudenziale a cui intende dare continuità, “gli obblighi di trasparenza, imparzialità e rispetto della par condicio imposti all’amministrazione, anche a livello europeo, sono soddisfatti da un efficace ed effettivo meccanismo pubblicitario preventivo sulle concessioni in scadenza, in vista del loro rinnovo in favore del migliore offerente, e ciò all’evidente fine di stimolare il confronto concorrenziale tra più aspiranti; e da un accresciuto onere istruttorio in ambito procedimentale, nonché motivazionale in sede di provvedimento finale, da parte delle amministrazioni concedenti, rivelatore degli incombenti adempiuti dalla amministrazione ai fini di rendere effettivo il confronto delle istanze in comparazione (e quindi anche sul piano degli adempimenti pubblicitari preventivi), e da cui emergano in modo chiaro, alla luce delle emergenze istruttorie, le ragioni ultime della opzione operata in favore del concessionario prescelto, in applicazione del criterio guida della più proficua utilizzazione del bene per finalità di pubblico interesse”.

 

[20] Si tratta del D.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, emanato in attuazione dell’art. 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78. Nella relazione allo schema del nuovo Codice dei contratti pubblici si legge ““i principi rendono intellegibile il disegno armonico, organico e unitario sotteso al codice rispetto alla frammentarietà delle sue parti, e consentono al tempo stesso una migliore comprensione di queste, connettendole al tutto”; inoltre sono “caratterizzati da una prevalenza di contenuto deontologico in confronto con le singole norme, anche ricostruite nel loro sistema, con la conseguenza che essi, quali criteri di valutazione che costituiscono il fondamento giuridico della disciplina considerata, hanno anche una funzione genetica (‘nomogenetica’) rispetto alle singole norme”.

[21] La richiamata sentenza CGUE, 20.04.2023, causa C-348/22.

[22] Si rinvia per un maggior approfondimento sul tema a Luca R. Perfetti, Per una teoria delle clausole generali in relazione all'esercizio dei pubblici poteri. Il problema dell'equità, in Giur. It., 2012, 5, 1223.

[23] A questo riguardo si richiamano testualmente le considerazioni svolte dall’Autore appena citato “Non v'è clausola generale o principio che riempia lo spazio della discrezionalità, ma interessi pubblici e privati — riconosciuti degni di garanzia dalle norme — e volizioni dell'organo pubblico. La sostanza del fenomeno dell'esercizio del potere pubblico viene contornata, ma mai invasa, da garanzie e dal rilievo di previsioni dell'ordinamento. V'è un largo percorso dottrinale che mette in luce — esaminando ed illuminando la giurisprudenza — come la decisione pubblica, esercizio di potere, non potrà mai contrastare con principi fondamentali che si collocano esternamente ad essa come limite: ed allora la discrezionalità non muterà sostanza, ma non potrà esprimersi in modo tale da determinare conseguenze discriminatorie o risultare irragionevole; emerge così il rilievo dei principi come norme che riempiono lo spazio valutativo che contorna la decisione dell'autorità, collocandosi però — per così dire — al suo esterno (con essi non potrà contrastare) ed in successione (rilevano come strumenti di sindacato). Viene, invece, tenuta ferma la (considerata imprescindibile) sostanza di un àmbito di valutazione discrezionale, di volizione, di decisione volontaristica solo parzialmente guidata dalle norme. Non sembra sostanzialmente differente la sostanza di quelle raffigurazioni che attraggono la decisione discrezionale nell'area della scelta politica, con il risultato — ad imitazione delle teorie di stampo tedesco — di intendere come vincolata la decisione amministrativa in un'area sempre più vasta, ma pur sempre dipendente da scelte discrezionali (assai) limitatamente condizionate dalle norme. Altro — differente — percorso di limitazione di quello spazio s'è mosso lungo le vie dell'oggettivazione dell'agire pubblico (e, quindi, del pubblico interesse) e della proceduralizzazione delle decisioni. Tuttavia, la sostanza più profonda dell'amministrare per fini pubblici — nel modo largamente maggioritario d'intenderla — è rimasta intrisa della valutazione dell'autorità circa l'interesse pubblico, in area solo parzialmente interessata dalla presenza di norme giuridiche”, cfr. Luca R. Perfetti, Per una teoria delle clausole generali in relazione all'esercizio dei pubblici poteri. Il problema dell'equità,cit.

 

[24] Cfr. Luca R. Perfetti, Per una teoria delle clausole generali in relazione all'esercizio dei pubblici poteri. Il problema dell'equità, cit.

 

[25] Secondo il Consiglio di Stato nel parere della Sezione consultiva per gli atti normativi, n. affare 55/2016, ad. Del 23 giugno 2016, “si ripercorre (…) uno schema ormai obsoleto e risalente (sancito quasi 65 anni fa), ideato per altri scopi e finalità (legato come era alla gestione del singolo bene) e di certo non più confacente alle esigenze del mercato del settore e del mondo produttivo, quale è appunto il c.d. avviso ad opponendum, ovvero una forma di pubblicità nata per innescare essenzialmente opposizioni, dunque per contrastare e contrapporsi ad istanze altrui e non per avanzare proposte sulla base di un programma strategico condiviso”.

[26] Ove si ritenga di adoperare ancora tale espressione, e non invece, come suggerito da taluni autorevoli studiosi, la più appropriata locuzione di “primato del diritto”. Tra gli autori che spingono per l’abbandono della espressione “principio di legalità”, in quanto non idoneo cogliere l’identità culturale e tecnica del diritto eurounitario e il pluralismo giuridico dell’epoca pos-moderna,  spicca P. Grossi, Oltre la legalità, 2020, Editori Laterza. L’Autore propone “Non sarebbe l’ora di togliere questo ingombro della ‘legalità’ per esperienze cui tale principio non si addice? E di cassare il termine dal lessico usuale, sì da non perpetuare possibili equivoci? Unione Europea e globalizzazione sono realtà permeate da un arricchente pluralismo giuridico, dove giuristi teorici e pratici sono gli autentici inventori (…)”, pagg. 35-36, Oltre la legalità cit.