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Anno XVI - n. 11 - Novembre 2024

  Giurisprudenza Amministrativa delle Corti Supreme
  A cura di Anna Laura Rum



È incostituzionale la norma che stabilisce nuovi termini in materia di concessioni demaniali marittime (prorogandole senza l’indizione di procedure imparziali e trasparenti per la selezione dei concessionari), di cui all’art. 36 della legge della Regione Siciliana 22 febbraio 2023, n. 2.

Di Anna Laura Rum
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NOTA A CORTE COSTITUZIONALE, SENTENZA 24 GIUGNO 2024, N. 109

 

È incostituzionale la norma che stabilisce nuovi termini in materia di concessioni demaniali marittime (prorogandole senza l’indizione di procedure imparziali e trasparenti per la selezione dei concessionari), di cui all’art. 36 della legge della Regione Siciliana 22 febbraio 2023, n. 2.

  

Di Anna Laura Rum

 

 

Sommario: 1. I fatti di causa 2. Le argomentazioni della Corte Costituzionale 2.1 La prima questione 2.2 La seconda questione 3. Il dispositivo

 

  1. I fatti di causa

La sentenza della Corte Costituzionale, n. 109 del 2024 interviene nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 36 e 38 della legge della Regione Siciliana 22 febbraio 2023, n. 2 (Legge di stabilità regionale 2023-2025), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 117, primo comma, 3 e 9 della Costituzione e 14 e 17 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2.

In particolare, l’art. 36 della legge reg. Siciliana, rubricato «Modifiche di norme in materia di concessioni demaniali marittime», stabilisce nuovi termini in materia di concessioni demaniali marittime. Esso, nella sua prima parte, fissa il nuovo termine del 30 aprile 2023 per la presentazione delle domande di proroga delle concessioni attualmente in essere. Il ricorrente ricorda che l’art. 1, comma 1, della legge della Regione Siciliana 14 dicembre 2019, n. 24 (Estensione della validità delle concessioni demaniali marittime), aveva in precedenza disposto l’estensione ex lege, fino al 31 dicembre 2033, delle concessioni demaniali in essere al 31 dicembre 2018, a condizione che il concessionario presentasse apposita domanda. Tale estensione, a sua volta, si poneva in espressa conformità con le previsioni statali – di cui all’art. 1, commi 682 e 683, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021) – che avevano fissato, con decorrenza dalla data della loro entrata in vigore, una durata pari ad anni quindici (e dunque, fino al 2033) per le concessioni demaniali marittime vigenti in quel momento.

Secondo il ricorrente, la disposizione regionale impugnata «corrobora la proroga delle concessioni demaniali marittime fino al 31 dicembre 2033», nonostante i citati commi 682 e 683 dell’art. 1 della legge n. 145 del 2018 siano stati abrogati, per «incompatibilità con l’ordinamento unionale», dall’art. 3, comma 5, lettera a), della legge 5 agosto 2022, n. 118 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021). Ciò comporterebbe la violazione dei vincoli derivanti dall’ordinamento unionale e, quindi, dell’art. 117, primo comma, Cost.

La proroga delle concessioni demaniali, senza l’indizione di procedure imparziali e trasparenti per la selezione dei concessionari, si porrebbe, infatti, in contrasto con le previsioni dell’art. 12 della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, avente carattere self-executing. Il ricorrente richiama, in proposito, le sentenze dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 9 novembre 2021, n. 17 e n. 18, nonché la recente sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea 20 aprile 2023, in causa C-348/22, Autorità garante della concorrenza e del mercato, che ha ribadito la contrarietà al diritto UE dei rinnovi automatici delle concessioni aventi ad oggetto l’occupazione del demanio marittimo italiano.

In definitiva, per il ricorrente, il differimento al 30 aprile 2023 del termine per la presentazione delle domande di proroga delle concessioni, come introdotto dalla disposizione regionale impugnata, recherebbe ostacolo alla piena applicazione, nell’ordinamento interno, della normativa unionale, «per avere la Regione Sicilia legiferato in difformità dai vincoli» da quest’ultima derivanti. In tal modo, il legislatore regionale avrebbe ecceduto dalle competenze ad esso riservate dagli artt. 14 e 17 dello statuto di autonomia e avrebbe violato l’art. 117, primo comma, Cost. che «vincola anche il legislatore regionale all’osservanza degli obblighi internazionali assunti dall’Italia».

Il medesimo vizio, inoltre, secondo il ricorrente, affliggerebbe la norma di cui alla seconda parte dello stesso art. 36, che proroga il termine per la conferma, in forma telematica, dell’interesse alla utilizzazione del demanio marittimo.

Quanto all’art. 38 della legge reg. Siciliana n. 2 del 2023, rubricato «Modifica all’articolo 24 della legge regionale 9 agosto 1988, n. 14 in materia di opere realizzabili nei parchi», esso interviene sul testo della legge della Regione Siciliana 9 agosto 1988, n. 14 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 6 maggio 1981, n. 98: “Norme per l’istituzione nella Regione di parchi e riserve naturali”), inserendo il comma 4-bis all’art. 24 di detta legge regionale, rubricato «Norme di salvaguardia del parco». La novella stabilisce quanto segue: «[i]n tutto il territorio del Parco sono consentite opere finalizzate alla ricerca scientifica proposte da agenzie nazionali e dichiarate di interesse strategico dalla Giunta regionale, in deroga alle disposizioni di vincolo previste dallo statuto del Parco».

Le censure del ricorrente, in particolare, si appuntano su quest’ultima previsione, la quale, nel consentire di derogare alle disposizioni di vincolo previste dallo statuto del parco, potrebbe risultare priva di effetti, oltre che viziata da incoerenza e ambiguità. In proposito, il Presidente del Consiglio dei ministri osserva che le disposizioni di vincolo previste nello statuto dell’ente parco non sono affatto esaustive ai fini della tutela del bene paesaggistico, rappresentando, ove presenti, la mera riproposizione di disposizioni previste da altre fonti normative.

Dunque, ne deriverebbe il contrasto con l’art. 3 Cost., sotto i profili della certezza del diritto e della ragionevolezza. A sostegno di tale censura, nel ricorso si richiama la giurisprudenza della Corte Costituzionale, in tema di ambiguità, incoerenza e opacità delle leggi, fattori che possono ingenerare grave incertezza e determinare un cattivo esercizio delle funzioni affidate alla cura della pubblica amministrazione.

Sotto altro profilo, viene evidenziato che l’art. 38 della legge reg. Siciliana n. 2 del 2023 si porrebbe in contrasto con la previsione del vincolo ex lege di cui all’art. 142 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), invocata quale parametro interposto. Sulla scorta della giurisprudenza della Corte, il ricorrente ricorda che i vincoli di tutela ex lege, ai sensi dell’art. 142 del cod. beni culturali, integrano un principio inderogabile della legislazione statale il quale, a sua volta, è un riflesso della necessaria impronta unitaria della pianificazione paesaggistica (si citano le sentenze di questa Corte n. 210 del 2016 e n. 64 del 2015). Anche la Regione Siciliana, a giudizio del ricorrente, ne dovrebbe risultare vincolata, posto che la sua competenza legislativa esclusiva in materia di tutela del paesaggio, nonché di conservazione delle antichità e delle opere artistiche, come prevista dall’art. 14, primo comma, lettera n), dello statuto di autonomia, dovrebbe comunque esplicarsi nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato.

Il ricorrente osserva che il particolare grado di autonomia riconosciuto in materia alla regione Siciliana trova un preciso limite nell’articolo 9 della Costituzione e nelle previsioni del d.lgs. 42/2004, qualificabili come “norme di grande riforma economico-sociale”, che si impongono anche alle Autonomie speciali.

 

  1. Le argomentazioni della Corte Costituzionale

2.1 La prima questione

La Corte Costituzionale, in primo luogo, osserva che l’art. 36, oggetto della prima questione, in materia di concessioni demaniali marittime, stabilisce la proroga di due termini già fissati da precedenti leggi regionali, portandoli entrambi al 30 aprile 2023.

Anzitutto, viene differito il termine per la presentazione delle istanze di proroga di tali concessioni. La disposizione impugnata interviene sul testo dell’art. 1 della legge della Regione Siciliana 21 luglio 2021, n. 17 (Termine ultimo per la presentazione delle istanze di proroga delle concessioni demaniali marittime), con il quale, «[a]tteso il protrarsi dell’emergenza epidemiologica da Covid-19», era stato originariamente fissato, per la presentazione delle domande di proroga, il termine del 30 luglio 2021, poi protratto al 31 agosto 2021 dall’art. 1, comma 1, lettera a), della legge della Regione Siciliana 3 agosto 2021, n. 22 (Disposizioni urgenti in materia di concessioni demaniali marittime, gestione del servizio idrico integrato nell’ambito territoriale ottimale di Agrigento e di personale di Sicilia Digitale S.p.A. Disposizioni varie).

In secondo luogo, viene prorogato il termine per la conferma, in forma telematica, dell’interesse all’utilizzazione del demanio marittimo.

La Corte ricorda che, in base all’art. 3 della legge della Regione Siciliana 16 dicembre 2020, n. 32 (Disposizioni in materia di demanio marittimo. Norme in materia di sostegno della mobilità), è stato istituito un portale telematico per la gestione delle istanze, presentate al Dipartimento regionale dell’ambiente, aventi ad oggetto l’utilizzo del demanio marittimo, del mare territoriale e delle pertinenze demaniali marittime (art. 3, comma 1), con l’esplicita previsione che tutte le istanze di autorizzazione, già presentate all’amministrazione regionale entro la fine del 2020, debbano essere confermate dal richiedente attraverso il medesimo portale (art. 3, comma 2). All’uopo, l’originario termine per la conferma dell’interesse, fissato al 30 giugno 2021, era poi stato differito – dopo esser giunto a scadenza – fino al 28 febbraio 2023 per effetto dell’art. 4, comma 4, della legge della Regione Siciliana 13 dicembre 2022, n. 18 (Variazioni al bilancio di previsione della Regione siciliana per il triennio 2022-2024).

Dunque, la Corte osserva che entrambi i termini vengono, con la disposizione in esame, differiti al 30 aprile 2023, con ciò determinandosi, a giudizio del Presidente del Consiglio dei ministri, la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione alle previsioni self-executing dell’art. 12 della direttiva 2006/123/CE. La proroga dei due termini, infatti, comporterebbe l’effetto di “corroborare”, per le aree demaniali ricadenti nel territorio della Regione Siciliana, il rinnovo, senza gara, delle concessioni marittime «fino alla data del 31 dicembre 2033», secondo quanto già stabilito dall’art. 1, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 24 del 2019. Tale effetto, secondo il ricorrente, contrasterebbe con il divieto di rinnovo automatico delle concessioni, da ultimo ribadito dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, proprio in virtù della richiamata norma self-executing, nella già citata sentenza 20 aprile 2023, in causa C-348/22, Autorità garante della concorrenza e del mercato. Il legislatore siciliano, esorbitando dalle proprie competenze legislative come stabilite dagli artt. 14 e 17 dello statuto di autonomia, avrebbe, così, introdotto un ostacolo alla piena applicazione, nell’ordinamento interno, della normativa dell’Unione.

La Corte Costituzionale, a questo punto, ripercorre i più importanti interventi normativi nella materia delle concessioni demaniali marittime e della relativa durata, a livello sia nazionale sia delle disposizioni vigenti nella Regione Siciliana, ai fini di un corretto inquadramento della questione, con la precisazione che essi hanno dovuto confrontarsi con i vincoli derivanti dai principi comunitari di tutela della concorrenza e di libertà di stabilimento, declinati, in special modo, dall’art. 12 della direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno.

In particolare, per quelle attività economiche che, come nel caso delle concessioni demaniali, utilizzano a fini imprenditoriali la disponibilità esclusiva di un bene pubblico caratterizzato dalla “scarsità” della relativa risorsa, il diritto dell’Unione europea sottopone il rilascio del titolo autorizzativo a stringenti condizioni, atte a favorire il ricambio tra gli operatori e a rimuovere gli ostacoli all’ingresso nel mercato di riferimento. Dette condizioni impongono che la risorsa pubblica sia affidata previo espletamento di una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti adeguate garanzie di imparzialità e di trasparenza (art. 12, paragrafo 1, della direttiva servizi), e che il titolo, da rilasciarsi «per una durata limitata adeguata», non preveda procedure di rinnovo automatico né accordi altri vantaggi al prestatore uscente (art. 12, paragrafo 2).

La Corte osserva che l’inerzia del legislatore nazionale nel dare attuazione a tali previsioni, con specifico riguardo alle concessioni demaniali marittime per uso turistico-ricreativo, ha indotto la Commissione europea, già nel 2009, ad aprire una procedura di infrazione: per effetto di tali rilievi dell’organo comunitario, il legislatore nazionale si è determinato ad accantonare, nella regolazione delle concessioni demaniali marittime, il cosiddetto diritto di insistenza, già previsto dall’art. 37, secondo comma, del regio decreto 30 marzo 1942, n. 327 (Approvazione del testo definitivo del Codice della navigazione). È stata dunque abrogata l’originaria previsione che, nel fissare la durata delle concessioni dei beni demaniali marittimi a sei anni, stabiliva che esse «si rinnovano automaticamente per altri sei anni e così successivamente ad ogni scadenza» (art. 01, comma 2, del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, recante «Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime», convertito, con modificazioni, in legge 4 dicembre 1993, n. 494, nel testo sostituito dall’art. 10, comma 1, della legge 16 marzo 2001, n. 88, recante «Nuove disposizioni in materia di investimenti nelle imprese marittime»). L’abrogazione, proprio al fine di superare i rilievi della Commissione europea, è stata disposta dall’art. 11, comma 1, lettera a), della legge 15 dicembre 2011, n. 217 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 2010).

Allo stesso tempo, tuttavia, evidenzia la Corte, il legislatore nazionale – anziché procedere a una conseguente e necessaria rivisitazione della materia, pur preannunziata più volte e oggetto anche di apposita delega al Governo, da parte della menzionata legge n. 217 del 2011, mai portata a compimento – ha inaugurato, sin dal 2010, una stagione di ripetute proroghe delle concessioni in scadenza. Ad un primo differimento al 31 dicembre 2012 (disposto dall’art. 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, recante «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative», convertito, con modificazioni, in legge 26 febbraio 2010, n. 25), è seguita una nuova proroga fino al 31 dicembre 2020 (così l’art. 34-duodecies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, recante «Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese», come introdotto dalla relativa legge di conversione 17 dicembre 2012, n. 221).

La Corte, ancora, rileva che, nonostante la Corte di giustizia UE – con la sentenza 14 luglio 2016, nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15, Promoimpresa srl e Mario Melis e altri – avesse dichiarato il contrasto di tali previsioni con l’art. 12 della “direttiva servizi”, il legislatore nazionale, approssimandosi la scadenza del 31 dicembre 2020, ha prorogato ulteriormente la validità delle concessioni dei beni del demanio marittimo per ulteriori quindici anni. Così ha stabilito l’art. 1, commi 682 e 683, della legge n. 145 del 2018, pur preannunziando un programma (ivi delineato, ai commi 677 e seguenti) di complessiva revisione del modello di gestione delle imprese turistico-ricreative e ricettive che operano sul demanio marittimo, tale da comprendere anche una «revisione organica delle norme connesse alle concessioni demaniali marittime» (così il comma 677, lettera c). L’effetto pratico di queste previsioni è dunque stato quello di avallare la prosecuzione, senza l’indizione di gare, fino all’anno 2033, delle concessioni ormai prossime alla scadenza, senza che, nel periodo immediatamente successivo, abbia mai visto la luce il preannunziato programma di riforme.

La richiamata nuova proroga – assistita poi da una “moratoria” (di cui all’art. 182, comma 2, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, recante «Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19», convertito, con modificazioni, in legge 17 luglio 2020, n. 77), atta a bloccare, durante il periodo pandemico, le procedure amministrative per il rilascio o per l’assegnazione, con procedure di evidenza pubblica, delle aree oggetto di concessione – è stata sottoposta al giudizio dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, che, con le sentenze n. 17 e n. 18 del 9 novembre 2021, ne ha rilevato il contrasto con le norme UE in tema di libertà di stabilimento e di non discriminazione tra operatori economici e la conseguente necessità di non applicazione, anche da parte delle pubbliche amministrazioni.

La Corte mette in evidenza come, in particolare, le richiamate pronunce, nel ribadire la necessità delle procedure ad evidenza pubblica per l’assegnazione delle aree demaniali, hanno escluso la sussistenza di un diritto alla prosecuzione del rapporto in capo agli attuali concessionari. Esse, allo stesso tempo, «[a]l fine di evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere, di tener conto dei tempi tecnici perché le amministrazioni predispongano le procedure di gara richieste e, altresì, nell’auspicio che il legislatore intervenga a riordinare la materia in conformità ai principi di derivazione europea», hanno comunque riconosciuto l’efficacia delle concessioni in essere fino alla data del 31 dicembre 2023. Si è, poi, avvertito che, «oltre tale data, anche in assenza di una disciplina legislativa, esse cesseranno di produrre effetti, nonostante qualsiasi eventuale ulteriore proroga legislativa che dovesse nel frattempo intervenire, la quale andrebbe considerata senza effetto perché in contrasto con le norme dell’ordinamento dell’U.E.».

Dunque, la Corte rileva come il legislatore nazionale abbia recepito quest’ultima indicazione con l’art. 3 della legge n. 118 del 2022, con cui sono stati abrogati i commi 682 e 683 dell’art. 1 della legge n. 145 del 2018 (comma 5) e si è contestualmente stabilito che le concessioni demaniali de quibus continuano ad avere efficacia fino al 31 dicembre 2023 (comma 1). Solo in presenza di ragioni oggettive, tali da impedire la conclusione delle procedure di gara entro tale data, il legislatore ha acconsentito ad un ulteriore differimento del termine di scadenza delle concessioni, per il tempo strettamente necessario e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2024 (comma 3).

A seguire, nell’approssimarsi della scadenza, l’art. 12, comma 6-sexies, del decreto-legge 29 dicembre 2022, n. 198 (Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi), come introdotto dalla legge di conversione 24 febbraio 2023, n. 14, ha fissato il termine ultimo al 31 dicembre 2024, e l’art. 10-quater, comma 3, ha spostato al 31 dicembre 2025 l’ulteriore possibilità di differimento in caso di oggettive ragioni tali da impedire la conclusione tempestiva delle procedure selettive.

Quindi, la Corte rileva che tale legge di conversione è stata promulgata dal Presidente della Repubblica con contestuale invio di una lettera, in data 24 febbraio 2023, ai Presidenti delle due Camere del Parlamento e al Presidente del Consiglio dei ministri. In tale lettera, è stata fortemente stigmatizzata, tra l’altro, proprio la nuova proroga delle concessioni demaniali marittime, per contrasto sia con il diritto UE, sia con le citate sentenze dell’Adunanza plenaria.

La Corte riporta anche quanto affermato dalla giurisprudenza amministrativa, di recente, ovvero che sono passibili di non applicazione le norme della legge n. 14 del 2023 per ragioni sostanzialmente corrispondenti a quelle indicate dal Presidente della Repubblica (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenze 28 agosto 2023, n. 7992, e 1° marzo 2023, n. 2192).

Nello stesso tempo, ricorda la Corte, su rinvio del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, la Corte di giustizia UE, con la sentenza in causa C-348/22 (richiamata anche dal ricorrente), si è nuovamente pronunciata sulla disciplina italiana delle concessioni demaniali marittime, ribadendo la contrarietà delle proroghe alle norme del diritto UE: la Corte di Lussemburgo, in particolare, ha ricordato che l’art. 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE impone agli Stati membri, in termini incondizionati e sufficientemente precisi, l’obbligo di applicare una procedura di selezione imparziale e trasparente tra i candidati potenziali e vieta di rinnovare automaticamente un’autorizzazione rilasciata per una determinata attività.

Passando all’esame dell’ordinamento della Regione Siciliana, la Corte rileva che la materia delle concessioni sui beni del demanio marittimo è stata segnata, negli anni più recenti, da analogo percorso, incentrato essenzialmente sulle proroghe automatiche dei rapporti in essere: conformemente alle previsioni dei commi 682 e 683 dell’art. 1 della legge n. 145 del 2018, nel 2019, il legislatore siciliano ha stabilito di estendere la validità delle concessioni fino al 31 dicembre 2033, «a domanda dei concessionari», onerati di presentare richiesta di proroga entro il termine del 30 aprile 2020 (art. 1, comma 1, della legge reg. Siciliana n. 24 del 2019). Tale scadenza è stata poi più volte prorogata, fino alla previsione dell’art. 36 della legge reg. Siciliana n. 2 del 2023, con la quale il termine per la presentazione delle domande è stato differito al 30 aprile 2023.

La Corte evidenzia che tale differimento si riferisce non alla scadenza delle concessioni demaniali, che rimane fissata al 31 dicembre 2033 (giusta la previsione dell’art. 1 della legge reg. Siciliana n. 24 del 2019), quanto piuttosto alla data entro la quale gli interessati, in quanto titolari di un rapporto già in essere, possono presentare domanda di proroga della concessione.

Nel giudizio, inoltre, viene in rilievo l’analoga previsione, di cui alla seconda parte dello stesso art. 36 della legge reg. Siciliana n. 2 del 2023, che ha rinviato al 30 aprile 2023 anche il termine per la conferma dell’interesse all’ottenimento della proroga, nel quadro del sistema telematico che, a norma della legge reg. Siciliana n. 32 del 2020, è oggi chiamato a gestire le relative procedure amministrative.

La Corte, quindi, osserva che, pur se tali previsioni non comportano, di per sé, la perdurante vigenza delle concessioni fino al 2033 – effetto che è da farsi risalire all’art. 1 della legge reg. Siciliana n. 24 del 2019, mai impugnato dal Governo – è comunque innegabile che esse confermino detta vigenza in quanto abilitano gli aventi diritto a compiere quanto necessario per ottenere il beneficio della proroga fino a tale lontana scadenza. In questa prospettiva, secondo la Corte, è sicuramente ravvisabile un interesse attuale del ricorrente a dolersi della illegittimità costituzionale delle previsioni in esame, in relazione alla fonte interposta costituita dall’art. 12 della direttiva 2006/123/CE.

Tanto premesso, la Corte Costituzionale afferma che la questione promossa in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost. è fondata. A questo proposito, viene ricordato che, nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale, le norme dell’Unione europea munite di efficacia diretta «rendono concretamente operativo il parametro costituito dall’art. 117, primo comma, Cost. (come chiarito, in generale, dalla sentenza n. 348 del 2007)», aprendo così la strada alla declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme, anche regionali, che, rispetto alle prime, siano giudicate incompatibili con il diritto unionale (sentenza n. 102 del 2008; nello stesso senso, sentenza n. 86 del 2012).

La Corte, in particolare, ricorda che in passato ha già seguito questo percorso, con specifico riguardo al tema delle concessioni demaniali e della loro durata: la sentenza n. 180 del 2010, nel rilevare il prodursi di una disparità di trattamento tra operatori economici per effetto delle proroghe automatiche ex lege delle concessioni del demanio marittimo, e la conseguente violazione dei principi di concorrenza, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., l’art. 1 della legge della Regione Emilia-Romagna 23 luglio 2009, n. 8, recante «Modifica della legge regionale 31 maggio 2002, n. 9 (Disciplina dell’esercizio delle funzioni amministrative in materia di demanio marittimo e di zone di mare territoriale) in attuazione della legge 27 dicembre 2006, n. 296», che consentiva ai titolari delle concessioni in scadenza di presentare domanda, entro un certo termine, per ottenere la proroga del titolo fino ad un massimo di venti anni. La violazione dei principi del diritto UE è stata, in quell’occasione, rinvenuta nella sostanziale chiusura del mercato di riferimento, a danno degli operatori economici che, per non aver in precedenza gestito il demanio marittimo, si vedevano ex lege preclusa la possibilità, alla scadenza delle concessioni in essere, di prendere il posto dei precedenti gestori. Ne derivava un’ingiustificata compressione dell’assetto concorrenziale del mercato della gestione del demanio marittimo, con violazione dei parametri interposti (allora evocati dal ricorrente) del principio di parità di trattamento discendente dagli artt. 49 e seguenti del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in tema di libertà di stabilimento.

In una più recente occasione, e sempre in sede di giudizio in via principale, la Corte – sia pure con riferimento alle concessioni per lo sfruttamento delle acque minerali e termali, ma con affermazioni che mantengono validità anche per le concessioni del demanio marittimo – è giunta ad analoghe conclusioni, questa volta con esplicito riferimento alle previsioni dell’art. 12 della direttiva 2006/123/CE (sentenza n. 233 del 2020).

Dunque, la Corte ribadisce le affermazioni che precedono, pur se, a differenza dei precedenti citati, il differimento del termine disposto dalla norma qui impugnata non si riferisce questa volta (come già visto) alla vera e propria proroga delle concessioni demaniali – che trova origine nella più risalente previsione della legge regionale n. 24 del 2019 – ma esclusivamente alla presentazione, da parte del titolare in scadenza, dell’istanza di proroga del titolo.

La Corte, tuttavia, rileva che la rinnovazione anche solo di quest’ultima possibilità finisce con l’incidere sul regime di durata dei rapporti in corso, perpetuandone il mantenimento, e quindi rafforza, in contrasto con i principi del diritto UE sulla concorrenza, la barriera in entrata per nuovi operatori economici potenzialmente interessati alla utilizzazione, a fini imprenditoriali, delle aree del demanio marittimo.

In definitiva, la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 36 della legge reg. Siciliana n. 2 del 2023, per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione alle previsioni interposte dell’art. 12 della direttiva 2006/123/CE.

 

2.2 La seconda questione

La seconda questione ha ad oggetto l’art. 38 della legge reg. Siciliana n. 2 del 2023, che interviene nella materia dei parchi e delle riserve naturali. Nell’inserire il nuovo comma 4-bis nell’art. 24 della legge reg. Siciliana n. 14 del 1988, la disposizione impugnata consente, in tutto il territorio del parco, la realizzazione di opere finalizzate alla ricerca scientifica, anche in deroga alle disposizioni di vincolo dettate dallo statuto del parco. Simile previsione, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, sarebbe affetta da incoerenza e ambiguità, con conseguente violazione dell’art. 3 Cost. sotto il profilo della certezza del diritto e della ragionevolezza. Sotto diversa angolatura, l’introduzione di una generica deroga alle disposizioni di vincolo insistenti sui parchi si porrebbe in contrasto con la previsione del vincolo ex lege di cui all’art. 142 cod. beni culturali, con conseguente travalicamento dei limiti cui deve sottostare l’autonomia del legislatore regionale siciliano. In proposito, il ricorrente ricorda che la competenza legislativa primaria in materia di tutela del paesaggio, prevista dall’art. 14, primo comma, lettera n), statuto reg. Siciliana, deve osservare i limiti derivanti sia dall’art. 9 Cost. sia dalle previsioni del codice dei beni culturali e del paesaggio, qualificabili come norme di grande riforma economico-sociale.

La Corte rileva che, successivamente alla presentazione del ricorso, la disposizione impugnata è stata abrogata dall’art. 15, comma 14, della legge reg. Siciliana n. 9 del 2023, con decorrenza dal giorno dell’entrata in vigore della norma abrogatrice. Pertanto, la Corte afferma sussistere le condizioni che, per costante giurisprudenza della stessa (ex plurimis, sentenze n. 223 e n. 80 del 2023, n. 222 e n. 92 del 2022; ordinanza n. 96 del 2023), consentono di ritenere che ciò abbia condotto a una piena soddisfazione delle ragioni fatte valere dal Governo.

In particolare, nonostante la disposizione censurata sia rimasta in vigore per quasi cinque mesi, viene escluso che essa abbia prodotto gli effetti lesivi paventati dal ricorso, alla luce della dichiarazione dell’organo regionale competente per materia, depositata in giudizio dalla Regione Siciliana e non contestata dalla controparte.

La Corte, pertanto, dichiara la cessazione della materia del contendere in relazione all’impugnazione dell’art. 38 della legge reg. Siciliana n. 2 del 2023.

 

  1. Il dispositivo

La Corte Costituzionale, all’esito dell’iter argomentativo, con la sentenza n. 109 del 2024:

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 36 della legge della Regione Siciliana 22 febbraio 2023, n. 2 (Legge di stabilità regionale 2023-2025);

2) dichiara cessata la materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 38 della legge reg. Siciliana n. 2 del 2023, promosse, in riferimento agli artt. 3 e 9 della Costituzione”.