ISSN 2039 - 6937  Registrata presso il Tribunale di Catania
Anno XVI - n. 11 - Novembre 2024

  Giurisprudenza Civile



Sulla cessione di cubatura: brevi note a margine sulla Sentenza della Corte di Cassazione - Sezioni Unite Civili, del 9 giugno 2021 n. 16080.

Di Giuseppe Maria Marsico
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Sulla cessione di cubatura: brevi note a margine sulla Sentenza della Corte di Cassazione - Sezioni Unite Civili, del 9 giugno 2021 n. 16080

Di GIUSEPPE MARIA MARSICO

 

SOMMARIO: ABSTRACT – Introduzione - 1. Il caso – 2. La qualificazione giuridica dell'istituto della cessione di cubatura – 3. Osservazioni e Conclusioni – Riferimenti Bibliografici

 

ABSTRACT:

L’opportunità di affrontare uno studio dell’istituto della cessione di cubatura è stata già percepita con particolare urgenza a seguito dell’emanazione della legge 12 luglio 2011 n. 106 di conversione del d.l. 13 maggio 2011 n. 70. La normativa introducendo il numero 2-bis all’articolo 2643 c.c. rubricato ‹‹atti soggetti a trascrizione››, ha disposto in modo del tutto innovativo la necessità di trascrivere ‹‹i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali, regionali o da strumenti di pianificazione territoriale›. Qualificati come cessioni talvolta di volumetria, talaltra di cubatura, si tratta di accordi relativi a fondi compresi nella medesima zona urbanistica mediante i quali il proprietario di un’area ‹‹cede›› la potenzialità edificatoria del proprio suolo ad altro soggetto, sì da consentire a quest’ultimo di ottenere dal Comune un permesso di costruire ‹‹maggiorato›› per sfruttare la cubatura acquisita in aggiunta a quella naturalmente espressa dal proprio terreno

Si ripercorrono – in questa occasione - in chiave critica e pratico-applicativa – le distinte ricostruzione ermeneutiche, dottrinali e giurisprudenziali, in tema di cessione di cubatura analizzando le teorie “privatistiche”, “pubblicistiche” e “miste”, recuperando la rilevanza sistematica dell'autonomia privata.

 

Introduzione

 

Il tema del contenuto del diritto di proprietà ha accompagnato tutto lo sviluppo del diritto urbanistico, condizionando soluzioni normative e giurisprudenziali ed inducendo ad elaborare tecniche e strumenti che potessero rendere compatibili un sistema intrinsecamente diseguale, come quello della pianificazione urbanistica, con il riconoscimento di diritti a tutti coloro che fossero titolari della proprietà immobiliare.

Non è questa la sede per ripercorrere, in modo analitico, lo svilupparsi del dibattito, né le reiterate decisioni della Corte Costituzionale che hanno attestato di un quadro del diritto positivo che riconosceva ai proprietari anche la titolarità dello jus aedificandi.

Si può però ricordare, quale presupposto di alcune considerazioni sulla situazione attuale, che l'inerenza della facoltà di costruire al diritto di proprietà non è mai stata vista come la conseguenza di una nozione di tale situazione come garantita costituzionalmente, attraverso la necessaria attribuzione di una intrinseca e connaturata potestà edificatoria, ma solo come l'effetto di un quadro normativo che, nel rispetto della riserva di legge, ha configurato il diritto di proprietà immobiliare come inclusivo della potenzialità edificatoria.

Fin dalle prime affermazioni giurisprudenziali in merito al contenuto del diritto di proprietà, la dottrina precisava che i relativi principi erano solo la conseguenza di una disciplina di legge, in vigore ma suscettibile di essere modificata, senza che questo dovesse necessariamente comportare una violazione del disposto costituzionale. Il fatto che poi il legislatore non sia riuscito a — o non abbia voluto — modificare il quadro normativo, è storia nota, così come sono conosciuti il susseguirsi di conferme giurisprudenziali ed i tentativi dottrinali di mettere a fuoco i tratti quantitativi e qualitativi della facoltà di costruire insita nel diritto di proprietà; il tutto, peraltro, in un contesto complessivo che, nel tempo, è mutato, in conseguenza di una progressiva svalutazione della rilevanza del tema nell'ambito della materia del governo del territorio.

 

  1. Il caso

La vicenda si caratterizza per l'attribuzione da parte del Comune in favore del ricorrente di una volumetria residenziale[1] in via compensativa della cessione di alcuni lotti di terreno per destinarli ad opere di pubblica utilità. Il ricorrente aveva poi ceduto a terzi detta volumetria nell'anno 2009 e quindi prima dell'entrata in vigore dell'art. 2643 co. 1 n. 2-bis; l'atto veniva, dunque, assoggettato dalle parti alla sola imposta proporzionale di registro con aliquota del 3%. L'Agenzia delle Entrate, tuttavia, con proprio avviso di liquidazione sosteneva l'applicazione dell'imposta proporzionale di registro all'8%, dell'imposta ipotecaria del 2% e l'imposta catastale dell'1%. La Commissione Tributaria provinciale accoglieva le richieste del ricorrente sul presupposto che si trattasse di prestazione a contenuto patrimoniale ex art. 9 Tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. n. 131/1986, non ravvisando caratteri tipici della realità nei diritti in oggetto. Invece, la Commissione Tributaria Regionale accedeva alla ricostruzione dell'Amministrazione finanziaria qualificando il negozio de quo quale atto traslativo a titolo oneroso della proprietà e di diritti reali immobiliari di godimento ex art. 1, primo periodo, della Tariffa. Le parti impugnavano per Cassazione affermando la natura meramente obbligatoria del contratto di cessione di cubatura. L'Agenzia delle Entrate resisteva con controricorso asserendo la riconducibilità della fattispecie al trasferimento di un diritto reale di natura immobiliare.

 

  1. La qualificazione giuridica dell'istituto della cessione di cubatura

 

La questione sottesa al caso di specie e rimessa all'attenzione della funzione nomofilattica delle Sezioni Unite riguarda l'aspetto tributario solo indirettamente. La Corte di legittimità analizza, infatti, la qualificazione giuridica dell'istituto della cessione di cubatura a livello generale e sistematico e non solo ai fini impositivi.

In particolare, il fulcro centrale della decisione riguarda sia la qualificazione della natura giuridica dell'atto di cessione di cubatura[2], sia il quomodo con cui si atteggia il diniego di autorizzazione, inteso quale atto di natura pubblicistico[3] (che secondo alcuni compone una fattispecie a formazione progressiva) da parte del Comune rispetto all'eventuale imposizione fiscale applicata, sul presupposto della qualificazione dell'atto di cessione come negozio immediatamente traslativo del diritto edificatorio.

La materia della tassazione degli atti di cessione di “volumetria” o di “cubatura” (per tale intendendosi la “capacità edificatoria” di un fondo) è strettamente dipendente dalla qualificazione della natura giuridica di questi atti, questione oltremodo complessa poiché richiede di coordinare in via compositiva principi di diritto pubblico e di diritto privato, in relazione a una entità - come la volumetria o cubatura - che è nella disponibilità dei privati in quanto la Pubblica amministrazione ne consenta la materiale realizzazione e che, evidentemente, può essere “traslocata” da un terreno all'altro solo in base a previsioni in tal senso degli strumenti urbanistici. Si è dunque ampiamente discusso – come si analizzerà funditus nel proseguo - come la cubatura sia una “aspettativa”, come un “diritto” o anche come un “bene” (immobile, mobile, immateriale) e se gli atti che hanno a oggetto la volumetria abbiano efficacia reale o solamente obbligatoria.

La sentenza che si annota ha il pregio di ripercorrere i diversi orientamenti – dottrinali e giurisprudenziali – in tema di cessione di cubatura.

La questione è stata sempre fortemente dibattuta e le tesi formatesi sul punto sono numerose. In ogni caso, è possibile individuare la novella del 2011, con la quale è stato introdotto in n. 2 all'art. 2643 c.c., quale momento spartiacque. Infatti, prima dell'intervento normativo indicato, le tesi relative alla natura giuridica potevano distinguersi in quella a base negoziale[4], in cui veniva valorizzata l'autonomia privata, e quelle minoritarie a base amministrativa e “pubblicistica” – sopra menzionata” - che, al contrario, attribuiva assoluta centralità al provvedimento amministrativo.

Tanto premesso, le Sezioni Unite analizzano, nell'ambito delle maggioritarie tesi a base negoziale-privatistica, i numerosi orientamenti dottrinali e giurisprudenziali che saranno trattati in seguito.

La Suprema Corte, a questo punto, afferma che a rendere più complesso il quadro ermeneutico e la circostanza che, nel 2011, viene introdotta la predetta novella con cui viene previsto che sono soggetti a trascrizione: “i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori[5] comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale”.

Con l'introduzione della norma suindicata, secondo la tesi assolutamente prevalente, si sarebbe avallato l'orientamento sostenitore della presenza di un vincolo reale, non potendosi più negare che il contratto di cessione di cubatura rientri tra quelli ad effetti reali.

Essa parrebbe maggiormente in linea con la novella, per cui la cessione di cubatura costituirebbe di un atipico e “nuovo” diritto reale immobiliare. In particolare, il cedente, distaccando in tutto o in parte la facoltà di costruire inerente al proprio diritto di proprietà e formando un diritto a sé stante, trasferirebbe[6] tale diritto ad altro soggetto proprietario di un fondo contiguo; infatti, con l'art. 2643 n. 2-bis c.c. si legittima l'idea di una tipizzazione ad opera del legislatore di un nuovo diritto reale atipico e di contenuto parzialmente inedito.

Con la citata novella, ritiene la Suprema Corte, si superano le tesi che qualificavano la cessione di cubatura in termini di servitù o di negozio di destinazione e ciò per il semplice fatto che la norma fa riferimento al “trasferimento di diritti edificatori”. Peraltro, la Corte precisa che la precedente giurisprudenza delle Sezioni Unite non ha risolto la problematica della natura giuridica della cessione di cubatura, atteso che riguardava una fattispecie differente. I giudici di legittimità si erano occupati di diritti edificatori direttamente generati dalla pubblica amministrazione nell'ambito della cosiddetta “urbanistica consensuale”[7]. Anche in tali ipotesi, si verifica un distacco dello ius aedificandi rispetto alla proprietà del suolo, che costituisce oggetto di negoziazione. Nel caso de quo, ricorreva una compensazione urbanistica, ma essa costituiva un mero antefatto e rimaneva estranea alla cessione della cubatura ex se. I cedenti avevano trasferito la cubatura quando ormai la procedura compensativa operata dal Comune si era già conclusa. Tanto premesso, la Corte sancisce come art. 2643 n. 2 bis c.c. non sia dirimente per la corretta qualificazione della natura giuridica della cessione di cubatura. Tale novella non presenta una definizione normativa in senso stretto. Tuttavia, la disposizione de qua consente di inferire – mediante l'utilizzo sistematico delle categorie di diritto civile – gli elementi utili per l'individuazione della qualificazione giuridica[8] della cessione di cubatura. Deve evidenziarsi come la Suprema Corte demolisca in toto la presunta realità dell'istituto. Essa prende le mosse da una interpretazione letterale dell'elenco degli atti soggetti a trascrizione ex art. 2643 c.c. Si sancisce che esso non presuppone il carattere reale[9] dell'atto. Come spesso accade, nella ricostruzione dell'istituto, la Corte pone in essere una lettura sistematica delle disposizioni del codice civile. In tale ottica, si riferisce ai contratti di locazione ultranovennale (art. 2643 n. 8 c.c.) o al contratto preliminare (art. 2645-bis c.c.). Sulla base delle predette norme, si inferisce a contrario che, se i diritti edificatori fossero diritti reali, non avrebbe senso una norma ad hoc tale da consentirne la trascrivibilità. Dunque, l'introduzione dell'art. 2643 n. 2 bis c.c. è un elemento che sostiene, sotto il profilo sistematico, la tesi della non realità dell'atto di cessione di cubatura. I diritti edificatori, ai sensi dell'art. 2643 n. 2 bis c.c., vengono costituiti, trasferiti e modificati tra le parti. Da ciò emerge l'importanza dell'aspetto dell'autonomia privata della cessione di cubatura che recupera la sua prevalenza rispetto al provvedimento amministrativo pubblicistico della P.A. In altri termini, si ribadisce che l'effetto traslativo va collocato nell'ambito dell'autonomia negoziale delle parti, non già del procedimento amministrativo, né in una fattispecie a formazione progressiva. Quindi, ai sensi dell'art. 1376 c.c., il diritto si trasmette e si acquista per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato. La Suprema Corte, tuttavia, non svaluta del tutto la rilevanza dell'intermediazione amministrativa; i giudici di legittimità ritengono, infatti che, certamente, permane “il ruolo autorizzativo e regolatorio del permesso di costruire, per il cui rilascio il cedente è tenuto ad operare secondo il dovere generale di solidarietà, cooperazione, correttezza e buona fede”. Secondo i giudici di legittimità, nel caso di cessione di cubatura, non sussistono i presupposti per l'applicazione dell'aliquota proporzionale prevista dalla tariffa per gli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà immobiliare ovvero traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari[10]. Lo stesso dicasi per il caso di trascrizione e voltura, con riguardo all'imposta ipotecaria e catastale, la quale dovrà essere applicata nella misura fissa propria degli atti diversi da quelli traslativi o costitutivi di un diritto reale immobiliare. Alla luce di un complesso iter argomentativo, in cui la Suprema Corte ripercorre le varie opzioni esegetiche sulla cessione di cubatura e le confuta, viene enunciato il seguente principio di diritto: “la cessione di cubatura è atto: immediatamente traslativo di un diritto edificatorio di natura non reale a contenuto patrimoniale; non richiedente la forma scritta ad substantiam ex art. 1350 c.c.; trascrivibile ex art. 2643 c.c., n. 2-bis; assoggettabile ad imposta proporzionale di registro come atto diverso avente ad oggetto prestazione a contenuto patrimoniale ex art. 9 Tariffa Parte Prima allegata al D.P.R. n. 131 del 1986 nonché, in caso di trascrizione e voltura, ad imposta ipotecaria e catastale in misura fissa ex artt. 4 Tariffa allegata al D.lgs. n. 347 del 1990 e art. 10, comma 2, del medesimo decreto legislativo.

 

 

  1. Osservazioni e Conclusioni

Le crescenti esigenze dei privati, unitamente alla necessità di alcune amministrazioni locali di utilizzare modalità alternative di sviluppo del territorio, hanno contribuito all’evoluzione ed alla trasformazione dell’istituto pur in assenza di un intervento del legislatore nazionale. Dalla cessione di cubatura si sono infatti sviluppati e diffusi altri strumenti di pianificazione territoriale quali la perequazione, la compensazione e l’incentivazione. I nuovi diritti edificatori, privi di qualunque collegamento con l’area di provenienza o di destinazione (come efficacemente descritto dalla metafora ‹‹decollo››, ‹‹atterraggio›› e ‹‹volo››[11]), hanno sancito il superamento dei limiti strutturali propri della tradizionale figura della cessione di volumetria, contribuendo a renderne ancora più incerti i caratteri peculiari ed i confini applicativi.

A parere di chi scrive, la pronuncia della Suprema Corte è pienamente condivisibile, non potendo ravvisarsi il carattere della realità nella cessione di cubatura. A ciò – come è stato rilevato dalla dottrina – osterebbero i principi del numerus clausus e di tipicità dei diritti reali.

Si ritiene, peraltro, non condivisibile l'impostazione tradizionale secondo cui si sarebbe nel campo della costituzione o del trasferimento dei diritti reali di godimento. Tale ricostruzione è poco conforme una esigenza di certezza dei traffici, immanente nel nostro sistema di diritto civile; da tale tesi, tuttavia, discendeva la opportuna e necessaria trascrivibilità dell'atto di cessione della volumetria nei Registri Immobiliari. Con la cessione di volumetria, si realizzerebbe un asservimento del fondo servente, consistente nel gravame – assimilabile, in parte, a una servitus altius non tollendi - di non poter subire alcuno sfruttamento edificatorio oppure di poter avere uno sfruttamento edificatorio[12] non superiore a un certo numero di metri cubi, a vantaggio di un fondo dominante nel quale, con il placet del Comune, venga sfruttata la volumetria non utilizzata sul fondo servente. Tale ricostruzione non sembra condivisibile, poiché è condizionata anche dal fatto che la volumetria era intesa – in passato - come strumento di sola pianificazione del territorio e non anche – come accade oggi – a fini anche perequativi e premiali; si parlava di cessione di cubatura essenzialmente solo tra fondi finitimi[13]. Tale tesi non sembra, del resto, del tutto plausibile, specie in considerazione della discrezionalità della P.A. nella concessione del concreto sfruttamento della volumetria, intesa quale astratta capacità edificatoria.

Ai fini eminentemente pratici, la non realità della cessione comporterebbe la non necessità di inserire le clausole catastali, urbanistiche, di Attestazione di prestazione energetica e di trascrizione. Tuttavia – nella prassi notarile – a fini tuzioristici - tali menzioni sono comunque inserite, per tutelare la certezza dei traffici.

Nell'ambito delle tesi pubblicistiche, si ritengono, in parte, condivisibili i due sotto-orientamenti ripercorsi dalla Corte.

Secondo il primo, si tratterebbe di un negozio ad effetti obbligatori, per cui la cessione di cubatura costituirebbe un procedimento “a formazione progressiva” la cui pietra angolare sarebbe il provvedimento amministrativo con cui il Comune rilascia il permesso di costruire maggiorato. Sotto tale profilo, il negozio tra privati produce solamente effetti obbligatori. Il provvedimento amministrativo costituisce la conditio sine qua non del negozio. Esso conclude il procedimento e determina la modifica del PRG[14] necessaria per l'attribuzione di una maggiore volumetria al cessionario. Tale orientamento pare criticabile per la scarsa rilevanza attribuita agli interessi dell'autonomia privata ex art. 1322 c.c.; il negozio di cessione di cubatura, infatti, essendo ad effetti obbligatori non sarebbe trascrivibile e quindi non opponibile ai terzi. Tale ricostruzione, come è possibile constatare facilmente, pone rilevanti problemi di compatibilità con il fondamentale e immanente principio di certezza del diritto e dei traffici giuridici. L'autonomia negoziale, inoltre, come accennato, rivestirebbe un connotato nettamente subvalente rispetto alla potestà impositiva pubblicistica.

Alle medesime conclusioni conduce la diversa ricostruzione, secondo cui la cessione di cubatura sarebbe un negozio ad efficacia reale avente ad oggetto la chance edificatoria derivante dall'interesse legittimo pretensivo in capo al cedente nel procedimento amministrativo.

Assolutamente non condivisibile pare la teoria della c.d. “autosufficienza del provvedimento amministrativo”, come esplicazione di tale rilevanza pubblicistica del provvedimento amministrativo e fulcro della vicenda negoziale. Secondo tale tesi, per la cessione di cubatura non occorrerebbe un atto negoziale privato, in quanto tale cessione si realizzerebbe solo tramite il provvedimento amministrativo. Pertanto, a tal fine sarebbe sufficiente che il cessionario renda nota al Comune l'adesione del cedente al trasferimento di cubatura nelle forme più varie. In tal modo non vi sarebbero le problematiche di opponibilità ai terzi precedentemente rilevate. Tale teoria, nella parte in cui prevede la possibilità di “trasferire” i diritti edificatori “nelle forme più varie”, sembra – secondo chi scrive – implicitamente negare – come affermato dalla Corte - la natura reale del diritto. Diversamente, si sarebbe affermata la necessità della forma scritta ad substantiam. Si ritiene, peraltro, non del tutto apprezzabile la teoria – descritta dalle SS.UU. - per cui si sarebbe in presenza di un diritto di superficie, in quanto il cessionario del diritto di cubatura non acquista il diritto di edificare sul fondo altrui, ma di incrementare la mera facoltà edificatoria sul proprio fondo. Né, tantomeno, si ritiene che la cessione di cubatura possa identificare, invero, un vincolo unilaterale nei confronti della PA; tramite l'atto di asservimento il proprietario di un fondo si impegnerebbe ad un non facere, ossia a non richiedere[15] il permesso di costruire sul fondo medesimo e, di conseguenza, farebbe seguito il rilascio ad altro soggetto un permesso di costruire per una volumetria superiore.

Non si considera verosimile la diversa ricostruzione per cui tale cessione di cubatura rappresenterebbe un negozio costitutivo di servitù. La Suprema Corte – alla quale si aderisce in toto ripercorre, seppur brevemente, che tale tesi è criticata non tanto per l'assenza della necessaria vicinanza dei fondi, in quanto la cessione di cubatura atterrebbe a fondi rientranti nella medesima zona, ma perché l'interesse[16] del preteso titolare della servitù attiva non è quello di costituire una servitù di non edificare a carico del cedente, ma quello di acquisire il diritto di costruire lui stesso per una cubatura maggiore e ulteriore rispetto a quella di cui al PRG. Un'ulteriore prospettiva, finora non particolarmente valorizzata, meritevole in ogni caso di attenzione, sarebbe quella di individuare nella fattispecie al vaglio una sorta di ‘vincolo di destinazione' atipico con effetti reali e trascrivibile, con cui il ‘cedente' s'impegnerebbe a non utilizzare la volumetria inerente il fondo di sua proprietà. Un siffatto vincolo, tendenzialmente perpetuo, non dovrebbe incontrare la limitazione ex art. 1379 c.c. (dettato in materia di divieto di alienazione e per il quale esso divieto è valido solo se contenuto entro convenienti limiti di tempo e per un interesse apprezzabile): l'interesse generale di un ordinato ed equilibrato[17] sfruttamento del territorio, tutelato indirettamente anche dall'accordo fra privati[18] per il quale la volumetria non utilizzata viene sfruttata da altro soggetto proprietario del fondo contiguo, ma, comunque, nel rispetto delle complessive prescrizioni stabilite dallo strumento urbanistico[19], giustificherebbe l'atipicità del vincolo così costituito e la deroga al limite temporale predetto. Si ritiene che si sia in presenza di un mero diritto di credito di “natura edificatoria”, consistente nell'ottenere il rilascio e lo sfruttamento di un titolo abilitativo edilizio “maggiorato”, diversamente non ottenibile. Da ciò si può inferire un recupero della rilevanza dell'autonomia privata sulla potestà impositiva dell'intermediazione della P.A., in conformità della “moderna” funzione perequativa[20] e non già meramente di pianificazione della disciplina.

 La gestione del territorio mediante convenzioni urbanistiche dal contenuto pianificatorio, in tal modo, non dovrebbe determinare uno smantellamento progressivo dell'atto di pianificazione territoriale, ma troverebbe in esso un filo conduttore idoneo a guidare le singole soluzioni lungo una linea di coerenza con il disegno originario, fatto proprio dal piano generale, secondo canoni di proporzionalità, logicità, trasparenza ed eguaglianza di opportunità.

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

 

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CNN, Dalla cessione di cubatura alle operazioni sui crediti di cubatura: evoluzione o mutazione del diritto, Consiglio Nazionale del Notariato - Studio n. 671-2009/C, G. TRAPANI.

 

 

[1] Se da un lato i Comuni del nord Italia recepiscono con prontezza le innovazioni legate alla cessione di cubatura e alla perequazione, (si pensi all’esperienza del Comune di Milano o alla più piccola realtà del Comune di Schio, in Veneto che promuove la perequazione urbanistica dagli inizi degli anni Novanta) i Comuni del sud Italia stentano a recepire detti strumenti urbanistici. Per maggiori approfondimenti si veda E. MICELLI, La perequazione urbanistica, in Atti del Convegno, Paradigma 05 Febbraio 2015, p. 4 ss. Oltre alle problematiche di natura dottrinale l’istituto coinvolge molteplici interessi perseguiti dalla comunità quali l’uguaglianza sostanziale dei cittadini in merito alla fruizione del territorio, una programmazione degli interventi pubblici che tenga conto della tutela dei beni ambientali e culturali di cui dispone la città, la ricerca di uno sviluppo sostenibile che si coniughi con la conservazione ed il risanamento del patrimonio urbanistico già esistente mediante l’attuazione di schemi di edilizia residenziale che consentano di attribuire in modo sempre più diffuso l’accesso dei cittadini al bene casa. Il pensiero è di G. TRAPANI, I diritti edificatori, in Not. dir. imm., 3, Milano, 2014, p. 1 ss. ‹‹(…) la innovativa previsione di una procedura di carattere comparativo in luogo del diretto esercizio della discrezionalità amministrativa da parte della p.a. appare funzionale – al netto della verifica delle sue concrete modalità disciplinari – al duplice obiettivo di rendere trasparenti le scelte pubbliche, attraverso la predeterminazione dei criteri valutativi, e di realizzare quanto più possibile l’interesse pubblico, in linea quindi con i canoni costituzionali di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost.››. A tal riguardo cfr. F. GUALANDI, Dallo “jus aedificandi” allo “jus restituendi” (inteso come diritto di recuperare, rigenerare e sostituire l’esistente). Riflessioni sulla rigenerazione urbana, in www.giustizia-amministrativa.it, p. 1 ss.; G. SABBATO, La perequazione urbanistica, in www.giustizia-amministrativa.it, 2010, p. 11 ss. Cfr. N. IRTI, L’età della codificazione, Milano, 1999, pp. 38, 96. L’Autore sottolinea che «La crisi della centralità del codice è solo un’immagine della crisi dello stato moderno e così dell’emersione storica di gruppi e classi, di categorie economiche ed élites che esigono specifici statuti e tavole di diritto (…). Il movimento delle norme speciali è fedele interprete di una società pulviscolare, che non si riconosce in una comune tavola di valori».

[2] A. BARTOLINI, Profili giuridici del c.d. credito di volumetria, in Riv. giur. urb. 2007, 3, p. 307; E. BERGAMO, La cessione di diritti edificatori, in Corr. Merito, 2012, 2, p. 119) non è concorde nel ritenere che gli strumenti edificatori rappresentino un’evoluzione rispetto alla cessione di volumetria, stante la presenza di caratteristiche assolutamente diverse. Gli Autori affermano come il tema dei diritti edificatori non possa essere risolto con l’affermazione che si tratti del vecchio istituto della cessione di cubatura rivestito a nuovo, in quanto tra cessione di cubatura e diritti edificatori sussistono significative differenze che affondano le proprie origini nella radicale diversità che la pianificazione del territorio ha oggi assunto con l’istituto della perequazione. Al riguardo si obietta che gli strumenti edificatori rappresentano modelli di amministrazione concordata tra privati e p. a. la quale, sotto la spinta di interventi regionali e locali ha raggiunto un ampio margine di contrattazione e collaborazione con il privato nella disposizione dei diritti di volumetria così da imporre limiti strutturali alla cessione di cubatura. Tale prassi infatti, quale strumento utilizzato solo dai privati si è rivelata nel tempo inadeguata per la gestione e lo sfruttamento della volumetria tra privati e pubblica amministrazione. Sia consentito rimandare a S. MEUCCI, La circolazione dei diritti edificatori, Padova, 2012, pp. 37 e 67

[3] Il ruolo determinante assunto dal provvedimento pubblico nel trasferimento della volumetria per il completamento della fattispecie, accolto sia dalla giurisprudenza civile che da quella amministrativa, ha determinato in passato la preminenza della fase pubblica. Cass., Sez. II, 29 giugno 1982, n. 4245, in Giur. it., 1982, I, I, p. 685 ss.; Cfr. Cass., Sez. II, 22 febbraio 1996, n. 1352, in Not., 1996, 5, p. 417; Cons. Stato Sez. V, 28 giugno 2000, n. 3637, in Giur. it., 2001, p. 400 ss. Nella sentenza il Consiglio di Stato ha stabilito che ‹‹(…) la ricostruzione più attendibile della fattispecie (…) è quella di una contratto atipico ad effetti obbligatori avente natura di atto preparatorio, finalizzato al trasferimento di volumetria, che si realizza soltanto con il provvedimento amministrativo››. In senso conforme si vedano diffusamente A. PREDIERI, La legge 28 gennaio 1977 n.10 sulla edificabilità dei suoli, Milano, 1977, p. 121; A. BARUCCHI, Jus aedificandi e proprietà dei suoli, Torino, 1976 p. 46 che sostengono la definitiva scissione tra proprietà del suolo e diritto di edificare sullo stesso. Il fondamento di tale teoria si rinviene nell’assunto secondo cui solo la valutazione discrezionale dell’ente territoriale competente è la sola idonea a realizzare il trasferimento di cubatura, attraverso una modifica del piano regolatore, con la conseguenza che al provvedimento amministrativo deve essere riconosciuta natura costitutiva, mentre all’accordo fra privati non si richiede alcuna forma particolare. L’atto negoziale, anche se trascritto, non può da un punto di vista pubblicistico, vincolare definitivamente i fondi per il trasferimento di cubatura e ciò non solo per l’inattitudine dei negozi di diritto privato ad incidere sugli interessi pubblici ma soprattutto per la loro scarsa propensione a soddisfarli in modo tendenzialmente perpetuo, stante l’assoggettabilità ai rimedi di risoluzione del contratto.

[4] Secondo tale ricostruzione il ruolo del cedente si riduce unicamente all’impegno di quest’ultimo di porre in essere un comportamento volto ad ottenere dalla p. a. il rilascio del provvedimento abilitativo maggiorato ed a non richiedere alcun permesso di costruire sul proprio fondo divenuto (in tutto o in parte) inedificabile. In tal modo, come sottolineato dalla giurisprudenza degli anni Ottanta), il contratto dei privati viene relegato a mera espressione di principi generali in tema di esecuzione di buona fede o di integrazione contrattuale (Cass., Sez. II, 29 giugno 1981, n. 4245, in Giur. it., 1982, I, I, p. 685). Secondo la concezione ‹‹pubblicistica››, la cessione di cubatura rappresenta solo un contratto atipico ad effetti obbligatori senza oneri di forma pubblica e di trascrizione, avente natura di atto preparatorio e procedimentale, finalizzato al trasferimento di volumetria, che trova la sua fonte unicamente nel provvedimento amministrativo. Nel negozio ad effetti obbligatori l’autorità comunale non si limita ad approvare semplicemente la redistribuzione dei volumi edilizi programmata dai privati, operando piuttosto una vera e propria modifica del P.R.G. ed incidendo in tal modo sulla disciplina dettata su scala nazionale. L’intervento del potere pubblico non costituisce pertanto solo una presenza sullo sfondo al fine di un controllo più o meno generico e più o meno incisivo dei contratti posti in essere dalle parti ma assume, secondo tale impostazione, un ruolo centrale nella complessa vicenda. Cass., Sez. III, 22 febbraio 1996, n. 1352, in Foro. it., 1996, I, p. 1698 e in Notariato, 1996, p. 417, con nota di V. VAGHETTI, Sent. Cass. Sez. II, 12 settembre 1998, n. 9081. Si veda inoltre F. GAZZONI, La trascrizione immobiliare. Artt. 2643-2645-bis, Milano, 1991, p. 656. Con riferimento ai limiti dell’autonomia privata e ai poteri della p. a. nell’ambito delle convenzioni stipulate tra privati sia consentito rinviare a T. GALLETTO, Le convenzioni urbanistiche, in Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale, I contratti in generale, I contratti atipici, II, 2, 1991, pp. 1055-1061. Ne deriva che la pubblica amministrazione, all’atto del rilascio del titolo abilitativo maggiorato, non si limita a recepire in concreto, sic et simpliciter, l’assetto negoziale formulato dalle parti interessate, ma opera una vera e propria modifica degli strumenti urbanistici, realizzando l’ultimo tassello di quel procedimento a formazione progressiva in cui l’accordo privatistico è condicio sine qua non del provvedimento finale autorizzativo. L’impostazione ‹‹pubblicistica›› nel collocare il contratto di cessione all’interno del più ampio procedimento amministrativo, non è in grado di garantire la tutela dei terzi per l’impossibilità di trascrivere il provvedimento amministrativo con effetti paradossali primo tra tutti il fatto che nel caso di titoli configgenti per l’ipotesi di doppio trasferimento della volumetria a due cessionari diversi, prevarrebbe non colui che avesse trascritto per primo il titolo, bensì quello che avesse vantato prima dell’altro, un atto di assenso del cedente rivolto in suo favore. Il compito dell’interprete (che sarebbe stato tale anche laddove il n. 2-bis non fosse stato mai introdotto) è quello di identificare la soluzione che coniughi al meglio l’autonomia privata, imprescindibile per la realizzazione dell’accordo, con il provvedimento emesso dalla p. a., necessario per l’esercizio del potere. La novella statuendo espressamente che sono ‹‹i contratti›› a determinare il trasferimento della volumetria, sembra aver sancito la qualificazione del contratto di trasferimento di volumetria in termini di contratto ad effetti reali e non più di contratto ad effetti obbligatori, in cui è il negozio di diritto privato costituisce elemento indefettibile per il perfezionamento dell’istituto. È dunque interessante, ai fini che interessano, verificare se la nascita dei diritti edificatori e la novella del d.l. n. 70 del 2011 abbiano contribuito in tal senso. F. GAZZONI, La trascrizione immobiliare, cit., p. 656; cfr. M. LEO, Il trasferimento di cubatura, cit., p. 682. Tra i sostenitori dell’impostazione che sostiene la preminenza della fase amministrativa si vedano su tutti F. GAZZONI, Cessione di cubatura, “volo” e “trascrizione”, in Giust. civ., 2012, II, p. 4 ss.; A. BARTOLINI, Profili giuridici del c.d. credito di volumetria, cit., p. 6 ss.

[5] Il tentativo di attuare una migliore composizione degli interessi allo sfruttamento del fondo da parte del privato e alla migliore gestione dei suoli da parte della p. a. si ha invero con la legge 241 del 1990, in cui l’esigenza di una semplificazione dell’azione amministrativa trova espressione nell’introduzione nell’ordinamento giuridico di strumenti in grado di ridurre gli oneri amministrativi ma anche nella c.d. semplificazione di garanzia che elimina i costi che il privato deve sopportare per rapportarsi ad uno scenario normativo complesso e ad una p. a. poco efficiente (G. Guzzo parla a tal proposito di compliance cost). L’esigenza di superare i limiti indicati unitamente da ragioni di carattere fiscale, determineranno così la nascita della c.d. ‹‹urbanistica contratta›› o ‹‹negoziata››, operante attraverso moduli consensuali in grado di esprimere una sorta di soft regulation così da realizzare il governo del territorio mediante l’utilizzo di strumenti meno complessi soprattutto per la realizzazione degli interessi locali. Quello a cui si assisterà sarà definito come un fenomeno di ‹‹pianificata depianificazione›› nell’ambito del quale il privato diviene protagonista del processo di trasformazione de territorio e partecipe del suo governo. Tutto avviene mediante la composizione di interessi dominanti come la proprietà, l’ambiente e le risorse economiche da un lato e di quelli emergenti come la concorrenze e i servizi di interesse generale tali da garantire e permettere uno sviluppo sostenibile dall’altro. Cfr. F. FELIS, Superficie e fattispecie atipiche. La cessione di cubatura, cit., p. 636

[6] Nel linguaggio metaforico utilizzato dal diritto urbanistico l’espressione ‹‹decollo›› si riferisce al momento in cui i diritti edificatori diventano autonomi rispetto al diritto di proprietà della terra distaccandosi dal fondo, con il termine ‹‹atterraggio›› si indica invece l’an ed il quomodo dell’esercizio del diritto sull’area ricevente, mentre per ‹‹volo›› o ‹‹crociera›› si intendono le vicende che possono riguardare i diritti edificatori nel momento in cui circolano senza essere legati ad alcuna area, nelle more dell’atterraggi

[7] La ricostruzione privatistica della cessione di cubatura diffusa prima della novella è quella che utilizza il diritto reale di servitù. I pregi di tale ricostruzione sono molti e consistono nella possibilità di coniugare la realità del diritto con l’opponibilità ai terzi, garantita dalla trascrizione ai sensi dell’art. 2643 n. 4 c.c. senza porsi in conflitto con il principio del numerus clausus. Essa si attua mediante la costituzione di una servitù di non edificare, totale (servitù non aedificandi) o parziale (altius non tollendi) a favore di altro terreno limitrofo, nel rispetto del principio praedia vicina esse debent, affinché la cubatura per la quale si impegna a non edificare possa essere sfruttata dal fondo dominante. Poiché rimane la necessità di avvalersi del provvedimento rilasciato dal Comune per la concreta edificazione, l’intervento della p. a. viene assimilato ad una condicio juris, secondo altri alla condicio facti od anche alla clausola risolutiva espressa o alla presupposizione. M. DI PAOLA, Traferimento di cubatura di area e numero chiuso dei diritti reali, in Riv. not., 1975, 2, p. 547; M. LEO, Il trasferimento di cubatura, cit., passim. Altri hanno ritenuto più corretto parlare di servitù tipica, perché il peso imposto al fondo servente è duplice e consiste da un lato nel non edificare nella misura della cubatura in atto precisata, dall’altro nel sopportare il fastidio derivante dalla costruzione di un edificio più grande di quello che si sarebbe potuto realizzare in assenza della servitù. Cfr. M. LIBERTINI, I trasferimenti di cubatura in I Contratti del Commercio, dell’Industria e del Mercato Finanziario, Torino, 1995, p. 687 ss. L’Autore che sostiene tale importanza fa riferimento ad una prassi notarile descritta da C. TENELLA SILLANI, I ‹‹limiti verticali›› della proprietà fondiaria, Milano, 1994, p. 605. La principali obiezioni sollevate a tale tesi possono così riassumersi: il trasferimento di volumetria può attuarsi anche tra fondi non confinanti ma funzionalmente contigui, purché rientranti nella medesima zona, in pieno contrasto col brocardo praedia vicina esse debent; inoltre il bisogno permanente che la servitù deve soddisfare manca nella cessione di cubatura, in quanto l’utilitas di cui usufruisce il proprietario del fondo dominante si esaurisce uno actu nel rilascio del titolo edilizio maggiorato, il peso imposto sul fondo servente non è tale da giustificare la corrispondente maggiore possibilità di edificare prodottasi in capo al fondo dominante. Inoltre la servitù non può avere un contenuto positivo come invece è il diritto di edificare che consente di realizzare una costruzione e tale schema non è in grado di spiegare il fenomeno dell’accorpamento ai sensi dell’art. 1072 c.c. che introduce il principio del nemini in res sua servit. In tal senso F. GAZZONI, Cessione di cubatura, “volo” e “trascrizione” in www.judicium.it, p. 1 Per l’Autore il provvedimento della p. a. si pone ‹‹(…) non già condizione di efficacia dell’atto di cessione, ma elemento costitutivo della fattispecie stessa››. Si veda anche F.GAZZONI, La trascrizione immobiliare. Artt. 2643-2645-bis, Milano, 1991, pp. 655-656; BRANCA, Servitù prediali (art. 1027- 1099), in comm. cod. civ., 3, Della proprietà, Bologna, 1987, pp. 34-38. Dopo la novella del 2011 l’incompatibilità della cessione di cubatura con la servitù sembra avvalorata dal fatto che il legislatore ha ritenuto opportuno dettare una norma autonoma rispetto all’art. 2643 n. 4 c.c. e dal fatto che la servitù non è contemplata la vicenda traslativa non potendo essere oggetto di atti dispositivi separatamente dalla proprietà del suolo cui invece la servitù afferisce. Nemmeno lo schema della servitù per vantaggio futuro del fondo dominante (ai sensi dell’art. 1029 c.c.) può dirsi soddisfacente in primo luogo perché per quanto riguarda il panorama successivo alla riforma, fino a quando il bene non viene ad esistenza la servitù non è opponibile ai terzi né trascrivibile, inoltre perché tale costrutto altererebbe i caratteri tipici della servitù nel tentativo di coniugare fase privata e pubblica, determinando una scissione tra utilitas, consistente nel mantenimento del peso sul fondo servente, e ‹‹vantaggio futuro e incerto››, legato all’art. 1029 c.c., consistente nell’incremento edificatorio del fondo dominante subordinato al rilascio del provvedimento della p. a. Per maggiori approfondimenti si vedano P. GRASSANO, La cessione di cubatura nel processo conformativo della proprietà edilizia privata, cit., p. 383; GERBO, I diritti immobiliari di godimento su cosa altrui, Milano, 2001, p. 252 e M. LEO, Il trasferimento di cubatura, cit., p. 699; Cass., Sez. I, 25 ottobre 1973, n. 2743, in Riv. not., 1977, II, p. 547; nel testo della sentenza si fa espresso riferimento a ‹‹(…) pattuizioni con cui vengono imposte a carico di un fondo e a favore del fondo confinante limitazioni di edificabilità che hanno carattere reale e si inquadrano nello schema della servitù››; TAR Lazio 22 novembre 1978, in Foro amm., 1979, I, p. 151, TAR Toscana, 13 febbraio 1976, in Trib. amm. reg., 1976, I, p. 1440; Cass., Sez. II, 15 giugno 2001, n. 8151, in Vita not., 2003, p. 704, con nota di E. MARANGONI, Servitus altius non tollendi: estinzione totale per lesione minima e utilitas (utilitas del fondo o utilitas delle parti), passim.

[8] Altra ricostruzione è quella del diritto reale di superficie diffusasi a seguito della pronuncia della Cass., Sez. I, 21 marzo 1973, n. 802, in Foro it., 1973, I, p. 2117, che aveva affermato la sussistenza di un’equivalenza tra ‹‹ampliamento della superficie›› della propria area e ‹‹aumento della cubatura››. L’elemento peculiare ed atipico della fattispecie in questione è rappresentato dal fatto che il diritto di costruire viene esercitato non già sul terreno di proprietà del concedente, ma su quello del medesimo superficiario previo ottenimento del permesso di costruire maggiorato avente come oggetto, non la concessione del diritto di edificare sul suolo altrui (prevista dal comma 1), né il trasferimento del diritto di proprietà dell’edificio già esistente (come statuito nel comma 2), bensì la mera potenzialità edificatoria, in termini di alienazione di una costruzione non ancora esistente. In tal senso S. G. SELVAROLO, Il negozio di cessione di cubatura, Napoli, 1989, p. 69 ss. Secondo l’Autore da un lato la potenzialità edificatoria del fondo ‹‹cedente››, verrebbe sfruttata a vantaggio di un soggetto diverso dal proprietario (proprio come richiesto dalla norma) dall’altro, il vantaggio di edificare per una cubatura maggiore si realizzerebbe su un terreno diverso rispetto a quello da cui la volumetria aveva tratto origine, differentemente da quanto sancito dall’art. 952 c.c. Seppur pregevole, tale ricostruzione fino all’introduzione della novella non è in grado di superare l’obiezione inerente al numerus clausus. È bene poi sottolineare come fino all’emanazione del n. 2-bis tale negozio non è di per sé in grado di far sorgere alcun vincolo di natura reale sul fondo servente, né di determinare il trasferimento della cubatura da un fondo all’altro senza tralasciare il fatto che la tesi non si cura di definire il suolo della p. a.. nella ricostruzione della fattispecie. Gli effetti da un punto di vista applicativo sono molto rilevanti. Infatti potrebbe accadere che successivamente al trasferimento della cubatura il fondo onerato ottenga una volumetria aggiuntiva rispetto a quella trasferita, per effetto di una modifica del PRG. In tal caso sarebbe dubbio a chi attribuirla: al soggetto che ha beneficiato del diritto di superficie ovvero al proprietario del terreno onerato come nuova ‹‹facoltà›› di edificare modificativa dell’assetto del fondo? Cfr. F. FELIS, Superficie e fattispecie atipiche. La cessione di cubatura, cit., p. 643. R. TRIOLA, La natura giuridica della cessione di cubatura, nota a Cass., Sez. II, 30 aprile 1974, n. 1231, in Giust. civ., 1974, I, p. 1424 ss. e N. GRASSANO, La cessione di cubatura nel processo conformativo della proprietà edilizia privata, cit., p. 1083. Si veda a tal proposito Cass., Sez. II, 9 marzo 1973, n. 641, in Foro. it., 1973, I, p. 2120

[9] 5 Si sottolinea come secondo un Autore, nel procedere all’esame dell’istituto sia altresì necessario distinguere tra la natura giuridica dell’oggetto del trasferimento e gli effetti del contratto di trasferimento. Più precisamente, non si deve confondere la (eventuale) realità del diritto (e quindi la sua riferibilità ad un bene corporale) con la realità dell’effetto contrattuale, così da tenere distinte la prospettiva della circolazione da quella dell’esercizio del diritto. La precisazione appare alquanto opportuna, come sottolineato dall’autore, a causa dell’utilizzo improprio dei termini, che per lungo tempo è stato compiuto da alcune dottrine, le quali, basandosi su presupposti teorici errati hanno perseguito ricostruzioni talune volte alla ‹‹reificazione›› del fenomeno, altre all’identificazione della fattispecie in un’ottica esclusivamente pubblicistica. Non si deve inoltre incorrere nell’errore di ritenere che la potenzialità edificatoria non sia immediatamente individuabile. Essa esiste da subito ed in quanto tale può essere oggetto di contrattazioni. Cfr. G. AMADIO, I diritti edificatori: la prospettiva del civilista, cit., p

[10] A. GAMBARO, La proprietà edilizia, in Trattato di diritto privato Rescigno, Torino, 1982, VII; G. CECCHERINI, Il c.d. trasferimento di cubatura, Milano, 1985; S. G. SELVAROLO, Il negozio di cessione di cubatura, cit.; A. CANDIAN, Il contratto di trasferimento di volumetria, cit.; A. BARTOLINI, Profili giuridici del c.d. credito di volumetria, in Riv. giur. urb., 2007; S. CERVELLI, I diritti reali, Milano, 2001, pp. 65-67; N. A. CIMMINO, La cessione di cubatura nel diritto civile, in Riv. not., 2003, 5; P. GRASSANO, La cessione di cubatura nel processo conformativo della proprietà edilizia privata, in Giur. it., IV, 1990; G. A. DI VITA, Riflessioni sul tema “cessione di cubatura”: una lettura provocatoria della novella, in Il Notaro, II, 2011.

[11] Una delle maggiori difficoltà di inquadramento della cessione di cubatura consiste nel fatto che essa si caratterizza per l’esistenza di due momenti distinti. Il primo consiste in un accordo tra privati relativo alla cessione della volumetria da un fondo all’altro, appartenenti alla medesima zona urbanisticamente considerata, che si può realizzare come effetto del potere conformativo che la p. a. ha esercitato attribuendo ai fondi una specifica volumetria che diviene parte del diritto di proprietà sul terreno. Il secondo momento, invece, coinvolge necessariamente la pubblica amministrazione e coincide con il rilascio del titolo abilitativo maggiorato da parte del Comune. La necessaria applicazione di norme di diritto privato e della fase regolata dalla disciplina di diritto amministrativo rendono maggiormente difficoltoso l’inquadramento dell’istituto in esame. Per ulteriori approfondimenti sul problema sia consentito rinviare a G. VETTORI, Accordi amministrativi e contratto, in Contr. impr., 1993, p. 525 ss e G. FALCON, Convenzioni e accordi amministrativi, in Enc. giur. Treccani, IX, Roma 1988, p. 1 ss

[12] Una delle maggiori difficoltà di inquadramento della cessione di cubatura consiste nel fatto che essa si caratterizza per l’esistenza di due momenti distinti. Il primo consiste in un accordo tra privati relativo alla cessione della volumetria da un fondo all’altro, appartenenti alla medesima zona urbanisticamente considerata, che si può realizzare come effetto del potere conformativo che la p. a. ha esercitato attribuendo ai fondi una specifica volumetria che diviene parte del diritto di proprietà sul terreno. Il secondo momento, invece, coinvolge necessariamente la pubblica amministrazione e coincide con il rilascio del titolo abilitativo maggiorato da parte del Comune. La necessaria applicazione di norme di diritto privato e della fase regolata dalla disciplina di diritto amministrativo rendono maggiormente difficoltoso l’inquadramento dell’istituto in esame. Per ulteriori approfondimenti sul problema sia consentito rinviare a G. VETTORI, Accordi amministrativi e contratto, in Contr. impr., 1993, p. 525 ss e G. FALCON, Convenzioni e accordi amministrativi, in Enc. giur. Treccani, IX, Roma 1988, p. 1 ss.

[13] Quella dell’accorpamento è l’ipotesi in cui un unico proprietario di più aree con medesima destinazione ed appartenenti alla stessa zona, la cui vicinanza tra loro è urbansiticamente rilevante, voglia utilizzare l’intera cubatura derivante dal proprio lotto complessivo solo in una certa area, non è dunque necessario che i terreni siano confinanti. La dottrina e la giurisprudenza hanno a lungo dibattuto circa i requisiti necessari per porre in essere le operazioni di accorpamento e di concentrazione di volumetria. Avendosi un unico proprietario secondo alcuni non è necessario alcun atto negoziale in quanto il vincolo discende proprio dall’utilizzo della cubatura in una certa zona. La soluzione tuttavia non è pienamente soddisfacente con riferimento alla tutela che deve essere apprestata ai terzi in ottemperanza al principio di tutela dell’affidamento). Questa è la ragione per cui certa dottrina ha richiamato l’obbligazione reale, stante la sua natura ambulatoria e per il fatto che l’obbligato è individuato in ragione del suo collegamento reale con il bene. Si vedano a tal proposito P. GRASSANO, La cessione di cubatura nel processo conformativo della proprietà edilizia privata, cit., p. 386 ss.; Cons. Stato, Sez. V, 4 gennaio 1993, n. 26 in Foro amm., 1993, p. 573. Diversa è l’ipotesi della riserva di cubatura che rappresenta l’operazione con cui il proprietario di un terreno vuole alienarlo a terzi, riservando però a favore di altro suolo contiguo di sua proprietà la capacità edificatoria del fondo ceduto. Il terzo acquista, in tal maniera, un’area in tutto o in parte priva, al tempo dell’acquisto, della volumetria che essa avrebbe potuto sviluppare in conformità agli strumenti urbanistici tempo per tempo vigenti. L’ipotesi sembra assimilabile a quella della deductio servitutis, istituto non disciplinato nel codice civile che si ha quando il titolare dell’immobile al momento dell’alienazione costituisce una servitù sul bene alienato a favore di altro immobile di cui è titolare. Si tratta di un’ipotesi diversa dalla riserva di usufrutto disciplinata nell’art. 796 c.c. per gli atti a titolo gratuito, che si viene a creare mediante un atto negoziale misto. Nel caso di specie, la riserva si atteggia quale atto d’asservimento contestuale alla vendita, ma ad essa logicamente e giuridicamente antecedente inoltre solo nella riserva di cubatura l’alienante trasferisce l’intero suo diritto di proprietà e ‹‹non trattiene alcuna “facoltà” che possa dar luogo ad un diritto reale limitato››. Così si esprime S. CERVELLI, I diritti reali. Manuale e applicazioni pratiche delle lezioni di Guido Capozzi, Milano, 2007, p. 236. Per maggiori approfondimenti si veda S. DE PAOLIS, Riflessioni in tema di trasferimento di volumetria, in Riv. giur. ed., 2011, n. 5, p. 199.

[14] Tali prescrizioni avrebbero trovato attuazione per mezzo della cooperazione delle amministrazioni locali mediante i c.d. Piani Particolareggiati. Il Piano Regolatore Generale costituisce lo strumento urbanistico comunale attraverso cui viene realizzata la funzione di conformazione dei suoli (art. 42 co. 2 Cost). Esso è composto da un apparato grafico (tavole ricognitivo-conoscitive e progettuali), da norme tecniche di attuazione ed infine da una relazione illustrativa da cui emergono l’attività preparatoria e le indagini effettuate in una determinata zona, oltre agli obiettivi generali del piano. Il P.R.G., pertanto, ha come obiettivo quello di programmare l’uso del territorio e il suo sviluppo a livello comunale al fine di garantire una razionale ed ordinata trasformazione del territorio. Il contenuto di tale strumento è profondamente mutato nel tempo. Originariamente sorto come meccanismo per la tutela dei soli interessi urbanistici in senso stretto, successivamente si è caratterizzato per il fatto di aver assunto ulteriori funzioni, come quelle di recepimento delle politiche ambientali e paesaggistiche. Inoltre, nel tempo, è progressivamente cresciuto il peso assunto dalla partecipazione popolare. Si veda a tal proposito per maggiori approfondimenti: E. BOSCOLO, Commento all’art. 7, L. 15.8.1942, n. 1150, in Codice commentato delle leggi in materia di urbanistica ed edilizia, Commento all’art. 7, L. 15.8.1942, n. 1150, Roma, 2013, passim. La legge urbanistica introduce anche la licenza edilizia inizialmente richiesta per il solo territorio comunale ‹‹urbanizzato›› (inizialmente individuato con la perimetrazione dei centri abitati che i Comuni hanno l’obbligo di individuare). Più precisamente l’arti. 31 ne subordina il rilascio ‹‹alla esistenza delle opere di urbanizzazione primaria o alla previsione da parte dei Comuni dell’attuazione delle stesse nel successivo triennio o all’impegno dei privati di procedere all’attuazione delle medesime contemporaneamente alle costruzioni oggetto della licenza››. Solo con la legge 6 agosto 1967 n. 765 l’obbligo della licenza edilizia viene esteso a tutto il territorio comunale, sia dentro che fuori il centro abitato, rimanendo comunque gratuita.

[15] Corte cost., 29 maggio 1968, n. 55, in Giur. cost., 1968, p. 838 e Corte cost. 29 maggio 1968 n. 56 in Giur. cost. 1968, p. 884 La sentenza ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’ artt. 7 numeri 2, 3 e 4 e dell’art. 40 della legge urbanistica 1150 del 1942 nella parte in cui non prevede un indennizzo per l’imposizione di limiti a tempo indeterminato nei confronti dei diritti reali laddove le limitazioni hanno contenuto espropriativo. Ha altresì respinto l’analoga censura formulata nei confronti dell’art. 15 della legge della Provincia di Bolzano 24 luglio 1957 n. 8 sulla tutela del paesaggio, che esclude l’indennizzo per i vincoli imposti a tempo indefinito. In quella stessa sede la Consulta afferma che la rilevanza della funzione sociale riconosciuta alla norma è tale da rompere la rigidità dello schema dei diritti soggettivi assoluti ‹‹in virtù del valore della solidarietà sociale, resta escluso che il diritto di proprietà possa venire inteso come dominio assoluto ed illimitato sui beni propri, dovendosi invece ritenerlo caratterizzato dall’attitudine ad essere sottoposto nel suo contenuto ad un regime che la Costituzione lascia al legislatore di determinare››. L’interpretazione della Corte ammette la possibilità di escludere la proprietà privata di intere categorie di beni dietro un congruo ristoro. Il ragionamento della Corte, mai abbandonato sino ad oggi, si colloca nel solco della sentenza Corte cost., 20 gennaio 1966 n. 6, in Foro it., 1966, I, p. 203, in materia di servitù militari e si fonda essenzialmente sulla summa divisio tra limitazioni proprie del regime giuridico di categorie di beni e limitazioni inerenti beni considerati singulatim. Il pensiero della Corte può essere sintetizzato in cinque punti fondamentali che racchiudono l’intera essenza delle pronunce. Il primo di questi è costituito dal fatto che l’art. 42 comma 2 Cost. consente di escludere la proprietà privata di determinate categorie di beni e di imporre, sempre per specifiche categorie, da un lato, limitazioni generali afferenti all’appartenenza e al godimento, dall’altro limiti che siano in grado di incidere su beni singolarmente considerati e graduati in base al tipo di restrizione che si vuole imporre. Altro punto focale affrontato dalla Corte è quello relativo al fatto che le imposizioni a titolo particolare non possono, in assenza d indennizzo, travalicare il bene stesso oltre ciò che è connaturale al diritto di proprietà, in quanto tale limite assumerebbe carattere espropriativo. I limiti connaturali al diritto di proprietà immobiliare sono unicamente quelli relativi al quomodo e al quantum dell’edificazione, o che attengono alla inedificabilità per periodi di tempo predeterminati (mentre i limiti espropriativi devono essere indennizzati e implicano la definitiva inedificabilità sul terreno in vista dell’acquisizione coattiva alla mano pubblica invero incerta nella data). Si è inoltre sottolineato come i vincoli di inedificabilità assoluta previsti dalla legge urbanistica siano da considerarsi a titolo particolare quando non incidono su tutti i terreni ed infine che le bellezze naturali del territorio costituiscono una categoria che, più in generale, è originariamente di interesse pubblico, ciò vuol dire che i limiti nel godimento sono connaturali al regime giuridico di appartenenza. Pertanto, il ruolo della p. a., è unicamente quello di appurare le caratteristiche obiettive dei beni e applicare la relativa disciplina secondo la loro natura.

[16] Indagare il contenuto del potere di edificare individuandone, se possibile, i profili di modernità, si rivela dunque essenziale nello studio della natura della cessione di cubatura e soprattutto per stabilire l’interazione tra contratti che trasferiscono la volumetria e provvedimenti edilizi rilasciati dalla p. a., in un ottica di armonizzazione tra diritto privato e diritto amministrativo. D. M. TRAINA, Lo jus aedificandi può ritenersi ancora connaturale al diritto di proprietà?, cit., pp. 276- 283. L’Autore nell’affrontare l’annosa tematica dello ius aedificandi prospetta le ragioni per cui tale ‹‹facoltà›› non possa più essere considerata come congenita al diritto di proprietà, in quanto non è postulata come costituzionalmente necessaria ma solo come connaturale al diritto dominicale in uno specifico momento storico da ritenersi ormai superato per effetto degli intervenuti mutamenti sociali, istituzionali, economici e normativi e soprattutto a seguito del riconoscimento da parte del legislatore dei diritti edificatori. Mediante i diritti edificatori si sarebbe infatti rinunciato ad imporre un regime uniforme della proprietà edilizia attribuendo alle Regioni, nell’ambito del governo del territorio, il potere di conformare il contenuto della proprietà dei suoli così da assicurarne la funzione sociale. I diritti edificatori, privi di ogni connessione con il suolo sembrerebbero confermare che il potere di edificare non è una qualità connaturale bensì una qualitas attribuita dalla p. a.

[17] Da ultimo A. GAMBARO, Compensazione urbanistica e mercato dei diritti edificatori, cit., p. 6. L’Autore sottolinea l’attualità del momento storico, che si caratterizza per la possibilità di ricorrere ai principi generali di ermeneutica contrattuale che impongono di prescindere dal nomen iuris, attribuito ad un istituto giuridico, per verificare l’effettiva voluntas. In tal senso si veda anche A. GAMBARO, Trattato dei diritti reali, Milano, p. 50. Sul tema sia consentito rinviare anche a N. IRTI, Introduzione allo studio del diritto privato, cit., p. 59 ss. Per quanto concerne l’utilizzo del linguaggio tecnico-giuridico, l’Autore rileva come nel momento storico attuale, un termine o una frase ritrovino il loro significato non già in un ambito predefinito, fondato su metodi e criteri dell’interpretazione classica, ma piuttosto lo acquistino e lo mutino in base al contesto socio-culturale in cui operano e per effetto delle contaminazioni che il diritto subisce. L’osservatore trova di fronte a sé una pluralità di significati che uno stesso termine può assumere in contesti differenti

[18] Il potere di costruire è dunque l’essenza del diritto di proprietà urbana o immobiliare ed, insieme, la componente prevalente del valore economico del terreno, coincidendo con il relativo godimento. In mancanza del diritto di costruire, si verifica di fatto, uno svuotamento del diritto di proprietà, tanto più che quando l’interesse pubblico si spinge all’ablazione totale del bene è dovuta un’indennità. In definitiva, come la stessa sentenza della Corte costituzionale ha precisato, l’indice di fabbricabilità si riferisce al rapporto tra la superficie destinata all’edificazione ed i volumi consentiti. Tale indice deve ritenersi osservato quando l’esecuzione del progetto implica la realizzazione di una cubatura che, rapportata all’ampiezza del lotto interessato dall’intervento edilizio, risulta conforme all’indice di fabbricabilità ammesso nella zona di riferimento.

[19] A. PREDIERI, Riserva della ‹‹facoltà›› di edificare e proprietà funzionalizzata delle aree fabbricabili,in AA. VV. Urbanistica, tutela del paesaggio ed espropriazione, Milano, 1969, passim, ID., Urbanistica, tutela del paesaggio, espropriazione, Milano, 1969, p. 140. L’Autore afferma che ‹‹la disciplina generale delle aree non attribuisce ai proprietari delle aree la facoltà di sceglierne l’uso in relazione alla edificabilità ma la attribuisce ai poteri pubblici››. Secondo tale orientamento il carattere pubblicistico dello sfruttamento edificatorio dei suoli è assolutamente predominante rispetto al diritto riconosciuto ai privati di esercitare tale ‹‹facoltà››, stante l’esistenza di ben più importanti interessi di carattere generale da dover tutelare. Per contro si ritiene che il rilascio della licenza edilizia non determini uno spazio di discrezionalità della p.a. stante il fatto che il bilanciamento degli interessi pubblici e privati è effettuato in una fase precedente, quella di elaborazione dello strumento urbanistico.

[20] Nell’incentivazione la volumetria assegnata è invece astrattamente generata dal suolo su cui il privato

pone in essere interventi di riqualificazione, pur essendo poi esercitabile in altra area.

Inoltre, anche se in sede di attribuzione il legame con il fondo è solo astratto, l’assegnazione

presuppone l’esistenza, seppur futura, di un fondo su cui fruire di quella cubatura.

La p. a. in sostanza anticipa un provvedimento espansivo e premiale avente ad oggetto la capacità

edificatoria (generata, seppure indirettamente, dalla cessione o dal miglioramento di un terreno), che

potrà essere utilizzata su altro suolo individuato anche in un momento successivo all’attribuzione della

volumetria. Più precisamente l’Amministrazione, per effetto di un accordo con il privato, acconsente di incidere sulla determinazione a monte del Piano Regolatore, così generando un ampliamento (e non un

riconoscimento) del diritto di costruire che è già tuttavia consustanziale al terreno sia quando lo stesso è

da tempo individuato sia quando debba ancora essere identificato. Seppure dunque lo ius aedificandi non è collegato esclusivamente al fondo ma anche al comportamento assunto dal soggetto beneficiario nei confronti della p.a., non è possibile prescindere dall’esistenza di un terreno per la sua concreta fruizione