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Anno XVI - n. 04 - Aprile 2024

  Giurisprudenza Penale delle Corti Supreme
  A cura di Anna Laura Rum



Per le Sezioni Unite, il limite all'aumento di pena, di cui all’art. 99, sesto comma, cod. pen., non rileva in ordine alla qualificazione della recidiva quale circostanza ad effetto speciale e non influisce sui termini di prescrizione determinati ai sensi degli artt. 157 e 161 cod. proc. pen., come modificati dalla legge n. 251 del 2005.

Di Anna Laura Rum
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NOTA A CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE PENALI, SENTENZA 29 LUGLIO 2022, N. 30046

Per le Sezioni Unite, il limite all'aumento di pena, di cui all’art. 99, sesto comma, cod. pen., non rileva in ordine alla qualificazione della recidiva quale circostanza ad effetto speciale e non influisce sui termini di prescrizione determinati ai sensi degli artt. 157 e 161 cod. proc. pen., come modificati dalla legge n. 251 del 2005.

Di Anna Laura Rum

  

Sommario: 1. I fatti di causa 2. Le argomentazioni delle Sezioni Unite 3. I principi di diritto

 

1. I fatti di causa

I fatti di causa vedono il Tribunale di Roma condannare l’imputato in relazione ai reati di cui all'art. 648 cod. pen., per avere acquistato, al fine di procurarsi profitto, un assegno tratto su conto corrente bancario provento di furto, con il riconoscimento della recidiva specifica infraquinquennale.

La sentenza di primo grado è stata appellata.

La Corte di appello ha applicato la disciplina della prescrizione, di cui alla legge 5 dicembre 2005, n. 251.

Proposto ricorso per Cassazione, la seconda Sezione ha ritenuto necessario l’intervento delle Sezioni Unite, venendo in rilievo una questione al centro di un contrasto interpretativo nella giurisprudenza di legittimità, ovvero, "se il limite dell'aumento della pena correlato al riconoscimento della recidiva qualificata, previsto dall'art. 99, sesto comma, cod. pen., incida sulla qualificazione della recidiva prevista dal secondo e dal quarto comma dell'art. 99 cod. pen. come circostanza ad effetto speciale e/o influisca sulla determinazione del termine di prescrizione".

 

2. Le argomentazioni delle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite, preliminarmente, osservano che sul tema oggetto della ordinanza di rimessione sono riconoscibili nella giurisprudenza di legittimità due diversi orientamenti.

Per un primo indirizzo interpretativo, maggioritario, il computo del termine di prescrizione va commisurato tenendo conto dell'aumentomassimo di pena previsto per la recidiva qualificata, ma con il limite previsto dall'art. 99, sesto comma, cod. pen., in base al quale l'aumento per la recidiva non può superare il cumulo delle pene inflitte con le precedenti condanne.

In particolare, si è sostenuto che la contestazione di una recidiva qualificata (aggravata, pluriaggravata o reiterata, nelle forme previste rispettivamente dal secondo, terzo e quarto comma dell'art. 99 cod. pen.) comporta che di tale circostanza, parificabile a quelle ad effetto speciale, si debba tenere conto ai fini del computo del termine di prescrizione ai sensi dell'art. 157 cod. pen. Tuttavia, l'esistenza della disposizione dettata dal sesto comma dello stesso art. 99 cod. pen., che fissa un limite quantitativo alla commisurazione della pena, incide anche sul computo del termine di prescrizione, imponendo di tenere conto, anche a tali fini, degli effetti mitigatori dettati da tale norma.

Per un secondo indirizzo interpretativo, la recidiva non può essere considerata una circostanza ad effetto speciale nel caso in cui il concreto aumento di pena applicato, per effetto del criterio mitigatore previsto dall'art. 99, sesto comma, cod. pen., sia pari o inferiore ad un terzo, in quanto, ai sensi dell'art. 63, terzo comma, cod. pen., sono circostanze aggravanti ad effetto speciale solo quelle che determinano un aumento della pena superiore ad un terzo. Secondo questaimpostazione ermeneutica, laddove il giudice sia chiamato a computare il termine di prescrizione di un reato aggravato da circostanze ad effetto speciale e circostanze indipendenti, queste ultime possono essere assimilate alle prime solamente quando comportino un aumento della pena base superiore ad un terzo, dunque, tali non possono essere considerate le recidive qualificate che, per effetto del criterio mitigatore stabilito dall'art. 99, sesto comma, cod. pen., dovessero determinare un aumento della pena in misura pari o inferiore ad un terzo.

Le Sezioni Unite, quindi, ripercorsi i due indirizzi interpretativi, danno atto del fatto che la questione si articola su due profili distinti, tra loro complementari.

Il primo, sulla definizione della recidiva laddove, contestata e riconosciuta come qualificata ai sensi del secondo o del quarto comma dell'art. 99 cod. pen., venga poi fatta applicazione della specifica disposizione dettata dall'art. 99, sesto comma, cod. pen., e l'aumento della pena dovesse essere in concreto operato in misura pari o inferiore ad un terzo sulla pena base.

Il secondo, sui riflessi della scelta definitoria, in relazione alla esatta delimitazione dell'ambito di operatività della disciplina del calcolo del termine di prescrizione del reato, qualora in concreto l'imputato dovesse beneficiare del meccanismo di temperamento previsto dal sesto comma dell'art. 99 cod. pen.: è opportuno chiarire in che modotale "meccanismo" incida sul computo sia del termine di prescrizione così detto "minimo", a mente dell'art. 157 cod. pen., sia di quello così detto massimo, dovuto all'ulteriore aumento stabilito dall'art. 161, secondo comma, cod. pen., per effetto dell'accertata presenza nel processo di atti interruttivi.

Il Collegio, con riferimento al primo profilo, rammenta che, per consolidata giurisprudenza delle Sezioni Unite, la recidiva è definibile come circostanza aggravante ad effetto speciale quando comporta un aumento di pena superiore a un terzo: essa soggiace, in caso di concorso con circostanze aggravanti dello stesso tipo, alla regola dell'applicazione della pena prevista per la circostanza più grave, di cui all'art. 63, quarto comma, cod. pen., e ciò pur quando l'aumento che ad essa segue sia obbligatorio, per avere il soggetto, già recidivo per un qualunque reato, commesso uno dei delitti indicati all'art. 407, comma 2, lett. a), cod. proc. pen.

In questo senso, si sono pronunciate le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 20798 del 2011.

Il Collegio, ancora, rileva che il problema riguarda cosa accada qualora, per effetto della operatività della disposizione dettata dalsesto comma dell'art. 99 cod. pen., nonostante la contestazione della recidiva in una delle sue forme qualificate, l'aumento della pena posta a base del calcolo dovesse risultare, in ragione dell'applicazione di quel "criterio di temperamento", proporzionalmente pari o inferiore ad un terzo.

Per il Collegio, appare significativo il fatto che il considerato "criterio di temperamento" dell'aumento della pena, conseguente al riconoscimento della recidiva, può riguardare anche gli effetti dellarecidiva semplice di cui al primo comma dell'art. 99 cod. pen., potendosi fondatamente ritenere che l'indeterminata menzione, al plurale, della misura del «cumulo delle pene», rappresenti un riferimento puramente indicativo: escludere loperatività di quel criterio, nelle ipotesi di recidiva non qualificata potrebbe avere come irragionevole effetto quello di sanzionare in maniera più severa l'imputato cui sia stata addebitata la forma meno grave di recidiva.

Le Sezioni Unite proseguono il percorso argomentativo, sottolineando che un importante ausilio alla corretta definizione degli effetti applicativi della disposizione in esame è fornito da un’interpretazione logico-sistematica della normativa codicistica.

Il quarto comma dell'art. 63 cod. pen. riconosce come la natura di ciascuna di quelle circostanze aggravanti, come qualificate dal comma precedente non venga meno, né subisca un mutamento in ragione del fatto che il giudice, in relazione al riconoscimento di una o più circostanze ulteriori rispetto alla prima, decida in concreto di operare un aumento della pena in misura pari o inferiore ad un terzo.

Si rammenta, inoltre, che la Corte di cassazione ha in più occasioni evidenziato come, ai fini dell'applicazione della disciplina della prescrizione del reato, le circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena diversa da quella ordinaria del reato e quelle ad effetto speciale mantengano la loro natura anche se, concorrendo con altra circostanza analoga, non possono importare un aumento superiore ad un terzo ai sensi dell'art. 63, quarto comma, cod. pen.

Secondo le Sezioni Unite, poi, non va trascurato quanto sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità in sede di esegesi dell'art. 278 cod. proc. pen., che, come noto, prevede che, agli effetti dell'applicazione delle misure cautelari personali, si debba considerare la pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato, senza tenere conto delle circostanze del reato, fatta eccezione delle circostanze per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale.

Si ricorda come già le Sezioni Unite abbiano posto in luce che, laddove concorrano più circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o circostanze ad effetto speciale, si debba tener conto, ai sensi dell'art. 63, quarto comma, cod. pen., della pena stabilita per la circostanza più grave, aumentata di un terzo, e come tale aumento costituisca cumulo giuridico delle ulteriori pene e limite legale dei relativi aumenti per le circostanze meno gravi, che tuttavia mantengono la loro natura.

Tale regula iuris per il Collegio può avere riflessi anche nell'analisi che qui interessa, in quanto indicativa di una chiara tendenza del legislatore a differenziare il momento della qualificazione di una circostanza nel contesto della sua incidenza astratta sulla determinazione della pena edittale di un determinato reato, rispetto al momento della determinazione degli effetti del relativo riconoscimento, nella commisurazione della pena in relazione al caso concreto.

Le Sezioni Unite giungono, dunque, ad affermare che l'art. 63, terzo comma, cod. pen., allorquando stabilisce che vanno qualificate come circostanze aggravanti ad effetto speciale quelle che comportano un aumento della pena superiore ad un terzo, fa riferimento alla oggettiva idoneità di quella circostanza a determinare "in astratto" un aumento della pena base edittale in misura percentuale superiore alla frazione indicata, e ciò indipendentemente dalla operatività, in sede di successiva commisurazione della pena nel caso concreto, di "criteri di temperamento" fissati dalla stessa legge.

Più nel dettaglio, per il Collegio è fondato ritenere che l'aumento della pena in conseguenza della applicabilità del limite fissato dall'art. 99, sesto comma, cod. pen., in misura in concreto pari o non superiore ad un terzo della pena base, non incida sulla natura della recidiva qualificata contestata ai sensi dell'art. 99, secondo, terzo o quarto comma, cod. pen., la cui natura di circostanza aggravante ad effetto speciale resta, ad ogni effetto di legge, immutata.

Per il Collegio, diversamente ragionando, si finirebbe per fare dipendere la definizione della natura della recidiva dal diverso momento in cui se ne dovessero considerare gli effetti. Ed infatti, nei riguardi di un medesimo imputato, l'entità del cumulo delle pene derivanti dalle sue precedenti condanne potrebbe risultare non superiore ad un terzo, se rapportata alla pena massima edittalmentefissata per il reato contestato e, al contrario, diventare superiore a quella frazione percentuale, se raffrontata alla pena in concreto determinata dal giudice al momento della definizione del trattamento sanzionatorio con la sentenza di condanna.

In sostanza, si avrebbe, così, una circostanza aggravante "a geometria variabile" e ciò si tradurrebbe in irragionevoli applicazioni pratiche e in inammissibili disparità di trattamento, nei confronti di soggetti che si trovano in situazioni sostanzialmente assimilabili.

Poi, passando all'esame del secondo profilo della questione controversa - e cioè se il limite dell'aumento della pena correlato al riconoscimento della recidiva qualificata, dall'art. 99, sesto comma, cod. pen., influisca sulla determinazione dei termini di prescrizione del reato le Sezioni Unite rilevano che prima delle modifiche introdotte dalla legge n. 251/2005, le disposizioni del codice penale regolavano le modalità di computo del termine di prescrizione prevedendo sei fasce di reati, ordinate secondo un parametro di gravità decrescente, ciascuna delle quali era qualificata da una relazione tra limiti edittali massimi di pena e diversi termini minimi di prescrizione.

Le novità introdotte dalla legge n. 251 del 2005 hanno avuto l’intento di oggettivizzare i criteri di computo del termine di prescrizione, valorizzando rigidi fattori ed evitando che quel calcolo potesse essere condizionato dagli esiti di scelte discrezionali dell'autorità giudiziaria:ora è la legge a prestabilire la durata cronologica necessaria per la maturazione di quella causa di estinzione di ciascun reato e il ruolo del giudice è stato, in tal modo, affievolito.

Le Sezioni Unite osservano che la riscrittura della disciplina della prescrizione operata nel 2005 ha comportato una forma di irrigidimento del sistema e una incidenza oltremodo rigorista della contestazione di una delle forme di recidiva qualificata sulla determinazione dei tempi per la maturazione di quella causa di estinzione del reato: ciò anche per l'effetto "duplicatorio" del riconoscimento di quelle recidive, considerate dapprima come circostanze ad effetto speciale ai fini del calcolo del termine ordinario o minimo della prescrizione e poi incidenti sul computo del termine massimo invalicabile in caso di pluralità di atti interruttivi.

Ancora, il Collegio ricorda che la Corte Costituzionale è già intervenuta in materia, anche con le sentenze nn. 55 e 143 del 2021,per attenuare talune conseguenze pratiche troppo rigorose, con riferimento al momento della determinazione finale della pena, perché ritenute in contrasto con il principio di proporzione tra quantità e qualità della sanzione rispetto all'offesa, di cui all'art. 27, terzo comma, Cost.

Le Sezioni Unite rilevano come anche nei passaggi argomentativi di altre pronunce più risalenti della giurisprudenza costituzionale si riconoscono affermazioni che indirettamente forniscono un riscontro alla correttezza della scelta ermeneutica che le Stesse privilegiano nel definire la questione in esame.

In particolare, la Corte Costituzionale, nel dichiarare la infondatezza o la inammissibilità di una serie di questioni di legittimità aventi ad oggetto le novità normative introdotte dalla legge n. 251 del 2005, ha non solo sottolineato come la scelta di considerare, ai fini del calcolo del termine di prescrizione dei reati, basata sulla correlazione, già accolta nel codice del 1930, tra il tempo necessario a prescrivere e la gravità del reato, possa rispondere ad un ragionevole esercizio discrezionale del potere legislativo, laddove vengano ponderati i vari interessi coinvolti dalla complessa disciplina della prescrizione, ma soprattutto ha posto in risalto come non possa ritenersi irragionevole che il legislatore abbia ritenuto che la rinuncia a perseguire i fatti criminosi debba essere rapportata alla gravità del reato nella sua massima ipotizzabile esplicazione sanzionatoria prevista per la fattispecie base e sul massimo aumento di pena previsto per quelle circostanze aggravanti  a effetto speciale e che comportano un mutamento qualitativo della pena.

In questi termini, la Corte Costituzionale si è espressa, ex multis, con la sentenza n. 32 del 2008.

Infine, le Sezioni Unite ricordano come pure la Corte Costituzionale, nel dichiarare la manifesta infondatezza della questione di legittimità dell'art. 161, secondo comma, cod. pen., sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., ha espressamente riconosciuto un "parallelismo" tra le disposizioni dettate dagli artt. 157, secondo comma, e 161, secondo comma, cod. pen., in particolare, sottolineando come il giudice a quo avesse trascurato «che la recidiva reiterata infraquinquennalecontestata all'imputato sottoposto al suo giudizio, prima ancora di determinare un allungamento del termine massimo, incide già sul termine ordinario di prescrizione del reato». Così si è espressa la Corte Costituzionale, con ordinanza n. 34 del 2009.

 

3. I principi di diritto

Alla luce delle argomentazioni esposte, dunque, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30046 del 2022, affermano i seguenti principi di diritto:

Il limite all'aumento di cui alla previsione dell'art. 99, sesto comma, cod. pen.:

- non rileva in ordine alla qualificazione della recidiva, come prevista dal secondo e dal quarto comma del predetto articolo, quale circostanza ad effetto speciale;

- non influisce sui termini di prescrizione determinati ai sensi degli artt. 157 e 161 cod. proc. pen., come modificati dalla legge n. 251 del 2005”.

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