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Anno XVII - n. 05 - Maggio 2025

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Sequestrabilità del profitto illecito derivante dal Superbonus anche se il credito è stato ceduto. Pronuncia della Suprema Corte.

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Corte di Cassazione, Sez. III, sent. del 1 dicembre 2022, n. 45558.

Soccorre ai nostri fini anche l'interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità in sede civile. Con le sentenze n..34444 e n. 34445, entrambe depositate il 16 novembre 2021, questa Corte ha chiarito - ponendosi espressamente in contrasto con i precedenti della stessa Corte (si vedano Cass. n. 10112/2017, n. 19237/2017, n. 24093/2020 e n. 354/2021) - che nel nostro ordinamento sussiste la dicotomia tra credito non spettante e credito inesistente.

In particolare, si rileva che la definizione di credito inesistente si desume dall'art. 13, comma 5, D.Igs. n. 471/1997, come novellato nel 2015, secondo cui si considera tale il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile attraverso i controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del D.P.R. n. 600/1973 e all'art. 54-bis del D.P.R. n. 633/1972. Devono dunque ricorrere entrambi i requisiti per considerare inesistente il credito:

a) deve mancare il presupposto costitutivo (ossia, quando la situazione giuridica creditoria non emerge dai dati contabili, finanziari o patrimoniali del contribuente);

b) l'inesistenza non deve essere riscontrabile attraverso controlli automatizzati o formali o dai dati in anagrafe tributaria. In sintesi, per poter qualificare un credito come inesistente è necessario che lo stesso sia ancorato ad una situazione non reale o non vera, "ossia priva di elementi giustificativi fenomenicamente apprezzabili, se non anche con connotazioni di fraudolenza".

Quanto sopra è confermato anche da altra decisione della Sezione tributaria di questa Corte (Sez. 5, sentenza n. 34443 del 16/11/2021, Rv. 663029 - 01), in cui è stato sottolineato che il D.Igs. n. 158 del 2015 si innesta nella riscrittura della norma già contenuta nel contestuale articolo 27, comma 18, d.l. n.185/2008 abrogato -che regolava il relativo quadro sanzionatorio- e ha lo scopo, pertanto, di specificare il contenuto del precetto originario, "[...]così ancorando la nozione di "credito inesistente" ad una dimensione anche secondo il linguaggio comune - "non reale" o "non vera", ossia priva di elementi giustificativi fenomenicamente apprezzabili, se non anche con connotazioni di fraudolenza (come pure può evincersi dal contenuto della Relazione illustrativa al Decreto Legge n. 185 del 2008)". Del resto, la norma contenuta nel d.l. n. 185/2008, come chiarito dalla stessa Relazione illustrativa, era volta a colpire "comportamenti connotati da aspetti fraudolenti", rilevabili essenzialmente soltanto a seguito di specifici riscontri di natura contabile tra quanto indicato nei modelli di versamento e le dichiarazioni periodiche dai quali dovrebbero risultare. La norma, quindi, sanziona la condotta commissiva riscontrabile soltanto a seguito di controlli di coerenza contabile, verifiche a seguito delle quali emerga "l'inesistenza dei crediti stessi, non essendo, nella maggior parte dei casi, riscontrabili partendo dal controllo delle dichiarazioni fiscali". Tale condotta è insidiosa, e quindi connotata da un elevato grado di offensività in quanto idonea - per le modalità di consumazione - ad ostacolare significativamente l'attività di controllo dell'Amministrazione finanziaria (in quanto il credito viene generato direttamente nel modello F24, senza prima essere esposto in dichiarazione, ovvero comunque si tratta di un credito "falsamente" creato, pur se riportato in dichiarazione e poi utilizzato). In altri termini, come nel caso di specie, qualora il credito d'imposta sia effettivamente non reale (ad esempio, come nella specie, perché trova la sua origine in false fatturazioni per operazioni inesistenti), si deve considerare inesistente. Ed allora, e conclusivamente, derivando i crediti di imposta in questione da un diritto alla detrazione d'imposta, oggetto dell'esercizio di opzione, ma sorto per effetto di operazioni fraudolente secondo il meccanismo descritto dalla stessa ordinanza impugnata, lo stesso non può che essere qualificato come inesistente sia perché manca il presupposto costitutivo sia perché, proprio in considerazione del meccanismo fraudolento mediante il quale si è originato, l'inesistenza non sarebbe stata riscontrabile mediante i controlli automatizzati o formali sulle dichiarazioni ex art. 13, comma 5, D.Igs. n. 471/1997, dovendosi intendere per "errori rilevabili mediante controlli automatizzati e formali" i casi in cui gli errori e le omissioni possono essere rilevati in sede di liquidazione delle imposte dovute ex art. 36 bis e 36 ter del D.p.r. 600/73, controlli automatizzati e formali che di regola non consentono di rilevare anomalie collegate ad attività fraudolente (con creazione di crediti "agevolativi" inesistenti), ma solo quelle conseguenti all'utilizzo di crediti esistenti ma "non spettanti", come ad esempio nel caso di duplicazioni materiali, riscontrabili in sede di liquidazione "automatizzata" della dichiarazione. 

Non è poi risolutiva l'ulteriore considerazione sviluppata nella memoria difensiva, secondo cui ove si ritenesse, come in effetti si ritiene, il credito inesistente, l'attività di recupero risulterebbe snaturata nella sua funzione, in quanto il recupero determinerebbe un "arricchimento senza causa" dell'Erario, dal momento che verrebbe realizzato non essendosi mai realizzata una passività in capo allo stesso. Si tratta di un'affermazione senza dubbio suggestiva ma infondata. Sia consentito sul punto svolgere le seguenti considerazioni. La normativa (d.l. n. 134/2020), come anticipato, consente ai soggetti che sostenevano spese per gli interventi edilizi specificamente individuati, rientranti nell'ambito del c.d. Superbonus di scegliere: a) la detrazione spettante in sede di dichiarazione dei redditi; b) lo sconto in fattura; c) la cessione del credito d'imposta con la facoltà di ulteriori cessioni. La qualificazione di questi crediti d'imposta li rende sia diretti a risparmiare imposta abbattendola, che finalizzati ad agevolare il mercato immobiliare e il mondo del lavoro aumentando appunto la richiesta di interventi edilizi. Quindi l'esatta qualificazione della loro natura fa sorgere un dubbio, cioè se questi crediti siano qualificabili come agevolazioni tributarie o meno, e di seguito quali siano poi di riflesso le conseguenze derivanti dal loro utilizzo fraudolento. Il quesito è rilevante in quanto il Decreto Rilancio ha previsto la possibilità di scegliere diverse modalità di utilizzo di questa agevolazione oltre la detrazione. L'art. 121, D.L. n. 34/2020, ha previsto sia un contributo anticipato sotto forma di sconto praticato dai fornitori di beni e servizi sul corrispettivo dovuto, fino ad un importo massimo pari al corrispettivo stesso, che la cessione di un credito corrispondente alla detrazione spettante. La cessione del credito è cedibile al fornitore, agli istituti di credito e agli intermediari finanziari, ma anche ad altri soggetti, con una non negata possibilità di infinite successive cessioni (almeno nell'originaria previsione del d.l. n. 34/2020). Mentre la compensazione si può utilizzare attraverso l'utilizzo del Mpd. F24 senza limiti generali previsti per i crediti d'imposta e contributi, né il limite di 250.000 euro applicabile ai crediti d'imposta da indicare nel quadro RU della dichiarazione dei redditi, la quota di credito non utilizzata nell'anno non può essere usufruita negli anni successivi e non può nemmeno essere richiesta a rimborso.

Ancor più rilevante è il fatto che il citato art. 121, al comma 4, per rendere tale strumento appetibile e funzionale prevede, che i fornitori e i soggetti cessionari, rischino, per l'eventuale utilizzo irregolare del credito d'imposta, unicamente che l'Agenzia delle Entrate possa recuperare l'importo corrispondente alla detrazione non spettante, andando quindi a penalizzare i beneficiari della agevolazione. Orbene, per rispondere al quesito se il credito d'imposta da Superbonus è o meno un'agevolazione tributaria, è necessario collocare il credito d'imposta non nel concetto di rimborso ma nella natura di credito d'imposta. È a tal proposito indubbio come il credito, che deriva dalla cessione della detrazione spettante (pari al 110% della spesa sostenuta), non rimborsabile, ma solamente compensabile, sia da riferire alla nozione di "agevolazione tributaria", proprio perché nulla ha a che fare con il presupposto d'imposta e la relativa capacità contributiva del beneficiario ponendo quale presupposto, cui commisurare l'"aiuto", l'interesse politico economico, sociale o ambientale, inequivocabilmente costituzionalmente rilevante, ma che quindi è evidentemente di natura extrafiscale.

Ed allora, se così è, evidente che la prospettazione difensiva soffre di un errore di impostazione, laddove il "recupero" è evidentemente limitato all'importo "corrispondente alla detrazione non spettante nei confronti dei soggetti" beneficiari (art. 121, comma 5, d.l. 34/2020) e, in caso di concorso nella violazione, sebbene "in solido", anche dei cessionari (comma 6). Diversamente, non essendo il credito d'imposta - conseguente all'esercizio del diritto dell'opzione - "recuperabile" ma unicamente "compensabile" da parte del cessionario nei confronti dell'Erario, non potrebbe mai parlarsi di "arricchimento senza causa" da parte dell'Erario, posto che: 1) o l'Erario riesce a recuperare l'importo "corrispondente alla detrazione non spettante" dal soggetto beneficiario, ed allora nessuna conseguenza negativa vi è nei confronti del cessionario; 2) o l'Erario non riesce a recuperare l'importo "corrispondente alla detrazione non spettante" dal soggetto beneficiario, ed il cessionario non è concorrente nella violazione, ed allora nessuna conseguenza ne deriverebbe per quest'ultimo, che ben potrebbe opporre in compensazione all'Erario il credito oggetto di cessione (comma 6) quando cessino gli effetti del sequestro penale, che non può ritenersi impedito dalle disposizioni dell'art. 121 del d.l. n. 34 del 2020 dal momento che si prevede espressamente (art. 28-ter, d.l. n. 4 del 2022, conv. con modd. in I. n. 25 del 2022) la possibilità di utilizzare il credito solo qualora e quando cessino gli effetti del sequestro penale (da ciò la necessita di rideterminare i termini per il suo utilizzo, che sarebbero inutilmente decorsi per cause non imputabili al cessionario); 3) o, infine, l'Erario non riesce a recuperare l'importo "corrispondente alla detrazione non spettante" dal soggetto beneficiario, ed il cessionario è concorrente nella violazione, ed allora subirebbe il "recupero", attesa la sua responsabilità solidale, per espressa previsione di legge (comma 6). In tutte e tre le ipotesi, peraltro, non potrebbe parlarsi di "arricchimento senza causa" secondo la prospettazione difensiva, in quanto il presupposto è comune, ed è costituito dall'esistenza di una "passività" in capo all'Erario derivante proprio dall'inesistenza del credito che, ove lo si ritenesse opponibile in compensazione nonostante la mancanza del suo presupposto costitutivo, genererebbe un indubbio danno alle casse dell'Erario, in quanto si consentirebbe al cessionario di compensare crediti (inesistenti) con quanto (realmente) dovuto al Fisco, con indubbio "arricchimento senza causa", rovesciando la prospettazione difensiva, proprio a favore del cessionario.

Perdono, quindi, di spessore argomentativo le conseguenti considerazioni svolte dalla difesa di Poste Italiane S.p.A. circa la possibile frizione di tale soluzione interpretativa con i principi di non contraddizione (che costituisce il fondamento logico-giuridico delle scriminanti), di sussidiarietà (tenuto conto che anche in diritto tributario, oltre che in diritto penale, è illecita la compensazione di un credito, sia esso "non spettante", sia esso, come nella specie, "inesistente", ovviamente assumendo rilevanza penale solo quelle condotte di indebita compensazione "sopra soglia") e di offensività (posto che la compensazione di un credito inesistente o non spettante indubbiamente provoca un danno all'Erario, corrispondente al mancato versamento di un debito di non predeterminata natura per un ammontare corrispondente al credito inesistente o non spettante). 12. Alla luce quindi delle predette considerazioni che pongono il beneficio come rientrante nell'ambito delle agevolazioni e che esso matura nell'ambito del calcolo e della liquidazione dell'imposta, è utile chiedersi in che rapporto si pongono le ipotesi di truffa con i reati tributari e in particolare, con l'art. 10-quater, D.Igs. n. 74/2000. Se l'iter logico seguito ha un senso, e si muove dal presupposto che il credito d'imposta anche in questa fattispecie sia una agevolazione, allora è senz'altro da ritenere applicabile anche l'art. 10-quater, D.Igs. n. 74 del 2000. Oltremodo, poi, l'art. 10-quater, D.Igs. n. 74/2000, pone delle chiare differenze di fattispecie criminosa prevista dal comma 1, ovvero quella di utilizzo in compensazione di "crediti non spettanti", oppure quella recata nel comma 2, afferente l'ipotesi, più grave, dell'utilizzo in compensazione di "crediti inesistenti", ovviamente a seconda della condotta concreta posta in essere dal contribuente. Questa stessa Sezione ha del resto evidenziato l'insidiosità della fattispecie di cui all'art. 10-quater, affermando: "come evidenziato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 35 del 6 dicembre 2017 (depositata il 21 febbraio 2018), con ampi riferimenti all'evoluzione normativa, il delitto di indebita compensazione si differenzia rispetto agli altri delitti in materia di omesso versamento nei casi in cui c'è compatibilità di tali finalità con una uniforme distribuzione dei carichi fiscali e che anche le norme di esenzione o di agevolazione possano, in taluni casi, essere espressione di un principio di ordine generale e superiore" (Sez. 3, sentenza n. 25922 del 17/06/2020 - dep. 11/09/2020, Rv. 280078).

In conclusione, ritiene dunque il Collegio che nel caso in cui il credito è ottenuto fraudolentemente è sicuramente applicabile il comma 2 dell'art. 10-quater D.Igs. n. 74/2000; pertanto, il cessionario che provveda a compensarlo, nonostante la consapevolezza dell'inesistenza del credito medesimo, si espone alla conseguente responsabilità penale.