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Anno XVII - n. 05 - Maggio 2025

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Richiesta del solo risarcimento del danno per occupazione sine titulo e giurisdizione del giudice amministrativo.

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Consiglio di Stato, Sez. II, sent. del 25 marzo 2020, n. 2081.

La richiesta del solo risarcimento del danno per occupazione sine titulo non produce alcun effetto traslativo della proprietà in capo alla p.a. procedente; essa tuttavia rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo quando l’occupazione sia comunque retta da una dichiarazione di pubblica utilità, anche riveniente dall’inclusione in uno strumento urbanistico, in funzione del quale una quota dei terreni sono stati asserviti, ancorché illegittima (senza che rilevi la qualità del vizio di legittimità che la affetta), o inefficace o comunque non seguita dal completamento della procedura espropriativa (1).
 

(1) Cons. Stato, A.P., 20 gennaio 2020, nn. 2, 3, 4 e 5.

Ha ricordato la Sezione che la giurisdizione amministrativa è sempre stata riconosciuta ove le domande di restituzione e di risarcimento del danno conseguente alle occupazioni sine titulo siano comunque rette da una dichiarazione di pubblica utilità, da ultimo riveniente da uno strumento urbanistico (il PEEP) in funzione del quale una quota dei terreni sono stati asserviti, ancorché illegittima (senza che rilevi la qualità del vizio di legittimità che la affetta), o inefficace o comunque non seguita dal completamento della procedura espropriativa.
 

Anche l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha più volte chiarito che rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in quanto sorte nell'ambito di una procedura di espropriazione (e non governate ratione temporis dalle norme sostanziali del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 327, in ogni caso anteriormente alla sentenza della Corte cost. 11 maggio 2006, n. 191, che ha inciso sull'art. 53 del testo unico in materia di espropriazione per pubblica utilità) le controversie aventi per oggetto il risarcimento danni da occupazione di un fondo a seguito di dichiarazione di pubblica utilità, quale atto autoritativo che fa emergere il potere pubblicistico in rapporto al bene privato e costituisce, al tempo stesso, origine funzionale della successiva attività – sia giuridica che materiale – di utilizzazione per scopi pubblici previamente individuati, con irreversibile trasformazione del bene immobile, senza che tuttavia sia intervenuto nelle more il decreto di esproprio o altro atto idoneo a produrre l'effetto traslativo della proprietà, né che vi siano state ulteriori proroghe dell’occupazione. In questo quadro, le vicende patologiche del procedimento, quali la protrazione dell’occupazione oltre il termine di efficacia, non dequalificano cioè la valenza giuridica di un’attività espletata nel corso di un procedimento, che la dichiarazione ha ab origine funzionalizzato a scopi specifici di pubblica utilità.
Quanto detto sopra, rileva ancora la Sezione, può continuare a trovare astrattamente riscontro, purché la controversia si limiti, appunto, alla richiesta risarcitoria da occupazione illegittima, comunque cessata in forza della restituzione del fondo al legittimo proprietario, della stipula di un accordo transattivo con effetti traslativi del diritto di proprietà in capo alla amministrazione autrice della condotta abusiva, del maturarsi dell’usucapione che tuttavia si perfeziona a condizioni date, ovvero dell’adozione del provvedimento previsto dall’art. 42 bis T.U.es.
Nel caso all’esame della Sezione, invece, proprio in ragione del ritenuto passaggio dall’occupazione legittima, a quella illegittima, indi alla rinuncia abdicativa alla proprietà, senza soluzione di continuità, venuta meno l’efficacia interruttiva della permanenza dell’illecito in passato riconosciuta anche a quest’ultima, era evidente l’impossibilità di affrontare la sola questione risarcitoria, completamente al di fuori delle sottese vicende dominicali, che finirebbero per gravitare in un limbo intermedio di incertezza sine die. La prospettazione unitaria del procedimento, peraltro, ha fatto sì che la trattazione abbia riguardato promiscuamente sia aspetti concernenti, appunto, rivendicazioni risarcitorie da occupazione divenuta illegittima, ma fondata su originario provvedimento legittimo; sia questioni indennitarie correlate invece alla successiva e formalizzata ablazione del bene, rientranti nella giurisdizione del giudice ordinario (art. 133, comma 1, lett. g), ultimo periodo, c.p.a.) e risultano devolute alla Corte d’appello, in unico grado, secondo la regola generale dell’ordinamento di settore per la determinazione giudiziale delle indennità desumibile dalla interpretazione estensiva dell’art. 29 del d.lgs. n. 150/2011, «il quale non avrebbe potuto fare espresso riferimento a un istituto introdotto nell’ordinamento solo in epoca successiva» (Cass., SS.UU., 8 novembre 2018, n. 28572). La natura indennitaria (di pregiudizi conseguenti ad un atto lecito) e non risarcitoria (di danni cagionati da un fatto illecito) delle somme che la P.A. è tenuta a liquidare e a pagare (o, in mancanza di accettazione, a depositare) per pervenire all’acquisizione del bene al proprio patrimonio indisponibile è stata affermata e confermata dalla giurisprudenza nomofilattica non solo in relazione alle somme qualificate dallo stesso legislatore come “indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale” per la perdita della proprietà del bene immobile (così già Cass., SS.UU., 25 luglio 2015, n. 22096), ma anche in relazione all’interesse del cinque per cento annuo sul valore venale dell’immobile, menzionato al comma 3 dell’art. 42 bis che ne prevede il pagamento “a titolo risarcitorio”, giacché si tratta di «una voce del complessivo indennizzo per il pregiudizio patrimoniale previsto dal comma 1 […] il diritto al quale (nella sua integralità, comprensiva delle voci valore venale, pregiudizio non patrimoniale e interesse del cinque per cento annuo per il periodo di occupazione) sorge solo a seguito dell’adozione del provvedimento di espropriazione c.d. sanante», sicché l’uso dell’espressione “a titolo risarcitorio” costituisce «mera imprecisione lessicale, che non altera la natura della corrispondente voce dell’indennizzo, il quale essendo unitario non può che avere natura unitaria» (Cass., SS.UU., 25 luglio 2016, n. 15283).